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IL MARZO FRANCESE. Scioperi e cortei fanno rinviare il viaggio dei monarchi Windsor. Niente cerimonia all’Arc de Triomphe e soprattutto niente grande cena regale a Versailles, impensabile nello stato di agitazione attuale. Londra fa sapere: ce lo ha chiesto l’Eliseo. Macron tira dritto ma la prima ministra Bourne rischia il posto

Carlo III non viene più, la Francia in rivolta per i re non è sicura Carlo d'Inghilterra - foto Ap

Carlo III e Camilla rinunciano alla visita in Francia. Piccola tensione diplomatica tra Parigi e Londra, con Downing Street che fa capire che la domanda è venuta dall’Eliseo, mentre la Francia assicura che è una decisione presa di comune accordo, «di buonsenso» ha precisato Macron da Bruxelles.

Non ci sarà quindi né la cerimonia all’Arc de Triomphe né soprattutto il banchetto a Versailles, domenica sera, immagine grottesca mentre il paese è in agitazione. La sicurezza del re d’Inghilterra non sarebbe stata assicurata, tanto più che era previsto un viaggio in treno a Bordeaux, dove giovedì notte è andato a fuoco il portone della Mairie, il municipio.

Il viaggio di Carlo è «rimandato» all’inizio dell’estate, mentre Macron andrà all’incoronazione a Londra. Commenti acidi nel mondo politico su questa débâcle di immagine internazionale.

PER L’OPPOSIZIONE è una piccola vittoria. «Almeno Carlo ascolta», ironizza Manuel Bompard di France Insoumise. Da Bruxelles, Macron lancia un messaggio ai sindacati: «Sono a disposizione dell’intersindacale se vuole incontrarmi».

Ma non per parlare delle pensioni, che devono seguire l’iter «democratico»: dopo l’approvazione mal ottenuta all’Assemblée nationale, con la bocciatura della censura dell’opposizione, bisogna aspettare il parere del Consiglio costituzionale (entro il 21 aprile).

Macron vuole parlare di acqua, clima, riforma del mercato del lavoro, di sicurezza con la legge di programmazione militare (più di 400 miliardi). Ma i sindacati, che preparano la decima giornata di mobilitazioni per martedì 28, restano sulle loro posizioni. Laurent Berger della Cfdt ha di nuovo chiesto al presidente di mettere «in pausa» il testo di legge, per calmare il paese.

Il governo non intende seguire questo suggerimento. La prima ministra, Elisabeth Borne, che è in bilico, aprirà delle consultazioni la prossima settimana per tentare di allargare la maggioranza.

Non sono però in vista alleanze con altri partiti, al massimo delle “conquiste di guerra” di alcuni deputati di Lr, partito della destra classica uscito a pezzi dalla sequenza delle pensioni in parlamento (un terzo dei 61 deputati si è unita a sinistra e estrema destra per votare la censura, mentre i senatori hanno votato la riforma).

NELLA MAGGIORANZA si affilano i coltelli contro Borne, da parte dei politici che vengono dalla destra, mentre tra gli ex socialisti (come Borne) c’è chi la difende per evitare un nuovo governo con una guida più a destra, dicendo che finora è riuscita a far votare 25 leggi su 28, senza ricorrere al 49.3, malgrado l’assenza di maggioranza assoluta.

Le violenze della serata di giovedì hanno sollevato numerose reazioni. Macron, che ha affermato il suo sostegno alle forze dell’ordine, ha anche mandato un «messaggio chiaro» ai poliziotti: devono «rispettare la deontologia».

Il prefetto di Parigi, Laurent Nunez, ha contrattaccato ieri, rivolgendosi al procuratore della capitale per «violenze gravi» contro le forze dell’ordine. Ma 11 inchieste sono state aperte presso Igpn (la polizia della polizia), per atti di repressione non giustificati contro i manifestanti.

