Corte costituzionale Oggi il voto sul giudice costituzionale. Contro il blitz le opposizioni non partecipano. Per arrivare a quota 363 servono i voti di Svp e nessun assente nella maggioranza
Roma, udienza dei giudici della Corte Costituzionale – Riccardo Antimiani /Ansa
Per Giorgia Meloni non sarà facile raggiungere l’obiettivo di 363 oggi, quando le camere riunite proveranno a eleggere un giudice della Corte costituzionale.
LA PREMIER HA improvvisamente fretta, anche se quel posto è vacante da ormai un anno nell’indifferenza della stessa maggioranza: vuole portare alla Consulta Francesco Saverio Marini, suo consigliere giuridico e padre della riforma sul premierato. E vuole farlo subito, prima che il 12 novembre la Corte si pronunci sui ricorsi di 4 regioni contro l’autonomia leghista. È anche uno stress test a cui vuole sottoporre la maggioranza alla vigilia della manovra: sulla carta i voti disponibili sono 355, per arrivare a 363 servono i 6 delle autonomie (i 4 della Svp sono i più probabili), più quelli dei vari parlamentari passati nelle fila della maggioranza, a partire da Enrico Costa, Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace da poco fuoriusciti da Azione.
MELONI SEMBRA CREDERE alla possibilità del «blitz», come l’ha definito Elly Schlein. Di qui i messaggi mandati la settimana scorsa dai suoi capiogruppo a tutti i parlamentari, in cui si chiede «tassativamente» la presenza in aula oggi alle 12.30. Messaggi mandati nella chat dei parlamentari Fdi, ma resi noti ai media, con la caccia alla «talpa» che è subito partita. Tanto che venerdì scorso Meloni si è sfogata sulla stessa chat: «Io alla fine mollerò per questo. Perché fare sta vita per eleggere sta gente anche no». E ancora: «L’infamia di pochi alla fine mi costringe a non avere più rapporti con i gruppi. Molto sconfortante davvero».
IN ATTESA CHE Meloni scopra la talpa, le opposizioni si preparano alla battaglia. La decisione presa da Pd, M5S, Avs e Iv è di non partecipare al voto, che è segreto, per evitare che qualche aiutino attivi al centrodestra. Visto che questa settimana si voterà in Vigilanza anche per la conferma della presidente Simona Agnes indicata da Fi, la scelta condivisa dalle opposizioni è di restare fuori dall’aula in entrambe le occasioni. Nessuno, a partire dal M5S, ha voglia di essere accusato di intelligenza col nemico. E se sulla Rai le opinioni tra Pd e M5S divergono, sulla Consulta è condivisa l’idea che la destra voglia strafare, scegliendosi un giudice troppo vicino a palazzo Chigi. «La destra esplicita la volontà, che non ha precedenti, di provare a consumare un colpo di mano sulla nomina di un giudice costituzionale», attacca il dem Dario Parrini. «Si è inevitabilmente indotti a pensare che il governo sia all’affannosa ricerca di scorciatoie per fermare il referendum sull’autonomia da cui è ogni giorno sempre più spaventato». «La premier non può trattare la Corte Costituzionale come se fosse di sua proprietà», rincara Angelo Bonelli dei Verdi. «È fondamentale che ci sia un confronto e, per questo, le rivolgo l’invito ad aprire un dialogo con le opposizioni».
I VARI PARTITI della destra oggi voteranno per Marini usando una formula diversa, in modo da contarsi. Senza i 4 voti di Svp il traguardo appare lontano, e dunque nelle ultime ore il pressing sui sud tirolesi (Fdi fa parte della maggioranza in Provincia a Bolzano insieme a Svp) si è fatto fortissimo. Tra le opposizioni il più scettico sulla scelta dell’Aventino è Calenda: i suoi 12 voti sarebbero preziosissimi per la destra. «Quello che non volevo fare è la figura degli imbecilli come l’altra volta sulla Rai», dice Calenda. «Penso che non si possa andare avanti continuamente sull’Aventino. Capisco la difficoltà perché la maggioranza non ha grande voglia di ascoltare, ma bisogna insistere. Ci sentiremo con le altre opposizioni e cercheremo una posizione comune». Non è detto che oggi tutte le minoranze faranno gioco di squadra. Per la premier il rischio di un buco nell’acqua resta alto: e sarebbe un boomerang molto pesante
Commenta (0 Commenti)Un anno dopo Le cerimonie per ricordare le 1200 vittime dell’attacco di Hamas: da un lato il governo, dall’altro le famiglie degli ostaggi. Polemiche contro il primo ministro che non ha saputo riportare a casa gli ostaggi. A Tel Aviv la rabbia di chi è deluso per il mancato accordo sullo scambio di prigionieri con Hamas
Persone si abbracciano tra le macerie del Kibbutz Be'eri durante il primo anniversario dall’attacco di Hamas – Ap
Nel giorno che descrive come il suo Olocausto, in cui nelle grandi città come nelle piccole comunità si sono svolte cerimonie e riti religiosi in memoria dei circa 1200 soldati e civili rimasti uccisi il 7 ottobre 2023 nell’attacco di Hamas, Israele si scopre diviso. Non è bastato a nasconderlo provare a far emergere solo il dolore e il cordoglio della nazione per quanto è accaduto un anno fa. Il governo e le autorità locali hanno tenuto le loro iniziative, in forme più contenute rispetto a quelle progettate inizialmente dalla ministra Miri Regev. Invece le famiglie degli ostaggi e delle vittime, i kibbutz ed i centri colpiti dall’attacco, hanno scelto un’altra strada e di riunirsi ieri sera al parco Yarkon di Tel Aviv.
