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A PIEDI. Treni, voli e traghetti bloccati: la protesta nel settore pubblico per adeguare gli stipendi all’inflazione. «Una delle più grandi astensioni dal lavoro degli ultimi decenni» secondo il sindacato Ver.di

Trasporti fermi, in Germania torna il mega-sciopero Sciopero dei trasporti in Germania, la protesta a Monaco del sindacato Evg - Ap

«Il Paese è bloccato». L’incipit del comunicato ufficiale della società ferroviaria tedesca Deutsche Bahn restituisce perfettamente l’esito del colossale sciopero dei trasporti che ieri ha messo in ginocchio la Germania. Con centinaia di treni fermi nelle stazioni, voli domestici e internazionali cancellati uno dopo l’altro dal tabellone delle partenze e i traghetti per il Nord Europa rimasti ormeggiati alle banchine dei porti.

«Una delle più grandi astensioni dal lavoro degli ultimi decenni» rivendicano i Ver.di, il sindacato che rappresenta 2,5 milioni di lavoratori pubblici. Insieme all’organizzazione dei ferrovieri (Evg) ha aperto la vertenza per il rinnovo del contratto collettivo: 10,5% in più in busta-paga e aumento di 650 euro sono le rispettive richieste per adeguare gli stipendi all’inflazione che neppure all’Eurotower di Francoforte riescono più a fermare.

«ABBIAMO PORTATO a casa il primo fondamentale risultato. Grazie alle dimensioni dello sciopero i datori di lavoro si sono resi conto in modo inequivocabile che i dipendenti stanno in massa dalla nostra parte. Questo perché nel settore pubblico sono schiacciati dal peso degli aumenti di elettricità, gas e generi alimentari diventati insostenibili. E ciò coinvolge tutti, fino alle fasce di reddito medie» sottolinea Frank Werneke, leader dei Ver.di, prima di ricordare la massiccia adesione alla «protesta di avvertimento» (Warnstreik) diretta anzitutto all’equivalente di Confindustria.

Non a caso la prima “voce” insieme ai vertici delle Ferrovie statali a denunciare con forza lo «sciopero che ha provocato danni alle imprese, ai cittadini e pure all’ambiente». Un atto «spropositato» rispetto alla «congrua offerta» padronale pari all’aumento del 5% del salario più due di bonus da 1.000 e 1.500 euro da distribuire nei prossimi due anni.

«Ci hanno fatto una proposta vergognosa, questa è la verità» insistono i sindacati. Mentre il bollettino mensile dell’Ufficio federale statistica “Destatis” rende di pubblico dominio e all’attenzione del governo Scholz il dato dell’inflazione a quota 8,7%. Certificando sia i costi energetici schizzati del 19,1% che i prezzi al consumo del cibo esplosi del 21,8%.

Probabilmente, anche per questo non sono stati rari i casi di solidarietà fra chi ieri è rimasto a piedi. Nella stazione berlinese di Ostkreuz, semi-deserta con le serrande dei negozi chiusi, fra gli altoparlanti che annunciavano in modalità non-stop il blocco completo della rete della metropolitana di superficie (funzionavano solo i tram e la U-Bahn che non dipendono da Deutsche Bahn), qualcuno ringraziava i ferrovieri per la «battaglia per il Lavoro» idealmente condivisa.

Più di un applauso anche per i mini-cortei dei rappresentanti sindacali con cartello e fischietto alla Stazione Centrale di Berlino come all’indirizzo dei portantini con il gilet fluorescente e le mani platealmente in tasca.

ALTRO SEGNO dei tempi caldi anticipati dal recente braccio di ferro per il rinnovo del contratto vinto dal sindacato dei metalmeccanici Ig Metall: la spina dorsale della produzione nazionale dalla Ruhr fino al comparto automotive. Anche allora ci fu il massimo impatto sul “sistema-Germania” incardinato sul binomio catena di montaggio e trasporti.