Dopo Amnesty International, il Consiglio d’Europa ha espresso inquietudine su un uso esagerato della forza pubblica. Molti i filmati sulle derive degli agenti della Brav-M. Dopo la notte agitata di Parigi ci sono stati 130 fermi. Molto spesso queste persone, che compaiono per direttissima di fronte al giudice, sono rilasciate senza conseguenze per assenza di prove.

IN ATTESA della giornata di scioperi e manifestazioni di martedì, le azioni di protesta continuano. Ieri precettazioni alla raffineria di Donges, sciopero confermato alla raffineria Total Normandie, dove i lavoratori hanno avuto il sostegno dell’attrice Adèle Haenel.

Qualche spiraglio per le pattumiere che stanno seppellendo la capitale, con la riapertura di due incineratori. La sindaca, Anne Hidalgo, promette pulizia, pur continuando a sostenere la contestazione dei netturbini, «a causa della testardaggine di Macron».

L’agitazione continua anche in una parte delle università, 80 in agitazione, architettura è entrata nel gioco. E 3200 poliziotti sono stati inviati nelle Deaux-Sèvres per il week end, dove è attesa una forte contestazione contro dei mega-bacini per la raccolta dell’acqua destinata all’agricoltura

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PROTESTE RIMANDATE. Per ora niente sciopero: «Decidiamo settimana prossima». Landini, Sbarra e Bombardieri si incontrano per due ore: calibreremo l’intensità

Cgil, Cisl e Uil uniti senza lotta: «Parte un percorso di mobilitazione» Pierpaolo Bombardieri, Maurizio Landini e Luigi Sbarra all'incontro nella sede della Cgil

L’unità confederale c’è, la lotta molto meno. Come era facile prevedere Cgil, Cisl e Uil concordano solo «un percorso di mobilitazione», rimandando alla «prossima settimana» il calendario. Prima serve un passaggio negli organismi interni delle tre confederazioni.

È chiaro che sulle modalità non c’è ancora accordo. E di certo sulla scelta di non usare la parola sciopero c’è il marchio della Cisl.

Al momento siamo solo ad assemblee unitarie in tutti i luoghi di lavoro, in tutto il paese fino a una serie di mobilitazioni territoriali, che potrebbero anche includere scioperi regionali e manifestazioni nazionale.

Lo sciopero generale rimane una chimera e il confronto con la lotta in corso in Francia è improponibile.

Dopo due scioperi generali senza la Cisl – contro il governo Draghi e contro la prima legge di bilancio del governo Meloni – l’azione unitaria riparte ma sconta tempi lunghi e poca incisività.
L’incontro a tre si è tenuto nella sede Cgil ieri. Al tavolo Landini era al centro, Bombardieri a sinistra, Sbarra a destra. E il posizionamento non è casuale.

All’uscita è Bombardieri a parlare per primo: «Abbiamo deciso di avviare unitariamente un percorso di mobilitazione per confrontarci con i lavoratori, ascoltarli e ribadire la necessità di dare ascolto alle nostre richieste. Le modalità e gli obiettivi li decideremo dopo aver consultato ognuno in casa propria i propri organismi».

Poi tocca a Sbarra, il più atteso e il più frenante dei tre: «C’è la necessità di avviare un percorso di mobilitazione unitaria, parlando con le persone e spiegando le nostre ragioni e le nostre rivendicazioni – spiega il segretario generale della Cisl – Abbiamo fatto una valutazione sullo stato del confronto con il governo e la declinazione delle nostre priorità e urgenze. Ci prendiamo qualche giorno – ha riferito Sbarra – per fare un’opportuna verifica anche nei nostri organismi; la prossima settimana saremo nelle condizioni di fornire ogni utile informazione sulle modalità, articolazione e intensità delle iniziative che pensiamo di mettere in campo».

