Con 162 voti a favore, 91 contrari e tre astenuti, il ddl 1660 più conosciuto come Decreto Sicurezza è stato approvato alla Camera dei Deputati. Ora passerà al Senato.
Al suo interno molte delle misure su cui il Governo Meloni ha deciso di delle lotte è punibile fino a 6 anni, essendo considerata "terrorismo della parola"; carcere fino a 7 anni per chi occupa una casa sfitta o solidarizza con le occupazioni; fino a 15 anni per resistenza attiva; fino a 4 anni per resistenza passiva; carcere immediato anche per le madri incinte o con figli di età inferiore a un anno; si vieta agli immigrati senza permesso di soggiorno finanche l'uso del cellulare, vincolando l'acquisto della SIM al possesso del permesso; facoltà per forze dell'ordine di detenere una seconda arma personale al di fuori di quella di ordinanza e al di fuori del servizio.
Nel nostro Paese il Governo Meloni vuole trasformare in reato l'impegno e le lotte per la difesa dei territori, per i diritti, per il lavoro e per la dignità delle persone. Vuole arrestare e tappare la bocca a qualsiasi giovane attivista che si batta contro ingiustizie sociali, ambientali ed ecologiche. Tutto questo avviene mentre il Governo Meloni impone al Paese una Legge di Bilancio lacrime e sangue, che continua a togliere diritti e non risponde ai bisogni delle persone, sprecando soldi in armi, fossili e vecchie rendite di posizione che non creano lavoro, né contribuiscono a promuovere salute e partecipazione pubblica.
Consapevole del proprio fallimento e delle promesse mancate, il Governo Meloni con il Decreto Sicurezza si prepara a impedire e reprimere ogni forma di legittima protesta che seguirà contro misure sbagliate che colpiscono la maggioranza dei cittadini. Mentre si cancellano spazi di democrazia e partecipazione, ci vogliono tutti e tutte zitti, buoni e fermi. È la nostra Costituzione che invece ci impone l'obbligo alla solidarietà e l'impegno per la giustizia sociale per garantire a tutte e tutti la dignità. Quella dignità che il Governo Meloni sta cancellando a milioni di cittadini e cittadine.
Oggi, con un gigantesco capovolgimento di senso comune questo Governo:
definisce come reato l'impegno e le lotte per il bene comune e l'interesse generale, mentre ritiene normale tagliare il Fondo politiche sociali e cancellare il reddito di Cittadinanza quando la povertà assoluta è ai massimi storici in Italia;
ritiene normale continuare a tagliare fondi alla sanità pubblica favorendo le privatizzazioni, mentre se ne infischia di 4 milioni di persone che non possono più curarsi;
ritiene normale che non ci sia un salario minimo legale in un Paese in cui muoiono di lavoro 3 persone al giorno e dove vivono più di 4 milioni di lavoratori e lavoratrici povere, ma non fa nulla per investire su controlli e maggiori tutele per i lavoratori, anzi reprime chi lo chiede;
cancella i fondi per la casa e non fa nulla per evitare che centinaia di migliaia di famiglie vittime di morosità incolpevole finiscano per strada, danneggiando il futuro di migliaia di minori, mentre reprime chi si batte per il diritto all'abitare ed è costretto dall'emergenza abitativa a occupare spazi pubblici abbandonati;
ritiene normale non intervenire sul collasso climatico, nega la crisi ecologica mentre il nostro Paese è sempre più colpito da eventi meteorologici estremi, siccità e ondate di calore, si oppone agli investimenti per la riconversione ecologica in Europa, se ne frega di tutelare la biodiversità nel nostro Paese condannando le future generazioni, mentre ritiene normale buttare decine di miliardi in sussidi ambientalmente dannosi per fare un favore alle grandi lobby, così come utilizzare i fondi del PNRR per inutili e dannose opere pubbliche, reprimendo intere comunità che promuovono alternative;
ritiene normale chiudere i consultori e i centri antiviolenza quando viene uccisa una donna ogni 2 giorni, mentre vuole mettere in galere le donne che lottano per i propri diritti;
ritiene normale che aumenti la spesa per le armi in un mondo che non può continuare a essere in Guerra e in cui si arricchiscono in pochi e si impoveriscono e muoiono in molti, mentre vuole mettere in galera chi promuove la pace e denuncia guerre e genocidi.
