Due parole circa la manifestazione di ieri, visto che doveva rappresentare l'apice della narrazione "destra" sull'alluvione, racconto che voleva essere appunto suffragato dalla mobilitazione degli stessi alluvionati, addomesticata sulla medesima linea d'onda.
A quanto pare le attese sulla partecipazione (dalle mille alle duemila persone) sono state piuttosto deluse, accontentandosi di aggirarsi attorno ai 200 presenti, numeri che realtà come la nostra o quella del Comitato Borgo di Faenza riescono abitualmente a muovere da soli. Un flop che ovviamente ha tenuto alla larga "i pezzi grossi" dall'esporre il proprio cappello politico sull'evento deludente.
Non è comunque mancata la vistosa ed esibita presenza di diversi esponenti e candidati di Lega e Fardelli d'Italia, tra cui Pompignoli (l'articolo di Forlitoday è sostanzialmente una sua intervista).
Anche i contenuti, come avevamo previsto, si sono distinti soprattutto per un acceso anti-ambientalismo e un concentrarsi attorno alle responsabilità della Regione, evitando di menzionare concetti come quello di crisi climatica (spesso negato tout court) o di chiamare in causa governo e struttura commissariale.
Il condizionamento strumentale è stato evidente, e il fatto che non ci fossero bandiere di partito non significa assolutamente nulla (non è che il ladro indossi una maglietta con scritto "scippatore" prima di compiere il furto). C'è da capire come abbiano potuto sentirsi a proprio agio in questo clima, esponenti di comitati da sempre assillati dalla preoccupazione di essere strumentalizzati.
Il ricorso all'affluenza da altre parti d'Italia, attingendo dal cosiddetto movimento dei trattori, non ha certo aumentato la qualità dei contenuti e tantomeno i numeri dei partecipanti.
Molti comitati aderenti infine non sono riusciti a portare a Bologna più di due persone per comitato.
Tutto questo ci dice che la capacità di muovere alluvionati e cittadini da parte del VAD si è dimostrata piuttosto scarsa, così come il rilievo mediatico conseguente, limitato principalmente alla sola stampa locale, soprattutto quella web.
Tutto questo ci deve spronare e incoraggiare a costruire un nostro percorso di mobilitazione ampio e unitario, perché le possibilità di affermare una definizione corretta della questione Alluvione, così come di ogni suo portato, ci sono tutte.
Al centro dell’agenda politica presentata dall’associazione c’è il contrasto alla crisi climatica: “Servono azioni rapide per la riduzione delle emissioni e per la protezione dagli eventi meteorologici estremi”
Nei 13 punti proposti da Legambiente trovano spazio la revisione della legge urbanistica per ridurre realmente il consumo di suolo, la riscrittura del Piano Regionale dei Trasporti e il rilancio di obiettivi ambiziosi in materia di economia circolare
Legambiente: “Dall’Emilia-Romagna parta una risposta ambiziosa ai tentativi evidenti del governo nazionale di rallentare la transizione ecologica, con il rischio evidente di lasciare a Cina, USA e Germania il mercato internazionale delle tecnologie pulite”
Oggi a Bologna Davide Ferraresi e Francesco Occhipinti, rispettivamente presidente e direttore di Legambiente Emilia-Romagna, hanno presentato le proposte per l’agenda politica della prossima legislatura regionale, alla presenza del presidente nazionale dell’associazione Stefano Ciafani.
Il documento redatto dall’associazione ha come fulcro il contrasto alla crisi climatica, sia sotto il profilo della mitigazione, per ridurre le emissioni, sia rispetto agli interventi per l’adattamento al nuovo clima. Quest’ultimo aspetto si lega inevitabilmente con quanto accaduto tragicamente negli ultimi due anni nel territorio romagnolo.
Gli eventi estremi che si sono succeduti a partire dal maggio 2023 hanno messo in luce l’urgenza di agire rapidamente per progettare e realizzare interventi di messa in sicurezza che non solo consentano le emergenze più immediate, ma che guardino oltre e puntino alla gestione di scenari in linea con quanto si aspetta la ricerca scientifica in materia di cambiamento climatico. La messa in sicurezza del territorio, secondo Legambiente deve includere una nuova modalità di gestione dei fiumi e delle aree per la laminazione e il deflusso delle acque in corrispondenza di eventi meteorologici estremi.
L’associazione evidenzia poi la necessità che l’Emilia-Romagna faccia la propria parte nel processo di decarbonizzazione, in linea con gli obiettivi più ambiziosi presentati dall’Unione Europea e dalla Regione stessa nell’ultima legislatura. Per raggiungerli, servono misure coerenti per favorire la diffusione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili su tutto il territorio regionale, approvando ambiziose linee guida sulle aree idonee entro la fine dell’anno, coinvolgendo la popolazione e i portatori d’interesse per ridurre il più possibile gli impatti e garantire una condivisione dei benefici prodotti.