L’ultimo a parlare è Landini: «La notizia mi sembra molto precisa e forte e cioé inizia una fase di mobilitazione che coinvolgerà le lavoratrici e i lavoratori a partire dalle piattaforme e dalle proposte che abbiamo avanzato perché vogliamo cambiare le decisioni che finora ha preso il governo e la prossima settimana saremo in grado di dirvi tutto quello che abbiamo intenzione di fare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi».

Logico dunque che qualsiasi convocazione arrivi dal governo in queste settimane, la Cisl avrà il pretesto per chiamarsi fuori dalla mobilitazione oppure per non arrivare allo sciopero, strumento ormai abbandonato dal sindacato di matrice cattolica.

Come già concordato a Rimini al congresso della Cgil, i temi prioritari sono la difesa della sanità pubblica e la richiesta al governo di ritiro della delega fiscale

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DIRITTI. Dubbi sulla costituzionalità del testo di FdI da ieri in commissione. Roccella: «Al sicuro i diritti dei minori»

Gpa reato universale. Allarme della Cei: «Basta slogan sulle vite concrete» Eugenia Roccella - Ansa

La Cei, che storicamente su questi temi non ha proprio uno sguardo progressista, esprime il proprio disagio sul modo col quale la politica italiana sta affrontando i temi della maternità surrogata e dei figli delle coppie omogenitoriali. In seguito al Consiglio permanente della Commissione episcopale, i vescovi hanno esternato «forte preoccupazione per il crescente individualismo e per l’avanzare di visioni che rischiano di distorcere l’idea stessa di famiglia».

Tuttavia, sulla punibilità anche se effettuata all’estero, come proposto dalla destra, la Cei evita di pronunciarsi: «Posso dire che è un problema universale» dice il segretario generale Giuseppe Baturi, che prova a sprovincializzare il dibattito anche quando ricorda che a farne ricorso sono soprattutto coppie eterosessuali. «Ciò che preoccupa – afferma ancora Baturi – è fare di cose così delicate che riguardano la vita delle persone motivo di propaganda o slogan. Occorre adottare strumenti più prudenti per dare dignità alle persone. Se invece si usano strappi per imporre una visione si rischia di dimenticare la concretezza che riguarda le vite umane»

Intanto, in Parlamento è iniziato l’iter delle due proposte di legge, di Lega e Fdi, che mirano appunto dichiarare la maternità surrogata un reato universale, cioè perseguibile anche se commesso all’estero. Il tema si intreccia inevitabilmente alla questione dell’iscrizione all’anagrafe dei bimbi nati dalla Gestazione per altri (Gpa). Diversi deputati del Pd hanno chiesto che venga ripreso il ddl di Alessandro Zan. Le due proposte di legge sono state illustrate dalla relatrice Carolina Varchi (Fdi), in Commissione giustizia di Montecitorio. L’organismo nelle prossime settimane procederà ad audizioni di giuristi ed esperti, poi verrà il momento della discussione generale. Enrico Costa (Azione-Iv) e Debora Serracchiani (Pd) ribadiscono che le proposte della destra non stanno in piedi dal punto di vista giuridico. Riccardo Magi parla, in punta di diritto, di una «boiata incostituzionale» e qualcuno ricorda che già nella scorsa legislatura una proposta di legge analoga si impantanò nelle pregiudiziali costituzionali. Questo è anche l’avviso della terzopolista Mara Carfagna, che quando stava in Forza Italia aveva sostenuto le posizioni della destra sul tema.

