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IL CASO. Bonus e altre briciole al Welfare e alla sanità, ricco il piatto del complesso militare-industriale. Ecco come il governo intende affrontare la nuova crisi mentre aumentano precarietà e povertà. E lo scontro con i Cinque Stelle non riguarda il cambiamento di questa tendenza ma solo la tempistica per arricchire il capitalismo armato

Niente soldi ai supplenti a scuola, ma si comprano 70 milioni al giorno di armi

Mentre la spesa per la sanità pubblica, la scuola o quella per uno dei Welfare più iniqui e familisti d’Europa resta sottodimensionata e, in alcuni casi, inferiore al periodo pre-pandemico, le spese militari aumenteranno di 12-13 miliardi di euro entro il 2024 come previsto anche dal governo. Per il 2022, anno draghiano, il totale di questa spesa è oltre 25 miliardi, 1.352 milioni di euro in più rispetto al 2021.

Questa tendenza è iniziata anche prima della pandemia a livello globale. «Nel 2021 le spese militari nel mondo sono aumentate di cinquanta miliardi di dollari, superando i duemila miliardi di dollari, 10 volte di più di quanto si è stanziato per il Covax per assicurare gratuitamente i vaccini ai paesi poveri» ha denunciato Sbilanciamoci.

«Troviamo assurdo che in un paese, agli ultimi posti per la spesa in istruzione in area Ocse, si investano 13 miliardi nell’acquisto di armi e non si trovino le risorse per la proroga dei contratti di supplenza covid fino al termine delle lezioni. Se così fosse la credibilità del ministero dell’Istruzione sarebbe ulteriormente minata» sostiene la Flc Cgil.

Lo scontro elettorale in atto nel governo potrà forse

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Il commento. Dalla dichiarazione del presidente Usa, due scelte occidentali contrapposte: con Putin non si tratta fino al suo crollo; con Putin si deve negoziare per fermare la guerra in Europa

Biden in Polonia, pizza e selfie con i soldati americani - FOTO

«Putin è un macellaio...non può stare al potere». La frase che Biden ha detto, subito divisiva tra Europa e Stati uniti, è perfino condivisibile ma allo stesso tempo assolutamente inaccettabile. È condivisibile perché chi bombarda in modo «chirurgico» le città sa di colpire
indiscriminatamente i civili, seminando terrore utile ai fini della guerra.
Uccidere anche un solo bambino che altro è se non opera di un macellaio? E purtroppo, secondo l’Onu, i bambini ucraini uccisi finora sono più di 140. Ed è probabile che sicuramente il popolo russo non sia proprio contento del suo presidente che ha scelto la guerra come soluzione della crisi ucraina a costo della vita di civili ucraini, ragazzi russi mandati al fronte a morire e di milioni di profughi. Dov’è allora l’inaccettabile? Nel fatto che
a pronunciare questa accusa sia un presidente degli Stati uniti che nella sua vita politica ha votato a favore di ogni guerra americana bipartisan, di destra e di sinistra, diretta o indiretta, che ha disseminato di mattatoi l’intero Medio Oriente.

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L'Alleanza atlantica nel mirino di Bergoglio. La «guerra vergognosa in Ucraina è il frutto della vecchia logica di potere»

Papa Francesco  © LaPresse

«Mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il 2% per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia!». Papa Francesco torna ancora una volta a denunciare gli investimenti per gli armamenti, rivolgendosi direttamente a quei Paesi europei che fanno parte della Nato e che hanno deciso di aumentare fino al 2% del Pil la spesa militare come la Germania e anche l’Italia (Francia e Regno Unito sono già sopra questa soglia).

La scorsa settimana, infatti, la Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza (contrari Alternativa, Europa Verde e Sinistra italiana) un ordine del giorno proposto dalla Lega che impegna il governo a portare dall’1,5% al 2% del Pil le spese militari entro il 2024 (cioè da 25 a 38 miliardi di euro l’anno). E mercoledì il presidente del Consiglio Mario Draghi lo ha ribadito nelle comunicazioni al Parlamento, alla vigilia degli incontri di ieri a Bruxelles con i vertici Nato, G7 e Consiglio europeo, alla presenza del presidente Usa Joe Biden: «Vogliamo adeguarci all’obiettivo che abbiamo promesso alla Nato», ovvero il 2% del Pil, ha detto il premier a Montecitorio.

