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Politica Lo scontro sul Ddl sicurezza. E le prime piazze di protesta

Manifesto contro il Ddl Sicurezza

 

Le prese di posizione e le mobilitazioni contro il Ddl 1660 sulla sicurezza proseguono. Ieri è stata la volta di Libera. L’associazione antimafia considera l’approvazione alla camera del provvedimento «una decisione politica indegna per un paese che vuole essere democratico e civile dove si mira a colpire il diritto dei cittadini a manifestare, criminalizzando il dissenso pacifico». E ancora: «Le leggi devono tutelare i diritti, non il potere. Devono promuovere la giustizia sociale, non le disuguaglianze e le discriminazioni».

La destra è passata ancora una volta al contrattacco, polemizzando soprattutto con Magistratura democratica che aveva diffuso un documento molto duro sul Ddl e le sue conseguenze sullo stato di diritto. Al quale da parte leghista viene addirittura rinfacciato il principio della divisione dei poteri, come se nei giorni scorsi tutta la maggioranza non fosse insorta contro la procura di Palermo per il processo Open arms che vede coinvolto Matteo Salvini.

I primi appuntamenti raccontano di diversi mondi (i tanti mondi che la legge vuole colpire) che cercano di comunicare il più possibile e di organizzarsi in vista del passaggio del Ddl al senato per l’approvazione definitiva. Oggi a Torino, alle 10 in piazza della Repubblica, la rete Liberi di lottare ha convocato un presidio. In seguito alla condanna della segreteria nazionale, la Cgil annuncia un presidio sotto la prefettura di Genova per il prossimo 23 settembre alle 18. Il provvedimento, afferma il testo che indice la manifestazione, «è una vergogna che introduce norme pensate e volute per colpire in maniera indiscriminata chi esprime il proprio dissenso verso le scelte compiute dal governo o che manifesta per difendere il posto di lavoro e contro le crisi occupazionali, pacificamente, ma in modo determinato, prevedendo fino a due anni di carcere per chi effettua queste proteste nelle strade o in altri luoghi pubblici».

Cgil e Uil chiamano a manifestare a Roma, davanti a Palazzo Madama, nel pomeriggio del 25 settembre sottolineando che il provvedimento «limita l’iniziativa e le mobilitazioni sindacali».

Alleanza Verdi Sinistra chiama a Roma una assemblea pubblica da tenersi a Casetta rossa, a Garbatella, il 28 settembre alle 16 contro «l’accanimento giudiziario nei confronti di chiunque si ponga in rapporto di opposizione alle scelte del governo o alle ingiustizie sociali e ambientali». Hanno finora aderito, tra i tanti, Giuristi democratici, Arci solidarietà, diversi centri sociali, Sinistra civica ecologista, Extinction rebellion Roma, Cgil Roma e Lazio, A buon diritto, Mediterranea, Cnca

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Alluvione La presidente della regione replica agli attacchi della destra: «Mattarella mi ha chiamato, Meloni no». Rientra l’allarme sui dispersi. Priolo: «Attendiamo con impazienza che sia approvato il piano della ricostruzione»

Traversara, frazione del Comune di Bagnacavallo, devastato dalla rottura del fiume Lamone Traversara, frazione del Comune di Bagnacavallo, devastato dalla rottura del fiume Lamone foto LaPresse

Dopo la terza alluvione in due anni in Emilia-Romagna, e con le elezioni regionali in programma il 17 e 18 novembre, si è subito acceso lo scontro politico. Per il governo Meloni, il cataclisma sembra un’occasione da sfruttare per racimolare voti e tentare di strappare il territorio al centrosinistra. Il ministro Musumeci e il viceministro Bignami hanno lanciato le loro accuse in una conferenza stampa convocata mentre in alcune città si stavano ancora soccorrendo le persone sui tetti. Secondo loro, la giunta Bonaccini non avrebbe speso tutti i fondi stanziati dal governo, né fatto un adeguato lavoro di prevenzione in seguito al grave evento di maggio 2023.

