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"L'attacco alla Cisgiordania, condannato dall'ONU per violazione del diritto internazionale, è una unilaterale espansione della guerra da parte del governo israeliano che contribuisce a rendere sempre più esplosiva la polveriera del Medio Oriente e accresce ancor di più la tensione internazionale; ma rivela anche la volontà delle forze politiche israeliane più fanatiche di annettere progressivamente l'intera regione, già occupata dagli insediamenti, dichiarati illegali dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aja, di centinaia di migliaia di coloni israeliani.

L'aggressione alla Cisgiordania da parte del governo Netanyahu si aggiunge al massacro in corso da otto mesi a Gaza, nella sostanziale inerzia della comunità internazionale, e al costante rifiuto di dar vita ad una tregua.

Questa politica bellicista ed espansionista, oltre a causare una ininterrotta strage di palestinesi, è la palese negazione della possibilità di dar vita allo Stato di Palestina e rappresenta un pericolo gravissimo per la sicurezza della stessa Israele perché, aggravando l'odio e il risentimento nei suoi confronti da parte della popolazione palestinese, alimenterà ulteriormente la spirale del terrore.

Chiediamo che il governo italiano, in coerenza con le sue dichiarazioni a favore di dar vita a due popoli in due Stati, condanni l'aggressione in corso, richieda con forza il ritiro dell'esercito israeliano dalla Cisgiordania e un immediato cessate il fuoco a Gaza, e riconosca lo Stato palestinese".

La Segreteria Nazionale ANPI

Il governo Meloni prepara la manovra, tra le promesse elettorali e i vincoli della Ue. Cgil: se necessario sarà mobilitazione. I punti principali 

 

Il governo Meloni si avvicina a una delle sfide più complicate, che rischia di mostrare davvero la sua natura e la reale competenza, oltre la retorica diffusa puntualmente dai membri della maggioranza: la sfida si chiama legge di bilancio

Scadenza 20 settembre

La scadenza per la presentazione della manovra è fissata entro il 20 settembre, data in cui l’esecutivo dovrà rispondere non solo alle nuove direttive di stabilità decise dall'Unione europea, ma anche ovviamente alle aspettative delle cittadine e dei cittadini italiani.

La legge sarà un banco di prova decisivo per verificare la capacità di mantenere le promesse della campagna elettorale, allo stesso tempo rispettando i vincoli economici europei che non si toccano. Alla prova, dunque, c’è l'equilibrio tra politica fiscale e obiettivi di crescita. Con un’ombra che si allunga sulla manovra: quella dell’austerità, un ritorno al passato che non sarebbe in alcun modo tollerabile.

Le misure chiave

Tra le questioni più urgenti che il governo dovrà affrontare, spiccano alcune misure economiche chiave che pesano particolarmente sul bilancio dello Stato. Le ha ricostruite nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore, facendo il punto sui provvedimenti allo studi. Gli interventi, che scadranno a dicembre 2024, includono il taglio al cuneo fiscale e la riduzione dell'Irpef: provvedimenti che, combinati, rappresentano un costo significativo di circa 14 miliardi di euro.

Il taglio al cuneo fiscale e la riduzione dell’Irpef, sostiene il governo, sono state misure fondamentali per il sostegno al reddito e la competitività delle imprese. Tuttavia, il loro rinnovo e potenziamento per il 2025 non sarà facile e bisogna trovare le risorse necessarie, che non possono pesare sulle fasce deboli.

Il libro delle promesse

In generale, sono molte le promesse del governo legate alla prossima legge: tra queste c’è la riduzione delle tasse al ceto medio, legata concordato Irpef, il superbonus al 120% per favorire l’occupazione, sul fronte del fringe benefit la spinta al welfare aziendale per far fronte alle spese delle persone.

C’è poi sul tavolo la famigerata carta anti-povertà, dal titolo retorico “Dedicata a te”, ormai da molte parti definita come poco più di elemosina; anche qui occorre capire dove andrà a finire per il 2025. Infine, l’esecutivo ha paventato il taglio del canone Rai annuo per una cifra intorno ai 430 milioni. 

Il nodo delle pensioni

Il tema delle pensioni rappresenta un altro punto di tensione all'interno della maggioranza. Qui le divisioni si fanno palesi: la Lega spinge per un'uscita anticipata dal mondo del lavoro, attraverso una versione più flessibile di Quota 41, che – sempre nelle intenzioni - permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi. La proposta, a quanto si apprende, non è condivisa dalla premier Meloni, che appare più cauta su questo fronte.