Il documento di Legambiente approfondisce anche gli altri temi al centro delle attività dell’associazione, a partire dal settore agrozootecnico, dove si auspica una riduzione dei quantitativi di acqua prelevati per le produzioni agricole e per l’allevamento degli animali, e una diminuzione della densità del numero di capi allevati per arrivare a un ridimensionamento degli allevamenti intensivi sul territorio regionale.
Altro tema cardine dell’attività dell’associazione in Emilia-Romagna è quello della pianificazione territoriale, degli insediamenti e delle infrastrutture. In questo contesto, Legambiente auspica la revisione della legge urbanistica regionale per eliminare le deroghe presenti e ridurre realmente il consumo di suolo. Sul versante dei trasporti, è necessario che il nuovo Piano Regionale che dovrà essere varato nella prossima legislatura segni un cambiamento reale nelle politiche della Regione: le grandi infrastrutture autostradali devono essere sostituite con progetti di rafforzamento ed estensione delle reti ferroviarie, per disincentivare l’utilizzo di mezzi privati e il trasporto merci su gomma.
Sarà fondamentale anche rendere più ambizioso il Piano Regionale dei Rifiuti, che nell’ultima legislatura ha sostanzialmente previsto un incremento della produzione di rifiuti sul territorio emiliano-romagnolo. Occorre rendere più ambiziosi gli obiettivi e verificare l’efficacia dei modelli del sistema di raccolta, per promuovere quelli più funzionali a ridurre la produzione dei rifiuti e a migliorare la qualità (non solo le quantità relative) della raccolta differenziata, realizzando l’impiantistica più innovativa a partire da quella finalizzata alla produzione di compost e biometano, al recupero delle materie prime critiche dai Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche e al riciclo dei prodotti assorbenti delle persone.
Legambiente ha formulato anche proposte per la tutela degli ecosistemi, a partire dall’ampliamento della superficie delle aree protette in linea con gli obiettivi della Strategia europea per la Biodiversità, che prevede il 30% di territorio e di mare protetto entro il 2030 per tutti gli Stati membri. Insieme a questo, l’associazione invita la Regione ad adottare strumenti per il riconoscimento dei servizi ecosistemici forniti dalle aree naturali, in modo da poter valutare in modo completo le conseguenze dei processi di trasformazione del territorio.
Per quanto riguarda il territorio costiero, serve anche in questo caso una maggiore protezione dell’ecosistema marino dalle attività umane e della linea di costa dai processi erosivi: in entrambi i casi, la risposta è lasciare maggiore spazio alla natura, riducendo la durata della pesca attraverso opportuni incentivi e rinaturalizzando nuove aree lungo la fascia costiera.
Ultimo punto promosso da Legambiente è il sostegno a tutte le forme democratiche e partecipative che consentono ai cittadini di rendersi protagonisti all’interno di percorsi consultivi e co-decisionali sul territorio dell’Emilia-Romagna.
È necessario che la Regione riconosca l’impegno di cittadini e organizzazioni che utilizzano gli strumenti di democrazia partecipativa per contribuire al progresso dell’Emilia-Romagna. Occorre poi un impegno di tutti gli attori politici per evitare la compressione degli spazi di democrazia e favorire invece la partecipazione pacifica e propositiva della cittadinanza.
“La prossima legislatura regionale sarà cruciale per il raggiungimento di tutti gli obiettivi in materia di sostenibilità fissati dall’Europa al 2030”, dichiara Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna. “Dalla mitigazione del cambiamento climatico alla tutela della biodiversità, serve un cambio di passo sostanziale. Le risorse economiche della Regione, insieme a quelle dello Stato, dei Comuni e dei privati dovranno essere indirizzate esclusivamente su azioni migliorative in termini di impatto ambientale, eliminando previsioni e progetti in contrasto con gli obiettivi da raggiungere.”
“Chi governerà l'Emilia-Romagna dovrà darsi come priorità la mitigazione della crisi climatica e l'adattamento”, aggiunge Francesco Occhipinti, direttore di Legambiente Emilia-Romagna. “Oramai, almeno a noi ed al mondo scientifico, sono chiare quali sono le cause del cambiamento climatico. Gli investimenti nel fossile, l'inquinamento e la cementificazione sono le prime cause da affrontare ed eliminare. Non possiamo più permetterci, come accaduto anche dopo l'ultima alluvione di settembre, di parlare solo di risarcimenti e ricostruzione: bisogna assumere la consapevolezza che tutto non potrà continuare come prima. Dobbiamo uscire dalla logica dell'emergenza puntando su una corretta pianificazione e gestione ordinaria del territorio basandosi su evidenze scientifiche e non su presupposti ideologici.”
