Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

CRISI UCRAINA. Dopo il Lugansk, anche il Donetsk è vicino alla resa. A Slovjansk e Kramatorsk arrivano mezzi e uomini per la battaglia finale, su una regione che pare trasformata in una terra vulcanica

Donbass allo stremo, Kiev resiste ma la controffensiva è un’utopia Civili tra le macerie a Slovjansk - Ap/Andriy Andriyenko

Il Donbass in questi giorni è una terra vulcanica. Dovunque ci si sposti alte colonne di fumo nero e bianco si levano dal suolo e a volte ristagnano a mezz’aria impedendo la vista. Bakhmut ieri era come Slovjansk il giorno prima, Avdiivka come Siversk, Slovjansk non ha pace da giorni e Kramatorsk continua a tremare.

Negli ultimi due giorni altri nove civili sono morti e più di 50 sono rimasti feriti. Come possano parlare di controffensiva ucraina in Donbass alcuni media resta un mistero. È un fatto che il ministero della difesa di Kiev ha diffuso una nota in cui si legge che le truppe ucraine hanno inflitto «perdite significative» ai nemici nei pressi di Verkhnokamianske, Belogorivka e Gryhorivka impedendone l’avanzata. Così come, sempre secondo i difensori, i russi sarebbero stati bloccati a Dolyna, in direzione di Slovjansk.

NOTIZIE DA INTERPRETARE, semmai, come la dimostrazione che l’esercito ucraino non è in rotta e riesce ancora a colpire gli invasori dalla distanza rallentandone l’avanzata. Ma chiunque sia in Donbass in questi giorni sa che è prematuro, se non palesemente fuorviante, parlare di «controffensiva». Anche Toretsk, dove potrebbe attestarsi l’ultima propaggine dello sbarramento ucraino che parte da Slovjansk, ieri è stata colpita da un missile balistico e almeno tre persone sono ancora sotto le macerie.

A Bakhmut le truppe del Cremlino continuano a colpire un’area di campi brulli fuori città, verso nord. Tra quelli che fino a pochi giorni fa erano campi di grano giallo e ora sono macchie nere all’orizzonte, ci sono diverse file di alberi di quelle che servono a delimitare i confini degli appezzamenti. Probabilmente sotto quelle chiome si nascondono anche postazioni di lancio ucraine ed è per questo che i russi non si risparmiano.

In quella stessa area domenica abbiamo assistito allo sgancio di un ordigno a caduta libera da un Sukhoi dell’aviazione russa. Poco dopo tutta la periferia di Bakhmut era sovrastata da un fungo di polvere e fumo e, per ore, l’ennesimo vulcano temporaneo è rimasto attivo.

POCO PIÙ A NORD, lungo la strada che passa da Soledar e arriva a Siversk, diversi campi sono in fiamme e i boati dell’artiglieria non tacciono per più di mezz’ora. Nei pochi tratti all’ombra delle macchie boschive gli ucraini ripiegano dopo aver risposto al fuoco o dopo essere usciti in perlustrazione. Si incontrano carri armati in manovra, obici e cannoni, camion per lo spostamento di truppe.

Dal centro del villaggio, dove i pochi civili rimasti vivono in rifugi di fortuna o nelle cantine dei palazzi, parte una strada sterrata che arriva a Lysychansk. Le truppe russe sono a sette chilometri, poco dopo Verkhnokamianske, nei pressi del vecchio confine tra l’oblast di Donetsk e quello di Lugansk, ora occupato interamente dagli invasori.

L’impressione è che qui le forze ucraine non abbiano approntato difese adeguate a respingere un’eventuale avanzata e che quindi in ogni momento potrebbe essere ordinata la ritirata. Intanto a Slovjansk e Kramatorsk continuano ad arrivare mezzi e uomini per prepararsi alla battaglia definitiva per l’ultimo territorio del Donbass ancora in mano ucraina.