Con l’aiuto di tre schermi giganti, familiari in lutto, sfollati e parenti degli ostaggi in video registrati hanno raccontato il loro 7 ottobre. Tanti fra il pubblico indossavano magliette con la scritta «Bring Them Home» o con i volti degli ostaggi vivi e morti.
Inevitabile, è riaffiorata la polemica con il premier Netanyahu che non ha mai davvero scelto la strada dell’accordo di tregua con Hamas e di uno scambio di prigionieri. Rafi Ben Shitrit, il cui figlio, Shimon, è stato ucciso il 7 ottobre, è intervenuto per chiedere che una commissione d’inchiesta faccia subito luce su quanto accaduto un anno fa e porti alla luce tutte le responsabilità. Netanyahu ha resistito sino ad oggi. Afferma che qualsiasi indagine deve attendere la fine della guerra. Un modo per evitare che l’inchiesta possa riflettersi negativamente su di lui. «Chiedo da questo palco la formazione di una commissione d’inchiesta statale, per indagare in modo approfondito ed esteso sul disastro del 7 ottobre», ha esortato Ben Shitrit. Il pubblico, rimasto in silenzio per tutta la cerimonia, è esploso in un applauso.
A Reim ieri, sul luogo del festival musicale Nova, dove secondo le autorità israeliane gli uomini di Hamas uccisero oltre 300 persone e sequestrarono una parte dei circa 250 israeliani presi in ostaggio, il capo dello stato Haim Herzog ha cercato di ricucire lo strappo tra lo Stato e chi è deluso e arrabbiato per il mancato accordo per uno scambio di prigionieri con Hamas. E anche per l’immunità che, credono in tanti, il primo ministro sta provando a costruirsi con la sua guerra infinita.
La folla a Reim ha dato il via alle cerimonie con un minuto di silenzio alle 6.29, ora di inizio dell’attacco del movimento islamista palestinese. Nello stesso momento a Gerusalemme, nei pressi della residenza di Netanyahu, circa 400 persone, guidate dalle famiglie degli ostaggi, hanno osservato anche loro un minuto di silenzio per i morti, mentre suonava una sirena. «Volevamo iniziare questa giornata insieme per ricordare a noi stessi, al primo ministro e al popolo israeliano che, anche se è un giorno di dolore, esiste ancora una sacra missione: riportare indietro gli ostaggi», ha ricordato Yuval Baron, il cui suocero Keith Siegel è tenuto in ostaggio.
Netanyahu ieri ha ripetuto che il suo impegno è liberare gli ostaggi, ma i detrattori dicono che a occupare i suoi pensieri è la crociata che ha avviato per sconvolgere gli equilibri mediorientali e garantire a Israele l’egemonia regionale a danno dell’Iran. «Siamo stati colpiti duramente, ma ci siamo rialzati come leoni» ha detto il primo ministro e leader della destra religiosa partecipando a una commemorazione di cittadini israeliani di Gerusalemme uccisi nell’ultimo anno. A quanto pare ha un nuovo nome per l’operazione «Spade di ferro» cominciata il 7 ottobre contro Gaza e ora in tutto il Medio oriente. Si chiamerà «Guerra della resurrezione», ha rivelato la Cnn.