Per noi non è normale! Accettare quello che sta succedendo in silenzio, senza mobilitarci, significherebbe tradire i principi fondamentali della nostra Costituzione e colludere con chi sta minando la democrazia e il nostro patto di civiltà dal cuore delle Istituzioni repubblicane. Associazioni, movimenti per la giustizia sociale e ambientale, reti sociali, cooperative, presidi antimafia, parrocchie, centro antiviolenza, case delle donne, si oppongono con forza a questa deriva e non faranno un passo indietro nella difese di diritti, territori e democrazia.
Questo Decreto ci pone fuori dalla civiltà democratica in cui il conflitto, la dialettica e il dissenso sono parte fondante della democrazia. Concetto chiave della democrazia che il Governo Meloni calpesta. L’obiettivo è quello di reprimere chiunque protesta nel Paese, mentre ci si appresta a distruggere l'unità della Repubblica attraverso la Legge Calderoli che farà esplodere definitivamente disuguaglianze ed esclusione sociale, rendendo ancora più fragili e disuguali le nostre vite.
Serve uno scatto di tutte le opposizioni politiche per impedire questo scempio. Al nostro Paese serve altro per uscire dalla crisi. Abbiamo bisogno di altre politiche per rispondere a disuguaglianze, collasso climatico e guerre. Con le misure messe in atto dal Governo la nostra condizione materiale peggiorerà e la democrazia sarà seriamente al rischio. Una situazione che le realtà sociali e di base non devono, non possono e non vogliono accettare. Per questo ci mobiliteremo nelle prossime settimane per far sentire la nostra voce e riprenderci gli spazi che il Governo vuole toglierci.
Ufficio stampa
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Per il leader Cgil “bisogna andare a prendere i soldi dove sono: sugli extraprofitti e nell’evasione fiscale”
“Noi innanzitutto vorremmo poter capire concretamente cosa hanno in mente di fare: finora non c’è stata alcuna possibilità di fare una discussione”. Così il segretario della Cgil, Maurizio Landini, a Potenza per le Giornate del Lavoro organizzate dalla Cgil Basilicata, ha risposto a una domanda dei giornalisti sulla legge di bilancio. “È evidente che questa manovra, per noi, deve andare a prendere i soldi dove sono”.
“Siamo di fronte a una situazione in cui bisogna cambiare le scelte fatte per il mercato del lavoro da tutti i governi che si sono alternati negli ultimi 20-25 anni”. Lo ha poi detto Landini, intervistato da Massimo Giannini. In riferimento alla manovra del governo Meloni, ha aggiunto che “al centro devono tornare le persone e il lavoro e non il mercato e i profitti. Bisogna andare a prendere i soldi dove sono: sugli extraprofitti e nell’evasione fiscale. Per ora il governo non ha fatto questo, noi però dobbiamo dire basta”.
“Prima di tutto la pace”. Con questo slogan, sabato 21 settembre, ad Assisi, si svolgerà una nuova significativa Marcia della pace. Cento Enti Locali e oltre duecento associazioni di ogni parte d’Italia hanno annunciato la partecipazione. Per la prima volta dopo molti anni, sono stati invitati a partecipare i leader nazionali delle forze politiche e i neoeletti parlamentari europei.
“Contro la follia bellicista e la corsa al riarmo – scrivono i promotori della Fondazione PerugiAssisi – contro tutte le stragi impunite, il cambiamento climatico, l’informazione a senso unico e la censura, ricostruiamo insieme una coscienza, una cultura e una politica di pace che si esprima attraverso la cura degli altri, dell’umanità e del pianeta”.
La Marcia di Assisi di svolgerà in occasione della Giornata Internazionale della Pace indetta dall’Onu, nell’immediata vigilia del Summit del Futuro che riunirà a New York i Capi di Stato di tutto il mondo.
Il programma prevede quanto segue:
Ore 9.30 Incontro nazionale delle Costruttrici e dei Costruttori di Pace (Domus Pacis, Assisi, Santa Maria degli Angeli) – Ingresso consentito sino ad esaurimento dei posti
Ore 15.00 Partenza della Marcia da Santa Maria degli Angeli
Ore 17.00 Conclusione della Marcia in piazza del Comune di Assisi
La Marcia è promossa da: Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, Rete Nazionale delle Scuole per la Pace, Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” e Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace” dell’Università di Padova, Rete delle Università per la Pace (RUniPace) con l’adesione del Comune di Assisi, della Provincia di Perugia, del Comune di Perugia e di numerosi Enti Locali e associazioni.
