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I 27 leader paleranno di energia, aiuti di Stato e sostegno all’Ucraina, con un intervento da remoto del presidente Zelensky. Solo alla fine una relazione sull’immigrazione

L’Ue ignora Meloni, nessuna  discussione sui migranti 

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LA SEGRETARIA DEL PD INCONTRA I SOCIALISTI. Il Pse discute di situazione economica, crisi migratoria e Ucraina

Schlein a Bruxelles. Poi il nodo capigruppo

Elly Schlein è a Bruxelles. Dopo aver incontrato i parlamentari europei del Partito democratico, oggi parteciperà al pre-vertice dei socialisti in preparazione del Consiglio europeo. Incontrerà, tra l’altro, lo svedese Stefan Löfven, presidente del Pse, il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans e il commissario Paolo Gentiloni.

All’ordine del giorno del Pse ci sono la situazione economica, la crisi migratoria e l’Ucraina. Tutte questioni sulla quali il Pd si è espresso nelle risoluzioni presentate alle camere negli ultimi due giorni. Sui migranti chiede che «si intraprenda ogni azione finalizzata a favorire la revisione, in tempi brevi, del Patto su migrazione e asilo» per una politica comune europea ispirata «ai principi di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario».

Il Pd chiede al governo di «attivarsi affinché si affronti la transizione ad un mercato dell’auto a zero emissioni mediante l’adozione di una strategia industriale europea che preveda lo stanziamento di adeguate risorse per la riconversione». Sull’Ucraina chiede una maggiore sforzo diplomatico europeo insieme alla conferma del sostegno a Kiev in nome del diritto all’«autodifesa» degli ucraini.

Ci sarà anche l’attuale capodelegazione Brando Benifei, che al congresso è stato sostenitore di Stefano Bonaccini e che Schlein potrebbe riconfermare. A proposito di nomine: la segretaria dovrebbe riunire i gruppi parlamentari dem lunedì pomeriggio per fare «il punto sulla situazione politica». Il giorno successivo dovrebbe chiudersi la partita del rinnovo dei capigruppo. A guidare i parlamentari dovrebbero essere Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga alla Camera. A quel punto verrà annunciata anche la nuova segreteria

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LA PREMIER IN AULA. La Lega fa notare le divisioni sulla guerra e sulle nomine con le assenze dei suoi ministri

  Giorgia Meloni ieri alla Camera - foto LaPresse

È la pace o sono le poltrone? Come si spiega il plateale sgarbo dei ministri leghisti, che ieri hanno disertato in massa le comunicazione della premier alla Camera? Un po’, probabilmente, hanno concorso entrambe le fonti di malcontento e forse la seconda più della prima. Però, dopo l’affondo clamoroso del capogruppo al Senato Massimiliano Romeo del giorno prima, è difficile credere che Matteo Salvini non volesse segnalare anche la distanza dalle posizioni iper-atlantiste dell’alleata. Lui, il vicepremier la cui assenza spiccava più di ogni altra, aveva l’alibi già pronto: una riunione al ministero sul traffico. Debolina assai.

I FRATELLI, DI FRONTE a quei banchi vuoti, s’indispettiscono, la premier anche di più. I richiami di ogni tipo trascinano in aula il ministro Giuseppe Valditara, quando già il caso è esploso e Carlo Calenda afferma addirittura che «l’esecutivo è già in crisi, anche se per le ragioni sbagliate».

Il ministro dell’Istruzione è in quota Carroccio ma non è un leghista: il suo arrivo non colma il vuoto. Fortuna che dopo un po’ lo sostituisce Roberto Calderoli e tutti possono giurare che l’incidente è chiuso. Però non è vero. Non è affatto sopita la tensione sulle nomine, montata nelle ultime settimane sia per il metodo che per il merito. Non lo è quella, meno transitoria, sulla guerra. La divisione netta tra una premier che vuole fare dell’Italia una specie di Polonia dell’Europa occidentale e alleati che preferirebbero l’estremo opposto prima o poi finirà per emergere.