IERI LA PRESIDENTE facente funzioni della regione Irene Priolo ha ridimensionato le cifre fornite dal governo e ha affermato che tutti gli oltre 400 interventi previsti sono in corso o completati, per un importo complessivo che supera il miliardo di euro. «Ci eravamo illusi che, almeno stavolta, la destra non facesse becero sciacallaggio. Non è passata la notte che hanno invece già replicato il film dell’anno scorso, diffondendo fake news e moltiplicando attacchi a uso e consumo elettorale», ha detto Priolo, che ha lanciato una frecciata alla premier: «Meloni non mi ha chiamato, ma Mattarella sì, e lo ringrazio tanto».

L’ex governatore Bonaccini, oggi europarlamentare, ha aggiunto che «attaccare i nostri sindaci e amministratori mentre l’emergenza è in corso significa non avere rispetto né delle comunità alluvionate, né delle istituzioni. Se a farlo sono il ministro Musumeci e il viceministro Bignami per il governo, che dovrebbe assicurare sostegno e leale collaborazione, allora siamo precipitati nel punto più basso del senso istituzionale».

DURANTE LA CONFERENZA, Musumeci-Bignami non hanno citato le Marche, colpite negli stessi giorni da frane e allagamenti, ma amministrate dalla destra. E in Emilia-Romagna il governo non è esente da responsabilità, avendo accentrato la struttura commissariale a Roma e affidata a chi non conosce la regione né la visita. Anche le procedure per ottenere i risarcimenti sono state molto complicate, portando tanti alluvionati a rinunciare in partenza.

Ma per i cittadini che in queste ore stanno spalando il fango nelle loro case, più che giocare allo scaricabarile, è fondamentale discutere su come evitare un’altra catastrofe. Il 3 maggio 2023 un’intensa precipitazione provocò la prima alluvione a Faenza, e due settimane dopo, un’altra perturbazione si abbatté su un suolo già compromesso e pieno come una spugna.

Le conseguenze furono apocalittiche: 21 fiumi esondati, allagamenti in 37 comuni, 250 frane, 17 morti e 20.000 sfollati.

Tre giorni fa, in 24 ore è caduta quasi più acqua che nell’intero maggio 2023. Alla fine dell’estate il suolo era più asciutto e le allerte hanno funzionato; perciò gli allagamenti sono stati violenti ma meno estesi, gli sfollati mille e nessuna vittima (i due dispersi a Bagnacavallo sono stati smentiti). Ma se fra 15 giorni dovesse arrivare un altro ciclone Boris, le conseguenze potrebbero essere drammatiche.

A QUESTO PROPOSITO, Priolo ha affermato che «tutti gli interventi programmati sin qui dal commissario e realizzati da regione, enti locali e consorzi avevano l’obiettivo di ripristinare le infrastrutture esistenti (argini, canali, strade). Ma per reggere eventi di questa portata, come ci hanno indicato tutti gli esperti, occorrono interventi strutturali di più ampio respiro. Sono quelli individuati dal piano della ricostruzione che abbiamo concordato col commissario e che attendiamo con impazienza che sia approvato. Per realizzarlo serviranno molti miliardi

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Pd, FdI e Fi si oppongono ma votano la risoluzione (contrari Lega ,5S e Si). Dem divisi in tre. Marco Tarquinio: «Inaccettabile, Ue guidi il negoziato» Avs: c’è il rischio di escalation

Armi a Kiev per colpire Mosca, il no italiano all’Eurocamera Il voto al Parlamento europeo – foto Ap

Passa a larga maggioranza al Parlamento europeo la risoluzione che autorizza l’Ucraina a colpire obiettivi militari in territorio russo. Si tratta di un testo non vincolante, adottato dal Parlamento europeo con 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni: un via libera che, tra i gruppi, vede contrari la parte maggioritaria di Left, compresi i 5S, e i Verdi italiani. Sul versante destro, compattamente schierati contro l’uso delle armi i Patrioti per l’Europa (PfE), gruppo che ospita gli eurodeputati della Lega, e quasi tutti i sovranisti di Esn, il raggruppamento più giovanenato attorno al tedesco Afd. Pochi i socialisti contrari o astenuti, tra questi ultimi gli italiani Cecilia Strada e Marco Tarquinio, entrambi eletti nelle liste Pd come indipendenti.