L’altra componente di governo, Forza Italia propone un aumento delle pensioni minime, senza specificare quanto e come verrà trovato il finanziamento. Proposte divergenti, quindi, che mettono in luce le difficoltà del governo nel trovare una linea comune su un tema tanto delicato come quello previdenziale.

Esecutivo al bivio

Una cosa è certa: guardando al futuro, il governo Meloni dovrà fare i conti con una serie di decisioni difficili. Da un lato, vi è la necessità di trovare le risorse per prorogare o migliorare le misure a sostegno di lavoratori e famiglie, se sarà in grado di farlo; dall’altro c'è il rischio di dover affrontare tagli o sacrifici per rispettare i vincoli europei. La “sfida” è proprio trovare un equilibrio tra queste istanze, che non può essere lacrime e sangue. Le prossime settimane saranno cruciali per definire il futuro economico del Paese.

Cgil: mai ritorno all’austerità

Da parte sua, la Cgil ha già espresso con forza  la propria opposizione a qualsiasi ritorno all'austerità, manifestando preoccupazioni sulle possibili conseguenze sociali delle scelte di bilancio. Pochi giorni fa, il segretario confederale Christian Ferrari ha ribadito la necessità di trovare risorse attraverso un aumento della tassazione sui redditi più elevati, la tassazione delle rendite finanziarie e una lotta più incisiva contro l’evasione fiscale. 

Se necessario sarà mobilitazione

“Chiediamo la conferma della decontribuzione – ha detto –: le buste paga sono già stata falcidiate dall’inflazione, il rischio è che milioni di lavoratori si trovino con 70-100 euro in meno al mese. Siamo in attesa – infine – di capire come il governo lavorerà alla legge di bilancio: chiediamo di agire con la leva fiscale per la redistribuzione, non è accettabile che la stretta del patto di stabilità sia pagata dai ceti medio bassi”. Se sarà necessario, il sindacato è pronto a mobilitarsi per evitare che le fasce più deboli della popolazione siano colpite da tagli o riduzioni di spesa

La petizione. Lo scorso 25 giugno l’Associazione Migrare ha lanciato su change.org una petizione per l’abolizione della Legge Bossi-Fini n. 189-2002 alla quale hanno sin qui aderito, tra gli altri quasi 2.000 […]

Non c’è ius scholae che tenga: la Legge Bossi-Fini va abolita

 

Lo scorso 25 giugno l’Associazione Migrare ha lanciato su change.org una petizione per l’abolizione della Legge Bossi-Fini n. 189-2002 alla quale hanno sin qui aderito, tra gli altri quasi 2.000 firmatari: Roberto Speranza, Arturo Scotto, Gennaro Migliore, Mario Morcone, Maria Cuffaro, Gianni Pittella, Corradino Mineo, Enzo Nucci, Vincenzo Vita, Massimo Cacciari, Nicola Fratoianni, Michele Santoro, Pietro Grasso, Lia Quartapelle, Angela Caponnetto, Giuseppe Rossodivita, Sergio Elia. Da ultimo hanno aderito anche il Vescovo Mons. Giorgio Bertin, Nichi Vendola e Rosa D’Amato.

Queste nuove adesioni, unitamente alle recenti aperture dei figli di Silvio Berlusconi e di Forza Italia per i diritti civili e per lo ius scholae – temi già cari al centrosinistra – dimostrano quanto sia ampia e trasversale la convergenza socio-culturale su questi argomenti e l’inclusione nella nostra società.
Ben venga, quindi, l’adesione al principio dello ius scholae quale primo passo verso l’accettazione dello straniero ed i benefici economici e culturali che ne possono derivare per l’Italia, ma occorre sottolineare l’incompatibilità sostanziale tra lo ius scholae e la Legge Bossi-Fini.

Non basta, infatti, che l’art. 45 del D.P.R. 394/1999 consenta al minore irregolare di essere iscritto ad una scuola italiana o proseguire gli studi “con riserva” perché, di fatto, l’irregolarità della permanenza in Italia dei genitori incide sulla possibilità di avere una casa, servizi igienici adeguati, mezzi di sostentamento, un lavoro e uno stipendio regolari. Cioè, tutti quegli elementi essenziali alla frequentazione scolastica.

Del resto, le famiglie che si formano sul territorio, sono ancora in massima parte composte da prime generazioni di immigrati e sono quindi prive di quella rete sociale dei nonni, amici e parenti che costituiscono da sempre gli ammortizzatori sociali per le famiglie in difficoltà.

