Scritto da Per il clima - fuori dal fossile su Ravennanotizie.it
Puntuale come un orologio svizzero, all’indomani del Consiglio comunale in cui è stata votata la mozione sull’utilizzo del gas dell’Adriatico è arrivato il comunicato del Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile” dal titolo un po’ apocalittico “Curare il tossicodipendente cambiando lo spacciatore. La mozione sul gas nell’alto Adriatico compromette il futuro di Ravenna”. La nota concentra le critiche degli ambientalisti sulla parte sinistra della maggioranza e in particolare su Ravenna Coraggiosa che ha votato il documento (solo il M5S ha votato contro).
Ma vediamo il testo della nota degli ambientalisti radicali nei suoi passi essenziali. “Un’altra brutta pagina è stata scritta dal Consiglio comunale di Ravenna nella seduta di martedi 28 giugno – si legge – con il voto dell’ OdG relativo alle estrazione di gas nel nostro mare. La beffa che si è consumata a danno dell’ambiente e della cittadinanza consiste nel fatto che, dopo un preambolo del tutto condivisibile, in cui si dichiara che “il riscaldamento del pianeta e i cambiamenti climatici già in atto in tutto il mondo e particolarmente in Italia… e si sottolinea che “la transizione ecologica richiede una drastica riduzione dei consumi energetici a parità di PIL, uno spostamento della produzione e del consumo verso l’elettrico con particolare riferimento al trasporto e al settore edilizio e un progressivo passaggio dall’impiego di fonti fossili alle energie rinnovabili” il Consiglio comunale… ha deliberato che si deve non solo proseguire con l’estrazione di metano in Adriatico, ma potenziarla e prolungarla nel tempo.”
SULTANATO. «Russia la minaccia più diretta», «il nucleare Usa la garanzia», «aumentare le spese»: lo Strategic Concept della nuova Alleanza
Il leader internazionali all’apertura del vertice Nato di Madrid - Ap
La Nuova Nato Globale è una realtà, firmata nero su bianco in calce al documento chiamato Strategic Concept 2022. Più armi, uomini, mezzi, molti più soldi, molto più mondo ed extramondo da pattugliare (già, ci sono anche lo spazio e il cyberspazio). Al vertice dell’Alleanza atlantica di Madrid si è ridisegnato un pezzo dell’equilibrio militare del pianeta. Il “nostro” pezzo.
TUTTO CIÒ ha dei costi, naturalmente. Si comincia con la pelle dei curdi, una lista di 33 estradabili sacrificati alla Turchia di Erdogan, che li ha pretesi – insieme a molto altro – per togliere il proprio veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza. Solo qualche anno fa i curdi erano i nostri eroici difensori contro il Male delle colonne dell’Isis. Oggi il Male è qualcun altro e i difensori non servono più, erano già fuggiti in gran numero in Finlandia e in Svezia, così come i turchi che Erdogan ha accusato di aver preso parte al tentato golpe del 2016 contro di lui. Credevano di andare nella terra di Olof Palme e invece sono finiti nella colonia di Jens Stoltenberg. Lo stesso segretario generale della Nato condannò vigorosamente il tentativo di colpo di stato in Turchia – e non condannò mai le tremende purghe scatenate da Erdogan, che durano tutt’ora. Ma il doppio standard è la cifra stilistica dell’intera Alleanza.
VIA LIBERA DELLA COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI. Renata Polverini, da sempre favorevole alla riforma, vota con il centrosinistra
Approda oggi in aula alla Camera per la discussione generale la riforma della cittadinanza che introduce il cosiddetto ius scholae, la possibilità per i ragazzi figli di genitori stranieri di avere la cittadinanza italiana al termine di un ciclo scolastico. Nella tarda serata di ieri la Commissione Affari costituzionali ha votato il mandato al relatore della legge, il presidente della Commissione Giuseppe Brescia (M5S) a riferire in aula con il voto a favore di Pd, M5S, Leu e Italia Viva mentre Forza Italia, che finora ha sostenuto la legge, ieri si è spaccata, con Renata Polverini, da sempre favorevole alla riforma, che ha votato a favore e Annagrazia Calabria contro.