Durante il question time in Senato, la ministra della famiglia Eugenia Roccella dice che diritti dei minori «non sono in discussione», anche se nati all’estero con pratiche illegali», in quanto «nel caso di un atto di nascita prodotto all’estero, in cui risultano come genitori due padri, la trascrizione in Italia prevede quella del solo padre biologico». Roccella ha sottolineato che il governo «è tenuto al rispetto del quadro normativo», rimandando alla pronuncia della Cassazione che individua nell’adozione «il percorso da seguire per eventualmente assicurare il rapporto genitoriale del minore con il partner del genitore biologico». Al quesito esposto dal Maurizio Gasparri il senatore del Pd Filippo Sensi ha chiosato in questo modo: «A interrogare la ministra Roccella sulle trascrizioni dei minori nati all’estero da ‘coppie dello stesso sesso’ sono tutti maschi, ovviamente. I famigerati liberali di Forza Italia»

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 BRUXELLES. La leader pd debutta al summit dei socialisti. Dure critiche a Meloni sui migranti. Le lodi del premier spagnolo Sanchez. La minoranza dem contraria ai capigruppo voluti dalla segretaria: domani Bonaccini riunisce i suoi, martedì il voto

Il «controvertice» di Schlein: «Con la destra a rischio il Pnrr» Elly Schlein con Paolo Gentiloni - Ansa

Se l’obiettivo di Elly Schlein era oscurare, almeno un poco, la rivale Giorgia Meloni, allora la missioni è compiuta. La leader Pd ieri era a Bruxelles, dove ha incontrato i vertici del Pse e numerosi commissari, da Gentiloni al vicepresidente Frans Timmermans alla portoghese Elisa Ferreira, oltre ai leader di Germania Spagna e Finlandia, Olaf Scholz, Pedro Sanchez e Sanna Marin e al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.

UNA SORTA DI «CONTROVERTICE» che le è servito non solo per riallacciare relazioni che aveva intrecciato nei suoi anni da europarlamentare, dal 2014 al 2019, ma anche per fare un controcanto alla premier, soprattutto sul tema dei migranti, ma anche sul Pnrr. «Il governo fa le domande sbagliate all’Ue sui migranti. Serve una Mare Nostrum europea, una missione comune di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo che abbia mandato di salvare le vite», l’opinione di Schlein. «Perché questa destra non ha il coraggio di affrontare i suoi alleati nazionalisti e chiedere maggiore solidarietà e condivisione delle responsabilità sull’accoglienza?».

E ancora: «Nella bozza del Consiglio Ue ci sono solo poche righe sui migranti che non dicono niente. Duole affermarlo, ma è così. Dov’era questa destra quando negli anni passati si era provato al Parlamento europeo a superare il regolamento di Dublino? Io c’ero e in 22 riunioni in 2 anni non li ho mai visti».

CRITICHE A MELONI ANCHE sull’attuazione del Pnrr «di cui la destra che ci governa sembra dimenticare le direzioni, che sono giuste, quelle della conversione ecologica, della trasformazione digitale e del contrasto alle disuguaglianze sociali e territoriali». «Noi abbiamo elementi di preoccupazione e vigileremo molto sull’attuazione del Pnrr: il governo, oltre a chiedere flessibilità e margini di cambiamento, non ha fatto capire dove vuole portare questo strumento. Abbiamo delle scadenze importanti, ci interessiamo affinché l’Italia non manchi quegli obiettivi», il ragionamento della leader Pd.

ACCOGLIENZA CALOROSA per Schlein al vertice dei socialisti dove riceve le lodi di Gentiloni e del commissario al Lavoro Nicolas Schmit. Non tutti, neppure nella famiglia socialista, condividono la sua proposta di rendere «permanente e strutturale» il Next Generation Eu per permettere agli Stati con minore spazio fiscale di sostenere gli investimenti della transizione energetica. «Tutta l’Ue può avere un vantaggio se non si lascia indietro nessuno», ha detto Schlein, che ha ribadito la richiesta di maggiori risorse europee «per accompagnare le imprese, le famiglie, i lavoratori nella conversione ecologica». E confermato il suo sì al progetto di riformare del patto di stabilità «per non tornare ai tempi dell’austerità».