“Con le proposte che indirizziamo oggi ai candidati governatori in corsa per le prossime elezioni regionali” conclude Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente “vogliamo proporre uno scenario ambizioso per un’Emilia-Romagna che vuole perseguire convintamente gli obiettivi europei del Green Deal. A livello nazionale, alcuni discutibili provvedimenti del governo, come quelli che puntano sul gas e sul nucleare, e su opere pubbliche inutili come il Ponte sullo Stretto di Messina, e la narrazione fuorviante di Confindustria sul piano europeo per la decarbonizzazione, rischiano di rallentare la transizione ecologica. Questo sarebbe un delitto anche per il tessuto produttivo italiano, a partire da quello emiliano-romagnolo. Serve un protagonismo e un’ambizione delle Regioni nella lotta alla crisi climatica per arginare i tentativi nazionali di rallentamento della riconversione ecologica, che rischiano di minare la competitività del Paese, lasciando a Cina, USA e Germania il mercato internazionale delle tecnologie pulite”.
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La presentazione ieri mattino dello studio preparato dalla Caritas faentina
I numeri della povertà sono ancora in aumento: è quanto emerge dall’annuale rapporto “Povertà e risorse” della Caritas diocesana di Faenza-Modigliana, riferito al 2023, in presentazione stasera alle 20.30 (10 ottobre) nel refettorio del Seminario in via Degli Insorti, 56 con introduzione del vescovo Mario Toso.
Nel fascicolo, intitolato “Sperare e agire con il creato carità generatrice di pace”, sono in crescita in pratica tutti i parametri considerati: quasi 11mila i pasti serviti (+38%) e 1.826 le persone bisognose di aiuto intercettate (+ 17%), due persone su tre che hanno bussato alla porta di una delle 24 Caritas parrocchiali si sono trovate in difficoltà (64%).
Considerevole la mole di lavoro svolta dal Centro di ascolto al quale si sono rivolte 663 persone, mentre il numero di ospiti, rispetto al 2022 è aumentato del 14%. Il sostegno è stato richiesto per la prima volta dal 41% degli avventori ed è molto forte anche la presenza di chi si rivolge alla Caritas da 4 o 5 anni (34%), perciò si parla di “povertà croniche e intermittenti”, ovvero coloro che per diversi motivi alternano periodi di ripresa a periodi bui. La provenienza delle persone è pari al 24% di cittadinanza italiana e il 76% di origine straniera.
Tra questi ultimi il 69% ha meno di 45 anni, mentre la maggioranza degli italiani è anziana con uno stato di povertà spesso correlato a forme di fragilità familiare legate a decessi o eventi traumatici che fanno scivolare l’individuo in condizioni di solitudine e vulnerabilità.
«Ora - ha spiegato ieri il direttore don Emanuele Casadio – anche i cambiamenti climatici impongono riflessioni e nuove azioni per ripensare il futuro: ogni giorno di più ci rendiamo conto che tutto è interconnesso con il Creato e ci interroghiamo sulle risposte da dare, diverse dal passato, puntando molto sulla prevenzione, come indicato anche dal nostro vescovo monsignor Mario Toso».
Una lettura del report porta ad individuare sul territorio una duplice prospettiva la povertà, globale e locale: da un lato le persone straniere in fuga da conflitti e contesti estremi, dall’altro una crescente precarietà lavorativa, economica, relazionale, abitativa e non ultima la crisi dell’emergenza alluvione che ha pesantemente colpito il territorio della diocesi.
Due nuove iniziative dell'Anpi Raccolti anche più di 25 mila euro in una settimana per le attività di Emergency a Gaza
«Non possiamo restare indifferenti davanti a una tragedia immane» scrive Giacomo, che ha appena donato 60 euro. Lucio invece ne ha donati 40 ed è certo che «il soccorso medico umanitario è sempre la cosa più giusta da fare, il suo spirito è universale». Entrambi hanno aderito a una delle nuove campagne nazionali lanciate dall’Anpi: una raccolta fondi per sostenere le attività di Emergency a Gaza e il riconoscimento dello Stato di Palestina in tutta Italia. Anche il presidente Gianfranco Pagliarulo ha fatto la sua donazione; con noi ha parlato dei motivi che hanno spinto l’associazione a prendere queste due iniziative.
Come nasce l’idea di queste due nuove campagne?
Ci siamo interrogati su come reagire al senso di impotenza che sentiamo davanti alla catastrofe in corso a Gaza, in Cisgiordania e ora in Libano. Ci è sembrato che il modo migliore fosse quello di assumere delle iniziative concrete e rispondere su vari terreni. Questo denaro servirà per contribuire a curare i palestinesi feriti o ammalati a Gaza dopo un anno di bombardamenti.
Entrambe le iniziative sono partite il 4 ottobre, in così poco tempo la raccolta ha già superato i 25 mila euro, esiste un obbiettivo? Come mai così tanto successo secondo lei?