«LA BUONA POLITICA non può venire dalla cultura del potere inteso come dominio e sopraffazione, ma solo da una cultura della cura della persona e della sua dignità e della nostra casa comune», ha detto ieri papa Francesco ricevendo in Vaticano le partecipanti al 31° congresso del Centro femminile italiano.

LA «GUERRA VERGOGNOSA» che si sta combattendo in Ucraina – ha proseguito «è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica», come «dimostra la storia degli ultimi settant’anni»: ci sono state diverse «guerre regionali» e ora «questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero». Ma il problema di base è lo stesso, ha aggiunto il pontefice: «si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri».

Invece «la vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato, non facendo vedere i denti come adesso, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare».

«PAPA FRANCESCO IERI ha ripetuto quello che ha detto più volte nelle ultime settimane e che ripete da tempo, come per esempio al convegno sul Mediterraneo frontiera di pace organizzato dalla Cei a Bari tre anni fa: «Nelle convenzioni internazionali tanti Stati parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi in guerra, questa è la grande ipocrisia”», spiega al manifesto don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi. E aggiunge: «Quelli che hanno le mani spellate per i troppi applausi che hanno fatto al papa cosa dicono in questi giorni? Nulla! Sulle spese militari e sul commercio delle armi c’è un silenzio tombale. Verrebbe da pensare che la lobby delle armi sia cosi influente da riuscire a portare tutti dalla propria parte, ma non si può dire perché non ci sono le prove».

INTANTO SI PREPARA una «missione di pace» – vera – da parte di alcune organizzazioni nonviolente e pacifiste del mondo cattolico e laico, come Comunità papa Giovanni XXIII, Rete italiana pace e disarmo, Pax Christi, Beati i costruttori di pace, Focsiv e Un ponte per.

«VENGONO MOMENTI in cui “la pace attende i suoi artefici” e noi non possiamo disattenderla, non vogliamo restare spettatori e sentiamo l’obbligo di esporci in prima persona», spiegano le associazioni che il primo aprile partiranno per l’Ucraina, «per testimoniare con la nostra presenza sul campo la volontà di pace e per permettere a persone con fragilità, madri sole e soprattutto bambini, di lasciare il loro Paese in guerra e raggiungere l’Italia».

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Sinistra. Al congresso dell'Anpi, il presidente Pagliarulo difende la linea del no alle armi in Ucraina e contro l'aumento delle spese militari. Anche l'ex premier 5 Stelle contro il 2% di guerra, interviene con veemenza da remoto. Il segretario Pd invece sceglie la presenza per ricucire con l'associazione: staremo sempre dalla stessa parte. Ma non affronta i temi che dividono: sottoscrivo Mattarella e la richiesta di una solidarietà attiva

 Enrico Letta interviene ieri al congresso dell'Anpi di Riccione

Avrebbe potuto essere l’intervento più applaudito. Quando il primo piano di Giuseppe Conte appare enorme in videoconferenza al 17 congresso dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, i capelli sono come sempre in ordine ma è chiaro che entro gli rugge uno spirito guerriero. Anzi, pacifista. Se ha combattuto deve averlo fatto fino a un attimo prima con le correnti del Movimento e con gli alleati, irritati, soprattutto il Pd, per la decisione di rimangiarsi in senato il voto favorevole all’aumento delle spese militari dato alla camera otto giorni fa. Ha tante telefonate importanti da fare, l’avvocato, e rimanda più volte il collegamento. Poi appare. E parte subito, una furia, battendo il pugno sul tavolo, ma troppo vicino a microfono e videocamera. «Se invece che intervenire con investimenti ingenti per aiutare le famiglie e le imprese in difficoltà – alza la voce – noi scegliessimo la strada di investimenti massicci sulle spese militari – sta quasi gridando – questa sarebbe per noi, e lo dico forte». Beng. Cosa? Che ha detto?

