Davanti agli occhi. Onu: 1,8 milioni di palestinesi stipati in 40 chilometri quadrati, l’11% della Striscia. L’esercito israeliano recupera un ostaggio. I coloni uccidono un palestinese in Cisgiordania. Violento attacco a Tulkarem: 5 vittime
Tulkarem dopo il bombardamento - Getty ImageTulkarem dopo il bombardamento - Getty Images
Si sono radunati quasi in riva al mare, prima a centinaia poi a migliaia, hanno di nuovo montato le loro tende sperando di sfuggire ai bombardamenti e ai combattimenti nell’area tra Deir al Balah e Khan Yunis dove avanzano i reparti corazzati israeliani con l’appoggio dell’aviazione. L’offensiva militare israeliana è interminabile. I civili di Gaza speravano che dal Cairo arrivasse finalmente l’annuncio del cessate il fuoco. Le cose ancora una volta sono andate diversamente e l’ottimismo artificiale degli Stati uniti sull’andamento «positivo» delle trattative non convince chi ogni giorno deve lottare per mangiare e cercare di rimanere vivo. «Scappando continuamente siamo arrivati al mare, la prossima volta dovremo entrare in acqua per salvarci» commentava ieri con amarezza Aya Yazji, una sfollata intervistata da una agenzia di stampa. «Ci dicono che i colloqui procedono e che un accordo è vicino, poi tutto cade come polvere – ha aggiunto la donna – I negoziatori sanno che ogni giorno più famiglie vengono spazzate via dai bombardamenti israeliani? Il mondo capisce che ogni giorno ci costa vite umane?».
Almeno 41 palestinesi ieri sono stati uccisi dagli attacchi israeliani a Gaza, riferiscono dal ministero della Sanità. Decine i feriti, che non si sa più dove portarli. L’avanzata dei mezzi corazzati ha messo sotto pressione ulteriormente l’ospedale Al Aqsa di Deir al Balah. L’ordine di evacuazione lanciato domenica ha spinto centinaia di pazienti, personale medico e sfollati a fuggire in preda al panico. Dei circa 650 ricoverati, solo 100 rimangono in ospedale, di cui sette in terapia intensiva. Tra il 16 e il 25 agosto 2024, l’esercito israeliano ha emesso cinque ordini di sfollamento nella zona centrale di Gaza, in particolare a Deir Al-Balah e le aree circostanti: tutte erano state precedentemente designate come parte della cosiddetta zona di sicurezza umanitaria. Le Nazioni unite stimano l’88,5% del territorio di Gaza sia stato sottoposto a ordini di sfollamento. «Circa 1,8 milioni di palestinesi sono stipati in un’area di 40 chilometri quadrati, ossia l’11% di Gaza, nella zona di Mawasi la densità è sbalorditiva: 45.000 persone per chilometro quadrato» spiega Samir Zaqout, il direttore della ong per i diritti umani al Mezan che avverte: «qualsiasi singolo attacco in quell’area potrebbe uccidere centinaia di palestinesi in una volta».
A questo proposito Amnesty International, con una indagine pubblicata ieri, afferma che lo scorso maggio, le Forze armate israeliane non hanno preso le necessarie precauzioni per ridurre al minimo i danni agli sfollati mentre realizzavano attacchi contro comandanti e combattenti di Hamas e del Jihad islami nel sud della Striscia. Entrambi gli attacchi, sostiene Amnesty, dovrebbero essere indagati come crimini di guerra. Il 26 maggio, riferisce l’ong, due attacchi aerei sul Kuwait Peace Camp, a Tal al-Sultan (Rafah), hanno ucciso almeno 36 persone, tra cui sei bambini. Solo quattro delle vittime erano combattenti, tra cui due comandanti di Hamas. L’attacco è stato compiuto con due bombe guidate GBU-39 di fabbricazione statunitense che esplodendo proiettano frammenti mortali su un’ampia area. Da qui l’elevato numero di vittime. Il 28 maggio, nel secondo incidente indagato, l’esercito israeliano ha sparato almeno tre colpi con un carro armato in una località nell’area di al-Mawasi (Rafah), designata come zona umanitaria. Le cannonate hanno ucciso 23 civili, tra cui 12 bambini, sette donne e quattro uomini. Gli obiettivi apparenti dell’attacco erano un combattente di Hamas e uno del Jihad ma le munizioni, usate in un’area piena di sfollati, non potevano non causare una strage di civili.