SULLE NOMINE, che tra piccole e grandi ammontano a un piccolo esercito, i leghisti sono inviperiti per il metodo, per la verità non inedito, per cui la presidente del consiglio ascolta molti e decide con pochi, anzi pochissimi: il fedelissimo sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e l’anche più potente Alfredo Mantovani.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Meloni alla Cgil: il gelo oltre la demagogia

Silenzioso, efficiente, se del caso diplomatico, con i contatti giusti oltre Tevere e sul Colle: in pochi mesi è diventato potentissimo e Salvini non gli ha ancora perdonato il tentativo, in buona parte fallito, di scippargli la sorveglianza marittima. Nel merito poi Giorgia Meloni, in pieno contrasto con la Lega, punta sulla continuità con Mario Draghi, soprattutto nelle nomine più pesanti come Eni, Poste ed Enel.

L’UCRAINA INSOMMA è un nodo reale, il più intricato che ci sia oggi, ma è anche uno strumento da adoperare a fini molto meno internazionali. Matteo Salvini la usa per tenere la premier sulla corda. Il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte va all’attacco: «Ci state trascinando di gran carriera in guerra ignorando che in un conflitto nucleare non ci sono vincitori né vinti. Ci mette la faccia ma è una faccia di bronzo».

È la linea dei pentastellati da mesi ma serve anche per mettere in difficoltà la nuova segretaria del Pd Elly Schlein per cui proprio la posizione sulla guerra è la porta più stretta. Infatti sceglie di non parlare, e non è una gran bella figura. Fa intervenire Marianna Madia che candidamente annuncia di «sostenere la posizione con la quale il governo rappresenterà l’Italia». Mica come quegli infidi alleati che la stessa Madia consiglia alla presidente di «tenere d’occhio con attenzione». Non spiega perché, essendo del tutto d’accordo, il Pd non vota la parte della mozione di maggioranza sulla guerra, come fa invece il Terzo Polo. In effetti è inspiegabile.

È un autogol e un passo falso da parte della nuova segretaria dem, che di fatto ha lasciato ieri la bandiera di “speaker” dell’opposizione a un Conte in ottima forma. Ma quanto ad autolesionismo non scherza nemmeno il verde Angelo Bonelli, che agita i sassi secchi dell’Adige per denunciare la siccità in Trentino. Sembra un po’ «non piove, governo ladro» e infatti la presidente ha gioco facile nel liquidare la faccenda ironizzando: «Vuol dire che in 5 mesi io ho prosciugato il fiume come Mosè?». Definitivo.

NEL CHIASSO della rappresentazione teatrale, dove ognuno mette in campo la propria bandiera e poco importa se con il Consiglio europeo di oggi non c’azzecca, si perdono i veri punti dolenti in Europa. Uno su tutti: la ratifica del Mes. Quella firma il governo non vuole apporla. Giorgia Meloni lo dice forte e chiaro: «Non è un totem ma uno strumento da adeguare». Di tutti i discorsi e i botta e risposta degli ultimi due giorni, a Bruxelles daranno importanza a questo passaggio più che a ogni altro. E non la prenderanno bene

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DIRITTI. Il commissario Reynders: gli stati membri sono obbligati dalla corte di giustizia europea. Parte l’esame delle proposte sul carcere per chi utilizza la gpa all’estero 

L’Ue bacchetta il governo: «Riconoscere i figli dei gay» Alla manifestazione delle famiglie arcobaleno di sabato scorso a Milano - foto LaPresse

Le destre continuano a spingere per punire penalmente le coppie che ricorrono alla maternità surrogata all’estero. E ieri hanno ottenuto che la commissione Giustizia della Camera inizi domani a esaminare le proposte di legge che, se approvate, prevederanno il carcere e multe fino a un milione di euro. Molte i testi che saranno esaminati: c’è quello di Fdi a prima firma Carolina Varchi, che ricalca una proposta presentata nella scorsa legislatura da Giorgia Meloni. Altri testi analoghi sono stati presentati da Lega, Forza Italia e Noi moderati.

IL TERZO POLO CON MARA Carfagna si dice pronto a unirsi alla crociata. «Ho presentato una legge contro l’utero in affitto da punire anche se praticato all’estero, perché in Italia è già vietato. E voterei la proposta di Giorgia Meloni», ha spiegato ieri la presidente di Azione. «Per il centrodestra c’è una posizione corale, unanime, per rendere la maternità surrogata un reato universale», ha spiegato Varchi, che ha abbinato la sua proposta a quella della Lega.

