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IL LIMITE IGNOTO. Anastasia Chivakina, del movimento "Mogli e madri": «Chi fugge non è un vero ucraino ma chi sta combattendo deve poter staccare»

 Odessa, manifestazione delle "Mogli e madri dei soldati»

Sembra il momento della resa dei conti al fronte. In un video diffuso ieri su internet si vedono dei soldati russi giustiziare almeno due soldati ucraini appena usciti da una trincea, disarmati e in stato confusionale. È accaduto nei pressi di Robotyne, a sud di Zaporizhzhia. E si tratterebbe del secondo caso in pochi giorni di esecuzioni sommarie di uomini inermi dopo Avdiivka.

Robotyne è una delle roccaforti di Kiev lungo la linea del fronte meridionale, teoricamente protetta da una fitta rete di trincee e da campi minati. Sembra, tuttavia, che i russi siano riusciti a superare la prima linea di campi minati e che ora stiano puntando dritti verso la fortezza nemica. Intanto qui nell’est la situazione non accenna a migliorare per i difensori che sono costretti a fronteggiare i continui attacchi missilistici dei russi e temono una nuova avanzata verso Ugledar, del sud dell’oblast di Donetsk. A poca distanza, la strada che esce da Avdiivka è ricoperta da centinaia di corpi di soldati ucraini. Sono i militari che hanno tentato di mettersi in salvo quando la città era già praticamente persa, il che smentisce le dichiarazioni del nuovo Comandante in capo delle forze armate ucraine Syrskyi secondo il quale la «ritirata era stata ordinata per salvare la vita dei militari». In realtà, a quanto sembra, gli unici che sono riusciti a salvarsi sono quelli che sono scappati autonomamente e quelli che si trovavano già nelle retrovie.

È un momento duro per i militari ucraini al fronte. A Odessa avevamo incontrato Anastasia Chivakina, una ragazza di 22 anni che è tra le organizzatrici delle proteste delle «mogli e madri» dei soldati sul terreno.

Anastasia Chivakina
Anastasia Chivakina

Come è nato il vostro movimento?
In realtà non so chi e quando ha creato il gruppo Telegram dove abbiamo iniziato a parlare. All’inizio eravamo 50 persone di Odessa, ci siamo organizzate, ci siamo incontrate e abbiamo lanciato il primo sit-in pacifico. Con il tempo siamo arrivate a 2mila persone in 20 città ucraine e ora siamo circa 4mila. Non ci rendevamo bene conto di quante persone come noi aspettassero da mesi il ritorno dei propri cari dal fronte e del fatto che moltissimi si sentissero senza voce.

Lei chi sta aspettando?
Mio marito, Nikola. Dall’aprile del 2022 è in prima linea ed è tornato a casa due volte per dieci giorni… in due anni.

Ci può descrivere brevemente come funziona la rotazione adesso nelle truppe ucraine al fronte?
In realtà la rotazione è un problema enorme nel nostro esercito. Diciamo che non esiste una regola che riguarda tutti. Se sei capitato in una brigata o un’unità che lo permette puoi andare, altrimenti può darsi anche che tu non torni mai nelle retrovie.

Dunque voi per cosa protestate?
Noi chiediamo che ci siano dei limiti per il servizio al fronte. Abbiamo proposto la durata massima di 18 mesi, passati i quali i militari devono poter tornare a casa per potersi riposare, per poter fare un po’ di ‘riabilitazione’. Dovete immaginare che i soldati al fronte vivono in condizioni durissime e hanno bisogno di un’assistenza psicologica specializzata. La maggior parte dei ragazzi con cui parliamo ha un disperato bisogno di risposo, che qualcuno li sostituisca per un arco di tempo sufficiente. Ma sembra impossibile.

Nel vostro gruppo parlate anche di pace? Cioè protestate anche per spingere il governo a trovare un modo di finire la guerra?
Sinceramente noi non ne parliamo… è una cosa quasi impossibile in queste condizioni. Diciamo che ci concentriamo su una questione pratica, vorremmo la smobilitazione.

E come si può continuare la guerra con la smobilitazione?
Smobilitazione vuol dire che un militare che ha servito per un tot di mesi poi non può più essere richiamato per un lungo periodo. Cioè non possono obbligarti a lavorare nelle città o nelle retrovie e poi dopo 2 o 3 mesi risbatterti in prima linea. Così non stacchi mai, non riesci mai ad avere una vita normale.