A Gaza ieri è stato recuperato Qaid Farhan Alkadi, un palestinese beduino con cittadinanza israeliana, preso in ostaggio il 7 ottobre. L’esercito israeliano ha detto di aver messo in atto una «operazione coraggiosa e complessa» con l’utilizzo di truppe di unità scelte e sulla base di «precise informazioni di intelligence», per trovare Alkadi in un tunnel nella zona meridionale di Gaza. L’uomo, hanno aggiunto i media israeliani, sarebbe riuscito a fuggire da solo prima dell’arrivo dei soldati che l’hanno trovato. Le sue condizioni di salute sono buone. Sono poco più di 100 gli ostaggi ancora a Gaza, un terzo dei quali morti secondo le informazioni in possesso di Israele.
In Cisgiordania i coloni israeliani appaiono sempre di più fuori controllo. Lunedì sera, mentre a Nur Shams (Tulkarem) un drone uccideva cinque militanti di Hamas, un civile palestinese Khalil Khalawi, è stato ucciso dai proiettili sparati da coloni entrati nel villaggio di Wadi Rahal (Betlemme) dopo il lancio di sassi da parte di ragazzi palestinesi contro auto israeliane. Il capo del consiglio municipale di Wadi Rahhal, Hamdi Ziadeh, ha riferito che i coloni hanno attaccato diverse abitazioni vicino alla scuola e che i soldati, giunti poco dopo, non hanno fatto nulla per proteggere gli abitanti del villaggio.
Durante la prima metà del 2024, i coloni hanno uccisi 7 palestinesi. Con Khalil Khalawi il numero dei palestinesi colpiti a morte dal 7 ottobre da soldati e coloni israeliani è salito a 651
Commenta (0 Commenti)
Guerra ucraina. Secondo giorno di bombardamenti a tappeto sulle città ucraine. Le forze di Mosca conquistano un altro villaggio nel Donetsk. La manovra di Kiev è un successo, ma servono soldati per difendere il Donbass
I soccorritori cercano le vittime del raid russo contro un hotel nella città ucraina di Kryvyi Rih - Epa
Secondo giorno di bombardamenti a tappeto sulle città ucraine, la vendetta russa per l’invasione di Kursk è in corso. I falchi del governo russo esultano per la «punizione» al nemico, anche se finora non si registrano azioni davvero eclatanti. Joe Biden ha parlato di «attacchi scandalosi» mentre da Pechino il rappresentante speciale per gli affari eurasiatici Li Hui ha espresso preoccupazione per le azioni ucraine verso «il territorio russo con le armi fornite dall’occidente».
In parallelo, secondo la rivista Politico, alcuni funzionari ucraini starebbero preparando una lista di obiettivi a lungo raggio in Russia che l’esercito di Kiev potrebbe colpire se Washington revocasse le restrizioni sulle armi statunitensi. Anche l’India si è fatta avanti e il primo ministro Modi ha sentito telefonicamente Vladimir Putin per offrirgli la propria «collaborazione a trovare una soluzione» al conflitto. Intanto le forze ucraine hanno tentato uno sfondamento senza successo nella regione russa di Belgorod ma rivendicano nuove conquiste nel Kursk, mentre in Donbass i russi continuano ad avanzare e ieri hanno annunciato la conquista del villaggio di Orlivka, a pochi chilometri da Pokrovsk.
DOPO MESI di relativa stasi e interesse decrescente verso le vicende belliche est-europee le ultime settimane hanno fatto registrare un’accelerazione coincisa con le iniziali aperture ucraine a una nuova conferenza di pace (dopo il primo deludente appuntamento in Svizzera) a cui partecipassero anche Russia e Cina. Ma quell’inaspettata apertura del presidente Zelensky è stata subito ribaltata dai fatti: l’invasione della regione di Kursk ha chiuso ogni spiraglio a eventuali trattative per un cessate il fuoco. Almeno per ora.
