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L'intervista Il giudice di Torino: «Perché lo fanno? Il motivo mi sfugge, ma è molto probabile che qualsiasi giudice arriverà alle stesse conclusioni alle quali si è arrivati nelle ultime settimane»

Andrea Natale Andrea Natale

Andrea Natale, giudice a Torino e membro dell’esecutivo di Magistratura democratica, sembra quasi che con questo trasferimento di competenze alle Corti d’appello la destra voglia fare un favore a voi giudici delle sezioni immigrazione, lasciandovi senza lavoro…
In realtà non è così, alle sezioni specializzate resterebbero comunque tutte le procedure classiche di protezione internazionale, che sono comunque parecchie. Con i due provvedimenti ora all’esame del parlamento, alle Corti d’appello verranno attribuite nuove competenze in materia di convalida dei trattenimenti e in materia di reclamo contro le decisioni dei tribunali sulla sospensione degli ordini di allontanamento accessori ai dinieghi di protezione internazionale deliberati in sede amministrativa.

Lì il carico di lavoro aumenterà.
Soprattutto sulle Corti d’appello interessate dalle procedure accelerate di frontiera rischia di abbattersi un vero e proprio tsunami. L’emendamento, che ho letto solo in bozza, mi sembra decisamente irrazionale sotto più profili.

Perché?
Per vari ordini di motivi. Il sistema giudiziario ha investito molto per formare i magistrati delle sezioni specializzate. Si tratta di un lavoro che richiede competenze nella raccolta e nella valutazione delle informazioni sui paesi di origine, oltre che nella conoscenza di un corpo normativo in cui si stratificano fonti sovranazionali e fonti interne. Per orientarsi in questa materia serve tempo e non ci si può improvvisare. Certo, in prospettiva, i giudici d’appello diventeranno bravissimi, ma fare dall’oggi al domani questo intervento su una materia così tecnica mi pare davvero molto poco razionale. A questo bisogna aggiungere che così vanno sprecate le competenze e gli sforzi organizzativi profusi negli anni dai tribunali di primo grado. E poi c’è l’aspetto degli obiettivi del Pnrr legati allo smaltimento degli arretrati. Le Corti d’appello, con un enorme sforzo organizzativo, stavano avvicinandosi alla meta. Adesso invece si tornerà indietro.
Per quale motivo secondo lei stanno cercando di esautorare così le sezioni specializzate?

Non voglio avventurarmi in dietrologie, quindi mi limito a rispondere che questo motivo, a me, sfugge. Peraltro, insomma, è molto probabile che qualsiasi giudice che si trovi ad applicare le norme sovranazionali e costituzionali arrivi alle stesse conclusioni alle quali si è arrivati nelle ultime settimane.

Prima il tentativo di forzare la mano, per così dire, era arrivato con il cosiddetto decreto sui paesi sicuri.
Hanno codificato l’elenco dei paesi sicuri dandogli forza di legge, forse, nel tentativo di sottrarre alla possibilità di sindacato del giudice la valutazione fatta dal legislatore. Questo è oggetto di un quesito specifico fatto dai tribunali di Bologna, Roma e Palermo alla Corte di giustizia Ue. Ma credo che il cambio di fonte non possa mutare il risultato. Poi la primazia del diritto Ue consente al giudice che ritenga non sicuro il paese di origine, non per capriccio ma all’esito di una valutazione giudiziaria, di disapplicare anche le norme di legge.

Ci sono anche altri aspetti discutibili.
Sì, diversi. Sono stati espunti dalla lista dei paesi non sicuri, e va bene, ma lo hanno fatto sulla base delle stesse informazioni che c’erano prima, a conferma di quanto siano poco solide le basi dell’intervento.

Vengono dunque attribuite nuove competenze alla Corte d’appello. È un ritorno a quanto accadeva prima della Minniti-Orlando?
Non direi. Dipende dall’andamento dei lavori parlamentari, con la quasi inedita sovrapposizione di due decreti legge a distanza di poche settimane. Nella versione originaria del decreto paesi sicuri vi sarebbe un sostanziale ritorno a quel sistema. Con l’emendamento di cui si discute verrebbe attribuita alla Corte di appello la competenza in materia di reclamo sulle decisioni cautelari dei tribunali.

In che senso?
Cerco di essere più chiaro: la regola è quella per cui in caso di diniego di protezione internazionale, un eventuale ricorso ha efficacia sospensiva, che impedisce il rimpatrio. In alcuni casi, come per esempio, quelli di chi proviene da un paese sicuro, l’eventuale ricorso è esecutivo e non c’è effetto sospensivo automatico. Qui i tribunali, per gravi motivi, possono disporre o non disporre la sospensione dell’ordine di allontanamento in pendenza della decisione sulla richiesta di protezione internazionale. Ed è questa decisione che con il decreto paesi sicuri diventa reclamabile. Con un distinguo importante, però. Ora il reclamo non sospenderà l’efficacia esecutiva dell’eventuale diniego. Mi sembra un altro aspetto problematico: con un diniego in sede cautelare, si rischia di espellere un richiedente asilo al quale poi magari il giudizio di merito darà ragione. In pratica: è sicuro l’aggravio di lavoro per le Corti di appello, ma non aumentano le garanzie per il richiedente.