Il nodo fondamentale è costituito dal circolo vizioso innescato dalla Legge Bossi-Fini che àncora il rinnovo del permesso di soggiorno alla sussistenza del posto di lavoro sicché, perdendosi il posto di lavoro, si perde anche il permesso di soggiorno e, senza il permesso di soggiorno, non si può trovare un lavoro regolare, finendo con l’alimentare il caporalato, il lavoro nero, lo sfruttamento quando non la criminalità anche organizzata.

Invitiamo le istituzioni parlamentari a riformare la legge sulla cittadinanza e procedere all’abolizione della Legge Bossi-Fini.

Firma sulla piattaforma change.org la petizione dell’Associazione Migrare per l’abolizione della Legge Bossi-Fini

Ecco quanti sono i minori che beneficerebbero del provvedimento e quali sono le diverse opzioni sul campo, in Italia e in Europa

Ius Scholae dati

 

Quasi un milione, precisamente 894.624 mila. Numeri sì, ma soprattutto persone e, nello specifico, il dato numerico indica quanti sono gli studenti con cittadinanza non italiana nelle classi delle scuole del nostro Paese. Nostro e loro, perché - come canta Ghali - “tvb cara Italia” lo pensano anche loro. Ad oggi etichettati come stranieri, ogni mattina si alzano prendendo il loro zaino sulle spalle, escono e raggiungono i portoni delle scuole insieme ai nostri figli e alle nostre figlie, loro sì italiani per legge.

 

I dati

 

Dati studenti con cittadinanza non italiana a.s. 2022/23 - fonte MIM

I dati sono disponibili sul sito del ministero dell’Istruzione e del Merito e fanno riferimento all’anno scolastico 2022/2023. Sono 894.624 mila dicevamo su tutto il territorio e, nello specifico, il 38,3 per cento vive nel Nord Ovest, il 25,9 per cento nel Nord Est, il 22,2 al Centro mentre al Sud sono il 9,7 per cento e nelle Isole il 3,9.

 
Tabella studenti con cittadinanza non italiana a.s. 2022/23 - fonte MIM

Lo studio di Tuttoscuola

Partendo da questi dati, e andando a incastrarli con quanto prevederebbe una nuova legge sulla Cittadinanza secondo il principio dello Ius scholaeTuttoscuola ha analizzato i dati e ha fatto una proiezione di quanti potrebbero essere gli alunni coinvolti nell’arco di un quinquennio.

La stima varia nell’ipotesi che sia considerato sufficiente un ciclo di 5 anni (coincidente di fatto con la scuola primaria) o se lo Ius scholae venga riconosciuto a chi ha frequentato l’intero primo ciclo del sistema di istruzione italiano, fino alla terza media. Tuttoscuola ha considerato questa seconda ipotesi. Vediamolo nel dettaglio.

 

L’ipotesi per il primo anno

Gli studenti – specificano dalla testata dedicata al mondo della scuola - che potrebbero avvalersi dello Ius scholae per il primo anno sarebbero quelli iscritti in terza media (ultimo anno del primo ciclo) delle statali e delle paritarie, più quelli iscritti alle superiori (che avrebbero alle spalle già il primo ciclo e beneficerebbero "a ritroso" della ipotizzata nuova norma), e infine gli iscritti ai percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) gestiti dalle Regioni.

In base ai dati dell’anno scolastico 2022-23, su circa 550mila alunni iscritti all’ultimo anno della scuola secondaria di I grado, cioè al termine del primo ciclo di istruzione (che comprende la scuola primaria e la media), gli alunni stranieri erano quasi 55mila – scrive ancora Tuttoscuola - Si può stimare, quindi, che per questo primo gruppo sia questo il numero di stranieri che raggiungerebbero i requisiti per beneficiare dello Ius scholae per il conseguimento della cittadinanza italiana.

Ma nel primo anno di entrata in vigore della ipotizzata norma sullo Ius scholae anche gli studenti stranieri della secondaria di II grado potrebbero vantare il possesso del requisito di frequenza dei due cicli scolastici (scuola primaria e media) conseguito negli anni precedenti. Sono 217.614 studenti di istituti statali e 4.533 di istituti paritari in quella condizione, per un totale complessivo di 222.147 studenti stranieri che vanno ad aggiungersi ai 54.919 del terzo anno di scuola secondaria di I grado, specificano.

