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Nomine La partita per la presidenza di viale Mazzini si incrocia con le difficoltà della maggioranza sulla Consulta. Oggi in Vigilanza la data del voto: mancano sempre i voti per ratificare Simona Agnes

La destra è in panne anche sulla Rai. I 5 Stelle assicurano: «Da noi nessun aiuto» Simona Agnes – Ansa

«Li abbiamo lasciati da soli in aula con le loro paranoie, a scovare i traditori dentro Fratelli d’Italia» dice Giuseppe Conte dopo lo stop alla destra sull’elezione del membro della Corte costituzionale. Le sue parole suonano doppiamente beffarde: fino a pochi giorni fa erano i membri dell’opposizione a guardarsi in cagnesco, alla ricerca dei volenterosi che avrebbero potuto togliere le castagne dal fuoco alla maggioranza. Alla quale non mancano solo i voti per la Consulta: servono anche quelli per ratificare la nomina di Simona Agnes alla presidenza della Rai. Gli occhi sono puntati soprattutto 5 Stelle, le cui mire sul Tg3 sono note. Se si chiede ai singoli parlamentari le bocche restano cucite. Più che per riservatezza, si apprende, è perché la questione, considerata appunto cruciale, è avocata ai piani alti di via Campo Marzio. Dove ieri hanno finalmente fissato la data per l’assemblea costituente (si terrà il 23 e il 24 novembre) e dove giurano che non c’è alcuna trattativa in corso. «Spero che la maggioranza oggi tragga una seria riflessione che coinvolge il governo direttamente, perché è a Palazzo Chigi che c’è stata questa cabina di regia – commenta proprio Conte alla camera coi cronisti – Devono riflettere su questo metodo che è inaccettabile. I passaggi istituzionali non si affrontano in maniera proditoria».

Per adesso, insomma, la strategia aventiniana sembra reggere assieme all’impegno del M5S di non votare Agnes in nome di un «presidente di garanzia». Tanto più che il pallino procedurale è in mano alla pentastellata Barbara Floridia, presidente della commissione vigilanza Rai. Per dare il via libera ad Agnes servono 28 voti, la maggioranza ne ha 26. La destra spera ancora di poter convincere il M5S a votare a favore. Ma la novità di ieri è che la stessa maggioranza si sarebbe spaccata sui tempi della votazione. Nel corso dell’Ufficio di presidenza della commissione di Vigilanza non si è trovato l’accordo su una data per il voto. Lega e Noi moderati avrebbero aperto alla calendarizzazione del voto, mentre Fratelli d’Italia e Forza Italia avrebbero spinto per far decantare la situazione. Alla fine, si è preferito rimandare ogni decisione.

Tutto, dunque, lascia supporre che l’accordo e i numeri per eleggere il presidente di viale Mazzini ancora mancano A questo punto l’opposizione ritrova vigore e passa all’attacco sostenendo che la legge prevede che la votazione si debba tenere entro due giorni. Stefano Graziano, capogruppo Pd in commissione vigilanza: «I termini di legge scadono venerdì, quindi dobbiamo assolutamente stabilire entro quel giorno una data per ratificare la presidenza del Cda della Rai».

La norma in effetti stabilisce che la vigilanza debba essere convocata per il voto entro dieci giorni dalla nomina. La settimana prossima, dunque, sarebbe troppo tardi: resta da capire cosa accadrà se la maggioranza dovesse opporsi ad una data entro venerdì. Floridia intanto sottolinea in una nota di aver convocato per questa mattina alle 8 la Commissione di Vigilanza in plenaria «affinché si decida in quella sede la data del voto. Ove ciò non avvenisse calendarizzerò il voto entro venerdì, come previsto dal regolamento».

Intanto, si ventila l’ipotesi che anche il governo potrebbe avanzare una proposta per nuova legge sulla governance della Rai, necessaria dopo le osservazioni Ue sulla norma attuale. La scorsa settimana, nella commissione ambiente lavori pubblici del senato, c’è stato l’incardinamento dei primi 5 ddl (uno della Lega, due del Pd, e uno del M5S) a cui è seguito, pochi giorni dopo, la presentazione di un sesto ddl targato Avs. Oggi, l’annuncio di un settimo e ultimo ddl da parte di Italia viva. Manca un testo firmato da Fratelli d’Italia ma, appunto, l’esecutivo potrebbe presentarne uno suo in corso d’opera

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Sono 21 gli interventi di ricostruzioni del territorio brisighellese dopo le alluvioni Sono 21 gli interventi di ricostruzioni del territorio brisighellese dopo le alluvioni

Brisighella (Ravenna), 8 ottobre 2024 – Sono 21quattro dei quali da gestire con il proprio bilancio, gli interventi di ricostruzione del territorio (tutti finanziati dalle ordinanze 33 e 35 della struttura Commissariale) di cui il Comune di Brisighella dovrà occuparsi in seguito agli eventi alluvionali registratisi sia nel maggio dello scorso anno che il mese scorso.

