NELL'OMELIA DELL'EPIFANIA. E Francesco avvia subito la riorganizzazione della diocesi di Roma
Non facciamoci ingannare dalle «false notizie». All’indomani del funerale e della tumulazione del corpo di Ratzinger nelle grotte vaticane, e quindi nel primo giorno in cui Francesco è l’unico a utilizzare il titolo di papa, Bergoglio pronuncia una frase, durante l’omelia nella messa dell’Epifania, con cui sembrerebbe voler liquidare come fake news, bugie, tutto quello che si è detto sul proprio conto e sul proprio rapporto con Benedetto XVI. A cominciare dalle dichiarazioni di monsignor George Gänswein (che di Ratzinger è stato segretario particolare per vent’anni) e dalle anticipazione dei contenuti del suo libro («Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI») che uscirà giovedì prossimo per Piemme, in quella che più che una coincidenza temporale sembra un’astuta operazione commerciale e politico-ecclesiale.
Il provvedimento con cui papa Francesco ha limitato le possibilità di celebrare la messa in latino e secondo il rito preconciliare – che erano state liberalizzate da Ratzinger – «ha colpito molto duramente Benedetto XVI, penso che gli abbia spezzato il cuore», aveva detto Gänswein al quotidiano cattolico tedesco di area Opus Dei Die Tagespost. E ancora: «Restai scioccato e senza parole» quando Bergoglio mi congedò da prefetto della casa pontificia, dicendomi che avrei conservato l’incarico ma non sarei dovuto «tornare al lavoro», rendendomi così un «prefetto dimezzato», racconta Gänswein nel suo libro, riferendo anche quello che gli avrebbe confidato Ratzinger: «Sembra che papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode».
Ieri mattina, durante la messa per l’Epifania a San Pietro, nell’omelia è arrivata la risposta indiretta di Bergoglio. «Adoriamo Dio e non il nostro io, adoriamo Dio e non i falsi idoli che ci seducono col fascino del prestigio e del potere», ha detto il pontefice, che poi ha aggiunto a braccio una frase non contenuta nel testo consegnato qualche ora prima alla stampa: non adoriamo gli idoli che «ci seducono con il fascino delle false notizie».
Francesco si riferiva proprio a Gänswein e alle sue esternazioni bollate come «false notizie»? Ovviamente non è dato saperlo. Certo è che quelle parole sono state aggiunte da Bergoglio all’ultimo momento – e quindi sono state stimolate dalla contingenza – e che il momento in cui sono state pronunciate non sembra proprio casuale. Se poi si considera che il titolo del libro dell’ex segretario di Ratzinger è «Nient’altro che la verità», l’espressione «false notizie» non sembra buttata lì per caso, ma quasi una risposta allusiva a quanto detto e scritto in questi giorni.
C’è un secondo atto compiuto da Bergoglio nel primo giorno da unico papa: una Costituzione apostolica (In Ecclesiarum Communione) e un decreto con cui viene riorganizzata la diocesi di Roma, dopo trentacinque anni dall’ultimo intervento che fu di papa Wojtyla nel 1988. I due provvedimenti da un lato teoricamente accrescono la «collegialità episcopale» dei sette vescovi ausiliari della diocesi di Roma; dall’altro però accentrano molte funzioni di governo nelle mani dello stesso pontefice, che si prende l’ultima parola praticamente su tutto, compresa la nomina di parroci e viceparroci delle oltre 350 parrocchie (che difficilmente riuscirà a gestire con piena cognizione di causa). Si tratta di un atto esclusivamente ecclesiale del papa, il quale sembra in questo modo voler sottolineare il proprio ruolo anche di vescovo di Roma, il titolo originario dei pontefici
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Il vaccino anti-Covid Soberana sviluppato a Cuba ha un’efficacia superiore al 90% e potrebbe essere presto prodotto in Italia per il mercato europeo
Sono stati pubblicati sulla rivista Lancet Regional Health i risultati dei trial clinici sul vaccino anti-Covid Soberana 2 in combinazione con una terza dose del vaccino Soberana Plus, entrambi sviluppati dall’istituto Finlay dell’Avana (Cuba). La sperimentazione ha coinvolto 44 mila volontari in un periodo in cui a Cuba dominavano le varianti beta e delta del coronavirus. Il vaccino in tre dosi ha dimostrato un’efficacia del 92%, con un margine di incertezza compreso tra l’80% e il 97%. Al test, randomizzato e in doppio cieco secondo gli standard della ricerca farmacologica, hanno partecipato anche ricercatori dell’università di Gand (Belgio) e Teheran (Iran) coordinati dal direttore del Finlay, il vaccinologo Vicente Vérez Bencomo.