IL VOTO FINALE È QUELLO che conta, ma nelle pieghe del testo, articolato in diversi punti che sono stati votati separatamente, soprattutto uno è risultato particolarmente divisivo. Si tratta del passaggio chiave, quello con cui l’Eurocamera «invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo». La motivazione è specificata con la formula seguente: il limite attuale «ostacola la capacità dell’Ucraina di esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa».

IL PASSAGGIO È STATO approvato con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astensioni. Ma il sostegno ha spaccato verticalmente quasi tutti i gruppi, perfino Left e Verdi, escludendo solo Ppe e Renew che si sono espressi massicciamente a favore, così come i sovranisti (Ens), che hanno optato decisamente per il no. Il caso più clamoroso riguarda però gli eurodeputati italiani, che sulla richiesta di dare all’Ucraina la possibilità di mirare oltreconfine hanno votato a grande maggioranza (51 no, 7 sì e 2 astensioni) per opporsi, compresi Fdi e Forza Italia (che a luglio aveva votato a favore di una mozione analoga) che hanno voluto ribadire il no del governo italiano a attacchi contro la Russia (Fdi e Fi votano però la risoluzione finale che contiene il passaggio contestato) . In alcuni casi, la contrarietà era in linea con la scelta maggioritaria della famiglia politica europea di appartenenza. È così per Sinistra italiana e 5S (in Left) come anche per la Lega (in PfE). In altri, il voto ha spaccato il gruppo. È accaduto sia in Ecr, dove gli italiani di FdI non hanno condiviso il via libera dato dai colleghi polacchi del Pis, che tra i Greens, dove la delegazione italiana (presenti Ignazio Marino, Leoluca Orlando, Benedetta Scuderi) si ritrova in quasi solitaria minoranza.

C’È POI IL CASO PD dentro il gruppo Socialisti e democratici (S&D), che non solo fa una scelta diversa rispetto a quasi tutte le altre delegazioni, ma si è ritrovata soprattutto divisa al suo interno. Come il manifesto ha anticipato nei giorni scorsi, la compagine dem – composta di 21 eurodeputati – si è espressa in tre modi: la gran parte, incluso il capodelegazione Nicola Zingaretti e il suo predecessore Brando Benifei erano contrari, Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini a favore, Lucia Annunziata astenuta. Altri comeStefano Bonaccibnie Alessandra Moretti hanno deciso di non votare. Ha scelto l’astensione, ma nel voto finale sul provvedimento, anche Marco Tarquinio. «La risoluzione nel suo complesso è inaccettabile», ci dice all’uscita dell’Aula subito dopo il voto. «Apprezzo comunque che il Pd abbia condotto un negoziato all’interno del gruppo socialista per migliorare alcuni punti». L’ex direttore del quotidiano cattolico Avvenire cita come esempio la modifica del riferimento al destino inesorabile dell’Ucraina nella Nato. «Quello era il lessico dell’Alleanza atlantica, mentre la formulazione approvata prevede che l’Ucraina dovrà collegarsi piuttosto col sistema di difesa europeo». Sempre a sinistra, c’è anche da registrare la dura reazione dei leader di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, che parlano di «svolta preoccupante e pericolosa» con «rischio escalation della guerra fuori dai confini attuali».

Fuori dalle competenze di Bruxelles, la decisione sull’uso delle armi oltreconfine rimane in capo agli stati europei, che hanno posizioni articolate e diverse. Contraria al momento la Germania, insieme a Italia e Spagna, più possibilista la Francia, che insieme al Regno unito fornisce a Kiev missili a lungo raggio. «L’Ue dovrebbe condurre attivamente i negoziati, convocando al tavolo tutte le parti, anche Mosca», osserva Tarquinio. «Ma in questa risoluzione, non c’è niente del genere»

 

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Mille sfollati, si cercano due dispersi, quattro i fiumi esondati: a poco più di un anno di distanza l’Emilia-Romagna, dall’Appennino alla pianura, è ancora travolta da una devastante alluvione. Il governo dei mancati ristori punta tutto sulla polemica politica e attacca la Regione