SOLAMENTE LO STOP dei voli negli aeroporti tedeschi ieri ha coinvolto 380 mila passeggeri. Particolarmente colpiti il mega-hub di Francoforte e gli scali di Monaco e Stoccarda ma l’agitazione sindacale si è propagata in tre quarti dei Land della Bundesrepublik. Al contempo sono stati oltre 30 mila i ferrovieri che hanno fermato i convogli a breve e lunga percorrenza di Deutsche Bahn, comprese le reti locali.

«Specialmente tra i macchinisti la partecipazione allo sciopero è stata altissima. Hanno protestato compattamente perché si sono accorti che sul tavolo del negoziato, nonostante la grave crisi economica, non è stato presentato nulla di serio. Niente su cui si possa discutere con profitto» precisa Kristian Loroch, portavoce del sindacato Evg.

A fine giornata l’Adac, l’automobile club tedesco, segnalava così la riuscita dello sciopero: «Incremento del traffico sulla nostra rete autostradale in coincidenza con la paralisi del trasporto pubblico»

 

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FRANCIA. Oggi decima giornata di mobilitazione contro la riforma delle pensioni. Sotto accusa la violenza della polizia nei cortei. Manifestazione repressa duramente a Sainte-Soline, due feriti gravi

Francia: la protesta continua, governo disperato Parigi, dipendenti del Louvre bloccano l’ingesso al museo - foto Ansa

Dopo undici settimane di battaglia sociale, la situazione resta bloccata. Oggi, i sindacati organizzano la decima giornata di mobilitazioni e scioperi, con il corteo più importante a Parigi. Ieri, sono continuate le azioni di protesta, il Louvre chiuso a sorpresa, oltre ai blocchi alle raffinerie, spazzatura non raccolta a Parigi, scioperi diffusi, i giovani sempre più implicati, 100 licei in agitazione assieme a varie università.

«VOLTARE PAGINA» è il programma che Eliseo e governo vogliono mettere in scena. Consultazioni a ampio raggio all’Eliseo, la prima ministra, Elisabeth Borne, è stata ricevuta da Emmanuel Macron – che avendo annullato la visita di Charles III si è dedicato a cercare la via d’uscita dalla crisi – e ha l’incarico di mettere a punto, in due-tre settimane, un’agenda condivisa con le parti sociali e di trovare degli alleati per governare. Un programma disperato, anche se governo e presidente puntano sulla rassegnazione dei cittadini, favorita anche dal peso della violenza esplosa ai margini della nona giornata. Con disinvoltura, l’Eliseo, considera che la riforma delle pensioni è già “in pausa” in attesa del parere del Consiglio costituzionale atteso entro il 21 aprile, in risposta alla domanda del segretario della Cfdt, Laurent Berger, che chiede sei mesi, per aprire un dialogo e trovare una soluzione alla crisi. Ma Berger accoglierà la mano tesa del governo alla sola condizione di un ritiro del passaggio ai 64 anni per la pensione, chiede un «gesto forte» al governo e giudica «assurdo» far crollare la Francia nel caos «per così poco».

Geoffroy Roux de Bézieux, presidente del Medef (la Confindustria francese), vuole «passare ad altro», pur considerando che la riforma va fatta anche se «non è ideale», suggerisce al governo di «cambiare metodo» per il futuro, di appoggiarsi alle parti sociali e di «sedersi attorno a un tavolo».

È «DIFFICILE che il Consiglio costituzionale non censuri la riforma», sostiene il professore di Diritto Costituzionale Dominique Rousseau, per «ragioni di forma», il ricorso all’articolo 47.1 per abbreviare la discussione al Senato, la mancanza di «chiarezza e sincerità» richiesta dalla Costituzione, l’assenza di voto sulla legge all’Assemblée nationale a causa del ricorso al 49.3.

