Ricostruzione: serve una nuova partecipazione dal basso
Mercoledì 17 luglio dalle 20:30 a Faenza, al Cinema Arena Europa, i Comitati Borgo Alluvionato e Ponte Romano hanno organizzato la proiezione del film “Romagna Tropicale” del regista francese Pascal Bernhardt. Il film offre uno sguardo approfondito sulle conseguenze delle alluvioni che hanno colpito la Romagna e l’Emilia sudorientale.
Durante il disastro, oltre 250 milioni di metri cubi d’acqua hanno invaso il territorio, causando l’esondazione di 23 fiumi e torrenti e migliaia di frane in 100 comuni romagnoli.
Il documentario presenta le voci degli alluvionati, che hanno perso tutto e ricevuto risarcimenti insufficienti, e denuncia la cementificazione della pianura emiliano-romagnola e le scelte politiche che hanno aggravato la crisi climatica.
Il film sarà preceduto da una riflessione su cambiamenti climatici e strategie di adattamento, prevenzione e coinvolgimento della cittadinanza, insieme all’Ing. Andrea Nardini.
Andrea Nardini, Co-fondatore Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, aveva già partecipato a Faenza al convegno “Ricostruire meglio”, promosso da Legambiente nel maggio scorso, con un' intervento particolarmente apprezzato: Alluvione: guardare al futuro nell’adattare territorio e città a un nuovo clima. Una proposta emblematica .
Come dicono opportunamente i Comitati organizzatori, “sono necessarie nuove strategie di adattamento delle città ai cambiamenti climatici “...e insistono sulla necessità di una “alleanza-processo dove la partecipazione discuta e crei possibili alternative di soluzione ad ampio spettro”
A proposito di Partecipazione, la Regione Emilia-Romagna ha promosso il percorso Ri.Pe.NSA. (Rischio e Pericolosità da alluvione e frane: Nuove Strategie Adattative) con l'obiettivo di coinvolgere attivamente le comunità locali colpite o interessate dagli eventi del maggio 2023, a partire dalla gestione del Piano speciale sulla ricostruzione, in via di definizione finale.
Al di là delle intenzioni, i primi incontri svolti da questo percorso, non sono andati molto oltre la pur necessaria informazione generale e di dettaglio sulle iniziative in corso e future, ma la necessità di un coinvolgimento vero delle comunità locali deve necessariamente trovare altre occasioni e modalità partecipative.
Per questo l'iniziativa del 17 a Faenza assume una valenza che non è solo locale e può indicare ulteriori forme di coinvolgimento, partecipazione e proposte sulla ricostruzione che va sul serio ripensata.
Circolo Legambiente Lamone Faenza
Si sottraggono competenze ai territori e non ci sono risorse. Per Barbaresi, Cgil: “Era uno spot elettorale”. Dice Fp: “Continua la mobilitazione”
Certo la coerenza non è la maggior virtù del Governo. Da un lato impone al Parlamento e al Paese l’Autonomia differenziata dall’altro approva un Decreto il cui obiettivo sarebbe l’abbattimento delle liste di attesa in sanità, che sposta al “centro” il controllo su quanto ospedali e aziende sanitarie fanno per rispettare i tempi previsti per esami e visite specialistiche. E le Regioni hanno detto “No” il Decreto così proprio non va.
Difficile a credersi ma è proprio così la Conferenza delle Regioni, a larghissima maggioranza di centro destra, ha bocciato il Decreto del Governo dello stesso colore.
Sonno davvero arrabbiate, si legge infatti nel Documento approvato: “Le Regioni e le Province Autonome ritengono imprescindibile lo stralcio dell’articolo 2 la cui attuale formulazione è quanto meno lesiva del principio di leale collaborazione, laddove prevede che a fronte delle segnalazioni di cittadini, enti locali ed associazioni di categoria (che dovrebbero essere innanzitutto trasmesse alle Regioni interessate) l’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria possa accedere presso le Aziende sanitarie, scavalcando le Regioni e le Province Autonome, anche avvalendosi del supporto del Comando Carabinieri per la tutela della salute (anziché delle Regioni stesse)”. Non solo, la situazione è davvero delicata visto che le Regioni mettono nero su bianco che qualora quell’articolo non venisse stralciato o almeno modificato, conterebbe “dei profili di illegittimità costituzionale”.
