EUROPEE. «Il nostro sì non è scontato». La segretaria lancia il socialista Schmit alla guida delle commissione Ue. Amministratori, gruppo di lavoro per trovare una sintesi. La protesta dei Giovani democratici che aspettano il congresso da anni
Gelo di Elly Schlein su Ursula von der Leyen, nel giorno della ricandidatura alla presidenza della Commissione Ue. «Non è affatto scontato un nostro sostegno al suo secondo mandato», ha messo in chiaro la segretaria chiudendo la direzione Pd.
I riflettori dei dem son o puntati sul congresso del Pse che si terrà il primo marzo a Roma, dove sarà lanciata ufficialmente la candidatura dell’attuale commissario al Lavoro Nicolas Schmit, padre della direttiva sul salario minimo e molto apprezzato da Schlein. Dunque nei prossimi mesi le distanze tra i dem e von der Leyen (spesso sotto i riflettori al fianco di Meloni) sono destinate ad aumentare. «Il nostro sostegno al bis non è scontato, ancor più se il Ppe pensasse ad un allargamento della coalizione verso forze sovraniste». Tradotto: i conservatori guidati da Meloni.
SCHLEIN È PERFETTAMENTE consapevole che l’Europa attuale a guida von der Leyen -nonostante la parentesi positiva del Next Generation Eu- non scalda i cuori degli elettori di di sinistra. E vuole con il congresso del Pse trasmettere un’idea molto diversa del futuro dell’Ue, più sensibile ai temi sociali, green e del lavoro. Per questo punta molto sull’appuntamento all’Eur che vedrà la presenza dei premier tedesco e spagnolo, Scholz e Sanchez, e del portoghese Antonio Costa.
SUL TERZO MANDATO per sindaci e governatori Schlein ha proposto una commissione ad hoc, che entro giovedì dovrebbe trovare una sintesi tra le «sensibilità diverse» che ci sono nel partito. Ne faranno parte i capogruppo Braga e Boccia, i sindaci Ricci e Nardella, i responsabili Enti locali e Organizzazione Davide Baruffi e Igor Taruffi e il senatore Andrea Giorgis. Ieri i sindaci, e anche Bonaccini, hanno ribadito la necessità che il Pd si esprima a favore del terzo mandato. «Una scelta di buon senso», ha detto il sindaco di Pesaro.
MOLTO PIÙ FREDDA LA SINISTRA interna. Andrea Orlando ha chiesto di fare «una discussione complessiva sul bilancio pluridecennale della combinazione tra regionalismo, elezione diretta e maggioritario». Con un avvertimento: «Non dobbiamo offrire argomenti che possono essere usati contro di noi nella campagna contro il premierato e l’autonomia». Marco Sarracino, responsabile sud della segreteria, a chi ricordava che in molti paesi europei non c’è un limite ai mandati dei sindaci, ha risposto che «in quei paesi non c’è l’elezione diretta».
Baruffi ha sottolineato che nella proposta dem ci sarà molta attenzione ai contrappesi: «Se si interviene su questo tema bisogna rafforzare il ruolo delle assemblee elettive». Tradotto: il ruolo di consiglieri comunali e regionali che in questi anni di elezioni diretta è stato decisamente schiacciato. I dem non hanno ancora deciso come votare giovedì, quando dovrebbe andare al voto in commissione Affari costituzionali del Senato l’emendamento della Lega che allunga a tre i mandati per sindaci sopra i 15mila abitanti e governatori.
Tema su cui il centrodestra è spaccato, con Meloni e Forza Italia che non vogliono assolutamente approvare la proposta di Salvini (perchè Fdi vorrebbe il candidato alla guida del Veneto). Fonti Pd del Senato spiegano che «in ogni caso il nostro voto a favore sarebbe irrilevante, con la sola Lega non potremmo approvare nulla». Di qui l’idea, per ora prevalente, di non partecipare al voto per lasciare che emerga la spaccatura dentro le destre. Il fronte dei sindaci però insiste.
IERI DURANTE LA DIREZIONE sit-in di protesta al Nazareno di un gruppo di Giovani democratici, l’organizzazione giovanile commissariata da 4 anni. Il nuovo congresso avrebbe dovuto svolgersi entro il 2022, ma il Pd degli adulti nion ha ancora scritto le nuove regole. Tra le bozze di regolamento, c’è una norma che prevede che il numero dei delegati debba essere determinato dal numero di abitanti della regione, e non degli iscritti.
Regola che piace al candidato lombardo Paolo Romano, molto meno agli altri due, il romano Tommaso Sasso e l’abruzzese Paolo Mastrangelo. Tra i motivi del rinvio anche ricorsi sulla regolarità delle iscrizioni, circa 10mila in totale. Ieri Schlein ha invitato a parlare uno dei dimostranti, il romano Alessandro Monciotti, che ha accusato: «I vertiti nazionali vogliono che troviamo un candidato unitario prima di dare il via libera al congresso». «Noi -possiamo soltanto accompagnarvi, non possiamo sostituirci a voi», la riposta di Schlein