Cassato il calmiere sull’elettricità. Dopo il cdm, cabina di regia sul Recovery Fund. Fitto chiede più tempo, la Ue chiude
Stavolta bastano 4,9 miliardi, un quarto di quanto fu necessario erogare per contrastare il caro energia nella legge di bilancio. Merito del prezzo del gas in picchiata che salva il governo dal dover ricorrere allo scostamento di bilancio in un momento di rapporti delicatissimi con la Ue. Parte dello stanziamento, 1,1 miliardi, è peraltro destinato alla Sanità. I rimanenti 3,8 miliardi serviranno a calmierare le bollette. Su quella del gas sono confermati sia il taglio dell’Iva al 5% sia l’azzeramento degli oneri di sistema, che però è più formale che sostanziale. Per i consumatori sino a 5mila metri cubi all’anno l’intervento sulle aliquote UG2C è confermato esclusivamente per aprile e solo per il 35% del valore applicato nel trimestre precedente. Secondo l’Unione nazionale consumatori significa un esborso pari a 298 euro l’anno che arriveranno a 459 se a maggio verrà eliminato anche quel 35% superstite. Nessun dubbio invece per il calmiere sulle bollette elettriche: nella bozza portata dal ministro dell’Economia è cassato senza appello. Però con la promessa di studiare un sistema di sconti e benefici tale da evitare rincari e anzi garantire alleggerimenti della spesa.
IL BONUS SOCIALE per «clienti economicamente svantaggiati o in gravi condizioni di salute» è ribadito e allargato sino ai redditi Isee con tetto di 15mila euro: sarebbero 4 milioni e mezzo di famiglie stando alle stime del Mef. La novità è il «bonus termico» che, previsto inizialmente già dal prossimo trimestre, sarà in vigore solo per il quarto trimestre. La dinamica e la quantificazione non sono ancora chiari: dovrebbe trattarsi di un contributo per tutti, con la sola eccezione di quanti già usufruiscono del bonus sociale, però differenziato per aree geografiche e che scatterebbe quando il prezzo del gas all’ingrosso supera una soglia che ieri sera non era ancora stata definita. Confermato infine sino al 30 giugno il credito d’imposta al 40% e 45%, rispettivamente per elettricità e gas, a favore delle aziende «energivore». Andrà a quelle che nel primo trimestre 2023 hanno speso per l’energia almeno il 30% in più rispetto al primo trimestre 2019.
IL CDM DI IERI non si è limitato all’ennesimo e stavolta molto economico dl Energia. Ha varato una quantità di interventi quasi a tutto campo: dal payback sulla sanità al già noto e già criticatissimo dl Appalti di Salvini, dal dl di Lollobrigida, che vieta il cibo sintetico e che la premier a cdm in corso è andata a festeggiare sotto palazzo Chigi con gli agricoltori di Coldiretti, a quello sulla concorrenza, sul quale però la discussione si è fatta incandescente e che in tarda serata era ancora al palo. Infine nel dl Energia è entrata anche la proroga dei termini di pagamento fissati dalla legge di bilancio per la prima rata dei «ravvedimenti speciali»: dal 31 marzo al 31 ottobre.
CARNET FITTISSIMO dunque eppure nessuna delle voci in agenda ieri preoccupa il governo. Il guaio grosso è altrove, oggetto di una riunione della cabina di regia che si è svolta dopo il cdm e che chiamarla allarmata è poco. La mannaia che pende sul capo del governo si chiama Pnrr. Ieri Il ministro Fitto, responsabile dell’attuazione del Piano, è stato papale: «Alcuni interventi di qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati: è matematico, scientifico e dobbiamo dirlo con chiarezza subito, senza aspettare il 2025». Il vicepresidente della Commissione europea Dombrovskis ha risposto a strettissimo giro: «È molto difficile cambiare la scadenza del 2026». Il problema della terza rata del Recovery Fund, in sospeso perché la Commissione ha prorogato di un mese la decisione sulla richiesta italiana di accedervi, non è un ostacolo superato il quale tutto filerà liscio. Al contrario è l’intero Piano che dovrà essere rivisto. Europa permettendo. Sull’erogazione della terza rata la Commissione, che non esclude il rinvio di un altro mese, abbassa i toni. Assicura infatti che la proroga «non è inusuale e non pregiudica in alcun modo l’esito della richiesta italiana». Stile felpato, diplomatico ma con un messaggio molto chiaro. «In un mese possono succedere tante cose», segnala infatti la Commissione. Equivale a un ordine preciso