I funzionari governativi o militari vi criticano per ciò che fate? Avete ricevuto pressioni?
I soldati ci hanno ringraziato fin da subito. Ma, soprattutto all’inizio, la gente si fermava per prenderci in giro. Qualcuno su internet ci accusava di fare del male al Paese. Noi, capisce? Vedi uomini che potrebbero stare al fronte ma girano in città tranquilli che ti trattano da sobillatrice. Anche l’opinione pubblica è contraria alle nostre proposte perché per loro la smobilitazione significa mobilitazione di altri, che spesso sono gli stessi che ci criticano. Però la guerra non può gravare solo sulle spalle di alcuni.

Non si sente tradita dal fatto che c’è una parte dell’Ucraina che non sta facendo abbastanza? Cosa pensa di quegli ucraini maschi che sono in età da leva e che magari sono nel resto d’Europa e non vogliono tornare a combattere?
La situazione è troppo sbilanciata, però molti dei nostri familiari sono andati volontari al fronte e noi per questo abbiamo iniziato da subito ad aiutare l’esercito. Vogliamo a fare tutto il possibile per loro, perché stiano ameno un poco meglio. Quegli uomini che erano in età di leva e sono scappati in Europa non sono dei veri ucraini, possono restarsene dove sono e non tornare più. Quelli che sono qui e si nascondono fanno bene ad avere paura perché se li trovano andranno al fronte chissà per quanto. Io li capisco in un certo senso. Ma è anche per questo che noi lottiamo, perché un soldato possa sapere quando potrà tornare a casa.

Vista la situazione e l’esperienza che sta vivendo suo marito, se potesse tornare indietro cercherebbe di sconsigliarli di arruolarsi?
Nikola si è arruolato volontario perché crede nella causa, crede che domani potremo vivere in ucraina da ucraini e in pace. Se non fosse per le mie condizioni di salute ci sarei andata anch’io

 

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Livelli massimi di smog in Pianura padana: Milano e Bologna da bollino rosso, allarme per la salute dei bambini. L’Italia ha il primato dei morti per inquinamento ma chiede la deroga all’Europa sulla qualità dell’aria. A spingere è soprattutto la Lombardia

IL FATTORE CAPPA. Vanes Poluzzi, Arpa Emilia-Romagna: «Il meteo non lascia scampo. È come avere una coperta di lana sulla testa che fa ristagnare l’aria, impedendo agli inquinanti di disperdersi»

Pianura padana, smog e clima caldo: salgono gli infarti e le bronchiti

 

In Emilia-Romagna è arrivato l’invito a non fare jogging e restare a casa, mentre il sito e i social del ministero della Salute ancora non prendono atto della grande emergenza smog in Pianura padana, quella fotografata dai satelliti e visibile a occhio nudo a chiunque si alzi di almeno duecento metri, verso l’Appennino emiliano o le Prealpi in Lombardia e Veneto: una massa grigia, uniforme, impenetrabile. «È come avere una coperta di lana sulla testa» che fa ristagnare l’aria rendendola più viziata ogni giorno che passa, ha spiegato ieri con una metafora Vanes Poluzzi, responsabile del Centro tematico regionale di Qualità dell’aria di Arpae, l’Agenzia per l’ambiente dell’Emilia-Romagna, analizzando le condizioni che stanno determinando lo smog che soffoca la regione e in generale l’area padana.

«VIVIAMO una condizione particolarmente “sfortunata” dal punto di vista del meteo che non ci sta lasciando scampo e che purtroppo sta condizionando» l’andamento dei picchi di inquinanti, ha aggiungo. In pratica, ha spiegato all’Ansa, «da un lato abbiamo un anticiclone molto potente per cui siamo in pieno inverno ma abbiamo 5-6 gradi in più rispetto alle medie climatologiche del periodo, anche in montagna»; dall’altro c’è una massa d’aria calda in quota, persistente, che non lascia diffondere verso l’alto tutto ciò che di inquinante emettiamo giù. Una coperta non

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INQUINAMENTO. L’emergenza smog non esiste. Esiste un problema strutturale. La Pianura Padana rappresenta, per ragioni geomorfologiche e per impatto veicolare e industriale, la zona a più elevata concentrazione di smog a livello europeo. Ecco alcune proposte di immediata realizzabilità

La Pianura Padana rappresenta, per ragioni geomorfologiche (scarsa ventilazione a causa dell’arco alpino che favorisce accumulo e stagnazione di inquinanti atmosferici), la zona a più elevata concentrazione di smog a livello europeo.

