Contraddizioni globali Voluto dal segretario Guterres, nasce azzoppato da negoziati opachi e formule neoliberiste. Analisti divisi: una grande opera di distrazione o il rilancio in extremis dell’Agenda 2030?
I delegati riuniti ieri al Palazzo di Vetro per il Summit del Futuro – Epa/Sarah Yenesel
Mentre le giornate della storia scorrono ostinatamente scandite da attacchi terroristici oltreconfine, bombardamenti indiscriminati su popolazioni inermi, pratiche genocidarie che riducono milioni di persone a un destino senza futuro; mentre le devastazioni ambientali rendono inabitabili vasti territori del pianeta, l’Assemblea generale dell’Onu è segnata quest’anno da un’iniziativa ambiziosa e ambigua, fortemente voluta dal segretario generale Antonio Guterres: il «Summit of the Future».
L’idea di un vertice sul futuro, che Guterres avrebbe voluto già nel 2023, è scaturita dal rapporto richiesto dal segretario su una strategia per il mondo dopo lo shock della pandemia (Our Common Agenda, 2021).
NELLE SESSANTA PAGINE blindate sul fil di lama dopo cinque bozze negoziali, il Patto per il Futuro approvato a New York abbraccia aree decisive come lo sviluppo sostenibile, la pace e la sicurezza, la tecnologia e la cooperazione digitale, i giovani e le generazioni future, la trasformazione della governance globale con la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali e del Consiglio di Sicurezza.
Oltre a un’altisonante dichiarazione di intenti, sulla cui attuazione è facile prevedere ruvidi negoziati futuri, il Patto comprende il Compact Digitale Globale, per colmare «il vuoto morale e regolatorio in cui avanza l’intelligenza artificiale», secondo il segretario generale. Infine, una Dichiarazione sulle Generazioni Future: queste non dovranno più essere escluse dai processi decisionali nazionali e internazionali.
Autorevoli voci dei delegati e della società civile ritengono che questo summit sia stato una grande opera di distrazione dagli sfavillanti fallimenti della comunità internazionale sulla Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Altri analisti intravedono invece un tentativo di rilancio in extremis di quegli obiettivi. In ultima analisi, la démarche di Guterres punta a restituire centralità alle bistrattate Nazioni unite, sotto attacco per ingegno degli stessi governi, anche a costo di maggiori aperture al settore privato (corporate e filantropico) e dell’inclusione di inedite componenti della società (sportivi, influencer, etc).
Nella fattispecie del summit, però, questa aspirazione ha tratteggiato una rotta negoziale non proprio specchiata. Del tutto inconsueti i metodi di approvazione dei testi. Preoccupanti le consultazioni con improbabili interlocutori della «società civile», come è accaduto a Nairobi a maggio scorso. Tant’è.
A SUMMIT concluso, appare difficile valutare l’ostinata proiezione di Guterres sul futuro mentre il presente arranca nel fallimento di impegni già assunti e nella bruciante impotenza del diritto internazionale di fronte ai villani che ne fanno scempio senza scrupoli, forti di impunità storiche.
L’Assemblea dell’Onu ha approvato di recente, a larga maggioranza (147 voti), una risoluzione senza precedenti che traduce in impegni politici il parere della Corte Internazionale di Giustizia contro Israele. Ora che succede? Quale esito concreto avrà per la popolazione di Gaza e Cisgiordania? Domande ineludibili, dopo un anno di genocidio in diretta.
Nel discorso di apertura del summit il segretario generale – lucido nella disamina sulla poli-crisi planetaria e incalzante sulla necessità di superare il deficit di fiducia nel multilateralismo – ha invocato che non possiamo aspettare l’avvento di tempi perfetti per ridisegnare le fondamenta di assetti istituzionali vecchi, geopoliticamente sbilanciati, palesemente incapaci di dare al mondo le soluzioni che servono. Ha ragione. Non convince tuttavia la impostazione di fondo del Patto, al netto della retorica.
Il documento riesuma la crescita economica come traguardo, l’esaltazione della proprietà intellettuale contro ogni evidenza empirica, il rilancio della finanza privata e del settore privato tout court, con i suoi soluzionismi di mercato privi di regole del gioco. Il Patto somministra per l’ennesima volta le sgualcite formule neoliberali, con il solo correttivo di superare la logica del Pil per misurare la performance economica, senza intaccare le insostenibili meccaniche di potere in un’economia che produce disuguaglianza e insicurezza.
