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SICCITÀ. Anche l’Emilia Romagna chiede aiuto a Palazzo Chigi. Bonaccini: «Serve un intervento per tutto il bacino del Po»

Il governo si prepara a dichiarare lo stato di crisi nazionale

Ogni giorno che passa la situazione diventa sempre più compromessa. La Pianura Padana continua a boccheggiare, il Po e gli affluenti sono in secca, il Lago Maggiore ha raggiunto il suo minimo storico e pure quello di Como è in sofferenza. E, dopo la richiesta di stato di calamità per l’agricoltura fatta dal presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, ora è l’Emilia-Romagna a dirsi pronta a chiedere al governo lo stato di emergenza nazionale. «Gli habitat naturali sono messi a dura prova e – ha sottolineato l’assessora all’Ambiente Irene Priolo, annunciando una cabina di regia per martedì – registriamo anche una forte risalita del cuneo salino. In queste ore stiamo lavorando per istruire la pratica, completa e approfondita, affinché sia accolta da Palazzo Chigi».

IL PRESIDENTE emiliano Stefano Bonaccini vuole porre il tema nella Conferenza delle Regioni di mercoledì «per chiedere al governo un intervento immediato per tutto il bacino del Po». Le Regioni chiamano l’esecutivo, che per ora non ha espresso una posizione ufficiale, ma probabilmente interverrà in settimana. Ieri, il ministro Stefano Patuanelli, durante il Blue Forum Italia Network di Gaeta, ha detto che sarà «inevitabile dichiarare uno stato di crisi», avendo «intere aree del Paese ed europee che non vedono pioggia da mesi». Appunto, da mesi: il problema era prevedibile. Invece, si rincorre l’emergenza.

E, in Piemonte, Marco Grimaldi capogruppo di Liberi Uguali Verdi in consiglio regionale attacca la giunta Cirio accusandola di aver rinunciato agli obiettivi della transizione ecologica: «A febbraio denunciavamo che c’era allora la quantità di neve che avrebbe dovuto esserci a luglio e agosto e ora, complice anche una primavera particolarmente torrida, gli effetti nefasti preventivati sono addirittura peggiori. Sono passati quattro mesi da quando i movimenti e le associazioni ambientaliste hanno assediato pacificamente le nostre aule, ma nulla è stato fatto».

PER L’ASSESSORE regionale piemontese all’Ambiente, Matteo Marnati, «i prossimi 15 giorni saranno quelli cruciali per salvare le colture e, per questo, è stata avanzata al settore idroelettrico la richiesta di disponibilità a rilasciare la massima acqua possibile». Un aiuto al sistema di distribuzione dell’acqua e alla rete irrigua dell’agricoltura (a rischio le risaie della pianura) potrebbe, infatti, arrivare dai laghi artificiali che, nella cerchia delle Alpi, conservano l’acqua (seppur in quantità assai minore rispetto alla media) che alimenta gli impianti idroelettrici. Il presidente Cirio parla di «una crisi idrica peggiore di quella del 2003», l’anno del caldo record. Chiede, per soccorrere l’agricoltura, «la deroga al minimo deflusso vitale dei fiumi, che consente di prelevare un po’ più di acqua di quella prevista».

ANCHE IN LOMBARDIA sono in campo contromisure. Il sindaco di Milano Beppe Sala ne ha scritto sui social: «Siamo costretti a intervenire per dare acqua ai nostri campi, se vogliamo salvare i raccolti. Ho dato disposizione di valutare la riduzione del livello dell’acqua del Naviglio nella Darsena per fornirla ai nostri agricoltori. Intorno a Milano si sviluppa un grande sistema agricolo e la siccità lo sta mettendo a dura prova. Gli effetti dei cambiamenti climatici non li vediamo più solo nei documentari, sono nella nostra vita. E c’è ancora chi pensa che possiamo prendercela comoda». Per Coldiretti non ci sono solo raccolti bruciati dalla siccità «a soffrire il caldo sono anche gli animali nelle fattorie lombarde, a cominciare dalle mucche che con le alte temperature stanno producendo per lo stress fino al 10% di latte in meno».