Il riepilogo complessivo (iscritti alla terza media e alle superiori) fatto da Tuttoscuola per aree territoriali dei dati relativi a tutti gli studenti stranieri, che al 2022-23 avevano alle spalle due cicli scolastici, fornisce questo quadro sintetico: 5 nuovi concittadini italiani su 6 vivrebbero al centro e al nord (e meno del 15% nel meridione).

Vanno infine considerati anche i corsi IeFP (Istruzione e Formazione Professionale) gestiti dalle Regioni, che accolgono gli alunni dopo la scuola media, e registrano molti iscritti di nazionalità straniera. Si può stimare – sempre secondo l’analisi di Tuttoscuola - che complessivamente accolgano circa 35mila giovani stranieri, che si aggiungerebbero quindi a quelli iscritti a scuola.

Pertanto nel primo anno di applicazione sarebbero circa 310 mila i ragazzi a beneficiare del provvedimento.

La proiezione per il prossimo quinquennio

Considerando invece ulteriori quattro annualità, specificano nello studio citato, dei 262 mila iscritti tra quarta primaria e seconda media si può stimare che una piccola parte non raggiunga per vari motivi la terza media (hanno ipotizzato il 5%). Si arriva così a 249 mila alunni che raggiungerebbero in questo arco di tempo il traguardo della licenza media e quindi della cittadinanza italiana grazie nello scenario ipotizzato.

Nel quadriennio successivo acquisirebbero quindi i requisiti per ottenere la cittadinanza in base allo Ius scholae – concludono da Tuttoscuola - altri 250 mila alunni stranieri circa, che si aggiungerebbero ai 310 mila circa del primo anno di applicazione.

In totale nel quinquennio i "nuovi italiani" grazie all’ipotizzata misura sarebbero circa 560 mila. Dal momento che gli alunni stranieri in totale sono oggi 935 mila, sei su dieci raggiungerebbero la cittadinanza italiana grazie allo Ius scholae nei primi cinque anni di applicazione.

Cos’è lo Ius scholae

L’attuale legge sulla Cittadinanza, la 91 del 1992, si fonda sul principio dello Ius sanguinis, ovvero il diritto di sangue: ha diritto alla cittadinanza italiana chi nasce da almeno un genitore italiano. Va da sé che quindi chi nasce in Italia da genitori stranieri non acquisisce automaticamente la cittadinanza. Attualmente i minori stranieri nati in Italia possono diventare cittadini dello Stivale solo se risiedono legalmente - e senza interruzioni - nel nostro Paese fino al raggiungimento della maggiore età, presentando richiesta entro un anno dal compimento del diciottesimo compleanno. Per chi invece è arrivato in Italia da piccolo, una volta maggiorenne, può chiedere la cittadinanza se ha raggiunto i dieci anni di residenza regolare ininterrotta e può dimostrare un certo livello di reddito, oltre ad altri requisiti alloggiativi, linguistici e di carattere sociale.

Lo ius scholae, tornato in questi giorni nel dibattito politico, prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana per i minorenni stranieri nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni che abbiano risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia, e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio nel nostro Paese, in uno o più cicli scolastici.

Cos’è lo Ius soli

Il principio dello Ius soli (dal latino suolo) prevede invece che la cittadinanza sia acquisita se nati in territorio italiano. Nel nostro paese questo diritto spetta solo ed esclusivamente per i figli di genitori ignoti, apolidi e per i figli di genitori stranieri che, secondo le leggi dello Stato di appartenenza, non possono trasmettere loro la cittadinanza.

Cos’è lo Ius culturae

Secondo il principio dello Ius culturae gli stranieri minori potrebbero acquisire la cittadinanza del Paese in cui sono nati e in cui vivono, a patto che ne abbiano frequentato le scuole o vi abbiano compiuto percorsi formativi equivalenti per un determinato numero di anni.

Come funziona in Europa

Save the children, in un articolo di approfondimento sul tema, ha fornito uno schema sintetico di cosa accade fuori dai confini nazionali ma all’interno dell’Unione Europea. Ecco le differenze tra i Paesi presi in esame:

La Polonia, ad esempio, richiede 3 anni di residenza, mentre solo ItaliaSlovenia, Austria, Lituania e Spagna prevedono un requisito di 10 anni. Sono molti Stati europei adottano il principio dello Ius soli condizionato, con diverse sfumature.