20 mila euro era una cifra simbolica per iniziare, ma non c’è un obbiettivo finale. In questi primi giorni c’è stata grande partecipazione, le persone hanno versato cifre piccole, cifre grandi, ma a prescindere dal versamento, c’è stato tanto interesse. Penso che la ragione sia che finalmente si ha l’impressione di riuscire a fare qualcosa di concreto rispetto al senso di impotenza di cui parlavamo.
Perché crede che il riconoscimento dello Stato di Palestina sia un atto doveroso e tanto urgente?
Questo fa parte della concretezza delle iniziative. Abbiamo deciso di rivolgerci ai sindaci chiedendo loro di sottoscrivere come ordine del giorno il riconoscimento dello Stato di Palestina, per fare pressione sul governo. Non partiamo da zero perché a Firenze e in altri 15 comuni, attraverso il lavoro di una serie di associazioni, i sindaci hanno già sottoscritto questo ordine del giorno. Quest’estate il Comune di Milano ne ha approvato uno analogo. La stragrande maggioranza dei paesi del mondo tra l’altro ha già riconosciuto la Palestina. Rimane un’enclave che non lo ha ancora fatto e corrisponde a gran parte dei paesi dell’Unione europea, e ad altri paesi come gli Stati uniti. Il paradosso è che parlano di due popoli in due stati molti di questi paesi, compresa l’Italia: ricordo a proposito varie dichiarazioni di Meloni e Tajani. Ma diventa un mantra completamente vuoto se non si riempie di contenuti, e il primo contenuto dal punto di vista politico è il riconoscimento dello Stato di Palestina. Sarebbe un segno concreto, un cortocircuito nell’ingranaggio di Netanyahu, che sta cercando di fatto di realizzare il progetto della grande Israele annettendo sia la Cisgiordania che Gaza.
Quali altre iniziative concrete si possono mettere in campo per contrastare quel senso di impotenza difronte a questioni così grandi e che sembrano così lontane?
Il 26 ottobre Europe for Peace, Rete Italiana Pace e Disarmo, Coalizione Assisi Pace Giusta, Fondazione Perugia Assisi e Sbilanciamoci hanno proclamato una mobilitazione nazionale con questa parola d’ordine: fermiamo le guerre. Dobbiamo dar vita a questa grande mobilitazione popolare perché siamo arrivati a un passaggio cruciale che riguarda persino la natura della guerra: oramai è guerra ai popoli. Hamas ha ucciso 1.200 persone in quanto israeliani, Netanyahu ha ucciso 42 mila persone in quanto palestinesi e ora sta bombardando il Libano, uccidendo centinaia di libanesi. Non c’è più alcuna distinzione fra il militare e civile. Ciò significa che alla morte della politica come forma di relazione fra i popoli, si sostituisce la guerra, che è la politica della morte. E questo mi fa pensare rispetto alla complicità, impunità e inazione dell’Occidente, perché rivela un fondo molto preoccupante di nichilismo. Dobbiamo capovolgere questo tavolo perverso che può portare alla guerra totale. La risposta giusta è mettere al centro il valore della persona, della sua dignità. Questo è lo sfondo valoriale su cui noi ci muoviamo e cerchiamo di incardinare delle azioni concrete come la sottoscrizione, la richiesta ai sindaci e la manifestazione del 26
Buongiorno a tutti, riteniamo corretto informarvi di una iniziativa inerente una manifestazione degli Alluvionati indetta per il 17 ottobre davanti alla Regione.
Informiamo però che in qualità di comitato non intendiamo aderire in quanto pensiamo che la manifestazione possa essere condizionata da interessi elettorali, con la finalità di strumentalizzare alcune realtà locali di alluvionati .
Un tale contesto perciò non può vederci partecipi, seppur consapevoli che in buona fede potranno parteciparvi anche cittadini alluvionati legittimamente arrabbiati, di cui rispettiamo la scelta.
Stop produttivi, cassa integrazione, incentivi all’esodo: è emergenza per Stellantis e imprese del settore. Da Nord a Sud, la mappa delle aziende in difficoltà
L’automotive sta attraversando in Europa una crisi di proporzioni epocali. E in Italia è ormai evidente il rischio del tracollo. La produzione nel 2024 è in forte calo (-30% nel primo semestre rispetto all’analogo periodo del 2023), l’utilizzo degli ammortizzatori è in continua crescita, il numero dei dipendenti si riduce sempre più.
Da Stellantis alle aziende di componentistica, a pagare sono sempre i lavoratori. Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil chiedono interventi di scelte strategiche in ambito europeo, di politiche industriali del governo e di impegni all’interno di un piano industriale da parte dell’ex Fiat. E ora hanno deciso di scendere in piazza: l’appuntamento è per venerdì 18 ottobre, con sciopero generale del settore e manifestazione nazionale a Roma.