Davvero un bel rompicapo, ma annunciato. Appena il provvedimento fu varato dal Consiglio dei Ministri, guarda caso a pochi giorni dall’elezioni europee, la Cgil aveva denunciato che quel testo altro non era che uno spot elettorale, che reiterava provvedimenti già in vigore da anni e che non provvedeva a ciò che davvero servirebbe: più risorse e più personale. Anzi, contiene un ulteriore spostamento di risorse destinate alla sanità pubblica verso le strutture private. All’indomani della bocciatura delle Regione Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil, dice: “La bocciatura delle Regioni al decreto liste d'attesa brucia la propaganda governativa più delle temperature di questi giorni. Ciò dovrebbe preoccupare molto il Ministro della Salute e indurlo ad occuparsi seriamente del Servizio Sanitario Nazionale abbandonando la strada dello smantellamento”.
Analogo parere è quello espresso in una nota dalla Fp Cgil: “Il governo Meloni ha prodotto uno spot elettorale per le europee che non contiene alcun provvedimento concreto utile a dare risposte alle cittadine e ai cittadini. Una brutta scatola vuota, infarcita di invasioni di campo del governo nei confronti delle Regioni, che ha nella creazione di un servizio ispettivo in mano all’arbitrio del Ministro l’elemento più concreto".
E già perché, visto che dalle parti delle Regioni i conti li sanno fare e bene, han fatto presto a capire che in quel Decreto non ci sono risorse nuove da investire nella riduzione delle liste di attesa, ed infatti scrivono nel Documento approvato dalla Conferenza che qualunque attività di riduzione dei tempi in sanità: “non può prescindere dalla disponibilità di congrue risorse economico-finanziarie aggiuntive e di adeguate risorse umane". Insomma le nozze con i fichi secchi non si possono fare, chiacchiere e promesse che mai vengono realizzate non servono. Si legge ancora: “Considerato che il livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale è notoriamente sottodimensionato, rispetto a quello dei principali Paesi europei, e sta determinando serie difficoltà in tutte le Regioni, incluse quelle che il Ministero della Salute ha collocato ai primi posti per la qualità dell’assistenza sanitaria, ad assicurare l’equilibrio economico-finanziario dei bilanci sanitari, le Regioni non sono nelle condizioni di finanziare il costo di misure ed interventi aggiuntivi, seppur condivisi per la finalità, poiché il Fondo Sanitario Nazionale è già largamente insufficiente". Insomma le regioni scrivono quanto la Cgil afferma da tempo.
A far di conto tutti i giorni con la scarsità di risorse sono medici, infermieri, tecnici di laboratori, operatori socio sanitari e addetti alle pulizie, e chi si occupa di loro. Non poteva quindi mancare la presa di posizione della Fp Cgil: “Le Regioni, come noi avevamo fatto - osserva -, denunciano la totale assenza di coperture di un provvedimento che ricicla risorse che alle Regioni sono già state assegnate dalla legge di bilancio e che dovrebbero essere già state impegnate allo stesso scopo. Ma, soprattutto, il decreto non contiene nulla di concreto e rilevante per fare ciò che le Regioni stesse indicano come indispensabile: assumere personale, stabilizzare i precari, eliminare i tetti di spesa, perché è così che si riassorbono le liste di attesa, è così che si possono tenere aperte le strutture nei fine settimana e di notte. Il resto sono chiacchiere, come quelle contenute a questo proposito nel decreto. E ora lo dicono anche le Regioni, tutte".
Da quando si è insediato al ministero, Schillaci non fa altro che annunciare il superamento del tetto di spesa per il personale – introdotto anni fa da un altro governo di centro destra a guida Berlusconi – per l’assunzione di nuovo personale. Sarà, ma anche in quest’ultimo Decreto in realtà nulla, e anche solo sostituire chi va in pensione è un bel rompicapo, figurarsi aumentare il personale in servizio. L’articolo 5 del Decreto, serve davvero a poco. A dirlo son sempre le Regioni, tocca infatti proprio a loro assumere personale, che affermano, rispetto al superamento del tetto di spesa, essere: “limitate ed insufficienti le novità per l’anno in corso e poche novità anche per l’anno 2025, peraltro condizionate alla definizione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli Enti del Ssn ed alla conseguente approvazione del Piano dei fabbisogni triennali regionali del personale", metodologia che a loro dire sarebbe “priva di reale efficacia”.