Tutto il Nord è in crisi. In Liguria, i vigili del fuoco hanno portato 5mila litri d’acqua alle pendici del monte Pietravecchia, in alta val Nervia (Imperia), per abbeverare un gregge di oltre 100 capre che non avevano acqua da bere. In Friuli, lunedì mattina scatteranno i primi razionamenti di acqua lungo l’asta del fiume Meduna, in provincia di Pordenone. Lo ha annunciato il Consorzio di bonifica che ridurrà da due a una sola ora per ettaro al giorno l’irrigazione nei campi bagnati con l’acqua del torrente.

 

 

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RUSSIA. La governatrice della Banca centrale russa è stata l’unica a parlare apertamente di redistribuzione al Forum di San Pietroburgo. Parabola opposta per l’ex deputata Poklonskaya, in disgrazia per un post contro la guerra
L’ascesa di Elvira Nabiullina e l’ombra  della successione allo «zar» Putin Elvira Nabiullina

Di Elvira Nabiullina si diceva poche settimane fa: lascerà la guida della Banca centrale; sicuramente se ne andrà; non ha accettato la guerra in Ucraina. Da allora Nabiullina non solo è rimasta al suo posto; non solo ha ricevuto il terzo mandato a Bank Rossii; ma il suo peso negli equilibri politici interni sembra crescere giorno dopo giorno. Tant’è che, giovedì, al Forum economico di San Pietroburgo, ha messo da parte il linguaggio da banchiere e ha detto di fronte ai massimi dirigenti del paese: il Pil è un indice efficace per capire come si muove l’economia, ma la cosa più importante è il livello di benessere dei cittadini, anche perché la distribuzione della ricchezza in Russia resta un tema scottante. È stata l’unica a esprimersi in modo così netto sulle condizioni in cui il paese versa. Viste le circostanze è sorprendente che nessuno in Europa l’abbia ancora chiamata “zarina”, che nessuno abbia ancora immaginato l’esistenza di piani per sostituire Vladimir Putin al Cremlino.

È STATO PROPRIO PUTIN, nel 2007, nel corso della parentesi da primo ministro, a volere Nabiullina al suo fianco come ministra dello Sviluppo economico. Cinque anni più tardi, quando è tornato al Cremlino, Putin ha portato Nabiullina con sé nell’Amministrazione presidenziale. Quindi il passaggio alla Banca centrale.

Oggi, a 59 anni, Nabiullina occupa una posizione unica nel panorama politico russo. Probabilmente non è in linea con le posizioni di Putin, a partire proprio dalla guerra. Non avrà la forza necessaria per condizionarne le scelte. Ma può portare avanti una sua agenda, sulla base dell’autonomia che l’incarico di banchiere centrale le garantisce. Nel suo intervento a San Pietroburgo Nabiullina ha avvertito che “le condizioni esterne sono cambiate forse per sempre” e che la Russia dovrebbe ripensare al suo modello di sviluppo.

Putin ha risposto il giorno seguente sempre al Forum economico: “Non ci chiuderemo, non seguiremo mai la strada dell’autoisolamento”. Già in precedenza il capo del Cremlino aveva fatto intendere di considerare l’autarchia fra le ragioni del fallimento dell’Unione sovietica. Nel suo discorso Putin si è soffermato a lungo sulle prospettive economiche del paese, ha parlato del bilancio del federale, dei tassi di interesse, di piani che dovrebbero garantire sviluppo nei prossimi anni anche attraverso nuove infrastrutture. Toni trionfalistici, parole di sfide all’occidente, molta retorica, ma poche risposte all’”uomo della strada”. È stata quindi Nabiullina a lanciare il messaggio più forte dal punto di vista politico.