MA ORMAI LA VIOLENZA è diventata centrale. Dopo la registrazione di minacce contro dei manifestanti da parte della Brav-M, l’erede dei Voltigeurs degli anni ’80 (dissolti dopo la morte dello studente Malik Oussekine ai margini delle manifestazioni del 1986), la France Insoumise ha raccolto migliaia di firme per la dissoluzione dell’unità degli agenti antisommossa. La giustizia ha aperto 17 inchieste sulle violenze della polizia nei cortei. Un gruppo di avvocati denuncia i fermi preventivi in occasione delle manifestazioni, ma il tribunale di Parigi ha respinto la domanda di annullamento di questa pratica, presentata dall’Associazione di difesa delle libertà costituzionali.

NEL WEEK END la violenza si è concentrata a Sainte-Soline nelle Deux-Sèvres, dove scontri e repressione di una manifestazione non autorizzata contro la costruzione di bacini di raccolta d’acqua per l’agricoltura sono finiti con decine di feriti, un uomo di 30 anni è tra la vita e la morte, un altro grave, i contestatori dei «grandi progetti inutili» accusano i gendarmi, tra cui ci sono anche feriti, di aver ostacolato l’arrivo dei soccorsi. Macron accusa la France Insoumise di voler «delegittimare le istituzioni», il portavoce del governo, Olivier Véran, definisce Mélenchon e i suoi «rentiers della rabbia». Per la deputata di Europa Ecologia, Sandrine Rousseau, Macron e il governo «cercano l’incidente». La capogruppo di Renaissance (il partito di Macron), Aurore Bergé, ha mostrato una lettera di minacce anche contro il suo bébé di 4 mesi. La presidente dell’Assembée nationale, Yael Braun-Pivet, ha denunciato una missiva con contenuti antisemiti. 33 deputati della maggioranza e di Lr hanno ricevuto minacce o sono stati distrutti i loro uffici locali.

OGGI, NEL CORTEO parigino non ci sarà il segretario della Cgt. Philippe Martinez, 62 anni, è a Clermont-Ferrand al congresso del sindacato, che deve scegliere il suo successore. Sarà probabilmente una donna, o la delfina di Martinez, l’insegnante Marie Buisson o la più radicale Céline Verzeletti, statale. La Cgt attraversa un momento difficile, frammentata con la fronda delle categorie più forti che vogliono più radicalità e contestano l’ipotesi Buisson, che cerca un’apertura verso i temi ambientalisti

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ADDIO GIANNI. L'annuncio della famiglia affidato ai social: "Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari"

È morto Gianni Minà Gianni Minà nel corso della presentazione del suo libro "Così va il mondo" al centro sociale "Scugnizzo liberato", Napoli 31 maggio 2017 - ANSA/CESARE ABBATE

“Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari”. Così, su Facebook, la famiglia ha annunciato la morte del giornalista.

Nato a Torino, Minà ha iniziato la carriera giornalistica nel 1959 a Tuttosport, di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998. Nel 1960 ha esordito alla RAI come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma.

Nella sua carriera ha seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi, oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Ali.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Campione idealista e provocatorio

Una volta entrato in RAI, nel 1976, inizia a raccontare l’America Latina con una serie di reportage che caratterizzeranno tutta

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L'attore di Villanova di Bagnacavallo morto a 77 anni dopo il ritiro: «Recitare cambia la vita». Il legame con la Romagna, i matrimoni, la cacciata dal Pci, il voto per Grillo, la candidatura con Tsipras

Ivano Marescotti: il padre partigiano, il teatro e i film (da Benigni a Ridley Scott), la delusione della politica

Ivano Marescotti è stato uno dei più grandi figli-padri-maestri di una cultura eterna come quella del Carro dei Tespi. Un predicatore di teatro, che girava ovunque lo chiamassero, non aveva nemmeno bisogno di quattro assi per andare in scena. È morto sabato sera all’ospedale di Ravenna, aveva 77 anni compiuti il 4 febbraio. Tumore, una malattia che aveva già affrontato un quarto di secolo fa, lo aveva attaccato e fatto soffrire a lungo, come adesso: ne era uscito, proprio la sera in cui tornò su un palco seppe che suo figlio Mattia era morto, a 44 anni, tumore. Era un girovago ironico, amaro, comico, amava la poesia romagnola, Raffaello Baldini in testa, e uno scrittore acido come Pierre Lemaitre, il volto scavato, gli occhi mefistofelici come i suoi. «Per essere attori – diceva, citando la sua amica Piera Degli Esposti – bisogna calarsi nel proprio buio profondo, per risalire poi, portandosi alla luce». 