Purtroppo, però, non è solo l’automotive a soffrire. Il settore alimentare è alle prese con i licenziamenti al colosso Unilever, la chiusura della multinazionale Barry Callebaut, la liquidazione della Agricola Grains e il difficile salvataggio della Italgelato. E continua a imperversare la crisi del comparto della carta, con la dismissione della Giano (nella storica sede di Fabriano) e gli ammortizzatori sociali alla Fedrigoni.
Il 1° ottobre scorso Stellantis ha comunicato il prolungamento della cassa integrazione nello stabilimento di Mirafiori (Torino). La produzione, che riguarda le linee della 500 Bev e della Maserati, sarà sospesa dal 13 ottobre al 1° novembre, con rientro fissato per lunedì 4. A motivare la decisione, secondo l’azienda, è il forte rallentamento del mercato dell'elettrico in Europa. Fiom Cgil: “Una misura ampiamente prevista, data la situazione produttiva. Le perdite economiche pesantissime che stiamo subendo, insieme alle nostre famiglie, devono essere coperte dall'azienda e dal governo”.
Nuova ondata di cassa integrazione ordinaria negli impianti Stellantis di Pomigliano d’Arco (Napoli) e Termoli (Campobasso). Nello stabilimento campano (a causa, secondo l’azienda, del considerevole calo di richieste di Panda e del mancato decollo del mercato dei modelli Alfa Romeo Tonale e Hornet) la sospensione sarà dal 24 al 31 ottobre, che si aggiunge a quelli già stabiliti per le giornate del 4, 7, 14 e 21 ottobre. Nella fabbrica molisana (a causa, secondo l’azienda, del generale rallentamento del mercato delle autovetture) il ricorso all’ammortizzatore sociale è previsto dal 14 al 20 ottobre.
Altre cinque settimane di cassa integrazione allo stabilimento Stellantis Europe di Atessa (Chieti), meglio nota come “ex Sevel” (4.800 dipendenti), dove si producono veicoli commerciali. Il prolungamento degli ammortizzatori sociali, attivati praticamente senza interruzione dallo scorso 10 giugno, è dovuto, ha spiegato l’azienda, “all'attuale situazione di mercato”. Le quattro settimane, iniziate il 16 settembre, si concluderanno il 3 novembre. Fiom Cgil: “Non è una crisi di mercato, ma una strategia ben precisa di ridurre la capacità produttiva in Italia, avviata nel 2019 con la realizzazione dello stabilimento di Gliwice, in Polonia”.
Mercoledì 25 settembre la Marelli ha comunicato l’apertura della procedura di cassa integrazione di nove settimane per la divisione Propulsion Solutions dello stabilimento di Bologna (526 dipendenti). La misura sarà in vigore dal 21 ottobre a fine anno, la riduzione di orario (da 40 a 32 ore) sarà di una giornata a settimana (il lunedì o il venerdì). Sindacati: “In questi anni abbiamo affrontato una pesante riduzione di organico, nessun ripristino del turn-over, cancellazione dei contratti di consulenza, smaltimento ferie nell’anno in corso e ora la cassa integrazione”.
La crisi di Stellantis la stanno pagando anche le aziende fornitrici. La Fionda di Frosinone, società dell’indotto dell’ex Fiat (nata nel 1989), attiva nelle lavorazioni di qualità per le Maserati Grecale prodotte nello stabilimento di Cassino (Frosinone), ha annunciato il taglio di 30 dipendenti (su complessivi 93). Una decisione avversata dai sindacati, che hanno chiesto di esaurire la cassa integrazione ancora a disposizione o di valutare il ricorso ai contratti di solidarietà. Entrambe le proposte sono state rifiutate dall’azienda, di conseguenza i sindacati hanno chiesto l’intervento della Regione Lazio.
Accordo raggiunto l’11 settembre scorso sui 50 esuberi (37 operai e 13 impiegati, su 270 dipendenti complessivi) alla Faurecia di Terni, multinazionale francese di componentistica per automobili. L’intesa è centrata sulle uscite volontarie. Previsto un incentivo di 27 mensilità di retribuzione per chi esce entro ottobre, che diminuisce gradualmente fino alle dieci mensilità per chi esce nel marzo 2025. Stabilito anche un “periodo di salvaguardia”, dal 1° aprile al 31 dicembre 2025, nel quale l’azienda s’impegna a non avviare nuovi licenziamenti collettivi, ma solo eventuali ulteriori uscite incentivate e volontarie.
Dopo un primo ciclo di cassa integrazione ordinaria, il 6 settembre scorso la Sodecia (ex F&B) di Raiano (L’Aquila), produttrice di componenti per automotive, ha comunicato il prolungamento dell’ammortizzatore sociale per ulteriori cinque settimane. La misura, iniziata formalmente il 2 settembre, si è conclusa il 5 ottobre. L’azienda è monocommittente per Stellantis, i dipendenti interessati sono 50. Fiom Cgil: “Il quadro è complesso, ora si tratterà di capire se la cassa integrazione sarà sufficiente o si dovrà fare ricorso a strumenti diversi”.