Se la parabola di Nabiullina è in ascesa, quella di un’altra donna in vista ai piani alti di Mosca, Natalia Poklonskaya, sembra avere definitivamente assunto la tendenza opposta. Poklonskaya, di nazionalità ucraina, ha sostenuto nel 2014 l’annessione russa della Crimea, il che le ha permesso di ottenere incarichi pubblici, un posto da ambasciatrice e anche un seggio alla Duma.

QUESTA SETTIMANA un video contro la guerra pubblicato sui suoi popolarissimi canali social sembra esserle costato il favore del Cremlino. Putin in persona ha emesso il decreto con cui è stata di fatto esclusa dalle numerose mansioni che le erano state assegnate nell’amministrazione russa.

Sin qui l’attenzione degli osservatori stranieri è stata rivolta a possibili crepe nell’apparato politico, nei ranghi dell’esercito e nella struttura dei servizi segreti. Ma è fra gli economisti, e quindi fra i colleghi di Nabiullina, che si sono registrate le defezioni più significative. Dal team dei consiglieri di Putin se n’è andato Anatoly Chubais, l’uomo delle privatizzazioni degli anni Novanta, fuggito dalla Russia pochi giorni dopo l’inizio della guerra. L’ultimo incarico importante di Chubais è stato a Rosnano, la società pubblica che si occupa di innovazione. Putin ha incontrato in settimana il suo successore, Sergey Kulikov, quarantasei anni, che arriva dalla Commissione federale dell’industria militare. Con lui ha discusso i possibili sviluppi di Rosnano, orientata a questo punto sempre più verso il comparto bellico.

 
 
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TORNA IL ROSSO. A piazza del Popolo la Cgil torna battagliera. Landini: la legge di bilancio la scriviamo noi, se non ci ascoltano altra mobilitazione. Le proposte: tassare gli extraprofitti al 100%, via le leggi sulla precarietà

Piazza del Popolo piena di rosso per la manifestazione della Cgil - Ansa

Il rosso Cgil si riappropria in solitaria di piazza del Popolo e lancia la sfida al governo Draghi. Sotto la canicola romana la lunga marcia verso il XIX congresso previsto a dicembre comincia con una mattinata di puro orgoglio. Nonostante il solleone la piazza è piena di delegati, delegate e un buon numero di giovani e studenti a rivendicare gli sforzi fatti in pandemia e per aprire una nuova stagione.

Più di una decina di delegati a raccontare la vita quotidiana del lavoro povero e precario, Stefano Massini a raccontare la storia di Samuel, morto sul lavoro a soli 19 anni un anno fa a Gubbio con la piazza impietrita ad ascoltare la sua canzone e ad applaudire i suoi genitori sul palco.

UNA CGIL «APERTA» come quella che chiede Dario Salvetti, delegato Gkn della Fiom che ricorda «gli 11 mesi di assemblea ininterrotta e la

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L'INTERVISTA. Anna Luise, ricercatrice Onu e Ispra: «Gli ecosistemi del suolo danno da vivere agli esseri umani, agli animali e alla vegetazione. Senza un suolo in buona salute non sopravviviamo»

Anna Luise, responsabile della Struttura di missione per le tematiche globali nell'ambito dell'Agenda 2030 dell'Ispra, membro per tre anni della Science Policy Interface della Convenzione Onu sulla desertificazione e la siccità e tuttora corrispondente tecnico-scientifico per l’Italia

Ha partecipato ai principali tavoli internazionali sulla desertificazione. Anna Luise, responsabile della Struttura di missione per le tematiche globali nell’ambito dell’Agenda 2030 dell’Ispra, membro per tre anni della Science Policy Interface della Convenzione Onu sulla desertificazione e la siccità e tuttora corrispondente tecnico-scientifico per l’Italia, ha un punto di vista privilegiato sul tema.