Netanyahu parla di «guerra della resurrezione per garantire che non accada mai più»
Questa, ha detto Netanyahu durante la riunione del governo, è «la Guerra della resurrezione per garantire che il 7 ottobre non accada mai più. Questa è una guerra per la nostra
Leggi tutto: Il 7 ottobre che divide Israele - di Michele Giorgio GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)Alcuni gruppi di opposizione faentini hanno attaccato nei giorni scorsi Massimo Bosi candidato del Movimento 5 Stelle alla Regione, assessore comunale a Faenza con deleghe a legalità e sicurezza, Polizia municipale, Protezione civile, trasparenza, parchi e spazi verdi, diritti degli animali. Un attacco legato alle vicende dell’emergenza maltempo e al ruolo che vi avrebbe avuto Bosi, giudicato dagli oppositori inadeguato e senza titoli appropriati.
In difesa dell’operato di Massimo Bosi sono intervenuti sia il sindaco Massimo Isola sia il M5S.
“Non mi risulta che per certi ruoli occorra una laurea specifica e che alla nomina di Massimo Bosi come assessore qualcuno abbia avuto obiezioni sul suo curriculum. – ha dichiarato il sindaco Isola – Parlare ora, a seguito di eventi straordinari a cui nessuno poteva essere preparato, sa solo di speculazione e di attacco gratuito, confondendo tra l’altro ruoli politici con quelli tecnici. Non si capisce neppure quali siano i fatti specifici contestati. La delega alla protezione civile è principalmente di coordinamento di ruoli tecnici e l’assessore Bosi, anche nelle fasi più delicate, ha ricoperto il proprio ruolo con capacità e grande abnegazione. Le emergenze, inoltre, sono state gestite dalla Giunta in modo collegiale e ogni decisione è sempre stata condivisa da tutti. Il tentativo di delegittimare il lavoro dell’assessore Bosi è perciò chiaramente strumentale.”
In risposta agli attacchi provenienti da alcune forze politiche di minoranza nei confronti dell’assessore Massimo Bosi, il senatore e coordinatore regionale pentastellato Marco Croatti e il coordinatore M5S dell’Emilia-Romagna Gabriele Lanzi intervengono con una nota congiunta.
“I partiti di minoranza di destra di Faenza dovrebbero vergognarsi per lo squallido attacco all’assessore Massimo Bosi che a Faenza svolge il suo incarico politico con grande capacità, passione, dedizione, integrità. Tutte caratteristiche che evidentemente i partiti di destra non sono in grado di riconoscere, considerando quanti incapaci riescano a piazzare, da sempre, in posti di responsabilità. Fa addirittura sorridere che, confondendo ruoli tecnici e ruoli politici, pretendano titoli di studio legati alle deleghe politiche mentre i loro maggiori rappresentanti nazionali guidano il nostro Paese con semplici diplomi e senza aver mai svolto in vita loro un solo giorno di lavoro fuori dalla politica, come ad esempio il caso di Salvini che con un diploma di liceo classico ricopre l’incarico di ministro dei trasporti, vicepresidente del Consiglio ed è stato ministro dell’Interno. Non abbiamo mai attaccato Salvini e Meloni per mancanza di titoli di studio ma perché sono incapaci e inadatti politicamente. Questa è la cosa che davvero è importante in politica: essere in grado di svolgere il proprio compito con competenza e capacità. Gli attacchi all’assessore Bosi non sono di natura politica, sono squallidi attacchi personali, strumentali e pretestuosi”. Così il M5S.
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Il presidente dell'Ordine dei Geologi dell’Emilia–Romagna interviene sul caso della falla sull'argine: "La ricostruzione della nostra Romagna non è facile, arriva l’autunno, arrivano le piogge e i cantieri, quando si lavora nel movimento terra, vanno in difficoltà"
lavori di ripristino dopo la falla sull'argine di Traversara
"Dal maggio 2023 la Romagna è come un vascello in un mare in tempesta. Generalmente in una nave, quando si deve affrontare una tempesta, tutti remano nella stessa direzione, tutti concorrono ad azioni che possano mettere in salvo la nave. Purtroppo, qui sta succedendo il contrario, mi riferisco alle polemiche conseguenti ai fatti di Traversara, dove la tracimazione di settembre provocò il collasso dell’argine, le case distrutte, un paese in ginocchio, i singoli giudizi di quanto accaduto a secondo della propria convinzione”. Lo ha affermato il geologo Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia – Romagna, oggi sui luoghi colpiti dai nuovi eventi calamitosi, con la falla del Lamone che ha causato nuovi allagamenti proprio a Traversara.