Mosca è stata categorica, «non è il momento di parlare di negoziati» ha affermato il ministro degli esteri Lavrov, mentre la destra di Putin invoca una rappresaglia esemplare. Gli attacchi degli ultimi due giorni sarebbero una risposta a quelle spinte, ma blogger militari, commentatori tv e i funzionari che hanno chiesto la testa di un responsabile per la figuraccia in mondovisione non hanno placato la propria sete di sangue.
Anche perché per ora gli ucraini continuano a imperversare nel Kursk. Stando alle dichiarazioni del comandante in capo delle forze armate ucraine, Oleksandr Syrsky, i soldati di Kiev «stanno ancora avanzando» e attualmente controllerebbero cento insediamenti oltre frontiera, pari a quasi 1.300 kmq del territorio russo. Il generale ha anche fornito i primi dati ufficiali, impossibili da confermare in maniera indipendente, sui prigionieri di guerra russi che avrebbero già raggiunto la cifra impressionante di 600 uomini.
Tuttavia, Syrsky ha anche ammesso che le forze russe stanno rafforzando le proprie posizioni sul fronte orientale, nell’area di Pokrovsk, e continuano ad avanzare per «cercare di interrompere la catena di approvvigionamento ucraina verso il fronte del Donbass. «Ad oggi – ha concluso il capo di stato maggiore – circa 30mila militari russi sono stati inviati al fronte di Kursk e questa cifra è in crescita».
SUL FRONTE DIPLOMATICO Zelensky ha preso parola spiegando l’improvviso cambio di direzione della comunicazione ucraina, da una possibile trattativa al contrattacco in territorio nemico: «Il mondo intero sta aspettando che l’Ucraina presenti una proposta di compromesso su come porre fine alla guerra domani. Non è che non ci siano compromessi con Putin, ma con lui oggi il dialogo sarebbe vuoto, privo di significato, perché non vuole porre fine alla guerra con mezzi diplomatici».
Il capo di stato ha anche annunciato che presto presenterà una proposta di pace ai candidati alle presidenziali Usa. Nell’attesa di ulteriori sviluppi sul fronte diplomatico, Ukrainska pravda fa sapere che il presidente ha annunciato lo scorso 24 agosto che il test del primo missile balistico interamente prodotto in Ucraina è andato a buon fine.
Sia l’offensiva nel Kursk sia il nuovo missile ucraino non fermano la quotidianità della guerra, fatta di bombardamenti devastanti e del timore crescente per l’arrivo dell’inverno con la rete energetica nazionale che continua a perdere infrastrutture importanti. Negli attacchi russi di ieri almeno cinque persone sono morte e una ventina ferite in cinque diverse regioni ucraine, da Sumy, nell’est, a Khmelnytskyi, nell’ovest, passando per Zaporizhzhia. A Kryivy Rih è stato registrato il bilancio peggiore con tre caduti.
Il generale Nikolai Oleshchuk, comandante dell’aeronautica ucraina, ha parlato di 10 missili di diverso tipo e di 81 droni. Tutti abbattuti gli ordigni diretti verso la capitale, secondo il capo dell’amministrazione militare della città, Sergiy Popko.
Sul fronte orientale la lenta avanzata russa prosegue e i soldati di Mosca, stando al ministero della difesa, sarebbero ormai a soli 15 km da Pokrovsk. Quando i russi, come sembra al momento, arriveranno alle porte della città ai generali ucraini si porrà un dilemma tremendo: ritirare i reparti e i mezzi corazzati occidentali da Kursk per difendere il Donbass o tenere le posizioni sperando che quei pochi chilometri valgano qualcosa durante le trattative che, in un punto ancora impreciso del futuro, giocoforza, dovranno aprirsi?