Non si è capito perché Conte ha colpito il tavolo troppo forte, la videocamera si è mossa, l’audio è saltato. Qualcuno però è riuscito a cogliere qualcosa. Ha detto che sarebbe «una scelta ignobile» aumentare al 2% del Pil le spese militari. Come da ordine del giorno già votato e come

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La grande fuga. Nel centro sportivo di Chisinau trovano posto azeri insieme a famiglie rom e zigane. Secondo il governo nel Paese si trovano poco più di 100 mila profughi

Rifugiati nel centro sportivo di Chisinau, Moldavia

 

Rifugiati nel centro sportivo di Chisinau, Moldavia  © Ap

«Il governo ha deciso di distribuire le persone così, perché è più comodo così. Nessuno qui sta discriminando, lo facciamo per far rimanere coese le comunità». Una giovane volontaria del Manej, uno dei maggiori centri di accoglienza per profughi ucraini di Chisinau, risponde in modo cortese ma determinato, quando le domandiamo perché nel centro trovano riparo quasi esclusivamente famiglie di chiare origini non ucraine.

FINO A QUALCHE settimana fa il Manej era uno dei più importanti centri sportivi della capitale della Moldavia. Oggi il suo parquet può ospitare fino a 700 persone, mentre sugli spalti giocano a rincorrersi i bambini. Qui sono state accolte famiglie rom e zigane, oltre a una folta comunità azera. Provengono per lo più dagli oblast di Odessa e Mikolayv, due delle città più popolose dell’Ucraina meridionale. Sono entrate dal valico di Palanca, nelle ultime settimane attraversato da migliaia di profughi in fuga da una guerra che non vogliono.

Centinaia di letti sono affiancati l’uno all’altro, senza divisori né pareti. Appare come un ricovero d’emergenza appena aperto, non sembra sia passato quasi un mese dall’inizio della guerra. Qualcuno, autonomamente, ha sistemato materassi inutilizzati e ne ha fatto le pareti della propria nuova temporanea «stanza riservata». Parlando con le persone, l’impressione è che appartengano a un ceto sociale non abbiente. Famiglie che fuggono da una vita che, forse, non era serena neanche prima della guerra.

Il centro è gestito dal governo moldavo. A differenza delle forze dell’ordine, presenti in buon numero, i volontari nel centro non sono molti. «Vivevo a Odessa. Vorrei tornare lì, quando sarà possibile. Ma potrei rimanere anche qui. Vedremo», ci dice un profugo, in balia di una vita sospesa, nell’attesa che il conflitto termini.

In realtà non sono in molti a volersi ricostruire una vita nella Repubblica di Moldavia. Il piccolo paese della Bessarabia, “stretto” tra la Romania e l’Ucraina, non offre quello che possono offrire nazioni come la Polonia, la Germania o l’Italia. Basti pensare che nel 2021 il pil della Moldavia ammontava a 11 miliardi di euro (3,6 mila dollari pro capite), quello dell’Ucraina era quasi 15 volte superiore in termini assoluti (150 miliardi di euro), e più alto anche in relazione alla popolazione (4,1mila dollari pro capite). Non sono pochi gli ucraini che alloggiano autonomamente negli hotel del centro di Chisinau, parcheggiando nei piazzali auto di grossa cilindrata. D’altro canto, la guerra non guarda in faccia al conto in banca o al ceto sociale.

IN QUESTA SITUAZIONE, essere costretti a fuggire in un paese meno ricco non è un aspetto irrilevante nel valutare se restare o tornare. Nei primi 24 giorni di guerra sono entrate in Moldavia 362mila persone, circa 15mila al giorno. Ma per il governo sono poco più di 100mila i profughi attualmente ancora nel paese, di cui la maggior parte ospitati in famiglie e una parte, minoritaria, nei centri di accoglienza. Le famiglie autoctone si stanno dimostrando estremamente accoglienti, e rappresentano per molti ucraini una soluzione temporanea. In molti, infatti, preferiscono continuare il loro viaggio, entrando in Europa. Basti pensare che alla frontiera di Palanca sono numerosi gli autobus che dal confine partono ogni giorno direttamente per la Romania e la Polonia, senza soste intermedie a Chisinau o in altre città del Paese.