Commenta (0 Commenti)

"DECRETO AIUTI". La commedia degli equivoci nella "verifica" chiesta dai Cinque Stelle nel governo Draghi tra paternalisti neoliberali e populisti compassionevoli

«Reddito di cittadinanza», lo scontro su una misura già peggiorata 

I Cinque Stelle intendono restare al governo se Draghi, tra l’altro, confermerà ciò che ha già fatto: il peggioramento delle condizioni imposte ai beneficiari del «reddito di cittadinanza» ritenuti «abili al lavoro» (1 milione circa su 3,2) deciso nell’ultima legge di bilancio. È confermata la legge della crisi: tanto più si deteriora la situazione economica, salariale e sociale, tanto più i lavoratori «poveri assoluti» saranno costretti ad accettare offerte di lavoro che non ci sono.

È un paradosso, ma questo è il problema: in Italia manca una domanda di lavoro adeguata alle caratteristiche di potenziali lavoratori molto fragili, con basse qualifiche, che non possono aspirare

Commenta (0 Commenti)

SCONTRO NEL GOVERNO. Pressing dem sull’avvocato: «Se si apre la crisi noi chiediamo le urne». Orlando: «Non si può fare finta di niente se M5S esce dalla maggioranza»

Il Pd minaccia Conte: «Se strappi ci alleiamo con Di Maio» Enrico Letta e Giuseppe Conte - Ansa

Ufficialmente, il Pd si mostra di fronte alle tensioni tra Conte e Draghi come un saggio fratello maggiore. «Il nostro auspicio è che il dialogo tra loro prosegua e si rafforzi», il commento ufficiale dopo il vertice tra il premier e il capo del M5S. «Per affrontare la crisi sociale serve un governo solido», continua ribadire Enrico Letta.

Dietro le quinte però i toni tra dem e grillini sono durissimi. L’ultimatum di Franceschini domenica scorsa a Cortona, «se uscite dalla maggioranza niente alleanza», restano il succo della linea del Pd. Che non solo continua con svariate telefonate a dire all’avvocato che se strappa dovrà correre da solo. Ma anche che i dem, in quel caso, non sarebbero più disponibili a sostenere Draghi fino al 2023, pur in presenza di una maggioranza garantita dai parlamentari di Di Maio. La minaccia (o bluff) è molto esplicita: «Caro Conte, se esci dal governo si vota in autunno e tu andrai da solo».

Che sia una pistola carica lo potranno dire solo i fatti, se i senatori 5S convinceranno l’avvocato a uscire dalle larghe intese. Anche perché, con la guerra in corso, e una maggioranza parlamentare pronta a sostenere ancora Draghi, per Mattarella non sarebbe facile sciogliere le Camere. «Il Pd non starebbe in una maggioranza solo con Lega, Fi e Iv e chiederebbe il voto anticipato», ribadiscono dal Nazareno. «Non ci faremo carico da soli della responsabilità mentre gli altri fanno campagna elettorale. Non ci si può chiedere di ripetere quello che è successo con Monti nel 2012-2013».

Posizione legittima, quando poi dovessero partire le consultazioni con Draghi dimissionario la musica certamente cambierebbe. Così come è improbabile pensare che, con questa legge elettorale (ieri da Meloni è arrivato un altro netto stop al proporzionale, mentre Salvini ribadisce che non vuole nessuna modifica al Rosatellum), il Pd possa correre senza il suo principale alleato, che nei sondaggi ancora sta intorno al 10%.

«Se Conte strappa la coalizione la facciamo con Di Maio e la sinistra», l’altro avvertimento che arriva dal Nazareno. Dove forse non si sono letti i sondaggi che inchiodano il partitino del ministro degli Esteri (che ieri ha visto il sindaco di Milano Beppe Sala per tentare di costruire una formazione centrista) intorno al 2%.

In ogni caso, il pressing del Pd su Conte è fortissimo. «Se te ne vai perdi la reputazione che avevi accumulato da premier», un altro dei messaggi. «Saresti fagocitato subito da Di Battista». Gli argomenti non mancano, e finora stanno funzionando, visto che Conte traccheggia. «Lui vorrebbe essere responsabile, sono i suoi parlamentari che lo strattonano», il ragionamento che circola ai piani alti del Nazareno.