IL VACCINO CUBANO dunque ha dimostrato sul campo un’efficacia paragonabile a quella dei più costosi vaccini a mRna, con il vantaggio di poter essere somministrato anche nei neonati. La tecnica impiegata dai ricercatori cubani infatti è la stessa di altri vaccini ben noti, sicuri e già utilizzati anche con il riconoscimento dell’Oms. Soberana è un cosiddetto vaccino «a subunità proteica»: mette l’organismo a contatto con una porzione della proteina esterna del coronavirus – la cosiddetta «spike» – in modo che il sistema immunitario possa riconoscerla e sviluppare anticorpi specifici.
FINORA I VACCINI cubani avevano ricevuto molti elogi, perché uno Stato così piccolo e con un’economia fragile è riuscito in un’impresa medico-scientifica fallita da Stati assai più attrezzati, come la Francia e la stessa Italia. Ma avevano incontrato anche molta diffidenza nella comunità scientifica occidentale. Mentre le prove sull’efficacia dei vaccini occidentali erano state pubblicate su riviste scientifiche prestigiose come New England Journal of Medicine o Lancet, i risultati ottenuti da Cuba non erano stati validati dalle riviste che selezionano gli studi attraverso la peer review – la revisione delle ricerche da parte di esperti indipendenti – le sole ritenute rilevanti dalla comunità scientifica. Questo faceva dubitare della trasparenza dei ricercatori cubani. Invece, «con la pubblicazione su Lancet Regional Health cade anche questo alibi: la ricerca pubblica cubana si è dimostrata all’altezza di quella realizzata dalle industrie private, a costi decisamente superiori, negli Usa e in Europa» spiega il biologo molecolare italiano Fabrizio Chiodo del Cnr, che ha collaborato con l’istituto Finlay nello sviluppo di Soberana.
COME MAI i dati sul vaccino cubano arrivano così tardi e su una rivista meno importante, come Lancet Regional Health? «I ricercatori cubani – spiega Chiodo – hanno sempre divulgato su Internet i propri risultati attraverso la piattaforma aperta medrXiv, quella usata in tutto il mondo per condividere le ricerche ancora prima di pubblicarle sulle riviste. Ma quando si tratta di pubblicare i risultati, le riviste maggiori hanno spesso messo i bastoni fra le ruote a Cuba» spiega Chiodo. «In un caso, una delle riviste più accreditate ci ha messo sei mesi solo per trovare i revisori che valutassero lo studio, rallentando così la pubblicazione. Perciò, dato che stava diventando un ritornello stucchevole, per la sperimentazione del vaccino Soberana si è scelto un compromesso: accettare di pubblicare in tempi ragionevoli, su una rivista magari meno blasonata ma con la peer review. Lancet Regional Health è pur sempre una rivista del gruppo Lancet e applica gli stessi criteri rigorosi nel selezionare le pubblicazioni».
NON È COMUNQUE il primo studio cubano convalidato dalla comunità scientifica ufficiale. Solo sul vaccino Soberana l’Istituto Finlay ha all’attivo 13 pubblicazioni scientifiche su varie riviste. Tra queste, ne spicca una del novembre 2022 sull’International Journal of Infectious Diseases che dimostra la sicurezza del vaccino nei bambini. Cuba è stato il primo paese a vaccinare in sicurezza anche quelli più piccoli. «Oggi il 97% dei bambini cubani al di sopra dei 2 anni è vaccinato contro il Covid» sostiene Chiodo.
LA VERA NOTIZIA è che il vaccino cubano potrebbe a breve essere prodotto in Italia per il mercato europeo. «L’accordo con la società farmaceutica Adienne di Caponago (Monza) sta procedendo. I loro stabilimenti hanno la certificazione di qualità necessaria per l’approvazione del vaccino cubano da parte dell’Agenzia europea del farmaco europea, l’ostacolo che finora ha impedito a Cuba di esportare i vaccini in Europa». Se accadrà davvero, quello cubano sarà il primo vaccino anti-Covid prodotto da un’azienda italiana
Commenta (0 Commenti)GERMANIA. Il boom dopo l'invasione russa perché l'unico teatro di combattimento possibile sarebbe quello ucraino. L'associazione degli obiettori di coscienza fa pressione: allargare la possibilità di uscita dalle forze armate a tutti, non solo ai "vecchi"
Soldati tedeschi in Slovacchia, al confine con l'Ucraina per conto della Nato - Kay Nietfeld/Ap
Indossano l’uniforme della Bundeswehr con tanto di patch della Nato, eppure non hanno alcuna intenzione di andare a combattere in Ucraina, sebbene per ora sia solo una probabilità puramente teorica. Nel 2022 sono stati quasi mille i soldati professionisti che hanno presentato la domanda di «esenzione dal servizio di combattimento nelle zone di guerra».