TRA LE PAGINE si legge la riproposizione di strategie di privatizzazione in nome dello sviluppo che – sappiamo bene – impediscono l’accesso a diritti fondamentali come la salute, l’educazione, il cibo, la casa. Storie silenziose di violazioni della dignità umana che non fanno notizia, eppure segnano la vita di un numero crescente di persone nel mondo, anche a pochi passi dal Palazzo di vetro.
«L’Onu non è stata creata per portare l’umanità in paradiso, ma per salvarla dall’inferno», ha scritto Dag Hammarskjöld, il secondo segretario generale delle Nazioni unite. Se non affrontiamo l’inferno del presente con interventi immediati e praticabili di rottura dell’ipocrisia mondiale non andremo da nessuna parte. Non c’è retorica che tenga. Le nuove generazioni l’hanno compreso
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Il Libano sotto i raid di Israele al sud: 365 uccisi e oltre 1.200 feriti. Tattiche identiche a quelle usate a Gaza: ordini di evacuazione ai civili, bombardamenti a tappeto e la retorica degli «scudi umani». Hezbollah risponde con 200 razzi. Dopo un anno di diplomazia paralizzata si apre oggi l’Assemblea generale Onu
Striscia continua Come in Palestina: da Beirut al confine meridionale, bombe israeliane su oltre 800 obiettivi. E Tel Aviv ordina ai civili di andarsene
Le colonne di fumo provocate dai bombardamenti israeliani su un villaggio libanese nel distretto di Nabatiyeh, a sud – foto Ap/Hussein Malla
«La mia famiglia vive a Ghobeiry, poco distante dai bombardamenti di venerdì a Haret Hreik e quelli di ieri a Bir el Abid. Venerdì mia sorella aveva portato i bambini a giocare da alcuni amici, proprio nella palazzina che è saltata in aria. Erano usciti mezz’ora prima. È da venerdì che non dormo», racconta con la voce tremula Farah, che dice di non rendersi ancora bene conto di quello che sta succedendo. «(Gli israeliani) volevano la guerra e la stanno avendo. Non sono andato in America dai miei fratelli perché sono vecchio e non voglio morire all’estero. Ma non voglio morire nemmeno così», dice in un misto di rabbia e paura Ahmad subito dopo l’esplosione a Dahieh. Spegne con frustrazione la radio della macchina che passa la notizia.
IL LIBANO È ORMAI entrato in una guerra che ricorda i peggiori conflitti della sua storia. Si contavano ancora gli uccisi e i feriti dei raid israeliani a tappeto della giornata, nel sud e l’est del paese, quando verso le 7 di sera è arrivata la notizia del lancio di tre missili su una palazzina a Bir el Abid, a Beirut, nella quale, dichiara Israele, si trovava Ali Karaki, comandante del fronte sud. Ucciso, dice Tel Aviv; vivo e in un posto sicuro, ribatte Hezbollah.
Se la notizia fosse confermata, si tratterebbe di un altro omicidio eccellente, che farebbe saltare un altro anello importante della catena di comando di Hezbollah, dopo l’uccisione di Fuad Shukri, secondo del partito-milizia il 30 luglio, e di Ibrahim Aqil, comandante dell’ala militare di Hezbollah, le Forze al Redwane, venerdì scorso. Un colpo dietro l’altro, se si tiene anche conto degli attacchi cibernetici di martedì e mercoledì.
L’esercito israeliano ha annunciato ieri di aver colpito 800 obiettivi militari o sensibili di Hezbollah. Il sud è praticamente sotto assedio dal confine a Ghaziyeh, a Sidone, a Jezzine (40 km da Beirut).
IL BILANCIO di ieri è di 1.246 feriti e 356 uccisi. Tra loro almeno 24 bambini, una quarantina di donne e due medici. Il ministro della sanità Abiad ha reso pubblico il bollettino in una conferenza stampa alle 17.30 locali (poi aggiornato in serata), dopo una mattinata di intensissimi bombardamenti su tutto il Libano del sud e sulla valle della Beka’a, a est. Ma è un bilancio destinato a salire. A Bir el Abid in serata si scavava ancora tra le macerie. Siamo nella periferia sud di Beirut, ad altissima concentrazione sciita, la stessa dove venerdì sono state
Leggi tutto: Raid a tappeto su mezzo Libano: 356 uccisi - di Pasquale Porciello BEIRUT
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Un uomo all’ospedale oftalmico di Beirut, dopo essere rimasto ferito dall’esplosione dei cerca-persone e walkie talkie che ha colpito le milizie di Hezbollah @AP Photo/Hussein Malla
Oggi un Lunedì Rosso dedicato all’immaginazione del futuro.