Incontro nazionale delle Costruttrici e dei Costruttori di Pace
Domus Pacis, Assisi, Santa Maria degli Angeli
Ore 9.30-14.00
Intervengono tra gli altri
Agnese Coppola Negri, Presidente Consiglio Comunale di Baronissi (SA)
Alessandro Saggioro, Coordinatore del Dottorato Nazionale “Studi per la Pace”, Sapienza Università di Roma
Alessia Bettini, Vice Sindaca Comune di Firenze
Alfio Nicotra, Associazione delle ONG Italiane
Aluisi Tosolini, Coordinatore della Rete Nazionale delle Scuole di Pace
Andrea De Domenico, ex Direttore dell’Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi Occupati (OCHA)
Antonella Di Pietro, Consigliera Comune di Bologna
Benedetta Squitteri, Assessora Comune di Prato
Camilla Laureti, Parlamentare Europea
Carolina Morace, Parlamentare Europea
Dario Tamburrano, Parlamentare Europeo
Emiliano Manfredonia, Presidente Nazionale Acli
Fabiana Cruciani, Dirigente Scolastica dell’ITTS “A. Volta”, Coordinatrice della Rete Nazionale delle Scuole di Pace
Ferdinando Bonessio, Consigliere Roma Capitale
Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
Francesca Benciolini, Assessora Comune di Padova
Francesco Tagliaferri, Sindaco Comune di Vicchio (FI)
fratel Antonio Soffientini, Comitato promotore Arena di Pace, Fondazione Nigrizia
Gianfranco Pagliarulo, Presidente Nazionale Anpi
Giulio Marcon, Sbilanciamoci
Giuseppe Giulietti, Fondatore di Articolo 21
Guido Barbera, Presidente del Cipsi
Leoluca Orlando, Parlamentare Europeo
Luisa Addario, Assessora Comune di Corato (BA)
Marco Mascia, Coordinatore della Rete delle Università Italiane per la Pace (RUniPce) Università di Padova
Marco Tarquinio, Parlamentare Europeo
Marta Bonafoni, Coordinatrice Segreteria Nazionale del Partito Democratico
Marzia Marchesi, Assessora Comune di Bergamo
Matteo Ricci, Parlamentare Europeo
Maurizio Mangialardi, Vice Presidente Assemblea Legislativa delle Marche
Max Brod, Giornalista approfondimento Rai, No Peace No Panel
Michele Santoro, Pace, terra e dignità
p. Alex Zanotelli, Missionario Comboniano
p. Enzo Fortunato, Coordinatore della Giornata Mondiale dei Bambini
p. Marco Moroni, Custode del Sacro Convento di San Francesco d’Assisi
Roberto Reale, Giornalista e scrittore
Silvana Amati, vicePresidente della Fondazione PerugiAssisi
Simone Pizzi, Presidente Consiglio Comunale di Ancona
Stefania Proietti, Sindaca di Assisi e Presidente della Provincia di Perugia
Vittoria Ferdinandi, Sindaca Comune di Perugia
Vittorio Molinari, Assessore Comune di Modena
Walter Massa, Presidente Nazionale Arci
Yousef Hamdouna, Responsabile dei progetti di EducAid nella Striscia di Gaza
Il leader della Cgil interviene al Labour 7. “Nessuno si salva da solo”. Sindacati e imprese abbiano pari dignità nella costruzione del bene comune
“Nessuno si salva da solo”. Il mondo del lavoro è atteso da sfide globali che rendono quanto mai necessario, più che in passato, il reciproco riconoscimento di lavoratori, sindacati, imprese, governi. Dialogo sociale, quindi, certamente. Ma anche contrattazione, un piano di riconoscimento più alto, dove i diritti di chi lavora siano riconosciuti e tutelati. Diritti a salari non poveri, alla cura, alla formazione.