Ancora una volta la Fp Cgil si trova sulla stessa lunghezza d’onda delle Regioni: “non si contano più, dal suo insediamento, le interviste e le dichiarazioni con le quali il ministro Schillaci ha annunciato il superamento dei limiti finanziari e normativi alle assunzioni. Non è successo nulla, per il semplice motivo che si trattava di annunci vuoti, lanciati senza rispetto per chi nel Ssn lavora e per le cittadine e i cittadini che nel frattempo hanno visto peggiorare la capacità di risposta del sistema, venendo invitati più o meno esplicitamente, nel frattempo, a rivolgersi al privato, come dimostra il fatto che si continuano a spostare prestazioni nel privato, settore nel quale non si rinnovano i contratti e che vede le lavoratrici e i lavoratori mobilitati con scioperi già proclamati. Alle lavoratrici e ai lavoratori del Servizio sanitario pubblico, poi, dato che non si assume, si propone di farsi carico delle carenze di organico incrementando il proprio orario di lavoro di fatto attraverso ulteriori prestazioni aggiuntive; lo stesso governo che stanzia per il rinnovo del contratto un terzo di quanto sarebbe necessario, dice così ad un personale da tempo sopraffatto dai carichi di lavoro, che fatica ad andare in ferie, che salta i riposi settimanali, che se vuole guadagnare qualcosa in più deve lavorare ancora di più. Non è così che si attraggono le lavoratrici e i lavoratori verso il servizio pubblico".
Scioperi, sempre assai responsabili per tutelare comunque i pazienti che hanno sempre diritto alla cura. Mobilitazioni e manifestazione hanno scandito i mesi trascorsi e continueranno a scandire anche quelli futuri. Per Barbaresi, infatti: “È sempre più evidente la volontà del Governo Meloni di privatizzare la salute", aggiunge la dirigente sindacale. "Anche questa volta - conclude - non c'è nessuna vera risposta alle persone che attendono di essere curate e i roboanti annunci pre-elettorali si sciolgono come ghiaccio al sole”. E mentre le promesse si sciolgono ed evaporano, l’impegno e la fatica di quanti garantiscono assistenza e cura rimangono. "Per questo la Funzione Pubblica Cgil continuerà nella propria campagna di mobilitazione per un piano straordinario di assunzioni chiamando le lavoratrici e i lavoratori, le cittadine e i cittadini, a far sentire la propria voce per rivendicare le risorse necessarie per far funzionare il nostro Servizio sanitario nazionale e riconoscere il lavoro delle professioniste e dei professionisti che al suo interno operano".
Bologna – L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato la richiesta di referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata.
“Con una maratona di 24 ore d'Aula per superare l'ostruzionismo della destra- sottolinea il presidente della Regione, Stefano Bonaccini- l'Assemblea legislativa della nostra Regione, dopo quella della Campania di lunedì, ha appena votato due quesiti referendari per cancellare la proposta sbagliata e divisiva del Governo e, in subordine, per stabilire che prima di devolvere qualsiasi funzione, il Parlamento e il Governo debbano definire e finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni per tutto il Paese”. Via libera dell’Aula “su iniziativa congiunta di PD, Europa verde, Emilia-Romagna coraggiosa, Italia viva, Lista Bonaccini presidente e Movimento 5 stelle”.
“L'Emilia-Romagna ha sempre sostenuto ogni processo di decentramento che avvicinasse le decisioni ai cittadini e ai territori- prosegue Bonaccini- ma dentro un quadro chiaro di unità dell'Italia e in una logica di solidarietà e uguaglianza dei diritti. La legge Calderoli, che non mette un euro sei Lep e prevede invece che in molte materie si possa procedere all'autonomia differenziata senza alcuna garanzia di equità territoriale, rischia di spaccare ulteriormente il Paese su pilastri essenziali quali la sanità e l'istruzione. Per questo va cancellata”.