“L’impegnativa ricostruzione dell’argine è avvenuta in coincidenza di un evento di piena che ha causato una trafilatura con la conseguente fuoriuscita di acqua da un argine appena abbozzato, ed ecco di nuovo le polemiche - prosegue Antolini - Da tecnico, da libero professionista so quanto sia difficile l’operazione di ricostruzione di un argine con la piena incombente. La ricostruzione della nostra Romagna non è facile, arriva l’autunno, arrivano le piogge e i cantieri, quando si lavora nel movimento terra, vanno in difficoltà, che siano argini che siano frane”.
La dichiarazione del presidente La France Insoumise: «Finalmente, ma basta proclami privi di effetto»
Il corteo pro-Pal di Parigi foto di Christophe Michel/Abacapress.com
«La priorità oggi è di ritornare a una soluzione politica, di smettere di consegnare le armi destinate ai combattimenti a Gaza», ha detto il presidente della Repubblica Emmanuel Macron alla radio pubblica France Inter, in un’intervista realizzata martedì sera ma diffusa ieri.
«La Francia non consegna armi» a Israele, ha precisato Macron alla radio, malgrado le inchieste giornalistiche e le accuse da parte di numerose Ong hanno documentato il contrario. Lo scorso marzo, infatti, un’inchiesta del media Disclose aveva rivelato che «la Francia ha autorizzato alla fine del mese di ottobre 2023, la consegna a Israele di almeno 100.000 componenti di munizioni per fucili mitragliatori suscettibili di essere impiegati a Gaza contro i civili».
Dopo la pubblicazione dell’intervista su France Inter, l’Eliseo ha precisato al canale all-news Bfmtv che la Francia continuerà in ogni caso a esportare verso Israele i componenti necessari alla difesa dello Stato ebraico, in particolare quelli impiegati dal sistema anti-missile Iron dome.
Per l’inquilino dell’Eliseo, la priorità è di «evitare l’escalation» proprio mentre l’esercito israeliano invade il Libano e bombarda Beirut. «Il popolo libanese non può essere sacrificato a sua volta», ha detto Macron, «il Libano non può divenire una nuova Gaza». La Francia, ha annunciato il presidente, organizzerà a ottobre una Conferenza internazionale a sostegno del Libano.
La formula utilizzata da Macron non è priva di ambiguità, ma colpisce perché, finora, la diplomazia francese si era mostrata restia a prese di posizione simili nei confronti di Israele. Per questo, nella piazza parigina dove si svolgeva una manifestazione in solidarietà con il Libano e con la Palestina, le dichiarazioni del presidente sono state accolte con un certo scetticismo.
«Macron mente, e non sarebbe la prima volta» ha detto Omar Alsoumi, uno dei fondatori del collettivo Urgence Palestine e tra gli organizzatori della manifestazione. «Vi sarebbero molte ragioni per contestare la legittimità di Macron», ha proseguito Alsoumi, «il fatto che – come gli ha detto una donna palestinese durante la sua visita in Canada – non sia capace di fermare il proprio alleato è una di queste».
Il 26 settembre scorso, Macron era stato accusato di «avere del sangue sulle mani» da dei contestatori durante una conferenza stampa col premier canadese Justin Trudeau a Montreal. Accuse echeggiate nella manifestazione di ieri da numerosi poster col viso del presidente e la scritta: «complice», appesi un po’ ovunque lungo il percorso.
Avvolta in una bandiera libanese e con in testa una kefiah rossa, Mariane si è detta invece più ottimista. «È un po’ tardi, ma spero sia vero, sarebbe una buona cosa», ha detto, rispetto alle dichiarazioni di Macron. Questa giovane lavoratrice dello spettacolo libanese è originaria di Nabatiye, una città nel sud del paese che già da mesi subisce i bombardamenti israeliani. «La mia famiglia è ancora là, stiamo cercando di farli uscire dal paese, io ora sono bloccata qua», dice.
Alla manifestazione erano presenti anche alcuni sindacati – come la Cgt e Solidaires – e degli esponenti de La France Insoumise, tra i quali Jean-Luc Mélenchon e il presidente insoumis della commissione finanze della Camera, Eric Coquerel.
Per i partiti del Nuovo Fronte Popolare, le parole del presidente della Repubblica sono positive, seppur tardive: «Finalmente, e tanto meglio», ha commentato per esempio il segretario dei socialisti Olivier Faure su X.
«Bisogna smettere di inviare armi a Israele come diciamo da mesi», ha detto dal canto suo il coordinatore di Lfi Manuel Bompard, per il quale tuttavia «contano solo gli atti» e non «le frasi prive di effetti»
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