“Nessuno si salva da solo”, ripete Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, nel suo intervento conclusivo al Labour 7, il summit dei sindacati che ha preceduto il G7 sul Lavoro di Cagliari, in Sardegna (qui il documento finale del vertice). Non si affrontano macro temi come intelligenza artificiale e lavoro, transizione verde e digitale, invecchiamento e formazione “ognuno nel suo Paese e ognuno da solo, ma c'è la necessità, sia sul piano sindacale sia sul piano politico, di essere in grado di avere linee e posizioni comuni”, ha spiegato Landini.
Il messaggio che questo L7 consegna ai governi dei “Grandi” per Landini è inequivocabile: “È necessario non lasciare fare al mercato ma rimettere al centro il lavoro e l'intelligenza, non quella artificiale ma l'intelligenza delle persone che attraverso il loro lavoro possono cambiare il modello di sviluppo e di produzione” che, negli ultimi decenni di globalizzazione, ha impoverito lavoratrici e lavoratori.
“La tecnologia non è neutra e, quindi, dobbiamo mettere i lavoratori nelle condizioni di poter discutere come viene utilizzata, per quali fini, chi la controlla e utilizza i dati. Il problema non è essere contro, ma come si utilizza. La logica è il modello sociale da affermare, e non il mercato, e al centro deve esserci la persona”.
Ma, se si parla di libertà e democrazia, cardini dei sistemi di convivenza contemporanei, allora bisogna anche riconoscere che “una persona per essere libera non deve essere precaria - scandisce Landini -, deve avere uno stipendio dignitoso, non deve rischiare di morire sul lavoro, deve avere garantiti per tutta la vita alcuni diritti fondamentali: alla cura, alla sanità pubblica, alla formazione e all'istruzione”. Temi per i quali il dialogo sociale non basta, insiste Landini, ma occorre appunto la “contrattazione collettiva”, perché “è il momento di realizzare degli accordi, non solo di ascoltarsi reciprocamente”.
Per affrontare la complessità di questi temi, e i “processi di cambiamento che ci riguardano tutti, compreso il cambiamento climatico” occorre un di più di “responsabilità sociale” da parte delle imprese, occorre “l'umiltà” di comprendere che processi simili si governano solo con “l'intelligenza collettiva di tutti”.
“Quando parlo di contrattazione e non semplicemente di dialogo sociale – spiega il numero uno della Cgil – chiedo che venga riconosciuto che esistono due soggetti. Esiste l’impresa, il capitale. Ma esiste anche il lavoro, esistono le persone. Questi due soggetti devono avere pari dignità e la contrattazione deve essere proprio finalizzata a ricercare quella mediazione tra questi due interessi per un bene comune”.
Non lasciare fare al mercato, ha proseguito Landini, significa rilanciare “politiche industriali che utilizzino le risorse pubbliche per indirizzare e costruire un nuovo modello di sviluppo, un nuovo modello di lavoro e combattere le diseguaglianze, aumentare i salari, anche introducendo una legislazione che rafforzi la contrattazione collettiva e i salari minimi”.
Ma, per Landini, “vuol dire anche tassare le grandi ricchezze” che sono aumentate in questi anni mentre il lavoro si è impoverito. È nato “un modello sociale ed economico che non va bene, e non è un caso che la crisi della democrazia, il fatto che molte persone che non vanno più a votare e non si sentono più rappresentate, siano proprio quelle che lavorano”.
“Abbiamo bisogno che il lavoro e la giustizia sociale tornino ad essere i cardini delle politiche economiche e sociali”: questo è “il messaggio da indicare ai ministri che si incontrano” al G7.
Giustizia sociale e “felicità”, conclude Landini. Felicità (pubblica e individuale): è un concetto alla base della tradizione democratica moderna, ma spesso dimenticato o trascurato. A quanto pare, non da Landini: “Io non riesco ad essere felice se le persone che devo rappresentare stanno male, se non sono nella condizione di arrivare alla fine del mese. Per essere felice ho bisogno che quelli che sono attorno a me abbiano la possibilità di essere felici”.
Felicità, di tutti o di nessuno. È un bel tema. Non solo per un G7.