“Dopo Emilia-Romagna e Campania, nelle prossime settimane saranno chiamate a pronunciarsi anche le altre Regioni e Toscana, Puglia e Sardegna hanno già annunciato la propria adesione a questa iniziativa. Col voto di cinque Consigli regionali- chiude il presidente della Regione- sarà dunque possibile chiedere l'indizione del referendum, in analogia a quanto ha già fatto il Comitato promotore nazionale la scorsa settimana a Roma”.
“I salari reali sono ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia”, certifica l’Ocse. E anche nei prossimi due anni la crescita sarà contenuta
L’Italia è il Paese che ha registrato il maggior calo dei salari reali tra le maggiori economie dell’Ocse. A dirlo è il report “Prospettive dell’occupazione 2024” redatto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: “Nel primo trimestre del 2024, i salari reali erano ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia”.
Nella maggior parte dei restanti 35 Paesi Ocse si registra invece una crescita su base annua dei salari reali, in un contesto di inflazione in calo. In questa “classifica al contrario” siamo terzultimi, nel senso che fanno peggio di noi solo Repubblica Ceca e Svezia (per un confronto: la Germania registra un -2%, mentre la Francia addirittura il +0,1%).
Tornando all’Italia, il report segnala che “grazie ai rinnovi di importanti contratti collettivi, soprattutto nel settore dei servizi, il numero di dipendenti del settore privato coperti da un contratto collettivo scaduto è sceso nel primo trimestre del 2024 al 16,7% dal 41,9% dell’anno precedente. Ciò ha contribuito a spingere la crescita dei salari negoziati al 2,8% rispetto all’anno precedente”.
Nel complesso, si legge ancora nel report, la crescita dei salari reali “dovrebbe rimanere contenuta nei prossimi due anni: si prevede che i salari nominali (retribuzione per dipendente) in Italia aumenteranno del 2,7% nel 2024 e del 2,5% nel 2025”.
Gli esperti dell’Organizzazione così concludono: “Sebbene questi aumenti siano significativamente inferiori a quelli della maggior parte degli altri Paesi Ocse, consentiranno comunque un recupero di parte del potere d’acquisto perduto, dato che l’inflazione è prevista all’1,1% nel 2024 e al 2% nel 2024”.
IL REPORT
È indispensabile rivedere gli scenari proposti nel Pniec che prevedono l’impiego del nucleare, perché tali ipotesi, oltre a essere palesemente irrealizzabili, sottrarrebbero importanti risorse all’obiettivo della decarbonizzazione per il nostro Paese.
Questo l’appello lanciato in una lettera aperta da Energia per l’Italia, gruppo di docenti e ricercatori di Università e Centri di ricerca impegnati sui temi della transizione energetica.
La premessa è lo scenario che il governo ha tracciato nel Pniec, secondo il quale il nostro Paese potrebbe produrre il 20% del fabbisogno della sua energia elettrica al 2050 tramite nucleare, 140 TWh, nello specifico con SMR (Small Modular Reactors).
Ottenere questo quantitativo – si spiega nella lettera di Energia per l’Italia – richiederebbe l’installazione di almeno 17,5 GW di potenza ipotizzando che ciascun GW possa fornire 8 TWh. Questo corrisponde a un numero che varia da 11 a 18 reattori tradizionali di potenza 1-1,6 GW ciascuno.
Con l’opzione SMR, che è quella indicata, ipotizzando potenze di 100-300 MW il numero di reattori da installare potrebbe andare da 58 a 175.
Questo numero così elevato di reattori, ciascuno dei quali richiederebbe uno specifico e molto complesso processo autorizzativo, dovrebbe essere installato entro il 2050. Va detto che il Pniec comprende anche uno scenario più moderato, con “soli” 8 GW di potenza atomica a metà secolo, ma questo non cambia la sostanza.
In alcune dichiarazioni del 25 giugno 2024 il ministro ha parlato di un “10-11% di produzione elettrica da nucleare” entro il 2030, cioè tra solo sei anni, mentre il Pniec inviato a Bruxelles ipotizza, in uno degli scenari, 0,4 GW installati al 2035.
Per dare una dimensione, dall’inizio del millennio la nuova potenza installata nell’intera Unione europea è di soli 3,2 GW (due soli reattori da 1,6 GW), ipotizzando che il reattore di Flamanville 3 possa essere avviato entro il 2024, ricorda l’appello di Energia per l’Italia.