***
Aiea nella centrale: «Rischio incidente atomico»
Per la centrale atomica russa di Kursk esiste il «pericolo di un incidente nucleare». Lo riferisce l’agenzia di stampa russa Interfax citando il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, che ieri ha visitato l’impianto a pochi chilometri dal fronte aperto dagli ucraini nella regione russa oltreconfine.
Grossi ha anche rilevato che a Kursk ci sono «tracce di attacchi di droni» sul territorio della centrale nucleare di Kursk, velivoli che non possono non essere ucraini, anche se non ha formulato accuse dirette. Il direttore generale dell’Aiea ha ribadito l’appello ai belligeranti affinché l’impianto di Kursk e gli altri coinvolti nel conflitto (Zaporizhzhia, ndr) non diventino terreno di scontro militare «in nessuna circostanza»
Commenta (0 Commenti)Francia. «Incontrerò chiunque lavori per il paese»: dopo il niet a Melenchon (celebrato da Confindustria) l’agenda del presidente sembra vuota. «Nessun governo che prolunghi le sue politiche»: persino i socialisti presentano il conto
Il presidente francese Emmanuel Macron - foto Ap/Aurelien Morissard
Oggi Emmanuel Macron riceve il presidente tedesco Franz-Walter Steinmeier per la cerimonia di apertura dei Giochi Paraolimpici a Parigi. Ieri, accanto al taoseach Simon Harris, primo ministro irlandese, il presidente ha affermato che all’Eliseo «la porta è aperta» a «coloro che vogliono lavorare per gli interessi superiori del paese» e «i lavori continuano» per trovare una coalizione che possa governare la Francia, con un parlamento diviso in tre blocchi.
INTANTO MACRON INCASSA l’espressione di sollievo del Medef (la Confindustria francese): il presidente del padronato, Patrick Martin, si è detto «rassicurato» per il niet del presidente all’ipotesi di un governo guidato dalla candidata della sinistra Lucie Castets, sospettata di voler “disfare” tutta la politica pro-business messa in opera negli ultimi sette anni. Il secondo round delle “consultazioni”, ieri, è stato modesto: hanno salito i gradini della cour d’honneur dell’Eliseo i rappresentanti del gruppo Liot (oltremare e territori), che rivelano che ci sarà una decisione sul primo ministro a breve, nel fine settimana, di ritorno dal viaggio in Serbia, venerdì. Poi c’è stato un pranzo con François Bayrou, del MoDem (il gran manitou della coalizione macronista), che ha criticato la centralità del dialogo con i partiti privilegiato da Macron. Oggi dovrebbero presentarsi i Républicains, che hanno già presentato un «patto legislativo» in una ricetta molto maison, senza aperture alle altre forze politiche, nell’illusione di preservare le (poche) chances di Laurent Wauquiez come candidato alle presidenziali del 2027 – l’ossessione di tutti i leader che mina la politica francese.
MISTERO SUGLI INVITI delle consultazioni, nessuna certezza per gli ex presidenti François Hollande e Nicolas Sarkozy, come sulle «personalità che si sono distinte al servizio dello stato» evocate alla vigilia da Macron. Circolano voci su possibili candidati, soprattutto personalità “tecniche” (come Didier Migaud, già presidente della
Commenta (0 Commenti)La resa dei conti. Castellone: «Basta attacchi al fondatore». E Todde mette le mani avanti: «Ormai siamo una forza progressista». Il primo incontro tra il fondatore e i suoi sostenitori potrebbe tenersi a metà settembre
Sostenitori del Movimento 5 Stelle - Lapresse
Una volta esplicitato l’oggetto del contendere, con lo scambio epistolare tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte e i «tre pilastri» da preservare evocati dal primo (il nome, il simbolo e il tetto dei due mandati), il dibattito dentro il Movimento 5 Stelle attorno all’«assemblea costituente» del 19 e 20 ottobre prossimi comincia a infittirsi. Un tassello lo ha messo domenica scorsa Alessandra Todde alla Festa nazionale dell’Unità di Reggio Emilia. Secondo la presidente della Regione Sardegna ormai lo schieramento del M5S nel campo del centrosinistra è imprescindibile. «Abbiamo deciso, con la carta dei principi e dei valori, che il M5S fa parte del campo progressista e questo è un fatto da cui non si può tornare indietro» ha detto dialogando con Pierluigi Bersani. Al punto di porre questa scelta di campo come condizione per la sua permanenza tra i 5 Stelle. «Se mai l’assemblea dovesse decidere un’altra collocazione, ne prenderò atto, perché la mia collocazione è di donna progressista e non posso pensare di essere messa in un altro contesto – assicura Todde – Abbiamo fatto una battaglia per andare in Europa in un gruppo di sinistra. A me non piace chiamarlo campo largo, mi piace di più campo progressista. I valori sono gli stessi, tenere la schiena dritta di fronte al fascismo è lo stesso».