Il ritiro e l'insegnamento

Era dionisiaco, come Tespi, inventore della tragedia greca. Era partito anche lui su un carro nemmeno troppo metaforico, una ventina di anni fa gli avevano dato la direzione del teatro di Conselice, in quella piana di Ravenna dove era nato, a Villanova di Bagnacavallo, e sempre tornato. Con il terzo matrimonio, quando già il male già covava, si era fermato, ritirandosi da teatro, cinema, tv per dedicarsi interamente all’insegnamento nell’accademia di recitazione con il suo nome, fondata a Marina di Ravenna. «Recitare cambia la vita. È qualcosa che sconvolge il carattere, che capovolge il modo di vedere le cose anche dopo decenni che erano così immutevoli e ferme. Il teatro smuove e muove. Non fa teatro chi vuole fare l’attore. Fa teatro chi vuole scoprire cose che non sapeva di sapere e non ha paura di scoprire». Con Andrea Mingardi ha inciso, cappellacci e baffoni alla Passator Cortese, «Emilio Romagno». «Mi chiamo Emilio Romagno/ fra Don Camillo e Peppone compagno/ Mi piace la terra/ e anche la gente che non sa stare senza far niente».

La famiglia e gli amici

Versione romagnola di Testi, aveva sposato in seconde nozze Ifigenia Kanarà, greca, femminista amorosa e decisa, avevano avuto una figlia di intelligenza vivacissima, Iliade, ora ventenne, abitavano in fondo a via Galliera a Bologna, palazzo anni 60, vedevano i tetti. Con la moglie aveva fondato la società Nekamè (servo, lascia che) poi diventata Patàka, lingua maori, patacca romagnola grecizzato, che dal 2002 si era occupata del teatro di Conselice. Un anno fa Marescotti aveva sposato Erika Leonelli, 49 anni, legale in un’azienda ravennate, già allieva al Tam, il Teatro accademia Marescotti. Era nelle file in Palazzo d’Accursio a Bologna davanti al feretro di Lucio Dalla, con cui progettava spettacoli autogestiti di artisti bolognesi non famosi. Era a quello di Maurizio Cevenini, il politico uccisosi per le durezze della politica. «Diceva di sentirsi ormai solo un presentatore e che non faceva nemmeno più ridere. Terribile», raccontava. Non era a nessuno dei funerali religiosi dei quasi-amici.

Da Benigni a Ridley Scott

Aveva avuto successo come caratterista in film di cassetta e importanti, da Benigni Zalone, ha vinto un Nastro d’Argento dei critici («L’han vest giost lour») con lo sconosciuto nel cortometraggio Assicurazione sulla vita di Tommaso Cariboni Augusto Modigliani. Rideva di tre parti internazionali, come vescovo guerriero in «King Arthur», come capitano dei carabinieri in «Il talento di Mr. Ripley», assassino sardo in «Hannibal». «La mia faccia chissà cosa ispira agli stranieri». Custodiva, raccontava, inventava la memoria in ogni parte. Le stragi terroristiche, le cooperative, gli scariolanti, il nazifascismo, la miseria, le insurrezioni, mamma Speranza e babbo Amleto «un partigiano che non aveva mai studiato e aveva dedicato tutta la sua vita al lavoro nei campi». Scriveva, dirigeva, recitava, riscriveva Dante (Dante, un patàca) e Ariosto (Bagnacavàl, Orlando furioso in Romagna).