Via libera anche alle ultime modifche. Le principali prevedono che il ministero del Lavoro, in accordo con il ministero dell’Istruzione, stabilisca con un decreto i requisiti essenziali che gli istituti di istruzione e formazione professionale devono garantire ai fini dell’idoneità al rilascio della cittadinanza. Inoltre non sarà più necessario che a presentare la richiesta di cittadinanza per un minore siano entrambi i genitori, ma sarà sufficiente che a farlo sia anche solo uno dei due. Nel corso dell’esame sono stati bocciati tutti gli emendamenti presentati da Lega e Fratelli d’Italia, grazie anche alla scelta fatta di Forza Italia di appoggiare la nuova legge.
Sono più di 800 mila i giovani figli di immigrati nati in Italia o che vi sono arrivati prima di aver compiuto i 12 anni, e per questo interessati alla riforma. Ragazzi cresciuti fianco a fianco con i loro coetanei italiani con i quali condividono spesso il dialetto, le stesse passioni ma non gli stessi diritti.
Da oggi si comincia dunque a discutere la riforma alla Camera, dove sempre oggi è previsto anche l’arrivo del disegno di legge per la coltivazione domestica della cannabis. «Finalmente di va in aula davanti a tutti gli italiani per iniziare a saldare un debito con migliaia di ragazzi che si sentono italiani ma che non sono riconosciuti come tali dallo Stato», ha detto al termine della votazione il presidente Brescia. «Lo ius scholae è una risposta pragmatica e semplice a una richiesta di cambiamento. Non toglie nulla a nessuno, ma aggiunge e crea le condizioni per una società più giusta e inclusiva».
Dal punto di vista politico mentre il centrosinistra finora si è mantenuto compatto (a favore della legge sono Pd, M5S, Italia viva e Leu), il centrodestra si è spaccato con Forza Italia che fino all’ultimo ha mantenuto una posizione favorevole alla legge. Il voto di ieri sera, con le due parlamentari schierate su posizioni contrapposte, è l’annuncio di un possibile riposizionamento del partito di Berlusconi.
Intanto c’è anche chi ha scelto di non aspettare più i tempi del parlamento. E’ il caso del Comune di Bologna il cui consiglio comunale ieri ha introdotto due modifiche del proprio Statuto per introdurre il principio dello ius soli, riconoscendo la cittadinanza onoraria a bambini di genitori stranieri nati in Italia, oppure nati all’estero ma che abbiano completato un ciclo scolastico.
Pubblicato circa 10 ore faEdizione del 29 giugno 2022
CRISI UCRAINA. Le conclusioni del summit in Baviera. Resta in discussione l’idea di imporre un tetto al prezzo del petrolio russo, ma è «un progetto ambizioso, c’è ancora molto lavoro da fare» ha ammesso il cancelliere Olaf Scholz
Il tavolo del G7 a Elmau, in Baviera - Ap
L’incertezza domina nel mondo, la guerra in Ucraina (e le sue conseguenze sull’energia, l’inflazione e la minaccia alimentare), la crisi climatica, le ingiustizie e i drammi dei rifugiati, tutto concorre a rendere poco visibile l’evoluzione in corso. Questa incertezza è rispecchiata nel comunicato finale del G7, che si è concluso ieri a Elmau in Baviera. Il prossimo appuntamento è tra un anno in Giappone, a Hiroshima.
I capi di stato e di governo dei sette grandi, che tanto “grandi” non sono più rispetto al peso del resto del mondo (solo un decimo della popolazione, meno del 50% del pil mondiale) e che si ritrovano da oggi a Madrid con gli alleati della Nato per un vertice “storico” dell’Alleanza, non hanno fatto passi indietro rispetto agli impegni presi con l’Accordo di Parigi e alla Cop26 a Glasgow, rilanciano il “Club del clima” mondiale, ma sono accaparrati dall’immediato: la guerra in Ucraina e la necessità di aumentare i costi dell’aggressione per la Russia di Putin, perché Mosca «non approfitti della posizione di produttore di energia», sono un filo rosso che attraversa tutto il comunicato finale.