È ormai assodato che l’Italia rischi fenomeni di desertificazione. Quali sono le zone più colpite?
Un quarto del territorio italiano presenta segni di degrado. La desertificazione è il massimo livello di questo degrado ed è anticipato da fenomeni intermedi. Parliamo del Sud, in particolare di Sicilia, Sardegna, Puglia, Basilicata, a cui si aggiungono, ora, aree molto piccole nel Nord, in Veneto, basso Piemonte ed Emilia Romagna. E c’è una risalita del cuneo salino nelle zone del Delta del Po.

Questi segni di degrado del suolo cosa comportano?
Una tendenza a perdere fertilità. Che significa sia perdere produttività economica, quindi danni all’agricoltura, ma anche produttività di tutti i servizi ecosistemici, come contenere l’acqua nei fiumi o regolare i processi biochimici. Gli ecosistemi del suolo danno da vivere agli esseri umani, agli animali e alla vegetazione. Senza un suolo in buona salute non sopravviviamo.

La siccità estrema di questi giorni, che tocca soprattutto il Nord del Paese, coincide con la Giornata mondiale per la lotta contro la desertificazione. Come si inserisce nei fenomeni più globali?
La Giornata è l’anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione e agli effetti della siccità. E la parola siccità è piuttosto rilevante e si somma all’aumento delle temperature a terra. Ma c’è anche il fatto che abbiamo sempre trattato male il nostro suolo, pensando fosse una risorsa rinnovabile, gettandogli antibiotici, antiparassitari, fertilizzanti. È in corso una combinazione di fattori antropici, di uso del territorio, e di fattori climatici. E poi c’è l’aspetto della gestione dell’acqua.

Anche da noi stanno emergendo conflitti sull’uso dell’acqua. Che succede?
La competizione è una vecchia storia, si veda la guerra in Siria o in Palestina. Sono fenomeni da noi più recenti, che però hanno subito un’accelerazione in tutto il bacino del Mediterraneo. Basti pensare al conflitto tra idroelettrico e agricoltura, tra questa e l’uso domestico delle risorse idriche. In Spagna, la situazione siccità è ancora più grave, ecco perché la ministra della Transizione ecologica e della sfida demografica, Teresa Ribera, ha voluto che la Giornata internazionale si celebrasse a Madrid.

Come membro della Science Policy Interface della Convenzione Onu si è occupata delle azioni per l’Italia. Cosa dobbiamo fare?
Si deve cercare un equilibrio tra l’uso del suolo e la sua tutela, per non distruggerne le funzioni. Per quanto riguarda la Convenzione, ogni Paese deve preparare un piano per raggiungere la land degradation neutrality, un tasso zero di degrado del suolo. E programmare un recupero dei suoli degradati. Non c’è, però, un meccanismo di sanzione come non c’era nel famoso accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. L’Italia sta lavorando bene, ha definito le attività a partire dal monitoraggio del suolo, per avere informazioni specifiche, perché la desertificazione è un fenomeno globale ma diverso localmente. E, poi, si deve ridurre la pressione antropica sul suolo, arginando il consumo del suolo con limiti nei vari piani di assetto territoriale. E pianificare la gestione delle risorse in chiave sostenibile, a partire dall’acqua. Varrebbero ancora, se fossero davvero seguiti, i principi di Rio De Janeiro 1992: pensare globalmente, agire localmente.

Noi per, ora, badiamo ai danni economici ma altrove la desertificazione mette in gioco la sopravvivenza e innesca fenomeni migratori. Quali sono gli scenari?
L’attuale entità migratoria, che potremmo facilmente assorbire, non è nulla rispetto a quella prevista. Si calcola che entro il 2050 ci saranno 250 milioni di movimenti in Africa, all’interno o verso il Mediterraneo. Se si sovrappone una mappa delle aree desertificate a una delle aree di provenienza dei migranti e delle aree di conflitto locale queste coincidono.