Per i restanti 17 interventi l’amministrazione comunale si avvarrà di una stazione appaltante ausiliaria. Nel dettaglio, il Comune di Brisighella ha ricevuto oltre 39 milioni di euro, il Consorzio di Bonifica 10 milioni di euro, l'Agenzia Regionale 3,2 milioni di euro e Rete Ferroviaria Italiana (Gruppo Ferrovie dello Stato) 29,5 milioni di euro.

I quattro interventi in carico al bilancio comunale riguarderanno alcune sistemazioni fognarie, stradali, vasche di laminazione e altri luoghi pubblici. Gli altri interventi riguarderanno invece la sistemazione di frane su molte strade del territorio.

Sono stati inoltre rimodulati con l'ordinanza 35, in aumento, dei fondi già assegnati con precedenti ordinanze, che riguardano lavori all'alto Lamone e al nuovo Ponte di Cepparano sul torrente Marzeno. I fondi assegnati al Consorzio di Bonifica verranno utilizzati per ripristini della funzionalità idraulica dei corsi d'acqua minori mediante l'allontanamento di materiale franato in alveo e riapertura di canalizzazioni occluse.

Per quanto riguarda l'Agenzia Regionale, con i fondi provvederà alla riprofilatura, alla sistemazione e al riassetto di alcuni alvei con ricostruzione di sponde e consolidamenti in tratti saltuari. Per ultimo, i fondi assegnati a Rete Ferroviaria Italiana saranno impiegati per la sistemazione e consolidamento della rete ferroviaria e la progettazione ed esecuzione di interventi finalizzati alla messa in sicurezza delle infrastrutture ferroviarie interessate dai versanti in frana.

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Amici delle Imprese Prima approvazione alla Camera. Al Pantheon il presidio con Pd, Avs e M5s contro «l’ulteriore precarizzazione»

Cgil, Uil e opposizioni: «Porcheria il ddl lavoro» Il presidio al Pantheon di Roma contro il ddl Lavoro – Foto Ansa

Cgil e Uil più quasi tutta l’opposizione (Pd, M5s e Avs) in presidio sotto la pioggia al Pantheon di Roma contro il ddl Lavoro, in prima approvazione alla Camera. Èstata la prima tappa della mobilitazione che porterà molto probabilmente fino allo sciopero generale di Cgil e Uil contro la terza manovra del governo Meloni.

IL COSIDDETTO «COLLEGATO Lavoro» è un insieme di norme che aumenta la precarietà e colpisce i lavoratori più deboli. Molti i punti contestati da sindacati e opposizione: per quanto riguarda i lavoratori somministrati (ex agenzie interinali) i contratti a tempo determinato e indeterminato potranno essere usati senza limiti e senza vincoli, eliminando il tetto del 30% ad azienda. Inoltre, non si applicano i limiti di durata e le causali per i contratti a termine per le categorie dei disoccupati e svantaggiati. Il ddl poi amplia a dismisura il concetto di «stagionalità» consentendone il ricorso anche per «intensificazione dell’attività lavorativa» ed «esigenze tecnico-produttive»: si potrà fare ricorso a questa tipologia di contratto in moltissimi settori e in piena libertà.

C’è poi il capitolo più vergognoso che riguarda l’equiparazione fra assenza ingiustificata dal lavoro e dimissioni volontarie. In pratica, se un lavoratore non si presenta al lavoro, oggi deve essere licenziato dall’azienda e può avere la Naspi (l’ex disoccupazione) ma, seguendo le pressanti richieste delle imprese che non vogliono pagare i meno di 2 mila euro del cosiddetto «ticket licenziamento», il governo ha previsto di trasformare l’assenza in dimissioni volontarie anche per assenze che non sono una scelta del lavoratore, perché non è previsto alcun automatismo per l’Ispettorato del lavoro di accertare i fatti e la reale volontà della persona. Infine, maggiori libertà sui cosiddetti contratti misti, per i quali viene estesa la flat tax; introduzione di un unico contratto di apprendistato duale, che prolunga la durata degli sgravi per le aziende e conferma che il sistema di istruzione è funzionale al mercato del lavoro; esclusione di una fetta di lavoratori autonomi (non iscritti agli albi) dal beneficio introdotto in caso di malattia e infortunio.