Un vero e proprio boom rispetto a prima dell’invasione russa, come è costretto a confermare il governo Scholz: «Siamo passati da 201 richieste del 2021 alle 951 dell’anno scorso», dettaglia il portavoce del ministero degli Affari sociali, delegato alla raccolta della documentazione che in teoria riguarda tutte le aree belliche ma in pratica si riduce all’unico teatro dove si potrebbe profilare l’intervento tedesco: l’Ucraina.
IN GERMANIA la possibilità per i militari di chiedere di essere sollevati dalle missioni che prevedono il combattimento risale all’epoca in cui vigeva il servizio di leva, abolito nel 2011. Mentre i nuovi volontari della Bundeswehr non possono più presentare la domanda di esenzione, rimane un’opzione per chi è stato inquadrato prima della fine del servizio militare obbligatorio.
In totale negli ultimi dodici mesi i richiedenti sono quintuplicati, nonostante continuino a rappresentare meno dell’1% dell’organico delle forze armate federali forte di 183mila effettivi. Quasi tutti in servizio entro i confini nazionali o nel recinto operativo dell’Alleanza atlantica.
Fuori, dopo il ritiro dall’Afghanistan, la Germania impiega 82 militari nel contingente Kfor in Kosovo, 62 nell’ambito di Unimiss in Sudan e altrettanti in Unifil nel Libano. Seguono 1.500 inquadrati nelle missioni Eutm e Minusma in Mali (in ritiro), 164 inviati in Giordania per Minurso e la lotta a Daesh, più 235 in servizio nel Mediterraneo con l’operazione Irini che terminerà il prossimo aprile.
NON FA DISTINZIONI di ruoli né di teatri di impiego, invece, l’appello diffuso ieri dagli obiettori di coscienza della «Società per la Pace» (Dfk) innescato dai «numeri sintomatici» ammessi dal ministero degli Affari sociali.
In particolare Dkf chiede a governo e Bundestag di introdurre la possibilità di «exit» agevolata dall’esercito per chiunque lo vorrà, al di là dei limiti stabiliti dalla ferma volontaria: «In questo momento di instabilità politica e insicurezza, chi è giunto a conclusione che non vuole sparare deve avere una via d’uscita facile e rapida dalle forze armate», riassume il portavoce Michael Schulze von Glasser.
Perfettamente in linea con il valore fondativo della Bundeswehr: dopo la sconfitta del 1945 alla Germania venne permesso di avere un esercito solo difensivo, privo di qualunque capacità tecnica di proiezione offensiva
Commenta (0 Commenti)Arrivato a Cosenza il primo gruppo di sanitari reclutati nel Paese centroamericano per sopperire le carenze strutturali della Regione. Il governatore Roberto Occhiuto (Fi): «Sarà un modello che anche altre regioni potranno applicare, in particolare per rispondere alla distorsione del mercato delle professioni. Mi riferisco alle cooperative di medici a gettone che fanno pagare alle aziende sanitarie 120 euro, in Calabria 150 euro, ad ora per ogni medico»
Sono 13 donne e 38 uomini. Tutti medici di nazionalità cubana. Più della metà ha già operato in altri Paesi. È il contingente sanitario reclutato a tempo determinato dalla Calabria per sopperire alle carenze di personale sanitario. A Cosenza, dovunque li riconoscano, i cittadini li accolgono con sorrisi e strette di mano. Fino al 20 gennaio, quando il primo gruppo di specialisti si trasferirà negli ospedali di Locri, Polistena, Gioia Tauro e Melito Porto Salvo, faranno vita monastica. Sono alloggiati nella caserma dei bersaglieri della città bruzia e frequentano il corso intensivo d’italiano all’Unical. Studiano la nuova lingua anche quando rientrano nelle loro camere, fino a tarda notte. E nonostante le temperature miti, soffrono il freddo che discende dai monti della Sila. Sono motivatissimi. Ma avvertono già la nostalgia di casa e non vedono l’ora di farvi ritorno. A questo primo gruppo se ne aggregheranno altri, fino a un totale di almeno 200 unità da assegnare alle poche e fatiscenti strutture rimaste nelle diverse province calabresi.