Non è una novità: lo sappiamo da decenni. Ogni anno le foto satellitari riproducono graficamente la camera a gas, colorata di rosso, diffusa nelle aree urbane della pianura, quelle maggiormente popolate; le ricerche epidemiologiche sviluppate negli ultimi vent’anni confermano la coincidenza fra l’aumento dei livelli di concentrazioni inquinanti nell’aria e l’aumento dei casi di morbilità e mortalità.

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A Milano, ogni anno, circa 1.500 persone muoiono prematuramente – soprattutto nelle aree periferiche, quelle maggiormente colpite dalla congestione del traffico pendolare, 650.000 auto in ingresso ogni giorno – a causa dei veleno nell’aria generati dal traffico privato.

I pochi che continuavano a dare la colpa principalmente agli impianti di riscaldamento, hanno smesso di farlo da quando le concentrazioni di allarme del PM10 vengono superate già a settembre quando, notoriamente, i riscaldamenti sono spenti.

Tutto questo significa una cosa semplice: l’emergenza smog non esiste. Esiste un problema strutturale, che vede la geomorfologia del territorio abbinarsi ad un eccesso di traffico privato sul territorio padano e nelle aree urbane più densamente popolate e che, da ottobre a marzo, genera quella macchia rossa di inquinanti fotografata dal satellite ed inalata quotidianamente dai cittadini.

Se non si tratta di emergenza ma di problema strutturale, per affrontare e risolvere il problema sono necessari provvedimenti strutturali. Esattamente ciò che le amministrazioni pubbliche, dal governo alle regioni ai comuni, evitano accuratamente di prendere perché garantiscono effetti sicuri nel tempo, ma nel breve periodo rischiano di far perdere voti e consensi.

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Sicuramente si tratta di investire e potenziare il trasporto pubblico. Ma non solo. Esistono diversi strumenti, come la tariffazione stradale (o road pricing) che possono essere gestiti direttamente dai comuni per disincentivare l’uso dell’auto e premiare l’uso del trasporto pubblico.

Queste misure di pricing possono riferirsi sia al pagamento della sosta (park pricing) sia alla delimitazione di zone a traffico limitato ZTL (road pricing), devolvendo l’intero ricavato al potenziamento del trasporto pubblico.

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Ecco, di seguito, alcune delle misure che Milano dovrebbe e potrebbe attivare ogni anno nel periodo “a rischio”, fra ottobre e marzo, quando si registrano i maggiori sforamenti delle concentrazioni inquinanti, proposte di immediata realizzabilità a partire da due giorni dopo il superamento della soglia di allarme del Pm10 (50 µg/m3) o del Pm2,5 (25 µg/m³) da attivare ogni anno, nel periodo compreso fra ottobre e marzo mediante semplice ordinanza del Sindaco:

  • incrementare il pedaggio di Area C da 5 a 10 euro, senza alcun veicolo esentato;
  • consentire la circolazione sulla rete ATM, urbana e suburbana, con un solo biglietto valido per l’intera giornata (come dire: se nonostante questo usi l’auto per muoverti anche in centro, è giusto che paghi il pedaggio raddoppiato);
  • potenziare il servizio di trasporto pubblico;
  • limitazione della velocità a 30 km/h;
  • temperatura massima degli edifici a 19° salvo quelli frequentati da anziani e bimbi;
  • estensione park pooling gratuito in tutti i parcheggi di interscambio delle linee metropolitane;
  • park pooling esteso ai parcheggi delle stazioni ferroviarie suburbane
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EUROPEE. «Il nostro sì non è scontato». La segretaria lancia il socialista Schmit alla guida delle commissione Ue. Amministratori, gruppo di lavoro per trovare una sintesi. La protesta dei Giovani democratici che aspettano il congresso da anni

 Elly Schlein - Ansa

Gelo di Elly Schlein su Ursula von der Leyen, nel giorno della ricandidatura alla presidenza della Commissione Ue. «Non è affatto scontato un nostro sostegno al suo secondo mandato», ha messo in chiaro la segretaria chiudendo la direzione Pd.

I riflettori dei dem son o puntati sul congresso del Pse che si terrà il primo marzo a Roma, dove sarà lanciata ufficialmente la candidatura dell’attuale commissario al Lavoro Nicolas Schmit, padre della direttiva sul salario minimo e molto apprezzato da Schlein. Dunque nei prossimi mesi le distanze tra i dem e von der Leyen (spesso sotto i riflettori al fianco di Meloni) sono destinate ad aumentare. «Il nostro sostegno al bis non è scontato, ancor più se il Ppe pensasse ad un allargamento della coalizione verso forze sovraniste». Tradotto: i conservatori guidati da Meloni.