 

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TENSIONE ALLE STELLE. Il ministro: «Ho posto questioni e ho ricevuto insulti». Il fondatore difende il tetto dei due mandati: «No a chi si arrocca al potere». La vicepresidente Todde: Luigi cerca la scissione, se vuole se ne vada

Di Maio rincara: «M5S partito dell’odio».  Da Grillo assist a ConteGiuseppe Conte, Luigi Di Maio e Beppe Grillo - LaPresse

Temo che il M5s diventi la forza politica dell’odio». Parole che sembrano pronunciate qualche anno fa da Maria Elena Boschi, e invece ieri l’ha detto Luigi Di Maio. Dopo una giornata (giovedì) di sciabolate con Giuseppe Conte, ieri il ministro degli Esteri è tornato alla carica: «Mi sono permesso di porre dei temi per aprire un dibattito su questioni come la Nato, la guerra in Ucraina, la transizione ecologica e ho ricevuto insulti personali».

Nel duello- come da copione- è entrato anche «l’elevato» Beppe Grillo che ha difeso la regola del tetto dei due mandati, invisa a Di Maio. E ha bollato i critici come quelli «che si arroccano nel potere», «ebbri da retorica da ottimati». La funzione della regola, scrive Grillo nel blog, «è prevenire il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo». Toccherà ancora a lui, in una visita a Roma prevista per il 22 giugno, tentare di salvare la baracca.

QUANTO AI BIG DEL MOVIMERNTO che rischiano di tornare a casa (sono una settantina, compresi Di Maio, Fico, Crimi, Taverna, Bonafede, Toninelli, i ministri Dadone e D’Incà), «il dilemma può essere superato in altri modi, senza privarsi della regola», indica il fondatore, aprendo alla possibilità di deroghe. Insomma, nessun alibi per le tentazioni scissioniste di Luigino. Che fa una doppia capriola, lanciando un polemico invito al voto: «Noi non stiamo guardando al 2050, ma indietro. Io invito a votare gli iscritti secondo i principi fondamentali del Movimento perché questa è una forza che si sta radicalizzando all’indietro».

IL MESSAGGIO È CHIARO: voi vi attardate nel passato, io guardo avanti. Tutti, dentro e fuori il M5S, in queste ore si domandano dove voglia andare a parare. Se abbia in mente un nuovo approdo o stia solo cercando di logorare Conte. «Di certo non uscirà, vuole farsi cacciare», dicono fonti contiane. «E a quel punto potrebbe confluire in un rassemblement centrista di ispirazione draghiana» che ad oggi è ancora solo un’evocazione.

«Noi lo accoglieremmo a braccia aperte», dice Emilio Carelli, ex direttore di skyTg24, fortemente voluto da Di Maio nelle liste 5S nel 2018 e poi fuoriuscito. «Per me non è interlocutore perché ha fatto solo disastri, di lui non mi fido: prima era dannoso e inutile, ora è solo inutile», taglia corto Calenda ospite dell’Aria Che Tira su La7.

PER ORA IL FARO POLITICO di Di Maio è Mario Draghi. «Faremo di tutto perché il premier vada al consiglio Ue con la massima forza e con la massima possibilità di rappresentare il Paese con una coalizione compatta», ha spiegato. Lanciando allarmi su possibili deviazioni del Movimento il 21 giugno in Aula in occasione delle comunicazioni di Draghi (che Conte ha smentito): «Leggo che una parte del M5s vuole inserire nella risoluzione frasi che disallineano l’Italia dalle sue alleanze storiche, la Nato, l’Ue e da quella che è la sua postura internazionale. Non diamo grande prova di maturità politica quando strumentalizziamo il presidente del Consiglio». E ancora: «Non è chiara la nostra ricetta per il Paese e questo spiega perché nella nostra coalizione il Pd sale e noi scendiamo».