Dove eravamo Mille sfollati, si cercano due dispersi a Bagnacavallo, quattro i fiumi esondati. E il governo punta tutto sulla polemica politica. Il ministro Musumeci e il viceministro Bignami attaccano la Regione

Diluvia sul bagnato, in Emilia-Romagna è ancora emergenza Soccorsi a via Cimatti, Faenza – foto Ansa

Gli esperti dicevano che le precipitazioni avvenute a maggio 2023 in Emilia-Romagna accadono ogni due secoli. Invece si sono ripetute dopo 16 mesi, in maniera ancora più intensa. 350 millimetri di pioggia caduti in 48 ore, mentre un anno e mezzo fa furono 400 in un intero mese. Dall’Appennino alla pianura, a franare o finire sott’acqua sono gli stessi territori colpiti dalla precedente alluvione, seppure in maniera più ridotta. Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna le province più colpite, 4 i fiumi esondati, mille gli sfollati. Il mare in burrasca ha impedito ai corsi d’acqua di scaricare e ha eroso la spiaggia nel riminese. La perturbazione si è accanita anche sulle Marche, provocando allagamenti ad Ancona e frane a San Benedetto del Tronto. Sono le conseguenze del riscaldamento globale di causa antropica, che provoca cataclismi sempre più frequenti e violenti.

SE QUESTA VOLTA ci sono stati meno danni e nessuna vittima (ma resta in dubbio il destino di due dispersi a Bagnacavallo), è perché le precipitazioni si sono abbattute su un suolo più secco e pronto ad assorbire acqua. Anche la prevenzione ha funzionato: con la memoria del drammatico evento ancora fresca, le allerte sono state diffuse, la precauzione elevata, gli ordini di evacuazione rispettati. Resta l’interrogativo sul destino di un territorio molto fragile, più esposto del resto della penisola alle conseguenze della crisi climatica, con l’aggravante di un’eccessiva cementificazione che rende il suolo impermeabile.

SE FINO A POCHI ANNI FA l’Emilia-Romagna era associata a una buona qualità della vita, oggi è percepita come un’area inquinata e antropizzata, dove non si dorme ogni volta che piove forte, e che rischia di diventare invivibile. La riflessione sull’adattamento dovrà essere la priorità di chi governerà la regione dal prossimo novembre; ma finora non è stata al centro del dibattito tra i candidati.
La situazione ha iniziato a essere critica mercoledì pomeriggio, quando stava piovendo da più di 24 ore. Le prime rotture degli argini sono avvenute tra la notte e la mattina di ieri. I fiumi Marzeno, Senio, Lamone e Montone sono esondati in più punti, allagando alcuni quartieri di Faenza, Lugo, Castelbolognese, Bagnacavallo, Casola Valsenio, Forlì e Modigliana. Un’ordinanza regionale aveva imposto la chiusura delle scuole e suggerito di evitare gli spostamenti, la circolazione ferroviaria è stata sospesa. A Traversara, nel ravennate, la forza dell’acqua ha fatto crollare i muri di alcune case e i vigili del fuoco hanno soccorso gli abitanti sui tetti. Resta l’allerta rossa per oggi: le piogge dovrebbero essere meno intense, ma si abbatteranno su un suolo ancora più debole e compromesso.

IN TUTTO CIÒ, IL GOVERNO Meloni ha deciso di fare polemica politica. Protagonisti del teatrino, il ministro della protezione civile Nello Musumeci e il viceministro alle infrastrutture Galeazzo Bignami, che hanno convocato una conferenza stampa per ricordare che «la prevenzione strutturale e infrastrutturale è di competenza delle regioni». I due hanno ripetuto spesso di «non voler fare polemica politica», salvo poi farla: «Ciò che accade quando piove in maniera abbondante è frutto di ciò che abbiamo fatto e non abbiamo fatto in tempo di pace», ha detto il ministro, ricordando che «l’Emilia-Romagna è una delle regioni più cementificate, e questo alimenta il ruscellamento dell’acqua».