Continuerà per l’intero mese di novembre la sospensione parziale dell’attività lavorativa (iniziata a fine 2023, pari a circa il 10 per cento delle ore lavorabili a settimana) per i dipendenti della Lafert di San Donà di Piave (Venezia), attiva nella progettazione e produzione di motori elettrici. I lavoratori potranno avvalersi della cassa integrazione ordinaria o utilizzare ferie e permessi. A motivare la decisione aziendale, la forte contrazione del mercato e il significativo calo degli ordini in entrata.
A inizio settembre la Kme di Fornaci di Barga (Lucca) ha annunciato il prosieguo del contratto di solidarietà per un anno, quindi fino al settembre 2025, per tutti i 470 dipendenti. La società, ora di proprietà tedesca controllata da Intek group, produce semilavorati e semiprodotti in rame e leghe di rame. Fiom, Fim e Uilm auspicano “una rapida normalizzazione della situazione produttiva e degli impianti, allo scopo di garantire allo stabilimento le sue potenzialità competitive e capacità produttive”.
Annunciato il 18 settembre scorso il prolungamento per ulteriori sei mesi della cassa integrazione straordinaria alla Bondioli & Pavesi di Suzzara (Mantova), produttrice di componenti per macchine agricole. L’ammortizzatore sociale era in vigore già dal marzo scorso, ma sotto forma di cig ordinaria. La misura (che non sarà di zero ore) è stata avviata il 23 settembre e coinvolge tutti i 500 dipendenti a rotazione. Fiom Cgil: “Il settore della meccanica agricola sta soffrendo, il calo degli ordini è anche del 50-60%, ma siamo comunque riusciti a fare un contratto di solidarietà difensivo”.
Se non si trova un acquirente, nel marzo 2025 la fabbrica chiuderà. Il 5 marzo scorso la Technisub di Genova, storico marchio di attrezzature subacquee (controllata dal 1982 dalla francese Aqualung), ha annunciato la dismissione dello stabilimento. A motivare la decisione, il trasferimento delle attività della sede italiana nell’impianto di Blackburn, in Inghilterra. Forte la protesta dei 45 lavoratori, che in settembre hanno dato vita a tre giorni di sciopero, subito dopo aver appreso il fallimento della trattativa con un investitore del Sud-Est asiatico.
Prorogata per ulteriori 12 mesi la cassa integrazione per i 117 addetti della Piombino Logistics, la società di servizi logistici di distribuzione delle merci del polo siderurgico di Piombino (Livorno). Una notizia accolta positivamente dai sindacati, che però rilevano come la ripartenza sia legata alla firma degli accordi tra Jsw Steel e Metinvest-Danieli (l’intesa sulla ripartizione delle aree tra le due multinazionali ancora non è stata ratificata) e alla realizzazione dei piani industriali con la convivenza dei due gruppi.
Nell’incontro del 5 settembre scorso la Assa Abloy di Renate (Monza), multinazionale svedese che nel 2008 acquisì la Valli & Valli, eccellenza italiana nella produzione di maniglie artigianali, ha ribadito la chiusura dello stabilimento e il licenziamento dei 38 dipendenti entro fine anno. A motivare la decisione, l'andamento negativo “del ramo di azienda Valli che ha purtroppo raggiunto una gravità oggettivamente imprevedibile”. Sindacati: “L’azienda ha rifiutato di esplorare percorsi alternativi che potrebbero portare alla salvaguardia dei posti di lavoro. Occorre attivare un tavolo per individuare opportunità lavorative per i dipendenti”.
La crisi del settore cartario continua a imperversare. Il 3 ottobre il gruppo Fedrigoni ha annunciato che dal 1° gennaio 2025 la società Giano, che si occupa del business dell'ufficio, cesserà ogni attività commerciale e produttiva, con il conseguente licenziamento dei 195 lavoratori dei due stabilimenti di Fabriano e Rocchetta (Ancona). Immediata la replica di sindacati e lavoratori, che hanno subito fermato gli impianti e indetto lo stato di agitazione dell’intero gruppo industriale.
Le difficoltà del gruppo Fedrigoni riguardano anche lo stabilimento Fedrigoni di Varone (Trento), dove sono state avviate 13 settimane di cassa integrazione ordinaria per i 171 lavoratori tra quadri, impiegati e operai. L’ammortizzatore sociale è iniziato il 9 settembre scorso e si concluderà il 31 dicembre. Forte è la preoccupazione dei sindacati per le sorti del comparto, che storicamente ha sempre rappresentato un pilastro dell’economia e dell’occupazione locale.