IERI SI È REGISTRATA anche l’uscita di Mariolina Castellone. È la prima volta che una parlamentare di peso pentastellata esprime una posizione in difesa di Beppe Grillo. La vicepresidente del senato stigmatizza «le risposte scomposte, aggressive alla lettera di Beppe, che per me racchiudeva concetti scontati per tutti noi». Da qui, un sospetto che pare un’insinuazione pesante: «Ho purtroppo percepito che il vero obiettivo di questo processo che stiamo affrontando sia in realtà quello di fare definitivamente quel ‘salto di specie’, restando in ambito scientifico, che ci trasformerà in qualcos’altro, dando vita a un qualche tipo di ‘mostro’». «La strategia posta in essere per questa involuzione – prosegue Castellone – è quella di abbattere l’ultimo argine di resistenza, che è rappresentato dal nostro garante, e con lui da quei pochi che non si sono mai piegati al volere del capo di turno». Ancora una volta «Sul tema del secondo mandato mi sono già espressa più volte, e posso solo dire che è davvero triste vedere che il superamento di questo vincolo sia diventato l’unico obiettivo per i molti (o i pochi) che ne trarranno beneficio». E ancora: «Una costituente, per quanto importante, non può e non deve trasformare un Movimento come il nostro in un partito tradizionale. Non è accettabile che si apra una costituente per rilanciare il M5S, e alla fine si esca come la brutta copia di un qualunque altro partito». Da via Campo Marzio lasciano trapelare che questa uscita non è da considerarsi come attacco a Conte e alle sue posizioni, ma al contrario come prova di un dibattito libero, oltre l’ingessatura di un confronto a due.
RESTA IL FATTO che il fronte pro-Grillo si sta organizzando. Verso metà settembre a Roma potrebbe tenersi l’incontro tra il garante e i suoi sostenitori. Allo scopo, dice uno dei promotori dell’iniziativa, di «difendere i principi per cui è nato il M5S e non infangare tutto il lavoro fatto in questi anni». All’indomani dello scontro tra Grillo e Conte, undici ex parlamentari pentastellati avevano scritto una lettera contro il presidente del M5S e in difesa del fondatore: chiedevano al primo di prendersi «le sue responsabilità». «Bisogna fermare la deriva in corso – spiega chi lavora all’appuntamento – Il M5S ha smarrito la propria identità per diventare sempre più partito personale». Il paradosso, non l’unico di questa storia, è che quella lettera era firmata da parlamentari come Nicola Morra, Elio Lannutti e Alessio Villarosa che dal M5S vennero messi alla porta perché non accettarono di votare la fiducia al governo Draghi alla quale aveva lavorato con forza proprio Beppe Grillo. Ma proprio questo è il rischio che incombe sulla testa di Conte: che una coalizione senza alcuna coerenza logica prima che politica si formi attorno a Grilo per rivendicare il ritorno alle origini
Commenta (0 Commenti)
Crisi ucraina. E nemmeno i cittadini ucraini la prendono bene
Volodymyr Zelensky - foto di Brendan Smialowski/GettyImage
Il Papa si schiera in difesa della Chiesa ortodossa russa messa al bando dal governo di Kiev. Durante l’Angelus di domenica Francesco ha attaccato direttamente la nuova legge, promulgata dalla Verkhovna Rada, il parlamento unicamerale ucraino, dicendo che «le chiese non si toccano» e che la politica dovrebbe «lasciare pregare chi vuol pregare in quella che considera la sua chiesa».