La delusione della politica

È stato costantemente deluso dalla politica amatissima. Fu cacciato dal Pci per «frazionismo» («Non sapevo cosa voleva dire. Lo scoprii quando a Genova, dove cercavo di cominciare a fare l’attore in una comune, arrivarono i carabinieri pensando fossimo brigatisti rossi»), ha votato Grillo, si è candidato alle elezioni europee 2014 nella lista Tsipras (ah, la speranza greca). «La Rai mi cancellò dagli schermi. Presi 12.837 voti. Primo dei non eletti. Il patto era che a metà mandato gli eletti si dimettevano per la rotazione. Nessuno mollò il posto. Solo Moni Ovadia se ne andò subito, primo nel Nord Ovest. Io ero nel Nord Est».

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Sì al combustibile sintetico (tedesco), no a quello agricolo (italiano). Ma soprattutto un’altra tegola sul no ai motori elettrici dal 2035

Avanti a scoppio,  accordo sull’e-fuel tra Ue e Germania l vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans - Ansa

Il braccio di ferro interno alla Commissione europea sullo stop al 2035 per le auto alimentate da combustibili fossili si è chiuso ieri. «Abbiamo raggiunto un accordo con la Germania sull’uso futuro degli e-fuel nelle automobili» ha annunciato in un tweet il vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans. «Lavoreremo ora per ottenere quanto prima l’adozione delle norme in materia di CO2 per il regolamento sulle autovetture e la Commissione darà seguito rapidamente alle misure giuridiche necessarie per attuare il “considerando 11″», ha spiegando facendo riferimento al paragrafo che prevede una deroga per i carburanti sintetici dallo stop alla vendita delle auto a motori termici dal 2035».

Frans Timmermans

Abbiamo raggiunto un accordo sull’uso degli e-fuel nelle automobili, ora lavoreremo per ottenere quanto prima l’adozione delle norme sulla CO2

Molto più pragmatico è il ministro dei trasporti tedesco, Volker Wissing: «I veicoli dotati di motore a combustione possono essere immatricolati dopo il 2035 se utilizzano solo carburanti neutri in termini di emissioni di CO2». Il suo messaggio evidenzia, tra le righe, il possibile fallimento di una politica estremamente rigorosa e radicale, quella proposta dall’Unione europea che voleva vietare la vendita di tutte le nuove auto con motore a combustione a partire dal 2035. A differenza dell’Italia, con il governo Meloni che ha sempre e a più riprese ribadito il proprio no a ogni opzione volta a ridurre l’impatto della mobilità sulle emissioni, la Germania ha lavorato di cesello, chiedendo un’esenzione per le auto che bruciano e-fuel, sostenendo che tali carburanti possono essere prodotti utilizzando energia rinnovabile e carbonio catturato dall’aria, in modo da non rilasciare ulteriori emissioni nell’atmosfera.

IN BASE ALL’ACCORDO raggiunto, la Commissione designerà prima una nuova categoria di veicoli per le auto che funzionano esclusivamente con carburanti elettronici, quindi presenterà un atto delegato che consentirà a questi veicoli di essere conteggiati ai fini degli obiettivi di CO2 per le auto dell’Ue. È stato anche concordato che la Commissione presenterà una dichiarazione che illustri l’approccio legislativo che consentirà l’immatricolazione di auto esclusivamente a combustibile elettronico dopo il 2035.

Invece di affrontare il problema in modo serio, il nostro Paese attacca ancora l’Europa: «L’accordo tra Germania e Ue sull’uso dei carburanti sintetici, con l’esclusione dei biocarburanti, è semplicemente intollerabile. È un’intesa destinata a danneggiare non solo l’Italia ma tutta l’Europa» ha detto ad esempio il deputato e responsabile del Dipartimento Energia di Forza Italia Luca Squeri, attaccando l’ambientalismo folle della sinistra europea; «È necessario difendere strenuamente il principio della neutralità tecnologica, in base al quale deve essere consentito ridurre le emissioni inquinanti anche con i biocarburanti che, considerando il ciclo di vita, sono più sostenibili dell’elettrico».