A Cagliari il summit dei ministri e il Labour 7 con Maurizio Landini sono separati. Nel cuore di chi lavora tre priorità: salario, sicurezza, stabilità
Non c’è stato il clima d’attesa che aveva caratterizzato l’ipotesi di ospitare il G7 del 2010 alla Maddalena, con le grandi opere rimaste incompiute in un arcipelago appena liberato da un pezzo di servitù militare. Di quella fase, è rimasta la delusione per l’opportunità sprecata. Poco importa se, a quattordici anni di distanza, un piccolo pezzo dell’evento internazionale si svolge a Cagliari dal 10 al 13 settembre, quello sul Lavoro, con i summit dei sindacalisti e dei ministri dei quattro continenti, in giorni e sessioni separati. Ancora oggi, se in Sardegna dici G7 – o G8, com’era ai tempi – dici La Maddalena, Bertolaso e Berlusconi.
Era stato Prodi a far sognare l’arcipelago al Nord della Sardegna, che aspettava una riscossa in chiave turistica dopo lo smantellamento della base navale americana. Nel 2009 invece, Berlusconi spostò in Abruzzo il vertice dei capi di governo che si sarebbe dovuto svolgere l’anno dopo a La Maddalena. Il G7 del Lavoro in programma a Cagliari, richiama alla memoria quella ferita inferta all’Isola. Al posto della riscossa, La Maddalena incassò l’abbandono dei cantieri per le strutture che avrebbero dovuto ospitare Barack Obama e gli altri.
È rimasta una delle più grandi incompiute nella storia della Sardegna. Sopra quella ferita, ci mise un po’ di sale anche Renzi: sembrava propenso a risarcire l’Isola dalla beffa, ma il G7 del 2017 si svolse in Sicilia. Ancora una volta, la Sardegna ci aveva creduto, ancora una volta era rimasta delusa.
Sette anni dopo, la Meloni ha scelto la Puglia per il vertice dei leader di Stato. E l’Isola, terra natìa della ministra Calderone, ospita il summit dei ministri del Lavoro, oltre al Labour 7, che riunisce i sindacati dei sette Paesi, con il segretario generale della Cgil nazionale Maurizio Landini che oggi, 10 settembre, al T-Hotel, svolgerà il suo intervento sul tema della pace e della democrazia.
Le sale conferenze sono al primo dei quindici piani della Torre di cristallo, le vetrate dell’ultimo svettano su una città che stenta a riprendere i ritmi post-agostani. Dietro le quinte dell’hotel c’è il fermento dei grandi eventi: oltre un anno di preparativi nella struttura carbon free da aprile, che al Labour 7 ha riservato 180 delle sue 207 camere, coinvolgendo nell’organizzazione i suoi 120 lavoratori e lavoratrici più qualche rinforzo esterno.
Dal quindicesimo piano si vede l’intero Golfo degli Angeli: il mare del Poetto e il cuore della città vecchia con il Bastione che porta il nome del primo viceré piemontese, San Remy, il terminal crociere e poi il porto canale, il villaggio dei pescatori di Giorgino e, in lontananza, l’area industriale di Macchiareddu. Nella luce che contraddistingue il settembre cagliaritano, si può persino intuire che quei puntini laggiù, sul parco di Molentargius, sono i fenicotteri rosa.
Un orizzonte che racconta economia e lavoro di un’isola che non vuol vivere solo di turismo ma che attrae sempre più visitatori: due milioni 760 mila passeggeri – il 7,6 per cento in più dell’anno scorso – nella stagione estiva non ancora conclusa all’aeroporto di Cagliari-Elmas dove, in queste ore, atterreranno sindacalisti e poi ministri di Stati Uniti, Giappone, Canada, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia.
In venti secondi l’ascensore riporta dal quindicesimo al piano che vedrà riuniti i sindacalisti, oggi e domani, per discutere di pace e democrazia, lavoro e futuro, intelligenza artificiale, cambiamento climatico, welfare e invecchiamento. Dall’11 al 13 settembre si svolgeranno invece, nelle sedi istituzionali, le riunioni del G7 del Lavoro.
“Se potessi, ai ministri chiederei di spendersi per aumentare gli stipendi e garantire ai giovani un lavoro buono e sicuro, anzi, lo chiederei più che altro alla Calderone, che è originaria di Bonorva e lo sa come vanno male le cose in Sardegna”. Enrico Corda, 40 anni – da diciotto barman al T-Hotel per 1.500 euro al mese e un contratto collettivo che la Confindustria si ostina a non rinnovare – in poche parole aggancia le vite quotidiane di migliaia, milioni di lavoratori e lavoratrici, alle discussioni e agli indirizzi che verranno tracciati in questi giorni dai grandi Paesi.