SCHLEIN È PERFETTAMENTE consapevole che l’Europa attuale a guida von der Leyen -nonostante la parentesi positiva del Next Generation Eu- non scalda i cuori degli elettori di di sinistra. E vuole con il congresso del Pse trasmettere un’idea molto diversa del futuro dell’Ue, più sensibile ai temi sociali, green e del lavoro. Per questo punta molto sull’appuntamento all’Eur che vedrà la presenza dei premier tedesco e spagnolo, Scholz e Sanchez, e del portoghese Antonio Costa.

SUL TERZO MANDATO per sindaci e governatori Schlein ha proposto una commissione ad hoc, che entro giovedì dovrebbe trovare una sintesi tra le «sensibilità diverse» che ci sono nel partito. Ne faranno parte i capogruppo Braga e Boccia, i sindaci Ricci e Nardella, i responsabili Enti locali e Organizzazione Davide Baruffi e Igor Taruffi e il senatore Andrea Giorgis. Ieri i sindaci, e anche Bonaccini, hanno ribadito la necessità che il Pd si esprima a favore del terzo mandato. «Una scelta di buon senso», ha detto il sindaco di Pesaro.

MOLTO PIÙ FREDDA LA SINISTRA interna. Andrea Orlando ha chiesto di fare «una discussione complessiva sul bilancio pluridecennale della combinazione tra regionalismo, elezione diretta e maggioritario». Con un avvertimento: «Non dobbiamo offrire argomenti che possono essere usati contro di noi nella campagna contro il premierato e l’autonomia». Marco Sarracino, responsabile sud della segreteria, a chi ricordava che in molti paesi europei non c’è un limite ai mandati dei sindaci, ha risposto che «in quei paesi non c’è l’elezione diretta».

Baruffi ha sottolineato che nella proposta dem ci sarà molta attenzione ai contrappesi: «Se si interviene su questo tema bisogna rafforzare il ruolo delle assemblee elettive». Tradotto: il ruolo di consiglieri comunali e regionali che in questi anni di elezioni diretta è stato decisamente schiacciato. I dem non hanno ancora deciso come votare giovedì, quando dovrebbe andare al voto in commissione Affari costituzionali del Senato l’emendamento della Lega che allunga a tre i mandati per sindaci sopra i 15mila abitanti e governatori.

Tema su cui il centrodestra è spaccato, con Meloni e Forza Italia che non vogliono assolutamente approvare la proposta di Salvini (perchè Fdi vorrebbe il candidato alla guida del Veneto). Fonti Pd del Senato spiegano che «in ogni caso il nostro voto a favore sarebbe irrilevante, con la sola Lega non potremmo approvare nulla». Di qui l’idea, per ora prevalente, di non partecipare al voto per lasciare che emerga la spaccatura dentro le destre. Il fronte dei sindaci però insiste.

IERI DURANTE LA DIREZIONE sit-in di protesta al Nazareno di un gruppo di Giovani democratici, l’organizzazione giovanile commissariata da 4 anni. Il nuovo congresso avrebbe dovuto svolgersi entro il 2022, ma il Pd degli adulti nion ha ancora scritto le nuove regole. Tra le bozze di regolamento, c’è una norma che prevede che il numero dei delegati debba essere determinato dal numero di abitanti della regione, e non degli iscritti.

Regola che piace al candidato lombardo Paolo Romano, molto meno agli altri due, il romano Tommaso Sasso e l’abruzzese Paolo Mastrangelo. Tra i motivi del rinvio anche ricorsi sulla regolarità delle iscrizioni, circa 10mila in totale. Ieri Schlein ha invitato a parlare uno dei dimostranti, il romano Alessandro Monciotti, che ha accusato: «I vertiti nazionali vogliono che troviamo un candidato unitario prima di dare il via libera al congresso». «Noi -possiamo soltanto accompagnarvi, non possiamo sostituirci a voi», la riposta di Schlein

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AMBIENTE. Il programma satellitare europeo di monitoraggio ambientale, Copernicus, rileva il peggioramento della qualità dell’aria in Italia dovuto all’assenza di precipitazioni, ai venti deboli e alla marcata inversione termica. Scaricabarile tra il sindaco di Milano e il presidente della Lombardia