C’è tuttavia chi rimane. Lo fa principalmente per due motivi. Da un lato la vicinanza geografica all’Ucraina permetterebbe, a guerra terminata, un rientro immediato. Dall’altro c’è chi non ha disponibilità economiche, né possibilità di sfruttare reti sociali all’estero. Così si ritrovano profughi in una nazione che, seppur più povera di quella da dove arrivano, permette loro condizioni di sicurezza e assistenza personale. «Con il passare dei giorni arrivano persone con sempre minori disponibilità economiche», conferma una volontaria italiana alla frontiera di Palanca. È in quest’ultimo contesto che si può comprendere l’attuale situazione al Manej di Chisinau.

C’È POI il più grande centro di accoglienza della capitale. Si trova nei padiglioni del Moldexpo, un spazio per fiere, che fino a poche settimane fa era tra i maggiori hub per la vaccinazione anti-Covid. La struttura, aperta inizialmente dalla municipalità di Chisinau, da qualche giorno è gestita dal governo.
Entrando nel Moldexpo sembra che si sia di fronte a un’altra guerra. In tutti i padiglioni sono presenti un’infinità di pannelli in forex, prima del conflitto utilizzati per la campagna vaccinale. Dentro sono state ricreate stanze da letto divise per nuclei familiari – quasi esclusivamente donne con figli minori – che garantiscono una relativa privacy. Anche in questo le persone provengono per lo più dalle regioni di Mikolayv e Odessa, ma le storie che raccontano sono diverse rispetto al Manej, come probabilmente è diversa anche la loro estrazione sociale. Incontriamo persone che fino a fine febbraio lavoravano come commesse e cameriere. Erano impiegate presso studi medici o al porto di Odessa.

«Ringrazio chi ci sta accogliendo. Ma vogliamo tornare a Odessa appena sarà possibile. Non abbiamo abbandonato la nostra terra, vogliamo tornare alla vita nella nostra città», ci dice Arkagi, tra i pochi uomini ospitati, che dorme in una delle stanze insieme a Julia, la sua giovane moglie incinta, e ai suoi figli Lev e Hanna.

A DIFFERENZA del Manej, l’entrata del padiglione principale di Moldexpo è occupata da numerose organizzazioni transnazionali e ong moldave, con una presenza imponente di volontarie che indossano le divise di Iom e Unhcr.
Ci sono anche assistenti legali, come l’avvocata Ludmila Cara: «Arrivano moltissime donne senza documenti – afferma – noi le aiutiamo a ricostruire la loro storia, in modo che abbiano tutte le carte in regola quando andranno altrove». La maggior parte delle ospiti rimane due o tre giorni, il tempo di organizzarsi per l’ospitalità in famiglia, o di prendere un bus. «Moltissime persone vanno in Germania, grazie a una convenzione tra il governo moldavo e quello tedesco».
Come accade nelle emergenze, probabilmente sia Moldexpo che Manej si struttureranno meglio nelle prossime settimane, istituzionalizzandosi ancora di più. Oggi sono entrambi rifugio di una stessa guerra, che però racconta due storie diverse.

 

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Crisi ucraina. Il leader di uno dei partiti russi messi al bando è sparito il 27 febbraio. Stretta anche sui canali televisivi. «Notizie unificate»: un solo network per «informare»

Il presidente ucraino Zelensky

 

Il presidente ucraino Zelensky

Le circostanze della guerra stanno spingendo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, su posizioni radicali nei confronti del dissenso. Nel fine settimana ha fatto sapere al paese attraverso il suo canale Telegram che avrebbe messo al bando in via temporanea undici fra movimenti e partiti, praticamente metà dell’arco politico, dal centro all’estrema sinistra.

Il motivo della scelta sta nei «rapporti con la Russia» di queste organizzazioni: «Qualsiasi azione per separarci fallirà, e sarà punita con estrema durezza», ha detto Zelensky in un videomessaggio. Fanno parte dell’elenco il Partito di opposizione – Per la vita; il Partito Shariy; il Blocco di opposizione; il Nashi; Opposizione di sinistra; l’Unione delle forze di sinistra; lo Stato; il Partito socialista progressista dell’Ucraina; il Partito socialista dell’Ucraina; il Partito socialista; e, infine, il Blocco Volodymr Saldo.