DAL FRONTE CONTIANO risponde la viceministra allo Sviluppo Alessandra Todde, che è anche vicepresidente del M5S: «Giuseppe Conte è il leader legittimo del M5S, eletto col 94% dei voti. Non esiste uno scontro tra lui e Di Maio, ma una contrapposizione di Di Maio con il M5S». «Il nuovo corso ha prodotto un’organizzazione che decide in maniere collettiva e non come accadeva in passato quando il capo politico era Luigi. Quindi crea sconcerto sentir parlare di poca democrazia da chi non l’ha mai esercitata. È ormai chiaro che Di Maio, capo di una corrente minoritaria, lavora soltanto in unica direzione: la sua», prosegue Todde. «Luigi ha dimostrato nel tempo di lavorare soltanto per la sua sopravvivenza. L’impressione è che stia cercando la scissione. Se ritiene che la sua storia nei 5 Stelle debba finire così, vada per la sua strada. E chi lo ritiene lo segua».

QUASI UN INVITO, cui Todde fa seguire l’ipotesi di «sanzioni disciplinari» da sottoporre al vaglio degli iscritti. «Ho la sensazione che le dichiarazioni pubbliche di Di Maio, cosi frontali contro la comunità e contro gli iscritti 5 Stelle, dimostrino che lui ha già in testa un percorso diverso rispetto al nostro».  Michele Gubitosa, un altro vicepresidente, rincara: «Ormai sembra giocare una partita tutta sua, evidentemente non si sente più parte del Movimento».

Roberta Lombardi, una delle fondatrici, si dice «sorpresa» per le parole del titolare delle Farnesina. E sul governo dà manforte a Conte: «Ci stiamo per realizzare e difendere le misure del nostro programma. Ove questo non fosse possibile, è il governo Draghi che espelle il M5S, non siamo noi i responsabili».

 

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INTERVISTA ALLA VICESEGRETARIA DELLA CGIL. La numero due del sindacato: domani alle 10 piazza del Popolo per rilanciare la questione sociale. Anche se la Cisl non sciopera, siamo per l’unità ma dopo la pandemia vogliamo cambiare la società

Fracassi: «Cgil in piazza per pace, diritti e salario»Una manifestazione della Cgil - Foto LaPresse

Gianna Fracassi, vice segretaria unica della Cgil, domani alle 10 (senza corteo) tornate in piazza del Popolo a Roma, stavolta da soli, per chiedere «pace, lavoro, giustizia sociale e democrazia».
La manifestazione chiude un percorso ricco di iniziative territoriali con 140 assemblee pubbliche fatte nelle piazze assieme ad associazioni, istituzioni, politici come deciso nella Conferenza di organizzazione e nel Direttivo di marzo, mentre il 20 maggio approveremo il documento congressuale. Abbiamo ascoltato migliaia di delegati descrivere la loro condizione. Come dice sempre Maurizio Landini la condizione sociale è sempre più difficile: la guerra che continua, le condizioni materiali delle persone con i problemi di lavoro, salario, inflazione. Il tema sociale emerge in tutta la sua crudezza assieme alla precarietà specie nei settori del turismo e del commercio che invece vengono descritti come senza lavoratori a causa del Reddito di cittadinanza o la poca voglia di lavorare dei giovani. Ecco, mentre l’Istat ci dice che a un bambino su 5 le famiglie non riescono ad assicurare i beni essenziali, attaccare il Reddito di cittadinanza è eticamente inaccettabile. Per tutti questi motivi torniamo in piazza.

Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil
Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil

Tornate in piazza del Popolo – il luogo della manifestazione per lo sciopero generale del 16 dicembre – in un momento di forte tensione confederale: la Cisl di Sbarra sembra avere imboccato la strada del Patto sociale con il governo Draghi a tutti i costi e sono già molti gli scioperi Cgil-Uil, ultimo dei quali quello importantissimo europeo contro Ryanair.
Siamo convinti che l’obiettivo

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