 Inquinamento a Milano - Ap

Ieri la Pianura Padana è stata l’immagine del giorno per Copernicus, il programma satellitare europeo di monitoraggio ambientale. «L’attuale sistema di alta pressione ha causato un peggioramento della qualità dell’aria in Italia. Secondo il nostro servizio di monitoraggio dell’atmosfera, il Pm10 ha superato ieri i 100 μg/m3 in molte aree della Pianura Padana». Ad allargare lo sguardo a tutto il continente, aprendo la mappa dell’European air quality hourly forecast of regulated air pollutants, si nota che i colori più scuri campeggiano solo sul nostro Paese, in particolare in Lombardia e in Emilia-Romagna, ma anche in Veneto.

È UNA NOTA DELL’AGENZIA regionale per la protezione ambientale veneta a spiegare cosa ha portato, la settimana scorsa, a una situazione tanto pericolosa di sforamento dei limiti legati in particolare al particolato fine (Pm2.5) e a quello più grande (Pm10), che può essere inalato e penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio, dal naso alla laringe, con effetti negativi sulla salute. «L’assenza di precipitazioni, i venti deboli e la marcata inversione termica hanno determinato condizioni atmosferiche idonee al ristagno degli inquinanti. Tale situazione meteorologica ha favorito l’aumento progressivo dei livelli in aria di polveri sottili, che hanno superato il valore limite giornaliero da giovedì 15 a domenica 18 febbraio in gran parte della pianura» sottolinea Arpav.

Gli inquinanti presenti nell’aria sono legati alla presenza dell’uomo e alle nostre scelte legate alla mobilità, ma anche all’abitare e alla dieta: una delle cause è il traffico (14%/, cioè le emissioni dei motori alimentati da combustibili fossili, ma – come evidenziato da un’analisi di Greenpeace su dati Ispra – sarebbero altre due le fonti principali di emissione di polveri sottili, e cioè gli impianti di riscaldamento delle abitazioni e delle strutture commerciali (37%) e gli allevamenti intensivi (17%), cioè le fabbriche di animali che alimentano il fabbisogno di consumi di carne e basso costo.

DI FRONTE A QUESTA situazione oggettiva, ieri in Lombardia è stato messo in atto un pericoloso scaricabarile tra il sindaco di Milano e il presidente della Regione. «Sono allibito, tra Fontana e Sala è gara di incompetenza e irresponsabilità» ha commentato in una nota Carlo Monguzzi, consigliere comunale dei Verdi a Milano secondo cui «Fontana vive su Marte. Per Sala la situazione migliora (ma in che film?) e se la prende con un sito svizzero non accorgendosi che dice le stesse cose che rileva Arpa. Dopo 13 giorni di fila di cappa di smog c’è stata un po’ di pioggia, ma ora è da 5 giorni che l’aria è tornata tossica, molto più di prima. I dati Arpa rilevati ieri ci dicono di livelli di Pm10 più del doppio della soglia di allarme e di Pm 2.5 otto volte superiori» aggiunge Monguzzi.

Secondo il consigliere, «è drammatico che da 20 giorni i cittadini non vengano informati neanche sulle indicazioni sanitarie», anche se l’Italia resta il secondo Paese in Europa dov’è più facile morire a causa dell’inquinamento dell’aria, secondo solo alla Polonia, dove ancora la maggior parte dell’energia elettrica è prodotta bruciando carbone.

SECONDO IL PIÙ RECENTE report dell’Agenzia europea per l’ambiente dedicato all’Air quality in Europe 2023, ogni anno sono 46.800 le morti premature legate all’esposizione a Pm2.5, 11.300 quelle collegate al biossido di azoto, quest’ultimo collegato in particolare ai motori diesel. Eppure, le strade di Milano anche ieri erano intasate da auto, mentre nessuno ha emesso ordinanze per vietare l’accensione degli impianti di riscaldamento, nonostante la temperatura quasi primaverile.