Insieme rappresentano una buona parte di quei cittadini che si sono opposti alle iniziative nazionaliste intraprese in Ucraina nel corso dell’ultimo decennio. I più pesanti sono il Blocco di opposizione, considerato il successore del Partito delle Regioni dell’ex presidente Viktor Yanukovich, liquidato assieme al suo vecchio establishment dalla rivolta del 2014, nonché il Partito di opposizione – Per la vita, che ha una quarantina di parlamentari alla Rada e incarna le richieste della minoranza russofona.

Le vicende di quest’ultimo sono particolarmente delicate. Il leader si chiama Yuri Boyko, ha 64 anni, e ha ricoperto diversi incarichi di governo con i premier Yanukovich e Mykola Azarov. Boyko ha assunto il pieno controllo del partito all’inizio di marzo, dopo avere escluso anche formalmente da qualsiasi incarico il suo superiore, Viktor Medvedchuk. Molto si è scritto in queste settimane su Medvedchuk e sulle sue relazioni con il presidente russo, Putin. Quelle relazioni gli sono costate gli arresti domiciliari un anno fa con l’accusa di tradimento.

Come dire: l’attenzione delle autorità nei confronti del gruppo era alta ben prima che le tensioni con Mosca passassero dal piano diplomatico a quello bellico. Il quadro, già complesso, si è fatto ancora più difficile con l’inizio delle operazioni militari. Secondo l’intelligence americana Medvedchuk avrebbe potuto prendere la guida del paese per conto del Cremlino nel caso in cui i russi fossero riusciti a rovesciare Zelensky. Non sappiamo se il piano esista davvero. Per ora Zelensky ha resistito a qualsiasi forma di intimidazione, compresi tre tentativi di eliminarlo fisicamente sventati dal suo servizio di sicurezza.

Quel che è certo è che Medvedchuk è scomparso nel nulla il 27 febbraio, e quindi tre giorni dopo l’inizio dell’invasione. Dove si trova in questo momento? Per alcuni è riuscito a fuggire durante l’evacuazione da Kiev. Per altri è stato «trasferito» in un luogo sicuro. Un luogo di cui, tuttavia, nessuno sa dire alcunché. Non bisogna dimenticare che la criminalizzazione degli oppositori è una pratica diffusa in Ucraina.

Nel 2011 l’ex premier Yuliya Timoshenko ha ricevuto una condanna a sette anni di carcere per un accordo sul gas firmato con Putin. Allora il presidente era Yanukovich. Ne ha scontati tre, nonostante le proteste degli Usa e dell’Unione europea. Soltanto la fuga di Yanukovich nel 2014 le ha permesso di tornare in libertà.

La sola differenza con il caso Medvedchuk è che quest’ultimo ha sollevato zero indignazione in Europa. Per il resto si tratta di due storie molto simili. Il giornalista Anatoly Shariy, a capo dell’omonimo partito, fra quelli messi al bando da Zelensky, ha denunciato giorni fa le «azioni criminali dell’Sbu», ovvero dei servizi segreti, che il presidente ha affidato a dicembre ad Aleksander Poklad, conosciuto come «lo strangolatore di Kremenchuk».

Secondo Shariy l’Sbu «sta facendo scomparire chiunque abbia espresso la minima critica al governo: l’offensiva russa è soltanto un pretesto per portare a termine altri obiettivi». Il decreto firmato nel fine settimana non riguarda soltanto i partiti politici, ma anche i canali televisivi. Già a febbraio aveva censurato tre emittenti accusate di essere «filorusse». Adesso ha deciso di fondere quel che è rimasto in un solo network. Dovrebbe essere chiamato «Notizie unificate». Fornirà «informazioni e analisi». Si tratta in fin dei conti di un atteggiamento non troppo lontano da quello adottato in Russia.

Proprio ieri il tribunale di Mosca ha deciso di inserire Meta, il marchio che controlla Facebook e Instagram, nella lista delle organizzazioni terroristiche assieme per esempio a Isis e Pravy Sektor. Facebook ha sette milioni e mezzo di utenti nel paese. Nei fatti il social network è già bloccato dal alcune settimane e si può raggiungere soltanto attraverso servizi vpn.

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