Anche uno prudente come il ministro del Lavoro Andrea Orlando usa parole affilate: «Se Conte esce, la maggioranza cambia di segno e anche le condizioni per le quali avevamo accettato di farne parte. Quindi vedo difficile, anzi impossibile, proseguire facendo finta di niente e non vedo un’altra possibilità di costruire una formula che arrivi in fondo alla legislatura». «Dopo una rottura, rimettere insieme i cocci è abbastanza complicato», prosegue Orlando. «E sarebbe difficile presentarsi insieme agli elettori…».

A Letta i toni dell’ultimatum di Franceschini sono parsi sopra le righe. Quasi un dito nell’occhio alla truppa grillina che ribolle. Avrebbe evitato. Tra il segretario e il ministro della Cultura c’è in realtà una diversità di vedute: Franceschini vorrebbe arrivare al 2023 anche con una maggioranza ristretta, Letta invece chiederebbe il voto. Ma è chiaro che, di fronte a una preferenza di Mattarella per una fine ordinata e naturale della legislatura (e per evitare le urne in piena sessione di bilancio) il segretario dem scatterebbe sull’attenti. Ed è questo, in fondo, che rende scarica la pistola puntata contro il leader 5S.

Commenta (0 Commenti)

Tassonomia verde, Greenpeace annuncia azione legale dopo l’ok a gas e nucleare. Il think tank Ecco: “Per l’Italia scarsi benefici”

Non è passata la mozione per il no presentata da Verdi europei, Ppe, Sinistra, S&D e Renew. Occorreva la maggioranza assoluta, ossia il voto contrario di 353 eurodeputati, per costringere la Commissione Ue a ritirare o emendare la sua proposta. Alla vigilia del voto a Strasburgo Kiev ha chiesto di dare via libera all'atomo

La plenaria dell’Europarlamento vota e fa entrare a pieno titolo gas e nucleare nella tassonomia verde, la lista delle attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. Lo fa bocciando la mozione di rigetto dell’atto delegato con cui lo scorso 9 marzo la Commissione Ue aveva proposto l’inclusione, a determinate condizioni, di specifiche attività energetiche legate al nucleare e al gas. Quel documento, presentato da cinque gruppi politici (Verdi europei, PpeSinistraS&D e Renew), non è passato: 278 i voti a favore, 328 i contrari, 33 gli astenuti. Subito dopo nella tribuna del pubblico otto persone si sono alzate indossando ciascuna una maglietta rossa con una lettera in nero, componendo la scritta ‘Betrayal (tradimento)’. Occorreva la maggioranza assoluta, ossia il voto contrario di 353 eurodeputati, per costringere la Commissione Ue a ritirare o emendare la sua proposta. Solo a metà giugno le commissioni Economia e Ambiente del Parlamento Ue avevano votato a favore.

Chi ha votato e come – Sulla carta erano favorevoli al veto Verdi, socialisti e sinistra, contrari gli altri gruppi. Ago della bilancia il gruppo politico del Ppe, che include Forza Italia. Alla fine, gli eurodeputati del Pd hanno votato tutti a favore della mozione di rigetto (quindi contro gas e nucleare), così come il Movimento 5 Stelle. Si sono astenute Chiara Gemma e Daniela Rondinelli, passate a Insieme per il futuro. Al centrodestra, gli eurodeputati italiani hanno votato tutti contro il documento (a favore dell’inclusione di gas e nucleare) tranne Herbert Dorfman (Sudtiroler Volkspartei). Contrario anche l’indipendente Marco Zullo. “Per la seconda volta nel giro di un mese, la cosiddetta maggioranza Ursula va in frantumi. Ancora una volta, l’ideologia della sinistra deve fare i conti con la realtà”, scrive il gruppo della Lega all’Eurocamera via Twitter dopo il voto.