PASSA IN SECONDO piano il rischio reale, evidenziato nel commento di Julia Poliscanova, direttore senior per i veicoli e la mobilità elettrica di Transport & Environment: «L’Europa – ha detto – deve fare un passo avanti e dare chiarezza alla sua industria automobilistica che è in corsa con gli Stati uniti e la Cina. I carburanti elettronici sono un diversivo costoso e fortemente inefficiente rispetto alla trasformazione in elettrico che le case automobilistiche europee devono affrontare. Per il bene della credibilità climatica dell’Europa, l’accordo sulle auto a zero emissioni del 2035 deve entrare in vigore senza ulteriori ritardi».

UN DIVERSIVO di fronte all’urgenza di frenare un settore, quello dei trasporti, ormai responsabile secondo l’Agenzia europea per l’ambiente di oltre un quarto delle emissioni totali di gas a effetto serra nell’Ue. «Non è prevista un’inversione di tendenza. Ciò rende il settore dei trasporti un grosso ostacolo alla realizzazione degli obiettivi dell’Ue in materia di protezione del clima. Autovetture, furgoni, camion e autobus producono oltre il 70% delle emissioni di gas a effetto serra generate dai trasporti», sottolinea un documento dell’agenzia.

IL BICCHIERE è però mezzo pieno nel commento di Andrea Boraschi, direttore di Transport & Environment Italia: «L’accordo tra Bruxelles e Berlino ha il merito di porre fine a una fase di stallo che ha rischiato di pregiudicare un lungo lavoro e gli obiettivi europei di difesa del clima. Ora l’Unione deve procedere rapidamente e dare chiarezza alla sua industria automobilistica». Cosa accadrà lo capiremo martedì, quando i ministri dell’energia europei, riuniti in Consiglio, voteranno in via definitiva lo stop alle auto a benzina o diesel dal 2035

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Ricavi a 20.082 milioni di euro (+90,3%), margine operativo lordo a 1.295,0 milioni di euro (+6,2%), proposta di dividendo in crescita

Hera, un bilancio record: ricavi stellari

Bilancio record per il gruppo Hera che ha approvato ieri i risultati al 31 dicembre 2022. Ricavi a 20.082 milioni di euro (+90,3%), margine operativo lordo a 1.295,0 milioni di euro (+6,2%), proposta di dividendo in crescita a 12,5 centesimi di euro per azione (+4,2%) e utile netto di pertinenza a 322,2 milioni, in crescita (+1,4%) rispetto al dato omogeneo del 2021.
In particolare i ricavi 2022 in rialzo rispetto ai 10.555,3 milioni del 2021, si spiegano per effetto dell’incremento dei prezzi delle commodity energetiche.

'L’esercizio 2022 si è chiuso positivamente, con risultati superiori alle attese e in piena coerenza con i trimestri precedenti. Dopo il 2021, questa è una delle migliori crescite registrate in oltre venti anni dal Gruppo Hera, maggiormente apprezzabile alla luce del contesto esterno in cui è stata realizzata.


Forti del nostro consolidato modello di business e grazie alle politiche improntate all’avversione al rischio, abbiamo riconfermato ancora una volta il nostro impegno per la creazione di valore per l’azienda e per tutti i nostri stakeholder - afferma Tomaso Tommasi di Vignano, presidente esecutivo del Gruppo Hera che quest'anno lascerà l'incarico dopo 20 anni a Cristian Fabbri -. Anche la proposta di aumentare il dividendo a 12,5 centesimi per azione, in linea con quanto annunciato in sede di presentazione del Piano industriale al 2026, va in questa direzione. Se da un lato abbiamo continuato ad investire per fronteggiare la crisi energetica e per mantenere tutti i nostri asset resilienti e performanti, al fine di garantire l’esecuzione dei nostri piani strategici e la qualità di tutti i servizi gestiti, dall’altro abbiamo proseguito anche lo sviluppo aziendale per linee esterne, con operazioni di M&A nei settori energy e ambiente, con l’obiettivo di consolidare la nostra posizione nei mercati di riferimento e migliorare ulteriormente competitività ed efficienza delle soluzioni proposte ai nostri clienti'

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