«QUESTO È UN DISEGNO di legge contro il lavoro, non per il lavoro, perché lo precarizza ancora di più – ha attaccato il segretario della Cgil Maurizio Landini – . Ci sono cose che sono una vera e propria porcheria. Esattamente il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno. Questo governo interviene sul lavoro senza mai discutere con chi lo rappresenta»

 

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Fallisce il blitz ideato dalla presidente del Consiglio per portare alla Corte costituzionale il suo consigliere giuridico. Mancano i voti e le destre si rifugiano nell’ennesima scheda bianca, anche se tanti non seguono il contrordine di scuderia. E la maggioranza promette di insistere

Corte costituzionale Tutte le opposizioni fuori dall’aula, la destra lontana da quota 363. Schlein: «Li abbiamo fermati, ora dialoghino». Rabbia Fdi, Donzelli: hanno perso le elezioni, si rassegnino. Conte respinge i sospetti di un accordo con la premier: con noi nessuna trattativa. 25 assenti nel centrodestra e 19 schede nulle: segnali del malessere di Lega e Fi per la premier pigliatutto

Consulta, Meloni non trova i voti e batte in ritirata Francesco Saverio Marini – foto Ansa

Era partita per suonare, la premier Meloni, e invece è stata suonata. Da giorni preparava il blitz per issare alla Corte costituzionale il suo consigliere giuridico Francesco Saverio Marini, i parlamentari di Fdi erano stati convocati con toni perentori, con l’ormai famoso messaggio nella chat whatsapp finito sui giornali. Così anche quelli di Lega e Fi.

IERI IL FLOP. Anzi, la clamorosa retromarcia. Poco prima delle 12.30, inizio della votazione a camere riunite, il contrordine: «Non ci sono i numeri, si vota scheda bianca». La tempistica della ritirata non è chiara: da lunedì pomeriggio era noto che le opposizioni non avrebbero partecipato. Su quali voti confidava la premier? Fino all’ultimo minuto i suoi fedelissimi hanno sperato che qualche pezzo delle opposizioni entrasse in aula. Invano. Che Marini sia «bruciato» o solo «congelato» si capirà solo nelle prossime settimane.

Per ora le opposizioni festeggiano per aver «fermato il colpo di mano». La scelta di non partecipare al voto è stata condivisa da tutti e non era scontato che Schlein riuscisse a convincere anche i più recalcitranti, a partire da Azione, ma anche Conte, con cui i rapporti sono al minimo storico. E si è rivelata vincente. «Abbiamo fermato una grave forzatura, ora accettino il dialogo», dice Schlein. «E quando parlo di dialogo non intendo chiamate spicce a parlamentari di minoranza per cercare dei voti per andare avanti sulla propria forzatura. Se esiste una maggioranza qualificata per questo voto (i tre quinti dei componenti delle Camere, ndr) è proprio perché la Costituzione prevede un dialogo tra maggioranza e opposizione. Spero che questa fermata sia la premessa per un dialogo».

ALLA DESTRA CHE ACCUSA le minoranze di «scarso rispetto delle istituzioni» per non aver partecipato al voto sul componente della Consulta vacante da quasi un anno, Schlein risponde: «Trovo molto ipocrita parlare di rispetto delle istituzioni: non ci saremmo trovati qui oggi se rispettando la Costituzione avessero intavolato un dialogo prima». Anche Conte appare soddisfatto: «Noi ovviamente non possiamo assecondare i blitz delle forze di maggioranza per eleggersi il proprio giudice costituzionale. Quando si tratta di istituzioni di garanzia non sono ammissibili logiche spartitorie. Non ci sono stati tentennamenti da parte del M5S». E ancora: «Li abbiamo lasciati da soli in aula con le loro paranoie, a scovare i traditori dentro Fratelli d’Italia».