La levata di scudi del pontefice arriva dopo la decisione, il 20 agosto scorso, da parte dell’Ucraina di impedire «le attività dei gruppi religiosi legati alla Chiesa ortodossa russa o di qualsiasi altro gruppo religioso che sostenga l’invasione della Russia in Ucraina». La motivazione ufficiale è che la Chiesa ortodossa russa in ucraina (Uoc) è «un’estensione ideologica del regime dello Stato aggressore, complice dei crimini di guerra e contro l’umanità».
Ma dietro a questa misura si cela un progetto più ampio dell’amministrazione di Kiev, ovvero la volontà di allontanare il più possibile gli ucraini dall’influenza storica russa. Già l’anno scorso, in occasione delle festività natalizie, il governo e la Chiesa ucraina ortodossa (Uco), istituzione autocefala che rifiuta l’egemonia moscovita, avevano annunciato l’abbandono del calendario giuliano in favore di quello gregoriano e avevano provato a spostare le celebrazioni dal 7 gennaio al 25 dicembre, come in Occidente. Tuttavia, gli ucraini sono restii ad abbandonare un culto che ha radici secolari, radicato soprattutto nelle zone rurali in Ucraina dell’ovest. Tra l’altro il numero di credenti e praticanti nel Paese invaso è addirittura maggiore, in percentuale, di quello nella Federazione russa. Le parrocchie che fanno capo alla Uoc sono oltre 12mila, mentre quelle passate alla Uco circa 7mila. Questa breve panoramica aiuta a comprendere che la legge del 20 agosto non è una misura tra le altre e che provocherà non pochi malumori all’interno della popolazione ucraina.
Certo, il Patriarca Kirill, capo della chiesa ortodossa moscovita non ha mai nascosto la sua vicinanza a Vladimir Putin e si è spinto fino a definire l’invasione dell’Ucraina una «guerra santa» contro la perversione dell’Occidente corrotto. Proprio quest’appoggio aveva spinto la Uoc a emanciparsi dal patriarcato di Mosca nel 2022, ma la decisione per gli 007 di Kiev era solo un proclama di facciata. Per questo negli ultimi due anni le indagini contro i pope e gli amministratori della Uoc sono continuate, fino alla settimana scorsa.
Dalla lingua alla storia, fino ad arrivare alla religione, i vertici ucraini sono impegnati in una costante opera di «derussizzazione» della società. Ma se con la politica il compito era stato più semplice, al netto di resistenze più o meno accese nelle aree storicamente più legate alla Russia, con la religione non lo sarà altrettanto. Tentare di obbligare i milioni di fedeli ucraini a rinnegare la propria fede in virtù del contesto politico-militare attuale potrebbe far precipitare ancora di più la popolarità di Zelensky presso i propri concittadini
Commenta (0 Commenti)
Francia. All’Eliseo giro di consultazioni con la destra. Scartata d’autorità l’ipotesi Castets prima ministra: obiettivo spaccare la sinistra. La France Insoumise conferma di voler presentare una mozione in Parlamento per la “destituzione” del presidente
Marine Le Pen e Jordan Bardella all’Eliseo per le consultazioni - Ap
Emmanuel Macron, dopo una prima tornata di consultazioni, scarta d’autorità la possibilità di un governo del Nuovo Fronte Popolare in nome della «stabilità istituzionale»: l’Eliseo ha «constatato che un governo sulla base del solo programma e dei soli partiti proposti dall’alleanza che ha più deputati, il Nuovo Fronte Popolare, sarebbe immediatamente censurato dall’insieme dei gruppi rappresentati all’Assemblée Nationale». Di fronte a queste parole la France Insoumise ha confermato di voler presentare una mozione in Parlamento per la “destituzione” del presidente e che proporrà una mozione di sfiducia contro qualsiasi proposta di primo ministro diverso da Lucie Castets.
