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Il governatore della regione di Lugansk:«Restare non ha senso» Ma da Kiev il governo non conferma la resa della città
Gli ucraini si ritirano, accelera l’agonia di Severodonetsk 

Nuvole nere a est. Come un puzzle del quadro “la tempesta” di Turner, ma a tinte scure e pesanti, appariva l’orizzonte di Kramatorsk nel pomeriggio di ieri, a quattro mesi esatti dall’invasione russa in Ucraina. Piccoli scampoli di grigio e nero che si allungavano fino a terra in lontananza, dalla stessa direzione dalla quale ora i russi stanno avanzando. In mare si sarebbe fatto di tutto per evitare quel passaggio ma qui, nell’oblast di Donetsk, non c’è modo di ripararsi. Tutto intorno, una calma piatta: strade deserte e fuoristrada pitturati di verde alla buona con i fari coperti dal nastro blu o giallo per evitare di essere troppo visibili di notte. Tra un rombo e l’altro, silenzio innaturale e poi, immancabili, i tonfi dell’artiglieria in lontananza.

Sulla strada provinciale verso Slovjansk due poliziotti prossimi alla pensione con la faccia stanca e gli avambracci appoggiati sulla canna del mitra controllano svogliatamente i documenti e alla domanda «ma a Slovjansk ancora si passa?» rispondono «moshna», si può. Nella corsia più a destra gli autotreni militari, di quelli che in genere si usano per trasportare i carri armati o i semoventi, corrono vuoti verso nord, in direzione di Lyman. Cosa vadano a caricare non lo possiamo sapere ma deve essere un’operazione organizzata perché ne transitano diversi, almeno una decina, e non sono mezzi che passano inosservati. A Slovjansk troviamo la stessa situazione, con la differenza che qui l’orizzonte non si vede e i fuoristrada non passano. Nella piazza dell’amministrazione comunale filtra anche qualcuno degli ultimi raggi di sole di questa giornata che potrebbe segnare la svolta nella battaglia del Donbass.

IERI MATTINA il risveglio era stato brusco per gli ucraini. Il governatore dell’oblast di Lugansk, Sergiy Haidai, aveva annunciato ufficialmente in diretta tv e poi sul suo canale Telegram che «sfortunatamente, dovremo ritirare le nostre truppe da Severodonetsk. Non c’è bisogno di alimentare la paura di ‘tradimenti’, nessuno lascia i nostri ragazzi. Ora siamo in una situazione in cui essere nelle posizioni ormai distrutte in questi mesi non ha più senso. Perché ogni giorno che passa il numero di decessi in queste posizioni poco sicure può crescere in proporzione. Pertanto, ai difensori è stato ordinato di trasferirsi in nuove postazioni di difesa».

In altri termini, Severodonetsk è caduta. Eppure, il quadro è tutt’altro che chiaro. Basta ascoltare la risposta che intorno alle 16 il portavoce del ministero della difesa ucraino, Oleksandr Motuzyanyk, ha dato durante un briefing presso il media center “Ucraina-Ukrinform”. «Lo stato maggiore non commenta le informazioni sul possibile ritiro dell’esercito dalla città (di Severodonetsk,ndr) che attualmente è la parte più calda del fronte». Inoltre, e qui sta il passaggio più interessante del discorso, «le informazioni sul fatto che le unità delle forze armate ucraine si trovino in una determinata area, incluso Severodonetsk, sono classificate. Non ne stiamo parlando. Chiederei vivamente a tutti di concentrarsi sulle informazioni fornite dallo stato maggiore e il ministero della difesa dell’Ucraina Non è necessario danneggiare lo svolgimento di un’operazione di difesa… credete nelle forze armate dell’Ucraina».

LE DICHIARAZIONI di Motuzyanyk non possono non essere lette alla luce di quelle di Haidai della mattina. Che sia in corso uno scontro istituzionale tra i vertici della difesa ucraina e l’amministrazione regionale? È difficile trovare una risposta soddisfacente a questa ipotesi, potrebbe anche darsi che sia in atto la famosa «ritirata strategica» paventata a più riprese nelle ultime tre settimane. A confermare questa seconda ipotesi segnaliamo la testimonianza del giornalista ucraino Yuriy Butusov, del portale “censor.net”, considerato da molti un dissidente del governo Zelensky e quindi, in teoria, non tacciabile di interessi propagandistici. Butusov ha raccontato oggi sulla sua pagina Facebook che la notte tra giovedì e venerdì ha lasciato Severodonetsk insieme alle unità ucraine che «hanno abbandonato parte della zona industriale della città in modo organizzato (il che farebbe scartare la tesi della fuga improvvisa, ndr). Nella porzione di fronte in cui mi trovavo, la ritirata è stata presa di mira, ma senza perdite. È amaro partire, ma questa decisione è attesa da tempo». Secondo Butusov, la distruzione dei ponti e l’impossibilità di approntare pontoni ha minato in modo decisivo la possibilità dei difensori di rispondere all’assalto nemico. In seguito, il giornale conservatore Ukrainska Pravda ha confermato la versione di Butusov riportando testimonianze di reparti della Guardia Nazionale ucraina che nella stessa notte avevano lasciato la città.

A QUESTO PUNTO viene spontaneo da chiedersi se il governatore dell’oblast di Lugansk non abbia forse agito troppo impulsivamente, rendendo noto qualcosa che lo stato maggiore stava cercando di tenere il più possibile nascosto. Quale che sia la ragione di questo scontro mediatico interno, ciò che sappiamo per certo è che le truppe russe oggi hanno conquistato anche il villaggio di Zolotoye, a sud di Severodonetsk, dopo Bila Gora e Myrna Dolina, occupate tra mercoledì e giovedì. Qui alcuni soldati di Kiev sono stati fatti prigionieri e i video che li mostrano con la faccia al muro, insieme a quelli dei reparti ceceni di Kadyrov che rastrellano la vicina Gorskoe, sono la prova del fatto che la tattica del “calderone” in quest’area sta iniziando a dare i suoi frutti e che, oltre Severodonetsk, la battaglia per il Donbass continua in tutta la regione.