Come far fronte all’effetto delle sanzioni alla Russia che stanno spingendo verso l’alto i prezzi dell’energia? Il G7 non è giunto a nessuna
Il fenomeno delle grandi dimissioni, partito negli Usa, è approdato anche in Italia: nel 2021 ha registrato un incremento record del 30%. Chi cambia lo fa per trovare un altro lavoro, alla ricerca di condizioni salariali e di vita migliori. Scacchetti, Cgil: “Non ha una lettura unica, ma pandemia e smart working sono stati determinanti”
Lo chiamano grandi dimissioni, in inglese Great Resignation. È un fenomeno nuovo, registrato negli Stati Uniti dopo la pandemia, che consiste in un aumento anomalo di dipendenti che decidono volontariamente di licenziarsi. Una tendenza iniziata oltreoceano nella primavera 2021, che adesso è arrivata anche in Italia anche se in misura ridotta. Secondo i dati di uno studio della School of management del Politecnico di Milano, 25 milioni di persone nel mondo negli ultimi sei mesi del 2021 hanno deciso di lasciare il posto, 4,5 solo a novembre scorso.
In Italia, stando alle rilevazioni del ministero del Lavoro (sistema informativo statistico delle comunicazioni obbligatorie) le cessazioni richieste dal lavoratore sono state 2 milioni 45mila nel 2021, contro il milione e mezzo registrato dell’anno precedente, con un incremento del 30,6 per cento (più 479 mila), una cifra che ha rappresentato il 19,3 per cento di tutti i rapporti di lavoro interrotti. Più uomini (35,1 per cento) che donne (24,6 per cento). Dati che si riferiscono naturalmente ai contratti a tempo indeterminato, quelli che senza le dimissioni del lavoratore avrebbero potuto tranquillamente proseguire. In cima alla classifica delle regioni, Lombardia, Veneto, Toscana ed Emilia Romagna.
Svolta epocale Alcuni hanno letto questi numeri come una risposta ai mesi di pandemia, altri teorizzano un mutamento sostanziale e ormai inarrestabile dei paradigmi lavorativi. Una fuga dal posto fisso che non rappresenta più il grande sogno, per cercare un’occupazione più appagante e con maggiori soddisfazioni. Siamo a una svolta epocale? “Il fenomeno non ha un’unica lettura, ma credo che gli effetti della pandemia abbiano determinato modifiche nelle aspettative e nelle scelte di vita: una parte di quelle dimissioni è anche figlio della volontà di provare a cambiare percorsi – spiega Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil -. C’è stato un fattore smart working, di ritorno a una dimensione territoriale. Non a caso una parte delle persone rientrate al Sud per il lockdown oggi non hanno intenzione di tornare e non vogliono dare continuità al progetto migratorio, per una valutazione del bilanciamento tra costi e benefici delle proprie condizioni anche economiche. A leggere bene i dati e le interpretazioni, comunque, si tratta di un fenomeno che accompagna di più chi ha già prospettive di ulteriore occupazione o nuovi dì progetti di vita, e quindi livelli di sicurezza e buone condizioni di spendibilità sul mercato”.
Salario versus qualità della vita Quindi il lavoratore che rinuncia al posto fisso lo fa per un progetto magari più incerto, una scommessa per migliorare la qualità della vita e del proprio tempo, ma ha certamente professionalità medio-alte da spendere? “È così – risponde Scacchetti -. Infatti non abbiamo registrato grandi dimissioni nei settori ad alto tasso di sfruttamento. Chi lo fa è disponibile a rinunciare anche a un pezzo di salario se in cambio migliora l’ambiente di lavoro e la soddisfazione personale. Dai dati risulta che chi se ne va si rioccupa nel giro di 40-60 giorni”.