Quello fosco delle guerre e della tecnologia che si trasforma in strumento di morte. Quello dei cambiamenti climatici che richiedono interventi drastici in politica e in economia.
Quello delle città insicure, dove l’abbandono pubblico e la privatizzazione selvaggia di spazi e servizi lasciano il campo libero alla rabbia e alla sopraffazione.
In questi futuri oscuri c’è però uno strumento che non va abbandonato: la capacità di vedere e inventare mondi che ancora non esistono.
Di queste visioni oltre il reale ne parla in una lunga intervista l’antropologo inglese Tim Ingold.
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Gigantesco sospiro di sollievo a Potsdam dopo i primi risultati delle elezioni in Brandeburgo, che confermano al primo posto il partito socialdemocratico di Dietmar Woidke alla guida dei governi regionali da 11 anni. Ma grande sollievo anche a Berlino, dove un crollo della Spd nel Land che circonda la capitale, e che da dopo l'unificazione è sempre stato governato dal partito socialdemocratico, avrebbe potuto innescare un terremoto tale da scuotere anche la poltrona del cancelliere Olaf Scholz. Questo pericolo per ora è scampato, la Spd è prima davanti all'AfD e ciò probabilmente servirà a stemperare le voci di un possibile cambio del candidato cancelliere della Spd alle politiche nell'autunno 2025: il popolare ministro della difesa Boris Pistorius al posto dell'impopolare Scholz.
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Nonostante il fuoco incrociato partito subito dopo l’ultima alluvione, con Fratelli d’Italia che ha accusato gli amministratori dem dell’Emilia Romagna di aver gestito male l’emergenza maltempo e con la vicepresidente della Regione Irene Priolo che ha rispedito al mittente le accuse, proprio la facente funzioni di Presidente, è stata nominata commissaria.
Il Capo del Dipartimento della Protezione civile, Fabio Ciciliano, ha firmato un’ordinanza che disciplina i primi interventi urgenti conseguenti agli eccezionali eventi meteorologici in Emilia Romagna, affidando a Priolo la gestione emergenziale. La vicepresidente dell’Emilia Romagna potrà, per l’espletamento delle attività, “avvalersi delle strutture e degli uffici regionali, provinciali e comunali, oltre che delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, nonché individuare soggetti attuatori che agiranno sulla base di specifiche direttive”.
Per fronteggiare l’emergenza la Commissaria predisporrà entro 30 giorni un piano di interventi urgenti da sottoporre all’approvazione del Capo del Dipartimento della Protezione civile, contenente le misure e gli interventi urgenti per il soccorso e l’assistenza alla popolazione, la rimozione delle situazioni di pericolo per la pubblica e privata incolumità, il ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, l’attività di gestione dei rifiuti, macerie e materiale alluvionale.
Un cambio di passo quindi rispetto al 2023 quando, dopo il nubifragio che sommerse Emilia Romagna, Marche e Toscana, venne nominato commissario straordinario alla ricostruzione il generale Francesco Figliuolo.
Priolo potrà anche, “assegnare ai nuclei familiari la cui abitazione principale, abituale e continuativa sia stata distrutta in tutto o in parte, o sia stata sgomberata, un contributo di autonoma sistemazione“, cioè il cosiddetto Cas. Per i nuclei composti da una sola persona saranno assegnati 400 euro, 500 euro andranno invece ai nuclei di due unità. Per le famiglie di tre unità sono previsti 700 euro mentre per quelle di quattro unità 800, fino a un massimo di 900 euro al mese per le famiglie composte da cinque o più persone. È possibile inoltre erogare ulteriori 200 euro mensili, anche in aggiunta al limite massimo, per ogni componente della famiglia di età superiore ai 65 anni o disabile con invalidità non inferiore al 67%. L’ordinanza prevede inoltre la possibilità di chiedere la sospensione delle rate dei mutui.
