ELEZIONI EUROPEE. Oggi alla Federazione nazionale della stampa il giornalista presenta il programma
La «lista per la pace» di Michele Santoro muove un primo passo: oggi alle ore 11 nella sala Tobagi alla sede della Federazione nazionale stampa italiana in via delle Botteghe Oscure 54 a Roma sarà illustrato il programma di «Pace terra dignità» per le elezioni europee del prossimo giugno. Assieme allo stesso Santoro interverranno Raniero La Valle, che con il giornalista ha promosso l’iniziativa, e Benedetta Sabene.
Non ci saranno, dunque, i soggetti della sinistra ai quali Santoro si era rivolto, anche nel corso del dibattito a più voci che si è svolto nei giorni scorsi sulle pagine di questo giornale. Alleanza Verdi Sinistra ha da tempo posto la questione del simbolo: i rossoverdi non hanno intenzione di smantellare il logo che li ha portati in parlamento alle scorse politiche e sotto il quale vogliono proseguire il loro percorso. Unione popolare, invece, ha posizioni diverse a seconda delle sue componenti: più possibilista, con sfumature diverse, Rifondazione comunista (soggetto che detiene il prezioso simbolo che consentirebbe alla lista di non raccogliere le firme per presentare le candidature, compito particolarmente oneroso per le europee), critici quelli di Potere al popolo, che lamentano poca chiarezza e chiedono maggiori garanzie programmatiche ai promotori della lista unitaria. Unione popolare ha convocato la sua «cabina di regia» (l’organismo che raccoglie rappresentanti dei diversi soggetti che ne fanno parte insieme all’attuale portavoce Luigi De Magistris) per il prossimo venerdì. Sarà il momento per valutare l’uscita di oggi e prendere una decisione.
Con Santoro annuncia invece di esserci, e da subito, Federico Dolce, segretario nazionale e portavoce di Mera 25, con alcuni rappresentanti del partito parte integrante di DiEM 25 il movimento dell’ex ministro delle finanze della Grecia Yanis Varoufakis. «Si apre un percorso inedito nel panorama politico italiano – sostiene Dolce – con la costruzione di una lista per le europee che darà voce alle progressiste e ai progressisti che vogliono rafforzare l’Europa, un’Europa come continente della pace e al servizio dei popoli e non delle élite e dei vincoli economici. Daremo il nostro contributo a costruire una lista innovativa nei nomi e nelle idee»
Commenta (0 Commenti)ISRAELE/PALESTINA. Alla Camera le mozioni sulla Palestina, la richiesta dem passa con l’astensione delle destre che dicono no al riconoscimento dello Stato palestinese e al ripristino dei fondi a Unrwa. Soddisfatta la leader Pd: Un passo avanti». M5S e rossoverdi non si fidano: non basta.
Schlein alla Camera - Lapresse
Dopo il voto alla Camera sulle mozioni sulla guerra in Palestina, in casa Pd si respira una certa soddisfazione: è passato infatti un punto della mozione dem che impegna il governo a «sostenere ogni iniziativa volta a perseguire la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza al fine di tutelare l’incolumità della popolazione civile, garantendo la fornitura di aiuti umanitari all’interno della Striscia».
IL CENTRODESTRA SI È astenuto dunque sul primo punto del testo Pd, lasciando che grazie al voto favorevole delle opposizioni (128 voti) passasse la richiesta di fermare il massacro di civili. Il Pd ha ricambiato la cortesia astenendosi sulla risoluzione della maggioranza (approvata come quella di Azione), assai più attenta a non disturbare il manovratore Netanyahu. Decisive due telefonate ieri tra Meloni e Schlein, in cui la premier ha accettato la richiesta sul cessate il fuoco, mentre non ha accolto la proposta di riconoscere lo stato Palestinese e neppure quella di riattivare i fondi per l’agenzia Unrwa.
«Siamo molto felici perché il Parlamento ha detto sì alla richiesta di un cessate il fuoco immediato e di una conferenza di pace», dice Schlein. «A Meloni ho chiesto un’iniziativa diplomatica molto più incisiva, in linea con la nostra tradizione diplomatica: alla Camera si è fatto un passo avanti. Sugli altri punti insisteremo». A partire dalla richiesta di fare il possibile «per fermare l’attacco annunciato a Rafah che sarebbe un’ecatombe». Nel suo intervento in aula la leader Pd ha definito quella di Israele a Gaza una «punizione collettiva» e ha condiviso il giudizio del ministro degli Esteri Tajani, che aveva definito «sproporzionata» la reazione di Israele. «È un bene che ora il governo italiano lo dica».