“Potrà realisticamente il nostro Paese da solo avviare nei prossimi 25 anni una quantità di potenza nucleare che è cinque volte tutta quella installata nell’intera Unione europea negli ultimi 25 anni? E può farlo utilizzando una tecnologia come quella degli SMR che è ancora embrionale?”, si chiede il gruppo di ricercatori.
Il termine “modular” implica una produzione in serie, ma al momento siamo ancora a livello di prototipi: non è possibile prevedere se da questi prototipi si possa effettivamente giungere a una produzione su vasta scala.
Inoltre, il nostro Paese ha ormai perso buona parte delle competenze tecnico-ingegneristiche per costruire nuovi reattori nucleari. E purtroppo, da decenni, non riesce nemmeno a individuare un sito ove costruire il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Quanto altro tempo passerà solo per indicare un numero elevato di siti per le nuove centrali nucleari?
Mentre nel mondo l’installazione di nuova potenza nucleare procede a rilento e nel 2023 è calata di circa 0,6 GW a causa dei reattori dismessi, quella di fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico nello stesso anno è aumentata di ben 510 GW, prosegue l’appello.
Oggi le tecnologie di accumulo (chimico e gravitazionale) sono in grande crescita. I nuovi progressi tecnologici possono avere uno sviluppo significativo in tempi molto brevi. Ad esempio la Cina, che nel 2008 produceva energia elettrica da fotovoltaico per soli 100 TWh, in 15 anni è arrivata a produrne ben 580 TWh (dato 2023), sorpassando la produzione da nucleare (437 TWh), di cui al momento è leader mondiale.
Sicuramente le innovazioni tecnologiche introdotte con i reattori di nuova generazione sono interessanti. Tuttavia, si tratta di soluzioni note già dagli anni ’50 (reattori raffreddati a metalli fusi come sodio, piombo o la miscela eutettica piombo-bismuto) e che finora non hanno visto uno sviluppo significativo al di là dei prototipi. “Appare difficile che questo sviluppo possa avvenire nei tempi brevi richiesti per la transizione ecologica”, osserva Energia per l’Italia.
Secondo i modelli sviluppati dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) per avere una possibilità di limitare il riscaldamento globale entro 1,5 °C è necessario che a livello mondiale si raggiunga il picco delle emissioni di CO2 entro il 2025, si attui una riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030, si arrivi allo “zero netto” entro il 2050.
“È impossibile che il nucleare nel nostro Paese possa contribuire ai primi due obiettivi e appare molto difficile che possa dare un contributo significativo al raggiungimento del terzo, soprattutto se si scegliesse una soluzione che di fatto non esiste ancora nel mondo dal punto di vista commerciale come gli SMR”, si legge nella lettera.
“Riteniamo – conclude l’appello – che l’intero comparto della ricerca debba ricevere finanziamenti adeguati, incluso quello sul nucleare, area che ha importanti applicazioni ad esempio in campo medico. Tuttavia, è necessaria una netta distinzione tra ricerca e soluzioni tecnologicamente affermate: un ritorno all’energia nucleare in Italia non potrebbe fornire un contributo significativo alla decarbonizzazione del nostro sistema elettrico, né nel breve periodo e nemmeno in tempi più lunghi”.
Il 7 luglio del 2017 la società civile internazionale e la maggioranza degli Stati del mondo, fortemente determinata a superare la grande illusione della deterrenza nucleare, ha fatto la storia alle Nazioni Unite con l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). È stato il risultato tanto atteso di una spinta decennale a livello mondiale per vietare finalmente e categoricamente le armi nucleari nel diritto internazionale, ed è stato l’inizio di una nuova fase del lavoro della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN, insignita grazie a questo risultato del Premio Nobel per la Pace) per eliminare le armi nucleari. Di questo cammino fanno parte anche Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica, che hanno promosso e coordinano nel nostro Paese la mobilitazione “Italia, ripensaci”.