Ai ministri si appelleranno anche gli operai della Portovesme srl, con un presidio a Cagliari per denunciare il tradimento di Glencore che, con l’annunciata chiusura della linea zinco, manda in fumo mille buste paga.
Perché se nella regione che ospita il summit, la disoccupazione giovanile sfiora il 27 per cento e fra gli under 30 nove contratti su dieci sono precari, nel resto del Paese non va tanto meglio: i salari sono i tra i più bassi d’Europa e il lavoro fa tre vittime al giorno. Ma come diceva quel vecchio detto, tutto il mondo è Paese. I salari e la sicurezza sono le ragioni dello sciopero annunciato pochi giorni fa dai lavoratori della raffineria Marathon, nell’ex metropoli industriale Detroit. E sempre negli Stati Uniti, ci sono volute sei settimane consecutive di sciopero prima che Ford, Stellantis e General Motors si piegassero alla firma degli accordi sull’incremento di salario più alto degli ultimi decenni.
Insomma, nella sala colazioni di un hotel cagliaritano come in una catena di montaggio dell’automotive a settemila chilometri di distanza, o fra i cantieri delle opere incompiute nell’arcipelago della Maddalena, c’è una sintonia di pensieri e rivendicazioni nella testa e nel cuore di chi lavora: salario, sicurezza, stabilità. Di queste cose i sindacalisti vorrebbero parlare con i ministri, e invece non è possibile, perché i due eventi, L7 e G7, si sfiorano ma non si incrociano, se non nel pomeriggio di domani, quando la Calderone parteciperà alla conclusione dei lavori del Labour 7.
Eppure, nella tre giorni quei ministri toccheranno questioni che hanno a che fare con i destini di un mondo del lavoro investito dalla quarta rivoluzione industriale. Per dire, chissà quante volte, nella sala conferenze del T-Hotel verrà pronunciata la parola innovazione; chissà quante volte il pensiero andrà alla Volkswagen, che pochi giorni fa ha annunciato la chiusura di uno stabilimento in Germania per la prima volta nella storia proprio perché non ha saputo e voluto innovare. Dentro quello stabilimento, ci sono le teste e i cuori dei lavoratori e delle lavoratrici, sono loro a pagare il prezzo di scelte industriali e politiche sbagliate.
Il segretario della Cgil Sardegna Fausto Durante, che di G7 ne ha vissuti altri quattro quand’era responsabile delle politiche internazionali per la Cgil nazionale, nota le differenze: “Nei G7 a cui ho partecipato in Canada, Giappone e Germania, i sindacati venivano coinvolti attivamente nelle interlocuzioni con i ministri del Lavoro, alle quali partecipavano anche i capi di governo dei Paesi ospitanti”. Un segnale, anche se formale, di rispetto e attenzione per il mondo del lavoro che “qui in Italia non si coglie – aggiunge Durante – e che caratterizza Paesi in cui il sistema di relazioni sindacali e industriali è consolidato secondo uno schema di confronto strutturato”.
Nelle quattro giornate cagliaritane non ci sarà quell’interazione ma nessun ministro potrà ignorare la voce del lavoro che i sindacalisti del Labour 7 e delle organizzazioni sindacali europee e internazionali porteranno nell’Isola del Mediterraneo per farla riecheggiare in ogni continente. In quel coro di voci ci sarà anche quella di Enrico Corda, che in una pausa lavoro fra un caffè e l’altro, alla conterranea Calderone idealmente dirà: “Si ricordi di noi ministra, ce la metta lei una buona parola con la Confindustria”
Primo confronto con il nuovo presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, alla Festa del Fatto Quotidiano: “Pessimo il nostro rapporto con il governo”
“Dobbiamo mobilitarci per difendere i lavoratori e la nostra industria”. Dal palco della Festa de Il Fatto Quotidiano Maurizio Landini riparte dalla mobilitazione. Dalla necessità urgente di cambiamento, un’istanza che la Cgil sta portando avanti su tutti i fronti della sua azione.