NESSUN COMMENTO INVECE sulla richiesta di Stoltenberg di portare le spese militari anche sopra il 2% del Pil. A domande dei cronisti Schlein ha riposto ribadendo il «supporto convinto» all’Ucraina, e del resto per lei il tema delle armi è molto scivoloso. La leader Pd ha parlato a lungo con il premier spagnolo Sanchez, che intende prendere ad esempio per le norme di contrasto alla precarietà. «La nostra famiglia politica ha guadagnato una grande leader», il commento di Sanchez.

Nella serata di mercoledì aveva incontrato gli europarlamentari dem. Sulla conferma del capodelegazione Brando Benifei non ci sono certezze. «Sugli assetti interni ci prendiamo questi giorni per proseguire un confronto sereno e faremo insieme le valutazioni».

UN MODO PER RISPONDERE anche alla minoranza guidata da Stefano Bonaccini che è in fibrillazione sulla scelta dei nuovi capigruppo di Camera e Senato. L’idea di Schlein di nominare due persone vicine a lei- Chiara Braga e Francesco Boccia – non viene digerita. Tra i “riformisti” i malumori crescono. «Non aveva fatto così neppure Renzi, e aveva vinto le primarie con un distacco ben maggiore», uno dei ragionamenti.

Per calmare gli animi Bonaccini ha deciso di riunire via zoom domani i suoi sostenitori, per decidere una linea comun e in vista di lunedì, quando ci sarà la prima riunione dei gruppi parlamentari con Schlein. Per martedì è prevista la scelta dei capigruppo. Non è esclusa una conta. Ambienti vicini al governatore spiegano che «non c’è la volontà di far saltare il banco». Ma l’accordo ancora non c’è.

 

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«Guardiamo in faccia la realtà», aveva detto Macron. Ma la realtà ha guardato lui: 3,5 milioni di persone in tutte le piazze di Francia, scuole occupate, blocchi a strade e ferrovie, mezzo paese fermo. E martedì si ricomincia. Manon Aubry: «Questa riforma è l’ultima goccia». Non si tratta più di pensioni, ma di democrazia

IL MARZO FRANCESE. Nono sciopero generale contro la riforma delle pensioni, tutti compatti: studenti, lavoratori, ambientalisti, persone Lgbtqia+. La polizia attacca il corteo, prova a dividere la testa «radicale» dalla coda: ma va in tilt. Da una parte idranti e gas, dall’altra spray sui muri e fiamme: «Questa mobilitazione è storica»

Le lotte convergono in place de l’Opéra. E il governo è nel caos Parigi, Place de la Bastille gremita durante lo sciopero generale di ieri - Ap/Thomas Padilla

La «testa» del corteo, dove si sono radunati i leader dell’intersindacale, è assediata dai giornalisti. È il nono sciopero generale contro la riforma delle pensioni di Macron, tutti i colleghi dei media francesi e internazionali cercano di passare il filtro del servizio d’ordine per fare qualche domanda ai dirigenti dei sindacati.

Una vera e propria tonnara che si concentra attorno a Philippe Martinez, il segretario della Cgt, appena udibile mentre risponde a una tv francese: «Noi glielo abbiamo scritto al presidente della Repubblica – dice in riferimento agli scontri di piazza degli ultimi giorni – nero su bianco, che la situazione era esplosiva. Ha scelto di fregarsene».

POCO DIETRO, Marie Buisson ascolta in silenzio. L’attuale membra della direzione Cgt dovrebbe succedergli alla testa della centrale in una settimana, alla fine del congresso del sindacato (salvo sorprese).