In Emilia-Romagna, dove pure la qualità dell’aria resta da bollino rosso (a certificarlo è il bollettino di Arpae), fino a domani proseguono invece le misure emergenziali, a partire dallo stop ai diesel Euro 5 dalle 8.30 alle 18.30 nei comuni con più di 30mila abitanti. Il provvedimento rientra tra quelli previsti a livello regionale, in base alle misure adottate dalla Regione Emilia-Romagna e collegate al Pair, il Piano aria integrato regionale. Che lì almeno esiste

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NUOVO PROCEDIMENTO ALL'AJA. I giudici della Corte internazionale di giustizia ascolteranno ben 52 paesi. I rappresentanti dell’Anp denunciano il progetto di un unico Stato ebraico dal Giordano al Mediterraneo

 Il ministro degli esteri dell’Anp al-Maliki (al centro) davanti alla Corte di giustizia dell’Aja - Ap

Israele da ieri è di nuovo sul banco degli imputati all’Aja, dove la Corte internazionale di giustizia (Cig) in una serie di udienze pubbliche fino al 26 febbraio valuterà le implicazioni sul piano legale delle politiche israeliane nei territori palestinesi occupati. I giudici sono stati chiamati dall’assemblea generale delle Nazioni unite, con apposita risoluzione del 30 dicembre 2022, ad esprimere un parere «non vincolante» sulle «conseguenze giuridiche della violazione del diritto dei Palestinesi all’autodeterminazione, nonché dell’occupazione, della colonizzazione e dell’annessione prolungata dei territori palestinesi dal 1967».

Se la denuncia del Sudafrica presso la stessa Corte riguardava possibili politiche genocidiarie messe in atto a Gaza dopo il 7 ottobre, qui si parla dei crimini e delle sfide al diritto internazionale che hanno caratterizzato i 57 anni precedenti.

AL PALAZZO DELLA PACE, sede del tribunale Onu, nei prossimi giorni sfileranno i rappresentanti di ben 52 paesi, Stati uniti, Cina e Russia in testa, più tre organizzazioni internazionali: Un record assoluto. Si tratta di valutare del resto l’impatto sul piano legale e morale che l’occupazione israeliana comporta anche per gli altri paesi, non solo per Israele. Si è parlato anche di “guerra dei sei giorni giuridica”, ma Israele ha scelto fin da subito di non combatterla, o quantomeno di derubricarla a interferenza molesta della comunità internazionale sui suoi affari interni. Netanyahu aveva già definito la risoluzione dell’Onu un’iniziativa «spregevole». Ieri l’ufficio del premier israeliano ha ribadito che si tratta di un processo «progettato per danneggiare il diritto di Israele a difendersi dalle minacce esistenziali».

Il concetto di “difesa” è stato messo a dura prova ieri da quanto illustrato durante la prima udienza dalla delegazione politico-legale dell’Autorità nazionale palestinese. Riyad al-Maliki, ministro degli Esteri dell’Anp, ha illustrato mappe alla mano uno stato dell’arte che lascia ai palestinesi solo la scelta tra «sfollamento, sottomissione o morte». Ha ricordato «gli oltre 3,5 milioni di palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, soggetti alla colonizzazione del loro territorio e alla violenza razzista che la rende possibile». E ha ricordato i 7 milioni di profughi a cui viene negato il diritto al ritorno … «Un palestinese – ha detto – può trascorrere l’intera vita come rifugiato (…), sotto costante minaccia, vedere i propri cari gettati nelle carceri israeliane a tempo indeterminato, e la propria terra rubata, colonizzata, annessa».

IL RAPPRESENTANTE LEGALE dell’Anp, Paul Reichler, ha indicato «l’acquisizione permanente della massima quantità di territorio palestinese con il minimo numero di palestinesi al suo interno» come l’obiettivo principale di Israele, ricordando che «gruppi armati di coloni, sostenuti dalle forze di occupazione israeliane e incoraggiati da esponenti del governo, hanno espulso con la violenza migliaia di pacifici civili palestinesi dai loro villaggi e dalle loro terre ancestrali». Reichler ha anche elencato le varie sfide lanciate nel tempo da Israele al diritto internazionale, come «la creazione di centinaia di insediamenti con oltre 700 mila coloni israeliani» e i propositi ufficiali di creare «un unico Stato ebraico che si estenda dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo».

AI GIUDICI STAVOLTA non viene chiesto chissà che dai rappresentanti dell’Anp, si tratta solo di «confermare» quanto più volte stabilito da diversi organi e da diverse risoluzioni dell’Onu, e cioè la natura «illegale» dell’occupazione. Non manca da parte palestinese l’aspettativa che un pronunciamento della Corte possa aprire la strada alla fine dell’occupazione.

I precedenti in verità non lasciano ben sperare. Nel 2004 la Cig era stata chiamata ad esprimersi sulla legalità del muro lungo oltre 200 km costruito da Israele in Cisgiordania. Al termine i giudici ne ordinarono lo smantellamento. Ma il muro e l’occupazione stanno sempre lì.

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