A sette anni di distanza ricordiamo quello storico e cruciale passaggio confermando il nostro impegno per liberare l’Umanità dalla minaccia nucleare. Da quel giorno sono successe molte cose: il Trattato è entrato in vigore nel 2021 e ha continuato a crescere in termini di Stati membri, il lavoro per metterlo in pratica è iniziato concretamente con due Conferenze degli Stati parti di successo e un solido processo di implementazione tra una riunione e l’altra. Il Trattato è più di un documento, più di una riunione: è una comunità che lavora per porre fine alle armi nucleari nel mondo, e tutti i membri di ICAN sono orgogliosi del ruolo centrale che la Campagna svolge nel promuoverlo e sostenerlo. Con il rischio di utilizzo di armi nucleari in aumento, dobbiamo continuare a promuovere il Trattato TPNW in ogni modo possibile. Rigettando anche le scorrette interpretazioni che lo vorrebbero ostacolo ad altri percorsi di disarmo (che in realtà stavano pericolosamente languendo e che comunque ne sono complementari) o peggio un indebolimento della sicurezza globale. Che invece è minacciata dal pericolo di escalation nucleare.
Alla vigilia del vertice per il 75° anniversario della NATO lo ha ribadito anche un gruppo di ex esponenti politici e militari di spicco dell’Alleanza, chiedendo di porre fine alla sua dipendenza dalle armi nucleari. In una dichiarazione congiunta rilanciata oggi da ICAN gli ex leader affermano che la vera sicurezza può essere trovata solo eliminando la minaccia nucleare: “sarebbe un grave errore per i leader della NATO concludere che le armi nucleari sono più importanti che mai per la difesa dell’Europa”.
Nella dichiarazione si afferma che l’attuale approccio della NATO, che si definisce un’alleanza nucleare, si basa su una strategia di deterrenza ormai superata e costituisce un ostacolo al suo obiettivo di creare un “ambiente di sicurezza per un mondo senza armi nucleari”. Per questo viene chiesto alla NATO di attenuare le tensioni nucleari con la Russia rimuovendo le armi nucleari americane dispiegate in Europa, in quanto non necessarie e con scarso valore militare pratico, esortando invece gli Stati Uniti e la Russia a impegnarsi in un processo di disarmo trasparente e reciproco.
I governi di tutto il mondo, e quindi anche quello Italiano, dovrebbero dunque ascoltare le iniziative e le proposte della società civile internazionale che da tempo sottolinea il pericolo delle armi nucleari, anche quando veniva sottovalutato. Mentre invece le scelte di militarizzazione e di mantenimento degli arsenali nucleari hanno portato a un rafforzamento di questo pericolo con il rischio di escalation.
La campagna “Italia ripensaci” ha mostrato da tempo come la grande maggioranza dell’opinione pubblica del nostro Paese vorrebbe un percorso di adesione al TPNW, oltre che il ritiro delle testate statunitensi (recentemente aggiornate alla versione B61-12) dalle basi di Aviano e Ghedi. Lo chiedono anche oltre 90 città (tra cui Roma, Torino, Bologna, Brescia) che hanno aderito all’Appello della Campagna ICAN sulla scia delle centinaia di mozioni che dal 2016 hanno chiesto l’approvazione di una norma internazionale che renda illegali le armi nucleari.
Dal 7 luglio del 2017 questa norma c’è e stabilisce una strada concreta di disarmo, a partire dall’assistenza alle vittime e ai rimedi per l’ambiente colpito dai test nucleari: il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari TPNW! Lavoriamo tutte e tutti insieme per renderlo universale e mettere definitivamente le armi nucleari fuori dalla storia.
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La Dichiarazione “True security for NATO requires moving away from nuclear weapons” è disponibile sul sito di ICAN, con l’elenco di tutti i firmatari che comprende ex presidenti, primi ministri, ministri degli Esteri e della Difesa, nonché ex alti dirigenti militari di Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti.
Il documento di fondazione della NATO, il Trattato del Nord Atlantico, non fa alcun riferimento alle armi nucleari. Ma nel 2010, due decenni dopo la fine della Guerra Fredda e solo un anno dopo il discorso di Praga del Presidente Obama in cui esponeva la sua visione di un mondo senza armi nucleari, la NATO si è autodefinita un’alleanza nucleare e le armi nucleari sono ora una parte fondamentale della sua strategia. L’Alleanza dice di essere impegnata a creare un mondo senza armi nucleari, ma allo stesso tempo insiste sul fatto che “finché esisteranno le armi nucleari, rimarrà un’alleanza nucleare”, una posizione che preclude i progressi verso il suo obiettivo dichiarato.
***Senzatomica, Rete Italiana Pace Disarmo