IN TRANSATLANTICO GLI UNICI davvero in imbarazzo sono quelli di Fdi. «Le opposizioni non possono abusare del nostro senso delle istituzioni. Si rassegnino, hanno perso le elezioni, non possono decidere loro chi votiamo noi», tuona Giovanni Donzelli. Tra Lega e Forza Italia non si notano facce scure, e del resto gli alleati oggi avrebbero dovuto votare Marini «sulla fiducia», sperando di essere ricompensati a dicembre quando scadranno altri tre giudici costituzionali. Il quorum a cui la destra puntava era 363. Ma i votanti sono stati solo 342, le schede

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Regionali Due ore di faccia a faccia a Roma. Il capo 5s ribadisce: «No al simbolo di Iv». Ma il candidato si dice «ottimista»: «Entro la settimana la questione sarà risolta, e tutte le forze che hanno lavorato con noi daranno il loro contributo»

Giusppe Conte con Michele De Pascale alla festa Pd a Reggio Emilia Giusppe Conte con Michele De Pascale alla festa Pd a Reggio Emilia

Due ore di faccia a faccia tra Giuseppe Conte e Michele De Pascale, candidato del centrosinistra alle regionali in Emilia Romagna. Ieri mattina De Pascale, arrivato nella Capitale per un talk show sulla Rai, ha suonato a via Campo Marzio, sede del M5S. E così quella che doveva essere una telefonata chiarificatrice si è trasformata in un faccia a faccia.

Segno che ce n’era bisogno. E del resto dopo il veto di Conte alla presenza di Iv nella coalizione emiliana, seguito dall’immediato proclama di Renzi «Ci saremo col nostro simbolo», per De Pascale e il Pd la faccenda si è fatto piuttosto ingarbugliata. Anche perché il sindaco di Ravenna, che governa da anni la sua città con una coalizione larghissima, ha tutta l’intenzione di replicare questo schema alle regionali.

All’uscita il candidato si è detto «ottimista che nei prossimi giorni, entro la fine della settimana, troveremo un assetto complessivo della coalizione che consentirà a tutti di partecipare valorizzando il contributo di ciascuno». Fonti M5S ribadiscono che «Conte non ha fatto alcun passo indietro: il nostro simbolo non potrò ami essere a fianco di quello di Renzi». Certo, anche dall’entourage di Conte confermano «stima e fiducia» nei confronti di De Pascale. E lui, parlando col manifesto, ribadisce, «Non vedo a rischio la tenuta della coalizione che ha lavorato con noi fino ad ora». E ricorda: «Domenica a Bologna abbiamo fatto una giornata sul programma, c’erano esponenti del M5S e di Iv e tutti hanno lavorato ai tavoli programmatici».

Che può inventarsi De Pascale per accontentare i due litiganti? La soluzione più facile sarebbe liofilizzare gli esponenti di Iv dentro una lista di moderati, con altre forze centriste: quell’operazione che in Liguria proprio Conte ha fatto saltare pochi giorni fa. «In Emilia- Romagna una lista legata al presidente con esponenti di Iv per noi non sarebbe un problema», fanno sapere dai 5S. «Non ci mettiamo a fare l’esame del sangue ai candidati». Peccato che Stefano Mazzetti, coordinatore dei renziani in Emilia, confermi la linea: «Ad oggi stiamo preparando la nostra lista col nostro simbolo», spiega al nostro giornale. «Se altre forze vorranno unirsi siamo disponibili al confronto».

De Pascale sta cercando in tutti i modi di separare le tensioni nazionali tra Iv e M5s dalla vicenda emiliana. Ed è indubbio che, sul suo programma, non ci sono ostacoli insormontabili alla costruzione di un campo larghissimo che altrove non sarebbe replicabile. E tuttavia il nodo resta aperto. Per Conte sbarrare la strada a Renzi subito è un imperativo. Così come per il rottamatore è vitale non farsi sbattere fuori in una regione dove da anni governa insieme al Pd.

Dal M5S confidano che il nodo possa essere sciolto dal Pd. Gli uomini di Conte hanno apprezzato quanto detto da Schlein domenica sera su La7. E cioè che la leader Pd ha intenziomne di «mediare» rtra gli ellati. « Se gli altri hanno problemi, questi diventano i nostri. E se dobbiamo fare scelte come in Liguria, le facciamo, ha detto Schlein.Parole molto apprezzate a Campo Marzio, dove confidano che saranno i dem a spingere Iv a non presentare il simbolo.