L’AVVICINAMENTO TRA PD e governo non ha però escluso l’intesa con M5s e rossoverdi. I dem e i grillini hanno votato reciprocamente le loro mozioni, compresa la parte del domunento 5S che chiedeva lo stop alle attività dell’Eni nei giacimenti di gas al largo di Gaza. Forte convergenza dei giallorossi anche sulla mozione di Verdi e Si, votata integralmente dal partito di Conte: i dem non hanno però partecipato al voto sui punti che prevedevano lo stop a qualsiasi fornitura di tecnologia utilizzabile a fini bellici a Israele, il supporto alle richieste del Sudafrica alla Corte dell’Aja e la sospensione dell’accordo di associazione tra Ue e lo stato ebraico come sanzione per quelli che Fratoianni ha definito esplicitamente «crimini di guerra», ricordando che «il diritto internazionale a Gaza è stato fatto a pezzi dalla violenza cieca e inaudita dell’esercito israeliano, Netanyahu è un incendiario e oggi è il principale ostacolo al processo di pace».
Rossoverdi e M5s hanno anche chiesto di fermare l’offensiva contro i civili a Rafah, ma anche questo punto è stato bocciato dalla maggioranza di destra. «Abbiate un po’ di coraggio nell’azione per la pace, concentratevi su questo invece di prendervela con Ghali», ha detto il leader di Si.
I 5S NON DANNO MOLTO peso al voto sul cessate il fuoco. «La maggioranza non ha espresso voto favorevole, ancora una volta il governo glissa e nasconde la testa sotto la sabbia: nulla è cambiato da quattro mesi fa quando il governo si è astenuto all’Onu sulla risoluzione che chiedeva una tregua umanitaria a Gaza», spiega Riccardo Ricciardi. In Aula aveva ironizzato sulle richieste di riformulazione arrivate dall’esecutivo sulla mozione 5s. «Cosa vuol dire un “cessate il fuco sostenibile”? Non bastano 28mila morti? E perchè ci avete chiesto di togliere “con urgenza” dalla richiesta di una conferenza di pace e dite no alle sanzioni ai coloni in Cisgiordania che hanno avuto l’ok di Usa e Regno Unito? Siete più servi dei servi».
MOLTA FREDDEZZA ANCHE da Si: «La richiesta di cessate il fuoco? Forse un passo in più, ma siamo lontanissimi da quello che servirebbe per fermare la carneficina. Se si vogliono due stati, è fondamentale il riconoscimento dello stato di Palestina, ma il governo continua a negarlo», dice Fratoianni. Il dem Provenzano vede il bicchiere mezzo pieno: «Oggi il Pd ha fatto la sua parte. E ha riportato l’Italia dalla parte giusta, quella della pace in Medio Oriente». Nel concreto i dem non si fanno troppe illusioni: «L’impegno del governo lo misureremo col tempo», dice Schlein.
Ieri c’è stato un piccolo risveglio anche di Azione, che finora aveva scavalcato le destre nel sostegno al governo di Tel Aviv. «Quanto Netanyahu sta facendo a Gaza è pericoloso e inumano. Deve andarsene il prima possibile», le parole di Calenda. La piccola mossa delle destra arriva mentre l’ambasciatore israeliano in Italia Alon Bar avverte: «Questo è il momento in cui vediamo chi sono i nostri veri amici». La Russa si precipita a rassicuralo: «Vogliono isolare Israele dall’Occidente per annientarla, noi ci opporremo
Commenta (0 Commenti)ISRAELE / PALESTINA. L’attacco israeliano a Francesca Albanese (Onu) omette tutti gli altri fattori che confluiscono nella ostilità dei palestinesi verso le forme di oppressione che subiscono dallo stato ebraico
Soldati israeliani al checkpoint di Qalandiya a Ramallah, prima della guerra - foto GettyImage
I tweet sono una trappola mortale. Perché l’asserzione senza argomentazione si espone con ogni probabilità alle esecuzioni sommarie.
Prendiamo il caso di Francesca Albanese, l’inviata speciale delle Nazioni unite per i territori palestinesi occupati, di cui Francia, Germania e una associazione di avvocati internazionali chiedono le dimissioni.