Lo Ius soli temperato dalla residenza regolare dei genitori è previsto in Belgio (i genitori devono essere residenti da almeno 10 anni), Germania (8 anni ), Irlanda e Portogallo (3 anni).

Il doppio Ius soli, ossia la possibilità di divenire cittadino quando anche almeno un proprio genitore sia nato sul territorio, è previsto in FranciaLussemburgo, Paesi Bassi, Spagna. In Grecia oltre ad essere nato sul territorio, il genitore deve avere un permesso di soggiorno per residenza permanente, siamo di fronte ad un caso di doppio Ius soli temperato

Spiagge. Viaggio nell’Adriatico sul veliero di Goletta verde tra mucillagini e turismo tutto incluso

Le contraddizioni ambientali lungo la costa romagnola La spiaggia di Rimini vista dall’alto foto Ansa

Goletta Verde, lo storico veliero di Legambiente che dal 1986 monitora lo stato di salute dei mari italiani, quando salpa per Rimini affronta la sua tappa adriatica più importante. In quel territorio, infatti, si concentrano le più grandi contraddizioni ambientali del paese.

Sulla costa romagnola è insediato uno dei più significativi bacini turistici italiani, proprio dove il Po sfocia in mare, dopo aver raccolto i rifiuti della più grande concentrazione industriale italiana, di quella zootecnica (secondo i dati più recenti forniti dall’Istat nelle regioni padane si concentrano il 67% dei bovini e il 90% dei suini allevati in tutta Italia) e di quella di una agricoltura intensiva che fa uso massiccio di fertilizzanti (per l’azoto rappresenta il 62% e per il fosforo il 58% del dato nazionale).

Fu durante le grandi eutrofizzazioni degli anni ’80 che un importante movimento per la salvezza dell’Adriatico strappò la legge che eliminava il fosforo dai detersivi, individuato come responsabile dell’anomalo sviluppo di micro alghe, che degradandosi azzerano l’ossigeno in mare. È interessante ricordare che le industrie dei detersivi si opposero alla legge con pubblicità a reti unificate che ammoniva: donne (guarda caso proprio loro) senza fosforo sparirà il bianco dai vostri bucati. Quasi gli stessi toni usati oggi dalle imprese fossili contro le rinnovabili. Tutto però si fermò lì e del progetto di ridurre i nutrienti, provenienti da allevamenti e agricoltura intensivi, si smise di parlare.

QUEST’ANNO IL VIAGGIO di Goletta Verde ha qualche intento in più. Vuole verificare quanto è stato fatto per mettere in sicurezza la popolazione a poco più di un anno dall’alluvione che colpì la Romagna e accertare se si intende far passare l’Emilia Romagna dall’uso delle fonti fossili a quelle rinnovabili e da gran consumatrice di energia a risparmiatrice.

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Niente prevenzione. Il governo: assicuratevi

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Il segretario confederale Ferrari al governo: “Inaccettabile che la legge di bilancio sia pagata dai ceti medi e bassi”

La Cgil è pronta a lottare “contro un’inaccettabile ritorno all’austerità”.  Così il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, parlando con l’agenzia Ansa

La Confederazione invita il governo a reperire le risorse necessarie attraverso l’aumento delle tasse per i redditi più elevati, la tassazione delle rendite finanziarie e degli extra-profitti, la lotta all'evasione fiscale.

Il sindacato è pronto a mettere in atto tutte le iniziative necessarie per sostenere le sue rivendicazioni, in vista della legge di bilancio che sarà approvata entro la fine dell'anno.

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Nel particolare, è necessario confermare gli sgravi fiscali temporanei per circa 14,7 milioni di lavoratori e di trovare le risorse necessarie per rinnovare i contratti pubblici perché “un aumento salariale del 5,78% per il periodo 2021-2023 è inaccettabile, visto il 17% di inflazione nel triennio”.

Sul fronte del lavoro e della previdenza, poi, sono in scadenza le misure Ape sociale e Opzione donna, le quali “sono già insufficienti e non vanno peggiorate ulteriormente”.

“Chiediamo la conferma della decontribuzione – inoltre –: le buste paga sono già stata falcidiate dall’inflazione, il rischio è che milioni di lavoratori si trovino con 70-100 euro in meno al mese”.

“Siamo in attesa – infine – di capire come il governo lavorerà alla legge di bilancio: chiediamo di agire con la leva fiscale per la redistribuzione, non è accettabile che la stretta del patto di stabilità sia pagata dai ceti medio bassi”.