Anche a destra si è aperto un problema, dopo che la candidata civica vicina Cl Elena Ugolini ha sposato la proposta sdi Forza Italia sullo ius scholae per i figli degli immigrati. «Penso che 10 anni di scuola siano sufficienti per far diventare un ragazzo un cittadino a tutti gli effetti», ha detto Ugolini. Immediato lo stop della Lega: «Il tema della cittadinanza è una questione di competenza del Parlamento, non della Regione. È importante non farsi distrarre da dibattiti su cui non abbiamo competenza diretta»

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Corte costituzionale Oggi il voto sul giudice costituzionale. Contro il blitz le opposizioni non partecipano. Per arrivare a quota 363 servono i voti di Svp e nessun assente nella maggioranza

Roma, udienza dei giudici della Corte Costituzionale Roma, udienza dei giudici della Corte Costituzionale – Riccardo Antimiani /Ansa

Per Giorgia Meloni non sarà facile raggiungere l’obiettivo di 363 oggi, quando le camere riunite proveranno a eleggere un giudice della Corte costituzionale.

LA PREMIER HA improvvisamente fretta, anche se quel posto è vacante da ormai un anno nell’indifferenza della stessa maggioranza: vuole portare alla Consulta Francesco Saverio Marini, suo consigliere giuridico e padre della riforma sul premierato. E vuole farlo subito, prima che il 12 novembre la Corte si pronunci sui ricorsi di 4 regioni contro l’autonomia leghista. È anche uno stress test a cui vuole sottoporre la maggioranza alla vigilia della manovra: sulla carta i voti disponibili sono 355, per arrivare a 363 servono i 6 delle autonomie (i 4 della Svp sono i più probabili), più quelli dei vari parlamentari passati nelle fila della maggioranza, a partire da Enrico Costa, Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace da poco fuoriusciti da Azione.

MELONI SEMBRA CREDERE alla possibilità del «blitz», come l’ha definito Elly Schlein. Di qui i messaggi mandati la settimana scorsa dai suoi capiogruppo a tutti i parlamentari, in cui si chiede «tassativamente» la presenza in aula oggi alle 12.30. Messaggi mandati nella chat dei parlamentari Fdi, ma resi noti ai media, con la caccia alla «talpa» che è subito partita. Tanto che venerdì scorso Meloni si è sfogata sulla stessa chat: «Io alla fine mollerò per questo. Perché fare sta vita per eleggere sta gente anche no». E ancora: «L’infamia di pochi alla fine mi costringe a non avere più rapporti con i gruppi. Molto sconfortante davvero».

IN ATTESA CHE Meloni scopra la talpa, le opposizioni si preparano alla battaglia. La decisione presa da Pd, M5S, Avs e Iv è di non partecipare al voto, che è segreto, per evitare che qualche aiutino attivi al centrodestra. Visto che questa settimana si voterà in Vigilanza anche per la conferma della presidente Simona Agnes indicata da Fi, la scelta condivisa dalle opposizioni è di restare fuori dall’aula in entrambe le occasioni. Nessuno, a partire dal M5S, ha voglia di essere accusato di intelligenza col nemico. E se sulla Rai le opinioni tra Pd e M5S divergono, sulla Consulta è condivisa l’idea che la destra voglia strafare, scegliendosi un giudice troppo vicino a palazzo Chigi. «La destra esplicita la volontà, che non ha precedenti, di provare a consumare un colpo di mano sulla nomina di un giudice costituzionale», attacca il dem Dario Parrini. «Si è inevitabilmente indotti a pensare che il governo sia all’affannosa ricerca di scorciatoie per fermare il referendum sull’autonomia da cui è ogni giorno sempre più spaventato». «La premier non può trattare la Corte Costituzionale come se fosse di sua proprietà», rincara Angelo Bonelli dei Verdi. «È fondamentale che ci sia un confronto e, per questo, le rivolgo l’invito ad aprire un dialogo con le opposizioni».

I VARI PARTITI della destra oggi voteranno per Marini usando una formula diversa, in modo da contarsi. Senza i 4 voti di Svp il traguardo appare lontano, e dunque nelle ultime ore il pressing sui sud tirolesi (Fdi fa parte della maggioranza in Provincia a Bolzano insieme a Svp) si è fatto fortissimo. Tra le opposizioni il più scettico sulla scelta dell’Aventino è Calenda: i suoi 12 voti sarebbero preziosissimi per la destra. «Quello che non volevo fare è la figura degli imbecilli come l’altra volta sulla Rai», dice Calenda. «Penso che non si possa andare avanti continuamente sull’Aventino. Capisco la difficoltà perché la maggioranza non ha grande voglia di ascoltare, ma bisogna insistere. Ci sentiremo con le altre opposizioni e cercheremo una posizione comune». Non è detto che oggi tutte le minoranze faranno gioco di squadra. Per la premier il rischio di un buco nell’acqua resta alto: e sarebbe un boomerang molto pesante

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