NON È LA PRIMA VOLTA che la Regione si vede costretta a«chiedere aiuto ai comunisti» (il copyright è dei giornali di destra, ndr) per affrontare l’emergenza sanitaria. È già accaduto due anni fa, quando l’organizzazione Emergency operò nell’ospedale di Crotone a pochi mesi dall’inizio della pandemia. Chissà cosa avrebbe detto Gino Strada dell’iniziativa calabro-cubana. Lui che ha provato a riassestare la rattoppata sanità regionale durante quei mesi difficili. E che sarebbe stato un ottimo commissario regionale alla sanità se non gli avessero messo i bastoni tra le ruote. Ed è lo stesso medico di Sesto San Giovanni a raccontare il calvario degli ospedali calabri in un eccellente docufilm: «C’era una volta in Italia. Giacarta sta arrivando», che proprio in questi giorni è nelle sale. Racconta lo sfacelo calabrese e la lotta di chi vuol provare a cambiare le cose davvero. Come gli occupanti dell’ospedale “Giuseppe Cosentino” di Cariati.
Oggi il commissario alla sanità è il presidente di Regione, Roberto Occhiuto (Fi). È lui l’artefice dell’accordo italo-cubano. Accompagnato dall’ambasciatrice di Cuba, Mirta Granda Averhoff, ha presentato i termini dell’operazione. «Sarà un modello che anche altre regioni potranno applicare, in particolare per rispondere alla distorsione del mercato delle professioni. Mi riferisco alle cooperative di medici a gettone che fanno pagare alle aziende sanitarie 120 euro, in Calabria 150 euro, ad ora per ogni medico».
LA CARENZA DI PERSONALE sanitario in Calabria è endemica. Parte sin dal 2004 con la norma che ha introdotto il blocco del tetto di spesa per le aziende sanitarie. A questo va aggiunto l’imbuto formativo che ha ridotto il numero di medici specialisti a disposizione del sistema sanitario, risolto con l’aumento delle borse di specializzazione ma il cui effetto si avrà solo tra 4-5 anni. Molti bandi di concorso in alcune aree sono andati deserti.
Senza l’aiuto in extremis dei medici cubani l’alternativa sarebbe stata smantellare alcuni servizi o presidi sanitari. L’accordo di cooperazione tra il governo cubano e la Commissione europea risale al 2017. La Calabria è la prima Regione ad usufruirne. Da un punto di vista giuridico i medici – è previsto nello schema di assunzione- saranno contrattualizzati dalle aziende del Servizio sanitario regionale nella forma del contratto libero professionale secondo le procedure previste dalla normativa vigente. La durata dei contratti con i singoli professionisti è a tempo determinato e non potrà superare i limiti temporali previsti dalla normativa italiana, in ogni caso non più di due anni. Soddisfatta anche l’associazione Italia-Cuba. «Oggi come sempre Cuba esporta medici e non armi. Nelle nostra regione viene negato pervicacemente il diritto alla salute. È una operazione riuscita malgrado i dubbi e le perplessità dimostrati proprio dai responsabili del disastro e dai portatori di interessi corporativi e dei privilegi di casta, fino ai tentativi palesi ed occulti di boicottare l’operazione», afferma Pino Scarpelli, della segreteria nazionale.
INTANTO, MENTRE proseguono i lavori per la realizzazione del nuovo ospedale della Sibaritide, ai nosocomi di Reggio e Cosenza la Regione ha assegnato rispettivamente altri 689 e 308 milioni che si aggiungono a quelli già stanziati. In generale, la situazione sanitaria rimane drammatica. Le carenze più gravi di personale si registrano nei Pronto soccorso. In quello di Cosenza, tra dimissioni dal tempo indeterminato, rinunce e fughe dopo il primo trimestre di prova, sono scappati quasi tutti i medici. Sanno che di notte devono curare fino ad 82 pazienti. Il Pronto soccorso non ha sfogo nei reparti. Nei concorsi banditi negli ultimi anni, che avrebbero consentito l’assunzione di 8 nuovi medici, si sono presentati solo in due. Ecco perché la scelta del presidente Occhiuto di convocare specialisti cubani è stata interpretata come uno schiaffo morale ai giovani medici calabresi.
LA CALABRIA resta ultima nella graduatoria nazionale dei livelli essenziali di assistenza. Lo ha certificato nel novembre scorso la Corte dei Conti. Circa il 20% dei ricoveri dei residenti calabresi risulta effettuato presso strutture collocate al di fuori del territorio regionale. Le risorse pubbliche per la sanità continuano a finire nelle casse dei privati. Significativi i dati sulla diagnostica. Per esempio, le apparecchiature diagnostiche «sono 213 di cui 120 in uso presso le strutture pubbliche e 93 in uso nelle private». I valori che destano più sospetto – precisa la Corte dei Conti – sono quelli relativi alle risonanze magnetiche, «soprattutto ove si rilevi che su un totale di 55 apparecchi, 36 sono in uso a strutture private e 19 in strutture pubbliche».
