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Liberation Day Il terzo giorno di caduta verticale delle borse ha trasformato i titoli dei giornali americani in cronaca monotematica dell’implosione economica. Primo fra tutti il Wall Street Journal, voce dell’establishment di […]

Donald Trump al Trump National Golf Club - Ap Donald Trump al Trump National Golf Club - Ap

Il terzo giorno di caduta verticale delle borse ha trasformato i titoli dei giornali americani in cronaca monotematica dell’implosione economica. Primo fra tutti il Wall Street Journal, voce dell’establishment di Wall street e paludato organo del Dow Jones che dall’infausto mercoledì «della liberazione», suona un’incessante marcia funebre.

E indirizza editoriali sempre più stridenti all’indirizzo della politica che ha capovolto il mondo del commercio e della finanza globale. Sono indicativi i titoli di una singola edizione: Trump continua imperterrito a imporre cambiamenti su scala raramente vista prima; La borsa in tilt su notizie di nuovi dazi, Wall street inizia ad esprimersi contro la politica di Trump; Trump sostiene che i dazi sono reciproci; non lo sono.

Una rassegna del terrore e del disgusto che serpeggiano ormai apertamente ai piani alti del capitalismo mondiale. Nulla ha fatto per lenirli il fatto che dopo aver appiccato l’incendio all’economia mondiale, il presidente bancarottiere si sia ritirato sui campi di golf per un torneo sponsorizzato dai partner sauditi (la Casa bianca ha anche diramato un comunicato ufficiale per dar conto della vittoria di Trump che sarebbe passato al girone finale del torneo). Ma mentre il presidente piromane si diletta come Nerone fra le fiamme, sale l’angoscia non solo fra i capitalisti ma soprattutto fra i piccoli risparmiatori che stanno assistendo al falò dei fondi pensione (e al concomitante sabotaggio della previdenza pubblica martoriata dai licenziamenti del Doge).

Eppure perfino Elon Musk si sta pronunciando contro le barriere commerciali di Trump aggiungendo la propria voce a colleghi come Jamie Dimon, Ceo di JP Morgan Chase e Larry Fink di Blackrock, che ritiene ormai iniziata la recessione, e altri multimiliardari come Bill Ackman, direttore di hedge fund e ardente sostenitore della campagna elettorale di Trump che in un post ha scritto: «Applicare dazi sproporzionati ad amici e nemici innescando una guerra economica contro il mondo intero, rischia di distruggere ogni fiducia nei confronti del nostro paese». «Avevo immaginato che sarebbe prevalsa la razionalità. Colpa mia».

Le lacrime di coccodrillo di Ackman e dei suoi colleghi non hanno impressionato l’economista Paul Krugman, che ha definito il finanziere uno «stolto». «Mentre affrontiamo ogni inferno che porta il nuovo giorno – ha scritto il premio Nobel – sorge ovvia la domanda : chi ha messo al comando questi malevoli pagliacci?».

Il caosintanto sta mettendo a fuoco il dilemma di un paese che è ormai avviato su una china autodistruttiva. Anche prima dell’assetto “plenipotenziario” inventato per Trump dall’attuale Corte suprema, infatti, l’ordinamento americano non prevedeva crisi o rimpasti di governo né una sfiducia politica formale al presidente. Unica via percorribile per arginare le politiche distruttive di Trump sembrerebbe dunque la strada della lotta e della mobilitazione di massa, di un inasprimento del conflitto sociale. Ma a questo riguardo il presidente autocrate starebbe valutando di giocare nuovamente la carta dei poteri speciali – stavolta quella dell’Insurrection Act del 1807, una legge marziale che sarebbe pronto a invocare preventivamente già dal 20 aprile, data in cui i ministri della sicurezza e della difesa presenteranno un rapporto sulla «messa in sicurezza» del confine. Una loro valutazione negativa potrebbe servire da facile pretesto per un ulteriore giro di vite contro il dissenso in quella che somiglia sempre più ad una rappresaglia del presidente contro il proprio paese.