«C’è una crisi sociale profonda in Francia, che si esprime sulle pensioni, ma soprattutto sulle lotte per i salari» dice Buisson al manifesto. Ora si è aggiunta «una crisi democratica, nella quale ci ha gettato questo governo irresponsabile. È inquietante». Alla tv, mercoledì, Macron «ha detto che bisognava guardare in faccia la realtà e approvare la riforma. Non ha capito che la realtà è

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  • UNO STUDIO ISPRA ESAMINA GLI ANNI DAL 1991 AL 2020. Evaporazione dagli specchi d’acqua e siccità sono tra le cause principali

Italia, in trent’anni abbiamo perso il 20% delle riserve

Negli ultimi trent’anni la disponibilità idrica in Italia è diminuita del 20%. Secondo le stime presentate da Ispra, frutto dell’impiego di Bigbang, il modello idrologico realizzato dall’Istituto che analizza la situazione idrologica dal 1951 al 2021, fornendo un quadro quantitativo e qualitativo delle acque in Italia, la situazione non è affatto rosea: nel periodo tra il 1991–2020 il valore ammonta a circa 133 km3, mentre il valore di riferimento storico, quello registrato tra il 1921 e il 1950, è pari a circa 166 km3. Anche le stime sul lungo periodo (1951–2021) evidenziano una riduzione significativa, circa il 16% in meno rispetto al valore annuo medio storico. «Questa riduzione, dovuta agli impatti dei cambiamenti climatici, è da attribuire non solo alla diminuzione delle precipitazioni, ma anche all’incremento dell’evaporazione dagli specchi d’acqua e dalla traspirazione dalla vegetazione, per effetto dell’aumento delle temperature» spiega un comunicato Ispra.

I numeri del bilancio idrologico nascono a partire da una stima delle componenti del bilancio idrologico a scala mensile sulla base di un’equazione che tiene conto delle variabili precipitazione totale, evapotraspirazione reale, ruscellamento superficiale, ricarica degli acquiferi e immagazzinamento di volumi idrici nel suolo e nella copertura nivale.
Le proiezioni climatiche future evidenziano, sia su scala globale che locale, possibili impatti dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica, dal breve al lungo termine.

Tra gli elementi che incidono sulla disponibilità idrica vi è senz’altro la siccità: anche se i dati del 2022 sono ancora in fase di analisi, e quelli del 2023 sono in fase di registrazione, si presume che il protrarsi un deficit di precipitazione, liquida e solida, e la persistenza di elevate temperature, andrà a ridurre ulteriormente la disponibilità di risorsa e le riserve idriche per i diversi usi (civile, agricolo, industriale) e per il sostentamento degli ecosistemi e dei servizi che essi erogano, evidenziando ancor più la necessità di affrontare le problematiche connesse alle pressioni antropiche.

«Le analisi sul bilancio idrico nazionale, condotte dall’Istituto in collaborazione con l’Istat, hanno evidenziato il ruolo significativo dei prelievi di acqua dai corpi idrici che, anche in anni non siccitosi e con larga disponibilità di acqua superiore alla norma, possono determinare condizioni di stress idrico. Ciò – sottolinea Ispra – è avvenuto per l’Italia, ad esempio, nell’estate del 2019».

Ieri è intervenuto sul tema anche il Forum italiano dei movimenti per l’acqua: «L’inverno è appena finito e l’Italia già sta facendo i conti con la siccità, soprattutto al Nord, dove il disgelo dovrebbe riempire fiumi sempre più in secca e inquinati. Di fronte ad un fenomeno così grave, evidentemente frutto dei cambiamenti climatici e dell’eccessiva pressione antropica sulle riserve idriche, il Governo riesce a non dire una parola su questi temi, ma ripropone ricette a base di commissari, grandi opere da costruire “in emergenza” – bypassando le valutazioni di impatto ambientale – e privatizzazioni. Se togliere l’acqua dal mercato è il primo passo per tutelarla, il secondo è intervenire sui sistemi in cui questa vede il maggior utilizzo: il settore agricolo, colpito duramente dalla siccità, ha ampi margini di miglioramento se saprà uscire da un sistema basato su monocolture e zootecnia intensive per adottare tecniche agroecologiche che preservino la ricchezza dei terreni, compresa la loro capacità di trattenere l’acqua»

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