Il 31 dicembre 2024 terminerà ufficialmente la produzione del calzaturificio Caribù di Vigevano, esclusivista del noto marchio Henry Beguelin. Per i 24 addetti scatterà la cassa integrazione straordinaria in deroga per cessata attività, ma otto di loro verranno poi reimpiegati per l'attività di commercializzazione. Il marchio, infatti, intende rivolgersi a contoterzisti italiani per la produzione dei propri articoli, che saranno poi venduti dalla divisione commerciale, dove appunto verrà reintegrato un terzo degli addetti licenziati.
Cassa integrazione fino al 2 novembre per i 317 dipendenti della Sfc Solutions di Ciriè (Torino), di proprietà del fondo tedesco Mutares, produttrice di guarnizioni in gomma per automobili, furgoni, camion e trattori. I sindacati da tempo parlavano dello “stato di crisi in cui versa lo stabilimento a causa dei bassi volumi produttivi e degli scarsi investimenti”. La società ha assicurato il proprio “impegno nel garantire la continuità dello stabilimento”, affermando inoltre di “aver effettuato negli ultimi quattro anni investimenti per oltre 2,5 milioni di euro”.
Tre mesi di cassa integrazione ordinaria alla Arconvert di Linfano (Trento), storica azienda del gruppo Fedrigoni, specializzata nella produzione di materiali autoadesivi per l'industria dell'etichettatura. L’ammortizzatore sociale per i 64 lavoratori (60 operai e quattro impiegati) è iniziato il 23 settembre scorso e si concluderà il 31 dicembre. A motivare la decisione aziendale, la contrazione degli ordini di vendita come conseguenza di un andamento economico generale negativo.
Tre mesi di cassa integrazione per i 320 dipendenti di due aziende del distretto della pelletteria dell’Amiata, la Garpe e la Gt di Piancastagnaio (Siena), che operano nell’indotto Gucci. Le 13 settimane (che scadono a fine dicembre) di ammortizzatore sociale sono attuate in modo “flessibile”, ossia in base alle necessità. Le società si sono impegnate a corrispondere il salario pieno, integrando le perdite derivanti dai giorni di cassa. “Siamo consapevoli delle difficoltà del comparto moda, ma non è comunque un bel segnale”, commenta la Filctem Cgil territoriale.
Appena due anni di attività, poi la chiusura. Martedì 17 settembre è stato l’ultimo giorno formale di lavoro per i 16 dipendenti della Isoltesino di Pieve Tesino (Trento), azienda specializzata nella produzione e commercializzazione di materiali in gomma vulcanizzata. Esattamente un anno prima per i dipendenti (che allora erano 25) era stato attivato un contratto di solidarietà allo scopo di evitare nove licenziamenti. Filctem Cgil: “La situazione finanziaria era molto pesante, avvieremo subito la richiesta per usufruire della cassa integrazione straordinaria”.
La Av-El di Orbassano (Torino), storica azienda di stampaggio a iniezione di materiali termoplastici per il settore automotive, ha comunicato ai sindacati la cessazione dell’attività, prevista per fine dicembre, con il conseguente licenziamento collettivo dei 57 dipendenti. Filctem Cgil: “Finora ci sono stati ammortizzatori sociali, come i contratti di solidarietà, e tanta incertezza sul futuro: ora invece sappiamo che i lavoratori Av-El ben presto saranno disoccupati. Solleciteremo subito la Regione Piemonte all'apertura di un tavolo per tutelarli”.
Il 24 settembre scorso la Vetri Speciali di Spini di Gardolo (Trento) ha annunciato, in una indirizzata a Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil territoriali e Rsu dello stabilimento, l’avvio di 13 settimane di cassa integrazione (dal 7 ottobre al 5 gennaio 2025) a zero ore settimanali o a orario ridotto per un massimo di 195 dipendenti. A motivare la decisione, la “necessità di ridurre la propria attività produttiva a causa della carenza di commesse legata all'andamento dei mercati di riferimento”.
Un piano di riorganizzazione globale con 7.500 esuberi e 3.200 in Europa. Di questi, 143 saranno nella sede di Roma (praticamente un terzo del personale). Questo l’annuncio del 4 settembre scorso della multinazionale britannica Unilever, tra le più grandi aziende mondiali di prodotti di largo consumo. La società ha motivato gli esuberi con la “complessità dello scenario socio-economico a livello europeo e la crescente competizione sui mercati locali e internazionali”. I sindacati hanno dichiarato lo stato do agitazione: “Una decisione inaccettabile, così come il numero di esuberi dichiarati. È necessario che l’azienda torni sui propri passi”.
Cassa integrazione straordinaria fino al dicembre prossimo, incentivi all’esodo per chi vorrà andarsene e l’impegno a trovare in tempi brevi nuovi investitori. Questi i contenuti dell’accordo firmato lunedì 30 settembre per i 40 dipendenti della Italgelato di Camisano Vicentino (Vicenza), azienda specializzata nella produzione di dessert surgelati per la grande distribuzione, cui il 28 agosto era stata comunicata la chiusura dello stabilimento. Flai Cgil: “Ci auguriamo che la continuità nel sito, grazie a un nuovo protagonista, possa salvaguardare il tessuto industriale del territorio”.