La ricerca del Politecnico di Milano rivela che nell’ultimo anno il tasso di turnover è aumentato per il 73 per cento delle aziende: il 45 per cento degli occupati dichiara di aver cambiato lavoro nell’ultimo anno o di avere intenzione di farlo da qui a 18 mesi. Numeri che crescono per i giovani (18-30 anni), per determinati settori (tecnologie per l’informazione e la comunicazione, servizi e finanza) e per alcuni profili (professionalità digitali). Tra le persone che hanno fatto il passo, 4 su 10 non aveva un’altra offerta al momento delle dimissioni. Chi cambia lo fa principalmente per cercare benefici economici (46 per cento), opportunità di carriera (35), per una maggiore salute fisica o mentale (24), per inseguire le proprie passioni personali (18) o una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (18). Analizzando tre dimensioni del benessere lavorativo (fisica, sociale e psicologica), solo il 9 per cento degli occupati ha dichiarato di stare bene in tutte e tre.
Dal malessere alle dimissioni L’aspetto più critico è quello psicologico: 4 su 10 hanno avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere emotivo. Preoccupazioni che si riflettono anche sullo stato fisico, con difficoltà a riposare bene o insonnia (nel 55 per cento dei casi). Fa il paio con questa rilevazione la recente indagine realizzata della fondazione Studi consulenti del lavoro: più della metà dei lavoratori italiani (55 per cento) desidera una nuova occupazione perché insoddisfatta di quella attuale e il 15 per cento si è attivato per cercare un altro impiego. A pesare sulla decisione l’insoddisfazione (38,7 per cento) e la voglia di novità (35,4), mentre i salari bassi (31,9) e scarse opportunità di carriera (40,9) sono alla base dell’insoddisfazione. Ma non è solo il miglioramento retributivo e professionale a spingere al cambiamento: il 49 per cento indica tra i requisiti irrinunciabili della nuova occupazione un maggiore equilibrio personale, livelli minori di stress e più tempo da dedicare a sé stessi.
“Era prevedibile che accadesse, perché c’è sempre di più uno scollamento tra le esigenze dell’individuo e le risposte del lavoro – dichiara Domenico De Masi, sociologo del lavoro -. La pandemia è stata determinante, ci ha fatto capire che non si vive di solo pane ma anche di tante altre cose che hanno un valore. Ognuno di noi ha due tipi di bisogni: potere e soldi da un lato, amicizia, amore, gioco, convivialità, introspezione dall’altro. Le aziende nella migliore delle ipotesi cercano di soddisfare i primi ma quasi mai i secondi. E così sempre più spesso si è disposti a ridurre il proprio bisogno di consumismo per avere maggiore libertà, autonomia e tempo per sé. Per questo le imprese dovrebbero rispettare l’orario di lavoro, non costringere il dipendente a restare una o due ore in più senza neppure retribuirle e anzi ridurlo. Ma questo è un miraggio: in Italia come nel resto del mondo ci siamo americanizzati”.
Il “caso” Milano A Milano, dove ancor prima della crisi sanitaria un rapporto di lavoro su due cessava dopo 15 mesi, la metà per dimissioni, l’inadeguatezza del sistema produttivo si vive appieno. Perché questa situazione contrassegnata da una profonda mobilità del mercato si è acuita dopo il periodo di stop da Covid. “L’elemento di assoluta novità è che le dimissioni interessano per lo più i giovani – spiega Antonio Verona, di Cgil Milano -, che sono quelli con forti sofferenze sul posto di lavoro, una cultura e una professionalità medio-alta, impiegati, addetti alle gestioni amministrative, servizi alle imprese. Manifestano insoddisfazione perché non hanno un ambiente di lavoro favorevole allo sviluppo delle proprie ambizioni”.