L’accusa che le viene rivolta è di avere infranto un tabù mettendo in relazione il massacro perpetrato il 7 ottobre dello scorso anno in Israele dalle milizie di Hamas con lo stato di oppressione in cui vive da decenni la popolazione palestinese, piuttosto che con una pura e semplice insorgenza di violenza antisemita.
Le due cose non sono però così fortemente in contraddizione, non si escludono a vicenda. Non vi è dubbio alcuno che tra i palestinesi, soprattutto quelli più vicini al fondamentalismo islamico, o segnati da un vissuto tragicamente ferito, siano andati affermandosi sentimenti antisemiti e fenomeni di odio antiebraico che hanno decisamente influito sulle forme efferate e mostruose dell’aggressione sferrata dai miliziani di Hamas lo scorso 7 di ottobre.
Non si può negare, tuttavia, che le condizioni in cui versa la popolazione palestinese e le vessazioni a cui è sempre più pesantemente sottoposta abbiano a loro volta contribuito al diffondersi di questi sentimenti di odio. Del resto, anche sul versante dei coloni fondamentalisti ebraici l’odio razziale non difetta e nemmeno il ricorso sistematico ad atti di violenza indiscriminata. La destra che governa a Gerusalemme si è dedicata senza sosta a esasperare le tensioni. La storia ha più volte mostrato come la reazione a condizioni di oppressione estrema possano darsi nelle forme più spaventosamente crudeli. Forse solo il Sudafrica con l’istituzione nel 1995 della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, ha contraddetto questa tragica concatenazione, laddove ci si sarebbe potuti attendere una soluzione alla Dessalines (il generale nero che, dopo aver proclamato l’indipendenza di Haiti, procedette nel 1804 allo sterminio di tutti i coloni bianchi). Questo non per procedere a paragoni indebiti, ma per ricordare che nessuna motivazione, sia pur legittima come la rivolta contro la schiavitù, è immune dal ricorso alla violenza più cieca e turpe o in grado di giustificarla.
Il tabu ha però, a ben vedere, una sua precisa funzione: usare l’argomento dell’antisemitismo non tanto per denunciarne l’effettiva velenosa presenza, ma per mettere in ombra tutti gli altri fattori che confluiscono nell’ostilità dei palestinesi verso le politiche e le forme di controllo esercitate ai loro danni dallo stato ebraico. Citare questi fattori non costituisce in alcun modo una giustificazione dei crimini commessi dai miliziani sul territorio israeliano. Ometterli, invece, vuol dire sottrarsi a ogni responsabilità politica e posizionarsi sul terreno dell’inimicizia assoluta, senza soluzione diversa dall’annientamento dell’avversario. Che uno stato in guerra si autoassolva di ogni crimine e si dipinga, contro ogni evidenza, come il più umano, corretto, democratico e rispettoso del diritto è cosa consueta. Ma per il resto della comunità internazionale, compresi gli alleati di Israele, stare a questo gioco di propaganda bellica non è certo un comportamento dignitoso.
Commenta (0 Commenti)Nelle carceri ungheresi c’è il fondato rischio di trattamenti inumani e degradanti. Lo ha detto la Corte d’appello di Milano, negando la consegna di un antifascista italiano. Ma Ilaria Salis è ancora in quelle celle, in attesa che il governo Meloni muova un passo con l’amico Orbán
IL CASO. «Legittime le preoccupazioni su tortura e trattamenti inumani». Sospesa l’estradizione. Si apre uno spiraglio anche per Ilaria Salis
Le preoccupazioni per «possibili violazioni dei diritti fondamentali» nelle carceri ungheresi sono «legittime». Così si è espressa la corte d’Appello di Milano nel sospendere la consegna a Budapest di Gabriele Marchesi, 23 anni, accusato di aver preso parte all’aggressione di due neonazisti nella notte del 10 febbraio del 2023. Il giovane, sul quale pende un mandato d’arresto europeo spiccato dalla procura di Budapest, rimarrà ai domiciliari al massimo fino al 18 maggio, mentre la decisione sul suo trasferimento potrebbe già arrivare alla prossima udienza, fissata al 28 marzo. I giudici di Milano hanno chiesto al ministero della Giustizia italiano e all’Eurojust di attivarsi per domandare all’Ungheria se è disposta a riconoscere l’efficacia della direttiva quadro 829 del 2009 sul reciproco riconoscimento delle misure cautelari tra paesi comunitari. Nello specifico, a quanto si è appreso dalla lettura dell’ordinanza, si vuole sapere se «esiste il rischio di una disparità di trattamento» tra un cittadino ungherese e un cittadino italiano, visto che, a parità di accuse, il primo potrebbe accedere a misure alternative alla detenzione in carcere e il secondo no. La risposta di Budapest dovrà arrivare entro il