DA BRUXELLES ARRIVA però un segnale opposto. Il commissario Ue per la giustizia Didier Reynders ieri ha spiegato – rispondendo a una interrogazione del M5S – che «la Commissione è in continuo dialogo con gli Stati membri riguardo all’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia dell’Ue» e «ciò comprende anche l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere» i figli «di genitori dello stesso sesso, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’Ue». Un messaggio diretto al governo italiano che ha bloccato con una circolare del Viminale i sindaci che registravano i figli di coppie arcobaleno. E alla maggioranza di destra che ha bocciato in Senato la proposta di regolamento per il certificato di filiazione europeo. «La Commissione conferma che i figli riconosciuti in uno Stato membro devono poter circolare senza ostacoli», spiega Marilena Grassadonia di Si. La replica di Gasparri: «Al commissario Reynders ricordo che l’Italia è uno Stato sovrano: la difesa della genitorialità di un padre e una madre è un dato che precede qualsiasi regolamentazione italiana o europea». «Quello che stiamo vedendo in Italia è un chiaro attacco ai diritti delle persone e delle famiglie Lgbtqi+», l’attacco di Terry Reintke, co-presidente del gruppo dei Verdi all’europarlamento.

SUL TEMA TORNA ANCHE la leader Pd Elly Schlein. «Credo che bisogna lottare di più perché la pressione che è stata fatta sul Comune di Milano ma adesso anche sul Comune di Padova per smettere di trascrivere ii bambini è frutto dell’ideologia che guida questa maggioranza di governo che ci vuole riportare molto indietro nel tempo. Invece quelle famiglie chiedono di essere in Europa e nel futuro, e che i loro figli vengano riconosciuti come nel resto d’Europa».

A destra usa parole più moderate il governatore leghista Luca Zaia. «Una partita delicatissima, un discorso complicato che non va liquidato come fa qualcuno. Va distinto tra il diritto all’iscrizione all’anagrafe e la rivendicazione di avere l’utero in affitto». In questo caso «c’è anche la libertà della donna che, non mi risulta, lo faccia divertendosi di restare incinta e donare il proprio bimbo». Wanda Ferro, sottosegretaria all’Interni di Fdi, prende le distanze dalle parole dei suoi colleghi di partito. «Non sono d’accordo con Mollicone che ha equiparato gpa e pedofilia che è uno dei crimini peggiori in assoluto. Anche Rampelli è stato maldestro»

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POLITICA. Informativa della premier: maggioranza compatta sulla carta, ma sull’Ucraina si vedono crepe. E il tema migranti preoccupa. Il timore è che a Bruxelles l’Italia non ottenga niente. Telefonata con von der Leyen

Meloni alla camera, il consiglio europeo la rende nervosa Giorgia Meloni al Senato - foto LaPresse

Nervosissima. Una Meloni così tesa dalla vittoria elettorale in poi forse non la si era mai vista. Alza i toni, si abbandona all’iperbole, azzarda profezie apocalittiche, si irrita e si offende. Eppure l’informativa al Senato sul Consiglio europeo di domani non presenta incognite, non ci sono rischi di sorta, alcuni degli argomenti più spinosi, dalla riforma fiscale ai diritti civili, sono espunti in partenza. Sulla carta, quella su cui si scrivono le risoluzioni, la maggioranza è compatta anche dove non lo è affatto, vedi alla voce guerra, e sul resto è unita davvero.

L’OPPOSIZIONE INVECE proprio no. La senatrice del Terzo Polo Paita, anzi, chiede di poter votare la mozione di maggioranza per parti separate, in modo da poter appoggiare la parte sull’Ucraina. Finisce proprio così e il segnale è ben chiaro: i centristi sono pronti a un dialogo che in alcuni casi, primo fra tutti il presidenzialismo, si rivelerà politicamente prezioso. Anche le altre due forze d’opposizione sono divise che più divise non si può sull’Ucraina: il Pd vuole continuare a inviare armi a Kiev,

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Pechino sta ottenendo vantaggi acquistando gas e petrolio scontati da Mosca, ma è ancora da capire quanto la Cina si impegnerà nel gasdotto Power of Siberia 2.