Musumeci ha insinuato che la giunta Bonaccini non avrebbe speso tutto il denaro stanziato dal governo dopo l’alluvione del 2023, che «è accaduta perché negli anni precedenti non si è attrezzato il territorio», e ha detto che la regione ha ricevuto quasi 600 milioni di euro negli ultimi 10 anni per interventi ordinari contro il dissesto idrogeologico, invitandola a «fare lo sforzo di dirci come hanno speso questi soldi». Non una parola sulle cause antropiche dell’evento; ma da un governo negazionista, non c’era da aspettarsi altro.

Immediata la replica della segretaria del Pd Elly Schlein: «La destra di governo si è messa subito a fare sciacallaggio politico per fini elettorali». Raggiunto al telefono, il sindaco di Ravenna Michele De Pascale, candidato in regione per il centrosinistra, si è limitato a dire di essere «concentrato nella gestione dell’emergenza. Pensavo che la conferenza stampa desse informazioni utili sulla situazione; ma quando ho capito che era stata convocata solo per fare polemica politica, ho spento la tv e mi sono rimesso al lavoro».

DOPO L’EMERGENZA, bisognerà però ripensare alla gestione del territorio. «Le riparazioni non sono più sufficienti», ha replicato De Pascale. «L’acqua ha colpito le zone dove era stata fatta un’adeguata manutenzione post-alluvione. Bisognerà affrontare il tema in modo strutturale; occorre una riflessione ampia e anche veloce». Sperando che si parta dall’ammettere gli errori del passato

 

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Secondo attacco terroristico di Israele in Libano. Dopo i cercapersone, ora esplodono gli walkie-talkie di Hezbollah: 14 uccisi e 450 feriti si aggiungono alle tremila vittime di martedì. A Gaza colpita un’altra scuola. Sorpresa in Germania: stop alle armi a Tel Aviv

L'ammazzapersone Continua l’attacco in Libano: ieri sono esplosi i walkie-talkie di Hezbollah. 14 morti, oltre 3.000 feriti. Oggi parla Nasrallah

«Presagio» di un conflitto

 

Continua l’attacco in Libano. Ieri altri 14 morti e circa 500 feriti in esplosioni simili a quelle che martedì hanno ucciso dodici persone e causato il ferimento di altre tremila. Questa volta non si tratta di cercapersone, ma di walkie talkie, in dote ai membri militari e non di Hezbollah. Martedì, contemporaneamente in varie zone del Libano ad alta densità sciita e in Siria, migliaia di cercapersone erano esplosi. Il bilancio è stato di circa 3.000 feriti e di 14 morti. I cercapersone, al cui interno con buona probabilità era stato aggiunto dell’esplosivo fatto saltare attraverso delle frequenze radio specifiche, erano di marca Gold Apollo, taiwanese, ma erano stati prodotti secondo la casa madre dalla compagnia BacConsuting con sede a Budapest. Victor Orban, in un comunicato ufficiale, ha dichiarato che i cercapersone non sono mai stati in Ungheria. Si prova a capire adesso il percorso di questi dispositivi, che quasi sicuramente sono stati manomessi.

BEIRUT, IERI come martedì, è stata tutta un avanti e indietro di ambulanze, camionette dell’esercito, polizia, vigili del fuoco, elicotteri. L’ospedale di Marjayouneh, nel Libano del sud, ha fatto un pubblico appello per un rifornimento di sangue 0 rh negativo e Ab positivo, più raro. Il paese intero e gli ospedali libanesi anche oggi sono stati e sono in massima allerta. Occhi, mani, addome, genitali, sono queste le parti maggiormente colpite dalle esplosioni.
Solo nella periferia a sud di Beirut, enclave di Hezbollah nella capitale, si sono registrate ieri dalle 15 alle 20 esplosioni, con alcuni incendi di appartamenti. Stessa cosa a Saida, nel Libano del sud e dell’ovest, la valle delle Beka’a. I walkie talkie, in numero ridotto rispetto ai cercapersone, ma probabilmente contenenti più esplosivo perché più grandi, hanno danneggiato anche case e auto, con incendi nel sud e nell’ovest del paese e a Beirut.

Esplosioni anche in Iraq, al quartier generale delle milizie sciite di al-Hashd al-Shaabi a Mosul, nello stesso momento di quelle avvenute in Libano. L’Iraq ha quindi in giornata annunciato di aver rafforzato i controlli alle frontiere per evitare infiltrazioni.