Leggi tutto: Le prigioni ungheresi spaventano i giudici. Marchesi resta a casa - di Mario Di Vito di
Commenta (0 Commenti)DL CUTRO. La magistrata del tribunale di Roma dopo la decisione delle Sezioni unite della Cassazione: «Sarebbe difficile convalidare un trattenimento effettuato ai sensi di una norma su cui dovrà esprimersi la Corte di giustizia dell’Unione europea»
Sbarco di migranti a Catania - Ap
Silvia Albano è giudice presso il tribunale civile di Roma nella sezione specializzata in diritti della persona e immigrazione. Se l’esecutivo riuscirà a costruire i centri in Albania e portarci i migranti, le richieste di convalida dei trattenimenti finiranno anche sulla sua scrivania. «Non credo che il governo darà attuazione al protocollo fino alla pronuncia della Corte Ue», dice la presidente di Magistratura democratica. Il riferimento è a quanto accaduto giovedì scorso: le Sezioni unite della Cassazione hanno mandato a Lussemburgo i ricorsi contro le decisioni del tribunale di Catania che nell’autunno scorso aveva detto No ai trattenimenti dei richiedenti asilo nel centro di Modica-Pozzallo. I giudici europei dovranno stabilire se la cauzione richiesta per non finire dietro le sbarre è legittima.
Cauzione migranti rinviata alla Corte di giustizia dell’Ue
Il rinvio pregiudiziale avrà effetti sull’intesa Roma-Tirana?
Sì, perché i centri in Albania saranno considerati zone di frontiera o transito al fine di applicare ai richiedenti asilo il trattenimento durante le cosiddette «procedure accelerate di frontiera». Per la struttura di Modica-Pozzallo è avvenuto lo stesso. In un caso e nell’altro la privazione della libertà personale si basa sull’articolo 6 bis del decreto legislativo 142/2015, che prevede come alternativa la garanzia finanziaria poi quantificata da un decreto attuativo della «legge Cutro». Proprio quella norma è l’oggetto del rinvio pregiudiziale delle Sezioni unite.
Quindi i migranti non potranno essere portati in Albania fino alla decisione della Corte Ue?
Sarebbe difficile per un giudice convalidare un trattenimento effettuato ai sensi dell’articolo 6 bis che è stato oggetto di rinvio pregiudiziale. Sostanzialmente la Cassazione paventa un’incompatibilità tra la legislazione nazionale e la direttiva europea. Perché secondo il diritto comunitario un richiedente protezione internazionale non può essere trattenuto solo perché non ha consegnato il passaporto o non ha prestato la garanzia finanziaria, che la legge ha definito in modo rigido e indiscriminato.
Decreto fuorilegge, il tribunale smonta la stretta sui migranti
Quando arriverà la decisione?
Se non concedono la procedura d’urgenza anche tra un anno o uno e mezzo. Altrimenti prima.
Alcuni commissari Ue sostengono che, siccome i migranti soccorsi in alto mare non entreranno nel territorio dell’Unione, nei centri in Albania varrà il diritto italiano ma non quello comunitario. Se così fosse la pronuncia dei giudici di Lussemburgo sarebbe irrilevante.
È comunque rilevante. Il decreto legislativo 142 è una normativa adottata con quella forma perché dà attuazione alla direttiva Ue. Quanto affermato dai commissari europei non è giuridicamente corretto. Intanto perché i migranti salgono su una nave italiana e le navi italiane in alto mare sono territorio nazionale ai sensi del Codice della navigazione e del diritto internazionale. Inoltre dove è previsto vi sia la giurisdizione italiana e l’applicazione del diritto italiano, come nei centri in Albania, non può non applicarsi quello Ue o i trattati internazionali, che anche in base alla Costituzione fanno pienamente parte dell’ordinamento con valore di fonte sovraordinata (art. 10 e art. 117).
Immigrazione, cauzione impossibile: la norma non ha vie d’uscita
Comunque sul rapporto tra diritto italiano e comunitario deciderà il tribunale di Roma.