La vigilia e il colpo di grazia – D’altronde fino alla vigilia i segnali della direzione in cui si stava andando ci sono stati tutti. A iniziare dalle parole del vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans che, parlando in Lussemburgo ai giovani dei movimenti per il clima, ha citato anche la tragedia della Marmolada in Italia, causata proprio dal cambiamento climatico che il regolamento sulla tassonomia dovrebbe combattere, dato che fa parte del piano d’azione della Commissione per finanziare la crescita sostenibile, promuovere gli investimenti verdi e prevenire il greenwashing. “Francamente credo che il provvedimento su gas e nucleare passerà in Parlamento, cioè non sarà respinto”. E poi c’è stato il colpo di grazia. Alla vigilia del voto a Strasburgo, l’intervento di Kiev con una lettera del governo ucraino firmata del ministro dell’Energia, German Galushenko e diretta alla presidente della commissione economica del Parlamento europeo, l’eurodeputata del Partito democratico Irene Tinagli. Chiaro il messaggio: “Se dovesse passare l’obiezione all’atto delegato, questo metterebbe in difficoltà la ricostruzione post bellica del settore energetico ucraino”.

La posizione dell’Italia – Anche l’Italia ha fatto la sua parte, con le dichiarazioni del coordinatore nazionale di Fi ed europarlamentare del Ppe Antonio Tajani: “L’Italia deve tornare al nucleare perché è una energia che ci permette di essere autonomi e indipendenti. Va tutelato l’ambiente, ma anche l’economia reale. Noi domani voteremo a favore della proposta della Commissione sul gas e nucleare nella tassonomia”. E ancora: “È un gravissimo errore da parte della sinistra votare contro questa proposta della Commissione. Bisogna avere coraggio. Come possiamo avere l’auto elettrica senza avere energia? Ed è una scelta che non va nell’interesse russo perché, come sta accadendo da settimane, noi ci stiamo rifornendo da altri Paesi”. Parole che avevano scatenato le reazioni, tra gli altri, dei Verdi e del Movimento 5 Stelle. Dopo il voto, Tajani ha scritto su Twitter: “Vince la linea del buon senso, vince la linea di Forza Italia e del Ppe”.

Le reazioni politiche dopo il voto – “L’esito del voto di oggi al Parlamento Ue sull’inclusione di gas e nucleare nella tassonomia dimostra in modo drammatico la miopia e la sudditanza alle lobby del fossile di una certa politica che ancora una volta antepone il mero profitto alla salute dei cittadini e alla tutela del pianeta” è il commento di Eleonora Evi e Angelo Bonelli, co-portavoce nazionali di Europa Verde e di Nicola Fratoianni, di Sinistra Italiana. “Vergognoso – aggiungono – che aziende strettamente legate al Cremlino, come Gazprom e Lukoil, siano riuscite ad influenzare la decisione della Commissione, ora avallata anche dal Parlamento europeo, l’unico organo Ue votato direttamente dai cittadini, ma di cui oggi non ha evidentemente ascoltato le istanze, come evidenziato da un recente sondaggio del WWF secondo il quale più della metà degli europei non considerano gas e nucleare come sostenibili”. Per i Greens “chi oggi ha votato a favore di gas e nucleare in tassonomia ha fatto un grande favore a Putin, visto che la Russia potrebbe ricavare fino a 4 miliardi di euro in più all’anno grazie all’inclusione del gas fossile in tassonomia. Per Ignazio Corrao, anche lui europarlamentare dei Verdi “nonostante i disastri ambientali all’ordine del giorno causati dal cambiamento climatico e una guerra geopolitica che ha messo a nudo tutte le debolezze dell’Europa di fronte al ricatto energetico russo, si è voluto ancora volta voltare le spalle al green deal e porgere la mano ai lobbisti”. “Questa tassonomia, che ha ricevuto il via libero del Parlamento europeo, è un danno per l’ambiente, per l’Italia e per il futuro dell’Europa. Sarà molto difficile per l’Unione europea spiegare ai cittadini come sia possibile finanziare la crescita sostenibile con due fonti energetiche che sostenibili per definizione non sono”, aggiungono gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle Fabio Massimo Castaldo e Laura Ferrara. “Oggi vincono le lobby del gas e del nucleare, perdono invece tutti i cittadini e la lotta ai cambiamenti climatici”.

Una questione di conti – L’eurodeputata dei Greens/EFA, Rosa D’Amato, ricorda che “dietro la tassonomia c’è un bottino di investimenti pubblici e privati che solo in Europa valeva 290 miliardi nel 2020, ma che potrebbe diventare 10 volte più alto nei prossimi anni”. Di recente, la Bce ha reso noto che indirizzerà il suo portafoglio di corporate bond da 363 miliardi verso le società che garantiscono performance climatiche elevate. “Senza dimenticare che il 30% del Recovery fund dell’Ue è finanziato da green bond, cosa che vincola almeno 250 miliardi agli investimenti verdi”, spiega D’Amato.

