È stata inviata nei giorni scorsi ai presidenti di Camera e Senato la Relazione annuale sulle esportazioni e importazioni di materiali d’armamento. Due volumi di 2.423 pagine firmati dal Presidente del Consiglio. Ma che Draghi, con ogni probabilità, non ha nemmeno visto. Perché ad un economista, accademico ed esperto di cifre come lui sarebbe balzata subito agli occhi un’enorme discrepanza. A fronte infatti di oltre 3,6 miliardi di euro di licenze all’esportazione relativi ad «autorizzazioni individuali», la relazione riporta solo poco più di 225 milioni di euro di consegne effettive. Un’assurdità considerato che negli anni scorsi le consegne ammontavano mediamente ad oltre 2,5 miliardi di euro. Ciò significa che l’Agenzia delle Dogane, che è tenuta a certificare le esportazioni di armamenti italiani, non le sta riportando tutte: e questo è grave perché inficia radicalmente la possibilità di controllo parlamentare e della società civile sulle esportazioni effettive di armamenti italiani.
Una discrepanza ancor più incredibile se si considera che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha segnalato più di 5 miliardi di euro di operazioni bancarie relative ad esportazioni individuali. In parole semplici, stando ai dati forniti dalla relazione governativa, il governo Draghi avrebbe autorizzato 3,6 miliardi di euro per esportazioni di armamenti, sarebbero stati incassati pagamenti per 5 miliardi di euro, ma le effettive consegne sarebbero state solo di 225 milioni. Se è comprensibile, ed è sempre avvenuto, che esportazioni e pagamenti non riflettessero appieno il dato delle autorizzazioni sulle esportazioni – la produzione di sistemi complessi richiede vari anni e quindi vi è un naturale lasso di tempo tra l’autorizzazione e la consegna – l’enorme discrepanza rilevata quest’anno sta ad indicare una grave inefficienza da parte dell’Agenzia delle Dogane.
Inefficienza che potrebbe avere rilevanti conseguenze rispetto all’osservanza delle norme previste dalla legge nazionale, la legge n. 185 del 1990. Un esempio: nel gennaio del 2021 il governo Conte 2, in ottemperanza ad una risoluzione parlamentare, ha revocato all’azienda Rwm Italia sei licenze di esportazione del valore complessivo 328 milioni di euro relative a «bombe d’aereo e missili» che erano destinate ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti in quanto quegli ordigni potevano essere utilizzati per colpire la popolazione civile: una revoca che dovrebbe essere in vigore «sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace in Yemen».
La Relazione riporta che tra i quasi 45,9 milioni di euro di autorizzazioni di materiali militari destinati all’Arabia Saudita figurano anche quelli della categoria «M 004» e cioè proprio «bombe, siluri, razzi, missili ed accessori»: incrociando i vari dati non è però possibile sapere il tipo di bombe e l’azienda che ha ricevuto l’autorizzazione. Ma si scopre che l’azienda Simmel Difesa di Colleferro, che produce tra l’altro proprio bombe e missili, nel 2021 ha ricevuto un pagamento dall’Arabia Saudita per oltre 21 milioni di euro di cui non si rintraccia autorizzazione nemmeno negli anni scorsi e soprattutto – notate bene – che nel 2021 la stessa azienda avrebbe ricevuto licenze per oltre 95 milioni (e 24,8 milioni nel 2020, 35,6 milioni nel 2019 e 27,7 nel 2018) ma non avrebbe effettuato nessuna esportazione.
Un’azienda quindi che negli ultimi anni riporta ordinativi per oltre 180 milioni di euro, nel 2021 incassa 51 milioni, ma che – stando ai dati dell’Agenzia delle Dogane – non avrebbe esportato niente. Non è l’unica stranezza di questa relazione. Domani comincia l’esame nella commissione Difesa del Senato e relatore sarà il senatore della Lega, Massimo Candura: la competenza dell’esame spetterebbe però alle Commissioni Esteri che in questi anni, proprio per l’intervento delle Commissioni Difesa, si sono viste sottrarre la materia. Considerato che tra i maggiori acquirenti di sistemi militari italiani figurano, per quasi la metà delle licenze (il 4,5%) non solo paesi alleati dell’Ue e della Nato (51,5%), ma regimi autoritari e spesso repressivi sarebbe auspicabile un esame in commissione Esteri.
Il primo acquirente è infatti il Qatar (813,5 milioni di euro) e poi troviamo Pakistan (203,7 milioni), Filippine (98,7 milioni), Brasile (72, 9 milioni), India (60 milioni), Emirati Arabi Uniti (56 milioni) e l’immancabile Egitto (35 milioni) i cui corpi di polizia e enti governativi continuano ad essere riforniti dall’Italia «armi leggere» tra cui pistole e fucili automatici. C’è da augurarsi che le associazioni come Rete italiana pace e disarmo che da decenni si occupano di armamenti vengano invitate per le audizioni.
* L’autore è analista dell’Osservatorio Opal e di Rete italiana pace e disarmo
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