Non ci sono soldi e non c’è personale medico. Ma per fare propaganda elettorale sulle liste d’attesa il governo annuncia un decreto, vuoto, e un disegno di legge che avrà tempi lunghi. Solo una cosa è chiara: le poche risorse vanno ai privati. Le regioni denunciano il bluff
TEMPO E DENARO. Il governo non ha i fondi così prova con una misura elettorale e rimanda a un disegno di legge
Infermiere trasportano una barella lungo il corridoio di un ospedale - Ap
«Il governo che ha messo più soldi sulla sanità» (cit. Meloni) è senza risorse sulla sanità. La «grande riforma» annunciata dalla presidente del Consiglio in campagna elettorale, per mancanza di coperture, si è tramutata in un decreto monco e in un disegno di legge che comincerà il suo iter dopo le europee. Il decreto legge che passerà oggi in Cdm prevede la creazione di una Piattaforma nazionale di monitoraggio, il via libera alle visite anche nel fine settimana, l’istituzione di un ispettorato presso il ministero per verificare il rispetto delle norme e il Cup unico regionale o infraregionale con tutte le prestazioni disponibili del pubblico e del privato convenzionato. Tutto il resto, cioè le misure economicamente onerose, sarà rinviato al disegno di legge e quindi a data da destinarsi.
UN BLUFF ELETTORALE sull’annosa questione delle liste d’attesa che evidenzia le difficoltà del governo a dare copertura alle sue proposte. Non manca l’intenzione di trasferire alle farmacie (settore caro al sottosegretario Fdi Gemmato, molto vicino alla premier) anche la diagnostica ma non ci sono i soldi. «Alcune misure saranno operative subito dopo il Cdm di domani (oggi ndr): penso all’aumento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario che passerà dal 10 al 15%. Altre, spero, con l’inizio dell’anno nuovo: dal 1 gennaio 2025 vorremmo abolire questo tetto di spesa e ciò rappresenta un fatto epocale, dopo 20 anni», ha spiegato il ministro Schillaci ospite da Vespa. «Finalmente ci sarà un’agenda unica di prenotazione che metterà insieme tutte le prestazioni disponibili nel sistema pubblico e privato, implementeremo un monitoraggio e una piattaforma in cui sapremo regione per regione quali prestazioni mancano in modo da intervenire tempestivamente», ha aggiunto Schillaci.
Il ministro ieri ha convocato in fretta e furia le regioni, in un incontro definito «imbarazzante» da Raffaele Donini, assessore alla Sanità dell’Emilia Romagna e
coordinatore della Commissione Salute delle Regioni: «È stato garbato nei toni ma non sappiamo ancora quali siano i testi di un eventuale decreto e di un disegno di legge né di eventuali coperture e non è stato fornito alcun contenuto in merito all’abbattimento delle liste d’attesa”. È stato illustrato alle regioni anche l’eventualità di maggiore controllo delle aziende sanitarie locali da parte della stessa Agenas e dello Stato, «ma si andrebbe incontro a un conflitto di attribuzione, passando dall’autonomia differenziata all’autonomia nell’indifferenziata – ha spiegato Donini – cosa per noi assolutamente inaccettabile».
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Le prestazioni non sono la cura
SUL TEMA PRIVATIZZAZIONI non sono stati forniti chiarimenti: «Non sappiamo come si declinerebbe – ha commentato Donini -. Le misure che ci sono state riferite non risolvono il problema delle liste d’attesa: se non ci finanziano e non abbiamo la possibilità di aumentare l’offerta e incidere sull’appropriatezza della domanda ci saranno sempre. Abbiamo chiesto di ragionare insieme ma se l’intenzione è provare con un decreto legge non abbiamo tempo». Il presidente della Campania De Luca fa i conti: «Erano partiti annunciando un grande progetto ma ci vorrebbero 4 miliardi e mezzo per abbattere le liste di attese, non hanno nemmeno 300 milioni». Non sembrano convinti neanche le regioni amministrate dalla destra. Per Guido Bertolaso, assessore lombardo alla sanità, «dovremmo dare ad Agenas un compito di raccolta dati, monitoraggio e ispezione ma mi sembra che stiamo partorendo un topolino, non è una rivoluzione rispetto a quello che già facciamo». Anche la collega del Veneto, Manuela Lanzarin, ammette che si sarebbe «aspettata un’interlocuzione prima del dl».
AVS: «È una vergogna enorme da parte della destra fare campagna elettorale sulle liste d’attesa nella sanità. Un decretino inutile, buono solo per i telegiornali della sera, mentre migliaia di pazienti aspettano». E il Pd: «Scelte gestionali demagogiche, improvvisate e ipotetiche privatizzazioni non condivise dalle regioni. Siamo alla sanità a ‘peso’»