Commenta (0 Commenti)
EFFETTO NATO. Presidio davanti al consolato svedese e corteo fino alla Prefettura, per contestare le scelte di Svezia e Finlandia di sottostare ai diktat del "sultano" turco contro Pkk e Ypg. Contestata anche la decisione del governo italiano di stringere ulteriormente i rapporti con Ankara.
Curdi e fiorentini manifestano: “Erdogan dittatore sanguinario” Il presidio sotto il consolato svedese di Firenze
“Un giorno siamo eroi, un altro terroristi”. C’è tanta amarezza nella voce di Erdal Karabey, che davanti a duecento persone in presidio davanti al consolato svedese di Firenze spiega i motivi della manifestazione organizzata per contestare la scelta di Svezia e Finlandia di sottostare al diktat della Turchia, che pretende l’estradizione di 73 rifugiati politici curdi e turchi che avevano trovato ospitalità in quei paesi. “Oggi Erdogan chiede di estradare politici e giornalisti – ammonisce il portavoce dalla Comunità curda in Toscana – domani potrà toccare a centinaia di nostri connazionali che avevano trovato rifugio là”.
Ad ascoltare Karabey ci sono i due consiglieri comunali della sinistra di opposizione Antonella Bundu e Dmitrij Palagi, che hanno dato una sponda istituzionale alla protesta. Ci sono anche gli attivisti di Firenze città aperta con il portavoce Massimo Torelli e Alessandro Orsetti, padre di Lorenzo “Tekoser” Orsetti, ucciso nel 2019 dall’Isis mentre combatteva sotto le bandiere dell’Ypg, l’unità di autodifesa delle zone curde della Siria. “Sono deluso e arrabbiato – commenta Orsetti – perché viene chiesta l’incarcerazione come presunti terroristi di esponenti del partito curdo Pkk, ed anche degli appartenenti a organizzazioni collegate come l’Ypg curdo-siriano. Lorenzo combatteva insieme a loro per proteggere il Rojava dai macellai islamisti dell’Isis, finanziati e armati da Erdogan proprio per massacrare i curdi”.
I manifestanti contestano anche la decisione del governo italiano di stringere ulteriormente i rapporti con Erdogan, con il viaggio ad Ankara di Mario Draghi e di una parte del suo esecutivo: “E’ una vergogna – denunciano – si omaggia un dittatore sanguinario, abbandonando a se stesso un movimento come quello curdo, unica realtà di quell’area che cerca una emancipazione sociale e popolare, ecologista e antisessista”. Finiti gli interventi, un corteo è sfilato fin sotto la Prefettura, al coro “Erdogan assassino”.
 
Commenta (0 Commenti)

INTERVISTA. Il segretario di Sinistra italiana: «Franceschini sbaglia con gli ultimatum al M5S. Questo governo non ha le ricette giuste. Se vogliamo vincere serve un programma di cambiamento»

 Fratoianni: «Il campo progressista non si costruisce sulla lealtà a Draghi» Nicola Fratoianni - LaPresse

«Sì, sono convinto che ci sia uno spazio politico grande per la lista che stiamo costruendo con Europa Verde, i risultati delle ultime amministrative sono incoraggianti. No, non è l’ennesimo cantiere della sinistra: ci sono due partiti che hanno deciso di fare un percorso insieme, perché convinti che giustizia sociale e giustizia ambientale siano due battaglie indissolubili». Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, è reduce dalla convention di sabato scorso a Roma con i Verdi, «Nuove energie». «Di qui a settembre vogliamo lavorare su un programma di cambiamento profondo, allargarci a tante realtà civiche della sinistra e dell’ecologismo in giro per l’Italia.

Se volete fare Mélenchon come farete poi ad allearvi con il Pd- Macron alle elezioni?

Non vogliamo fare la copia di nessuno, non funziona. Vogliamo contribuire

Commenta (0 Commenti)