L’occasione è il primo confronto diretto con Emanuele Orsini, diventato lo scorso 24 maggio, nuovo presidente di Confindustria. Landini incalza, dice le cose come stanno, Orsini, complice forse anche il collegamento da remoto, sembra più timido, dribbla alcune delle domande dei moderatori, Salvatore Cannavò e Gianni Barbacetto.
La necessità urgente di cambiamento è alla base dello sforzo enorme messo in campo dalla Cgil in questi mesi di raccolta firme. Prima per i quattro referendum targati Quadrato rosso e poi per quello sull’autonomia differenziata, condiviso con un ampio schieramento di cui fanno parte la Uil, i partiti politici del Centro Sinistra e una larga rappresentanza della società civile e dell’associazionismo.
Quattro milioni di firme raccolte sui quattro quesiti che riguardano il lavoro, circa un milione su quello per abrogare la Legge Calderoli, firme queste ultime che verranno consegnate a fine settembre in Cassazione. Una “primavera dei diritti”, la definisce il segretario della Cgil, il cui obiettivo, oltre al cambiamento, sarà anche quello di riportare le persone alla partecipazione democratica.
Di fronte alla diplomatica non risposta di Orsini sulla posizione di Confindustria rispetto allo SpaccaItalia, “a fine mese raccoglieremo i risultati di uno studio e ne parleremo tutti insieme”, Landini è netto: “La nostra volontà è precisa: cancellare totalmente l’autonomia differenziata”.
“Se Italia e Unione Europea si trovano a dover fare i conti con il mondo intero, davvero il governo pensa che si possano trovare soluzioni ai grandi quesiti globali dividendo il Paese? Di fronte alla complessità delle sfide che ci troviamo di fronte, in un momento storico che richiederebbe una politica industriale, fiscale, economica continentale, davvero si pensa di trovare risposte nella proprio regione o nel proprio comune? Qui sono in discussione lo stesso assetto costituzionale e persino la sopravvivenza dell’industria del nostro Paese”.
In apertura il nuovo presidente di Confindustria parla della via del dialogo come l’unica percorribile da sindacati e Confindustria al fine di portare beneficio al Paese. Un principio condivisibile sulla carta, ma le prove di dialogo su alcuni punti, a cominciare proprio dalle battaglie referendarie, scricchiolano e su alcuni temi la distanza sembra ampia. Sui salari la vecchia ricetta prospettata dalla nuova guida di Confindustria, “bisogna legarli alla produttività”, trova la risposta di Landini, semplice ma essenziale.
“Perdonate la catalanata, ma in ultima analisi se i salari sono troppo bassi occorrerebbe semplicemente aumentarli”. Logica ferrea che strappa un applauso alla platea. L’analisi del segretario della Cgil è ampia, profonda, non si accontenta della superficie, ma cerca di guardare oltre. Ne esce fuori un’idea complessiva di Paese, una consapevolezza delle cose che andrebbero fatte, che non si ferma all’efficacia immediata, ma cerca di strutturare una visione economica e sociale complessa e molto diversa dalla attuale.
Anche per questo Landini non ha problemi a dire esattamente le cose come stanno: “il nostro rapporto con il governo è pessimo”. All’8 settembre, di fronte alle riforme sulle quali l’Europa incalza, il governo con chi si confronta? Inviti al tavolo con i sindacati per ora non ce ne sono. Il segretario è un fiume in piena e strappa applausi a scena aperta. Era prevedibile che giocasse in casa, ma a tratti la distanza da Orsini va molto oltre il collegamento da remoto del leader degli imprenditori.
In palio c’è la vita delle persone, ricorda Landini. “Dobbiamo rimettere al centro il lavoro e valorizzarlo – è l’ultimatum lanciato al governo, ma anche alle imprese –. La domanda cui dare una risposta è quella della libertà delle persone. Una persona è libera grazie al lavoro che fa, al salario che percepisce, se questo salario le permette una vita dignitosa, se può usare la propria intelligenza per partecipare alle decisioni su cosa produrre e come, se può andare a lavorare senza rischiare di infortunarsi o di morire. La contrattazione è lo strumento e il rapporto con Confindustria è importante non solo per fare contratti e accordi, ma per affrontare i temi del futuro”.