IL GOVERNO ISRAELIANO non ha rilasciato alcun commento sulle esplosioni di ieri e di martedì, ma sia il Libano che Hezbollah hanno accusato pubblicamente Tel Aviv.
Oltre all’indescrivibile tensione che si taglia con il coltello, in Libano sembra ci sia una nuova consapevolezza, dopo questo durissimo colpo profondamente psicologico oltre che militare. Hezbollah ha rivelato al Libano e al mondo alcune importanti debolezze. «Sicuramente c’è stato qualcosa che non ha funzionato nella comunicazione. E sicuramente ci sono delle talpe all’interno, altrimenti tutto quello che è successo non si spiega» commentano i familiari delle vittime fuori dall’ospedale di Geitawe, uno dei tanti di Beirut il cui pronto soccorso è stato ed ancora è sovraffollato. Altri parlano di infiltrati del Mossad. In queste ore, ciò che comunque appare evidente è che Hezbollah ha perso quell’aura di impenetrabilità e compattezza che l’ha sempre contraddistinto, riconosciuta anche dagli avversari più accaniti. Si trova adesso ad affrontare, ora oltre a una sconfitta militare e strategica, anche un enorme problema interno di sicurezza, comunicazione, penetrabilità. Si tratta di un colpo pesantissimo, a meno di due mesi dell’omicidio a Beirut con un drone israeliano di Fuad Shukr, secondo del partito-milizia, poche ore prima di quello di Ismail Haniyeh, capo di Hamas, a Teheran. Oggi pomeriggio Hassan Nasrallah terrà un attesissimo discorso nel quale darà, oltre a delle spiegazioni per ciò che è successo, la linea per i giorni a venire.

L’ATTACCO è stato definito dagli analisti un «crimine di guerra», in quanto viola la convenzione di Ginevra del 1949. I civili non devono essere infatti colpiti: far esplodere i cercapersone in dotazione ai membri di Hezbollah (militari, politici, logistici) in contesti non militari, ma in mezzo ai civili, è considerato un crimine.
Dall’altro lato del confine, dove si continua a combattere senza sosta, il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, proprio mentre l’esercito amplia lo schieramento sul fronte nord, ha dichiarato che «siamo in una nuova fase del conflitto che richiede coraggio, determinazione e perseveranza». Ieri pomeriggio Hezbollah ha rivendicato tre bombardamenti a Nafeh Zeif, Habouchite (nel Golan) e Beit Halal, tutti su obiettivi militari. L’aviazione israeliana ha invece bombardato Kfarchouba, Halta e Adaysse, villaggi civili, senza però causare vittime.

Le Nazioni unite hanno condannato l’attacco e hanno convocato una riunione straordinaria per domani sulla questione libanese-israeliana. Il ministro degli affari esteri di Beirut, Abou Habib, ha parlato dell’esplosione come del «presagio di qualcosa di più grande». La Germania ha ieri interrotto la fornitura di armi a Israele, che però non tiene conto degli ammonimenti internazionali che arrivano anche dai vertici del partito democratico statunitense. Nessun commento del governo italiano sugli attentati libanesi, ma ieri l’Italia, assieme ad altri 42 paesi, si è astenuta sulla mozione palestinese all’Onu per «porre fine senza indugio alla sua presenza illegale nei territori palestinesi occupati entro e non oltre 12 mesi dall’adozione della risoluzione».
La guerra è più che mai vicina. Si aspetta. Il Libano è in allerta massima e c’è la convinzione tra la gente che questavolta sarà inevitabile. Ieri le scuole sono rimaste chiuse, mentre oggi, nonostante le detonazioni, sono state riaperte. Tutti gli ospedali, gli organi militari e civili sono in uno stato di allerta altissimo.

UNA GUERRA in Libano farebbe inevitabilmente da effetto domino in tutta la regione e coinvolgerebbe potenze come Iran, Usa o Russia. Le parole di Nasrallah di oggi e le intenzioni del governo Netanyahu – che ha schierato più truppe al confine – avranno un peso specifico sulle sorti non solo del Libano, ma dell’intera area

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