Il 5 settembre scorso la multinazionale belga Barry Callebaut, azienda di livello mondiale nella produzione di specialità di cioccolato, ha comunicato la chiusura (programmata per marzo 2025) dello stabilimento di Verbania, con il conseguente licenziamento dei 93 dipendenti a tempo indeterminato e dei 25 con contratti a termine. La dismissione fa parte di una ristrutturazione globale del gruppo, che prevede 2.500 licenziamenti (di cui 900 in Europa) e la chiusura di tre siti produttivi. Sindacati e Regione Piemonte sono attualmente in trattativa con la società per mantenere attiva la produzione ancora per un anno in modo da poter cercare un nuovo acquirente.
Quasi sessant’anni di storia, e ora la chiusura. Il 23 settembre scorso la Agricola Grains di Arre (Padova) è stata posta in liquidazione giudiziale dal Tribunale patavino. L’azienda, attiva nella raccolta, lavorazione e vendita di bio oli vegetali per uso alimentare e zootecnico, si trovava già da tempo in “una situazione di tensione finanziaria dovuta principalmente alla congiuntura economica”. Per i 30 dipendenti adesso si apre uno scenario tutto da decifrare, legato alle decisioni che prenderà il curatore fallimentare Alberto Mazzo, con il quale è stato fissato un incontro per mercoledì 9 ottobre.
Un ulteriore periodo di cassa integrazione straordinaria di due mesi, fino al 31 dicembre, per gli oltre 2.200 lavoratori di Alitalia Sai in amministrazione straordinaria e Cityliner. Questa la decisione assunta dal ministero del Lavoro nella riunione con i sindacati del 20 settembre scorso. “Nel frattempo – spiegano le organizzazioni – si rifletterà se allungare ulteriormente il periodo di cigs o intervenire sull'estensione o il raddoppio della Naspi, con eventuale intervento del Fondo straordinario del trasporto aereo. L’obiettivo è la ricollocazione o il perfezionamento dei requisiti pensionistici per i lavoratori interessati”.
Sono 44 i licenziamenti annunciati nei servizi commerciali della base Usaf di Aviano (Pordenone). Ulteriori 29 esuberi riguarderebbero i lavoratori italiani della base militare. È quanto emerso nella riunione del 19 settembre scorso tra i sindacati e la Jcpc (Commissione congiunta delle tre forze armate americane nelle basi in Italia). I 44 lavoratori della parte statunitense sono addetti all'ufficio paghe e al negozio Four Season; i 29 italiani lavorano nella mensa e nel club ricreativo. “La motivazione – spiegano i sindacati – è meramente economica, cosa inconcepibile per una datore di lavoro che si è sempre dichiarato un ente non-profit”.
L’obiettivo sono 1.300 uscite, ma si può arrivare fino a 1.800. E saranno comunque tutte volontarie. Questo l’accordo tra Fibercop, la società di telecomunicazioni (proprietà di una cordata guidata dal fondo americano Kkr) che possiede la rete fissa di Tim, e i sindacati di categoria. L’intesa prevede uno scivolo di cinque anni (la cosiddetta “isopensione”) per uscire dal lavoro. Il 27 settembre sono partite le comunicazioni ai dipendenti interessati, la scadenza per l'adesione volontaria è fissata al 13 ottobre prossimo. In febbraio dovrebbero avvenire le uscite.
Nell’incontro del 27 settembre scorso la Aquileia capital service (Acs), società di gestione dei crediti deteriorati, controllata dal 2020 dal fondo statunitense Bain capital, ha confermato il fortissimo ridimensionamento della sede principale di Tavagnacco (Udine) e la chiusura degli uffici di Roma e Milano, per complessivi 66 esuberi (su 76 in organico). La dismissione è prevista per la fine dell’anno. Sindacati: “La società ha manifestato una piena indisponibilità a valutare ogni altra soluzione. L'assurdità è che il lavoro non manca”.
Groupon se ne va dall’Italia. L’azienda statunitense operante nel settore dei gruppi d'acquisto ha annunciato la chiusura della filiale italiana con il conseguente licenziamento dei 33 dipendenti. A motivare la decisione, un contenzioso con l’Agenzia delle entrate per complessivi 140 milioni di euro. “Agli incontri già avvenuti – spiegano Filcams e Uiltucs di Milano e Lombardia - Groupon si è presentata con un’offerta economica profondamente offensiva e lesiva della dignità dei lavoratori. Attualmente siamo nella fase amministrativa della procedura di licenziamento collettivo, il tempo a disposizione per trattare finirà a metà ottobre”.