 

Nel “viaggio di amicizia”, come Pechino lo ha definito, che Xi Jinping sta compiendo a Mosca, si sta certamente parlando molto di energia. Le sanzioni occidentali alla Russia hanno dato il turbo agli acquisti cinesi di gas e petrolio russi, con vantaggio della Cina, ma in gioco ci sono anche accordi sul gas più a lungo termine che mostreranno se e quanto Xi vuole legarsi all’alleato.

Al centro della questione ci sono i nuovi gasdotti verso est: dopo l’invasione dell’Ucraina e la reazione dell’Occidente, la Russia ha aumentato i flussi di gas verso il vicino orientale attraverso un gasdotto esistente in base a un accordo prebellico. C’è poi un altro collegamento, già realizzato, da cui però le forniture non sono ancora iniziate, e ci sono colloqui per una terza rotta, che trasporterebbe più gas rispetto ai primi due gasdotti combinati, ma finora questi colloqui non hanno portato ad alcun contratto.

Quel che si deciderà, dipenderà da quanto la Cina sia disposta a dipendere dalla Russia per le principali forniture energetiche. “Esiste sicuramente il potenziale per un ulteriore approfondimento della cooperazione energetica tra i paesi, ma se la Cina diventa eccessivamente dipendente dalle importazioni di energia russa, ciò crea rischi in futuro? Questo è un fattore che la Cina deve considerare”, spiega Kevin Tu, amministratore delegato di Agora Energy Transition China, citato da Bloomberg.

Le esportazioni di gas della Russia verso la Cina sono ancora una piccola frazione dei 177 miliardi di metri cubi che Mosca ha consegnato all’Europa nel 2018-19. Ma l’aumento dei flussi verso il gigante cinese ha un ruolo importante nel compensare la riduzione dei volumi verso l’Europa, che con la guerra si sono ridotti fino a circa 62 miliardi di metri cubi nel 2022 (si veda il grafico sotto, elaborazione Ispi, preso dall’interessante dashboard che monitora lo scambio gas tra Italia, Ue e Russia).

Il gas e il Power of Siberia 2

Ad oggi, Gazprom fornisce gas alla Cina attraverso i 3.000 km del gasdotto Power of Siberia, nell’ambito di un accordo trentennale da 400 miliardi di dollari lanciato alla fine del 2019. Nel 2022, le esportazioni ammontavano a circa 15,5 miliardi di metri cubi (bcm), e si prevede che aumentino a 22 bcm nel 2023 e raggiungano la piena capacità di 38 bcm entro il 2027.

Nel febbraio 2022, Pechino ha anche accettato di acquistare fino a 10 bcm di gas all’anno entro il 2026 tramite un gasdotto dall’isola russa di Sakhalin, nell’estremo oriente.

Putin, Xi e il presidente della Mongolia hanno poi tenuto colloqui nel settembre 2022 sulla proposta di un nuovo gasdotto Power of Siberia 2, in grado di fornire 50 bcm di gas all’anno dalla Russia alla Cina attraverso la Mongolia: un’idea che Mosca ha avanzato molti anni fa, ma che ha acquisito urgenza nella situazione attuale.

Petrolio russo scontato

Quanto al petrolio, la Russia è rimasta la seconda fonte di greggio della Cina nel 2022, dopo l’Arabia Saudita, poiché le raffinerie cinesi si sono accaparrate barili russi a basso costo, anche grazie alle sanzioni occidentali. Da stime Reuters, la Cina potrebbe aver risparmiato circa 5 miliardi di dollari l’anno scorso, grazie a questi sconti.

Le importazioni cinesi di greggio dalla Russia sono aumentate dell’8% nel 2022 a 86,25 milioni di tonnellate, equivalenti a 1,72 milioni di barili al giorno (bpd), mentre le importazioni dagli Usa sono diminuite del 31% a 7,89 milioni di tonnellate, secondo i dati doganali cinesi.

La Cina riceve circa il 35% del petrolio che acquista dalla Russia attraverso l’oleodotto Skovorodino-Mohe, aggirando così qualsiasi restrizione su navi e merci, e le importazioni dovrebbero raggiungere un record a marzo, poiché le raffinerie cinesi stanno approfittando dei prezzi bassi mentre la domanda interna è in ripresa

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