Per esempio, se un giovane va all’estero per fare il lavapiatti e imparare la lingua, è molto probabile che trovi il clima giusto per crescere, diventare aiuto cuoco e, perché no, direttore del ristorante. In Italia non funziona così. “Esatto: per poter crescere devi andare via, cambiare posto – dice Verona -: l’ambiente di lavoro non è percepito come adatto alla crescita professionale. L’elemento che sta emergendo è che questa insofferenza si è fatta più importante. Inoltre, chi se ne va si rimpiega di sicuro. Non si va via da un posto per passare alla disoccupazione, ce lo dicono i numeri: a Milano le cessazioni coincidono con le attivazioni. E la fenomenologia per cui la gente si licenzia per prendere il reddito di cittadinanza è una favola che non trova riscontro nella realtà. A Milano la metà dei beneficiari di Rdc lavora. E tra l’altro il numero dei percettori dopo la pandemia è in diminuzione”.
Lavoratori qualificati in prima linea La conferma arriva da Fabio Sdogati, docente di economia internazionale al Politecnico di Milano: “Chi sostiene che il reddito di cittadinanza sia responsabile della difficoltà della domanda a trovare un’offerta adeguata non sa cosa dice. Sappiamo che l’Rdc è in media 570 euro per nucleo familiare, quindi riguarda fasce straordinariamente povere di lavoratori e delle retribuzioni. Le grandi dimissioni invece interessano tutti i gruppi, uomini, donne, giovani, in modo trasversale ma soprattutto il lavoro qualificato, chi ha una specializzazione che vale sul mercato. Io l’ho chiamato il grande ripensamento, un fenomeno che andrà avanti, che non si fermerà qui, e riguarderà gruppi crescenti di popolazione in condizioni economiche tali per cui possono decidere restare senza lavoro uno, due, tre, anche dieci mesi pur di trovare un tempo di vita diverso”.
D’altra parte, fa notare il professor Sdogati, l’Italia è l’unico Paese dove i salari sono diminuiti negli ultimi 30 anni, un fattore che esaspera la scelta tra tempo di vita e tempo di lavoro. Se le retribuzioni continueranno a cadere, questo renderà più agevole la scelta di lasciare un posto o di andare all’estero per trovare qualcosa di meglio.
"Le grandi dimissioni fotografano una condizione del nostro sistema produttivo che tendenzialmente è meno capace di altri Paesi di investire nell’innovazione e nelle competenze – conclude la segretaria Cgil Scacchetti -. Abbiamo lavoratori molto specializzati ma sottoinquadrati rispetto alle attività che svolgono. E dimensioni di carriera dove vivono di altri principi, come l’anzianità e i rapporti informali. In altre parole, non si investe in modo coerente sulle professionalità del lavoratore e sul lavoro di qualità”.
Nella città scaligera harakiri del centrodestra (leggi). Le liti tra Lega, Fdi e Fi premiano il centrosinistra anche a Parma (leggi). La coalizione guidata del Pd prende anche Monza, Alessandria, Piacenza, Catanzaro e si conferma a Cuneo. Letta: "Risultato che ci rafforza per le politiche". Al centrodestra pure Barletta e Frosinone. Affluenza al 42%
Nei ballottaggi 7 sindaci al centrosinistra, 4 al centrodestra e 2 a liste civiche
Sette sindaci al centrosinistra, 4 al centrodestra, 2 alle liste civiche. E’ questo il nuovo quadro venuto fuori dal turno di ballottaggio. Con cinque comuni che cambiano amministrazione da centrodestra a centrosinistra (Verona, Monza, Alessandria, Piacenza e Catanzaro) e uno da centrosinistra a centrodestra (Lucca).
Gorizia rimane al centrodestra Como passa dal centrodestra a un’amministrazione sostenuta da liste civiche Monza dal centrodestra passa al centrosinistra Verona dal centrodestra passa al centrosinistra Alessandria dal centrodestra passa al centrosinistra Cuneo rimane al centrosinistra Parma dalla giunta Pizzarotti (ex M5S) al centrosinistra (sostenuto dallo stesso movimento del sindaco uscente) Piacenza dal centrodestra al centrosinistra Lucca dal centrosinistra al centrodestra Viterbo da centrodestra a civica Frosinone rimane al centrodestra Barletta dopo il commissariamento viene riconfermato il sindaco che si era dimesso nell’ottobre del 2021 Catanzaro dal centrodestra al centrosinistra