Dopo aver incontrato i gruppi, Macron forza per imporre le sue posizioni iniziali: punta a un governo di coalizione al centro, che non rimetta in questione, «non disfi», quello che è stato fatto negli ultimi sette anni. Per arrivarci, l’obiettivo resta spaccare il Nuovo Fronte Popolare, escludendo la France Insoumise, con un appello a Ps, Verdi e Pcf a prendere le distanze. Il presidente propone oggi un nuovo ciclo di discussioni – allargate al di là dei partiti a personalità che «si sono distinte per il senso dello stato». Cinquanta giorni dopo il voto delle legislative, 41 giorni di governo dimissionario, la situazione resta bloccata.
Ieri, Emmanuel Macron ha ricevuto Marine Le Pen e Jordan Bardella del Rassemblement national e la frangia di Eric Ciotti, l’(ex) presidente dei Républicains che si è alleato con l’estrema destra. Sono stati ricevuti anche i presidenti dell’Assemblée Nationale e del Senato, Yaël Braun-Pivet e Gérard Larcher. Il Nfp ha fatto sapere che tornerà all’Eliseo alla sola condizione di discutere le «modalità» della nomina della sua candidata, Lucie Castets, a Matignon. La France Insoumise ha annunciato la “censura” contro qualsiasi governo che non sia a guida Nfp.
Oggi c’è una finestra – di tempo – domani c’è l’apertura dei Giochi Paraolimpici (per i Giochi Olimpici c’è stata l’ambigua “tregua” che ha permesso di rimandare le decisioni), giovedì e venerdì il presidente è in viaggio in Serbia. La prima sessione ordinaria dell’Assemblée nationale uscita dal voto del 7 luglio sarà il 1° ottobre ma per quella data il bilancio 2025 dovrà già avere dei contorni più o meno definiti, anche perché ci sono le scadenze di Bruxelles (con la Francia sotto osservazione per deficit eccessivi).
Ieri, gli ospiti dell’Eliseo hanno messo in scena un’offensiva anti-Nuovo Fronte Popolare: il Rassemblement National ha dichiarato che presenterà e voterà la “censura” di «qualsiasi governo a guida Nfp». Per Eric Ciotti, la «sola alleanza possibile» è «l’unione delle destre». Precedentemente, il MoDem e Horizon, due componenti dell’area Macron, si erano dichiarate a favori di una “censura” di un governo di sinistra. Ieri, il primo ministro dimissionario, Gabriel Attal, che ora è anche capogruppo di Ensemble pour la République (Epr), ha attaccato la proposta del week end di Jean-Luc Mélenchon, la rinuncia alla partecipazione di ministri della France Insoumise per smascherare l’opposizione al programma Nfp: per Attal, si tratta di «un simulacro di apertura, un tentativo di prova di forza di Mélenchon». Attal continua a proporre un’intesa allargata, si dice «pronto al compromesso», nella speranza di rompere il fronte del Nuovo Fronte Popolare, staccando il Ps (o parte di esso).
Le bordate contro il Nfp sono arrivate ieri anche dal Medef (la Confindustria francese). Agli «incontri degli imprenditori», il presidente Patrick Martin ha criticato la «vaghezza politica che sta durando da troppo tempo» e invocato l’imposizione del «primato dell’economia nel dibattito e nella decisione politica».
Il Medef rifiuta in blocco il programma del Nfp: no all’abrogazione della riforma delle pensioni, che dovrebbe essere la prima decisione di un governo Castets, no all’aumento del salario minimo a 1.600 euro (la minaccia è il ritorno della disoccupazione di massa), no all’aumento delle tasse, a cominciare dall’Isf (la patrimoniale), per non parlare della soppressione o revisione al ribasso del credito di imposta per la ricerca, un vantaggio per le imprese in vigore dalla presidenza Hollande, applicato con grande manica larga e che fa parte dell’intoccabile, per il padronato e per Macron: la supply side economics, la politica pro-business perseguita finora
Commenta (0 Commenti)