Priolo potrà disporre dei 20 milioni di euro stanziati per la Regione Emilia-Romagna dall’ultimo consiglio dei ministri. Fondi che sicuramente, ha specificato Priolo in una dichiarazione, sono un primo passo ma che non saranno sufficienti a coprire tutte le spese dell’emergenza.
Ora si attende un’ordinanza analoga anche per la Regione Marche che deve ancora raccogliere e inviare al Dipartimento di Protezione civile gli elementi utili.
Commenta (0 Commenti)“In queste difficili giornate le Camere del Lavoro Cgil di Ravenna e di Forlì Cesena sono a fianco della popolazione, sia con le squadre di volontari che si sono messi a disposizione per le zone più colpite, sia con le strutture sindacali per le difficoltà accorse nei luoghi di lavoro e per raccogliere i bisogni sociali nel territorio in particolare delle persone più fragili.
In questo momento è necessario evitare perdite di tempo nel definire i sostegni alla popolazione. Con l’apertura dello Stato di emergenza, si ripristino e si eroghino subito i contributi di immediato sostegno e i contributi per l’assistenza alloggiativa (CIS e i CAS) considerando che ci contano migliaia di persone colpite per cui un ristoro urgente diventa fondamentale. Non vorremmo rivedere gli errori di questo ultimo anno. Per questo, quando sentiamo da parte di esponenti del Governo innescare una polemica verso la Regione Emilia Romagna, per mancanze che sono della stessa struttura commissariale nazionale nominata dal Governo, diciamo che a questo teatrino non ci stiamo.
La Regione è stata nei fatti esautorata quando non è stato nominato Commissario il Presidente della Regione, una scelta oltretutto tardiva nei tempi che ha determinato la perdita di mesi preziosi, oltre che sbagliata determinando un modello di Commissario in smart working, con l’assenza di strutture nel territorio che potessero definire scelte e aiutare la popolazione. Di fatto è mancato quel modello organizzativo costituito dal rapporto con le parti sociali, tra cui le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria, che negli anni ha permesso a questa regione di affrontare grandi difficoltà, come il terremoto del 2012. Ciò che ancora manca, inoltre, è il piano di ricostruzione che dopo 16 mesi non solo non vede cantieri attivi ma è ancora nelle mani del Commissario, che se non eroga ristori e non apre i cantieri per la ricostruzione, ci chiediamo cosa stia facendo?
È passato poco più di un anno e molte famiglie, mentre aspettano ancora gli aiuti promessi dal Governo, si trovano a rivivere l’allagamento delle loro abitazioni rendendo così vani gli interventi di bonifica e riqualificazione fatti sostanzialmente a loro spese. Inoltre, dopo aver promesso i rimborsi al 100% dal Governo, oggi ci sentiamo dire mentre stiamo ancora mettendo in sicurezza le persone, che la soluzione che si immagina è un’assicurazione privata obbligatoria per le abitazioni. Una scelta a cui ci opponiamo con forza, una scelta che è nei fatti l’ennesima privatizzazione di questo Governo, che arriva a privatizzare i risarcimenti dopo che non è stato in grado di mantenere le promesse. Una vergogna che serve solo a riempiere le tasche di banche e di assicurazioni, lasciando tutti gli oneri ai cittadini che già pagano le tasse, senza alcun ragionamento di progressività e di tutela verso i nuclei più fragili.
Infine, in tanti abbiamo espresso fin da subito un ringraziamento alle operatrici e agli operatori del sistema pubblico di soccorso e di emergenza di tutti i corpi dello Stato che sono intervenuti in questi giorni drammatici. La situazione più critica è passata, vorremmo sottolineare che queste donne e questi uomini sono eroi tutto l’anno e che il miglior modo che avrebbe il Governo per ringraziarli, in qualità di datore di lavoro pubblico, è rinnovare i contratti nazionali del settore pubblico, erogando i giusti aumenti delle retribuzioni ferme in alcuni casi da anni. Chiediamo, dunque, maggior rispetto per le cittadine e cittadini romagnoli e rivendichiamo di essere ascoltati perché i danni di questi ritardi, lungaggini e mancate scelte, finiscono sulla pelle di chi vive in questo territorio e non possiamo nuovamente accettarlo.”
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