Sì, ma non credo che il governo darà attuazione al protocollo prima della pronuncia della Corte Ue. Anche in Italia per questo tipo di trattenimenti è tutto fermo e il centro di Modica-Pozzallo è vuoto.
Il governo ha promesso che in Albania non saranno portati i vulnerabili sebbene questo aspetto non sia inserito nella legge…
Lì le persone vengono trattenute. Con i vulnerabili non è possibile. Questi devono essere collocati in centri di accoglienza appositi, come previsto dall’articolo 17 del decreto 142/2015, con servizi speciali e misure assistenziali. Quindi per forza non li possono portare in Albania.
La reclusione amministrativa è il nuovo business dei privati
Dovranno selezionare anche le nazionalità? Il trattenimento durante le procedure accelerate di frontiera è previsto solo per chi tenta di eludere i controlli, non è il caso dei soccorsi in mare, e per chi viene da paesi considerati sicuri.
Esatto, in Albania potrebbero essere portate solo persone provenienti da paesi sicuri e che non rientrano nell’ampia categoria dei vulnerabili.
La Corte Ue dovrà decidere se la garanzia finanziaria richiesta dal governo italiano nella forma della fidejussione rispetta o meno il diritto europeo. Poi però bisognerà vedere nel concreto se questa si potrà effettivamente versare. Servirebbe quantomeno uno sportello bancario o assicurativo negli hotspot, siano essi in Italia o in Albania. Su tale aspetto vigilerà il giudice di merito?
Sì, ma la praticabilità di questa misura alternativa da parte del singolo richiedente andrà verificata solo se la Corte di Lussemburgo dirà che la fidejussione rispetta il diritto comunitario. Da quello che ha scritto la Cassazione non è improbabile avvenga il contrario.
Rettifica, ore 10, 13/02/2023
Nella versione cartacea di questo articolo si parla erroneamente dei giudici di Strasburgo, dove ha sede la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte di giustizia dell’Unione europea, invece, si trova a Lussemburgo, come riportato nella versione online dell’articolo. Ci scusiamo con i lettori per l’errore
Commenta (0 Commenti)Biden lo insulta in privato, ma non lo ferma. E allora dopo un blitz accompagnato da massicci bombardamenti su Rafah Netanyahu può celebrare la liberazione di due ostaggi. Altri tre forse sono rimasti uccisi nell’operazione. Insieme a decine e decine di palestinesi innocenti
GAZA. I commando israeliani liberano due ostaggi nelle mani di Hamas. Le bombe uccidono un centinaio di abitanti e sfollati
Rafah dopo il bombardamento - Ap
Per gli abitanti di Rafah, il blitz israeliano che domenica notte ha portato alla liberazione di due ostaggi israeliani, è stato come rivivere l’inferno del 1° agosto 2014. Quel giorno, durante l’operazione Margine Protettivo, la popolazione di Rafah si preparava a sfruttare al meglio le 72 ore di cessate il fuoco concordato da Israele e Hamas. Invece si scatenò l’inferno. Al diffondersi della notizia della cattura nei pressi di Rafah di un ufficiale, Hadar Goldin, da parte di combattenti di Hamas, i comandi israeliani ordinarono la cosiddetta «Direttiva Annibale», ossia il bombardamento a tappeto della città e dei suoi dintorni per impedire che il militare venisse portato dentro Gaza. Con la gente in strada durante il cessate il fuoco, fu una strage. Morirono tra 100 e 150 palestinesi, quasi tutti civili.
Ieri all’1.50 di notte a Rafah non è arrivato di nuovo il generale cartaginese a portare morte e devastazione però la potenza di fuoco di Israele è stata simile a quella della «Direttiva Annibale» di dieci anni fa.
Prima e dopo il blitz di esercito, intelligence e unità di élite della polizia, che ha portato fuori Gaza Luis Har, 70 anni, e Fernando Marman, 60 anni, presi in ostaggio il 7 ottobre nel kibbutz Nir Yitzhak, l’aviazione israeliana con elicotteri, droni ed F-16 ha centrato decine di obiettivi con bombe e missili ad alto potenziale, allo scopo prima di aiutare l’assalto dei commando al secondo piano di un appartamento di Rafah e dopo per coprire la fuga di militari ed ostaggi. Gli uccisi sono stati 67 secondo un bilancio fornito dal ministero della sanità di Gaza, in gran numero del campo profughi di Shabura centrato da bombe. Ma il numero delle vittime è destinato a crescere man mano che
Commenta (0 Commenti)