Nonostante la Regione abbia ricevuto, negli anni 2020 e 2021, risorse finanziarie per oltre 251,911 milioni, «ad oggi – annota la magistratura contabile – il 67% della somma non è stata ancora trasferita agli enti sanitari». I medici cubani in arrivo dovranno così costruire dalle macerie. Un’impresa difficile, un’utopia cubana
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REGIONALI. La candidata 5 stelle alla Regione Lazio non risponde all’appello all’unità che ha raccolto 3600 firme
«Nessun margine per un accordo col Pd alle regionali del Lazio», tuona dalle colonne del Fatto la candidata dei 5S Donatella Bianchi, conduttrice di Linea Blu ed ex presidente del Wwf. Una lunga intervista in cui Bianchi non giustifica in modo credibile il no ad una alleanza che il candidato Pd D’Amato ha rilanciato last minute mercoledì, proponendole un ticket per non regalare il Lazio alle destre. Anzi, ripete i vecchi argomenti di divisione, come il fatto che i dem abbiano anteposto la scelta del candidato ad una discussione vera sui programmi e l’ormai annosa questione del termovalorizzatore di Roma, che peraltro è di pertinenza del Comune.
«Io sono arrivata quando già si era chiusa ogni ipotesi di intesa», si chiama fuori Bianchi. E alla domanda sulle sue possibilità di vittoria pari a zero, risponde in modo surreale: «Da cittadina credo che si debba lavorare per costruire un futuro per i nostri figli e ridare ai cittadini fiducia nelle istituzioni».
Un no a prescindere, dunque, che non risponde all’accorato appello lanciato sul manifesto da Fabrizio Barca, Luciana Castellina, Giorgio Parisi e altri e che ha raccolto oltre 3500 firme in tre giorni. Un no ribadito ieri dal capogruppo alla Camera dei 5S Francesco Silvestri: «Con noi non serviva parlare di poltrone, ma di programmi, e dire un chiaro no all’inceneritore. Siamo coerenti con la nostra storia e non possiamo accettare un ambientalismo ad intermittenza in una coalizione guidata da chi, come Renzi e Calenda, è già la stampella di questo governo».
«Quelle di Bianchi sono parole terrificanti», sibilano i coordinatori regionali dei Verdi Filiberto Zaratti e Simona Saraceno. «È ufficiale che il M5S vuole regalare il Lazio alla peggiore destra. Dobbiamo ricordare a Bianchi che i primi provvedimenti della destra saranno la riduzione della superficie dei parchi e lo smantellamento del piano energetico regionale incentrato sull’implementazione delle rinnovabili, una proposta peraltro dell’assessore Lombardi del M5S». «Lasciare a questa destra la gestione dei 17,8 miliardi di euro del Pnrr, che potrebbero cambiare il volto della regione in chiave ecologista, più che sbagliato è francamente irresponsabile», l’attacco dei Verdi. «Il no senza appello di Bianchi è veramente irragionevole, ispirato a tattiche politiciste e all’interesse di partito, anziché al bene comune», attacca la consigliera uscente Marta Bonafoni. «Le priorità che indica Bianchi sono azioni già messe in campo dalle loro due assessore nella giunta Zingaretti».
Mentre il candidato consigliere dei rossoverdi Claudio Marotta invita tutti a «fermare i motori e insistere fino all’ultimo minuto utile per tenere unita l’alleanza progressista», da Pd e terzo polo già partono le bordate a Bianchi. «Ha detto che si metterà in aspettativa dalla Rai solo se sarà eletta presidente, dunque si prepara a prendere il doppio stipendio da furbetta se sarà solo consigliera regionale di opposizione?», domanda il dem Andrea Casu. «5 stelle o 5 poltrone?», il fendente del renziano Luciano Nobili, che la accusa di voler restare anche presidente del parco delle Cinque terre in Liguria. «Manca solo che mi chiedano di dimettermi dal condominio», la replica stizzita di Bianchi. Antipasto di una campagna elettorale che sarà una Caporetto
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Un soccorso in mare operato dalla Ocean Viking - Ap
«I Paesi membri devono rispettare la legge internazionale e la legge del mare: salvare vite in mare è un obbligo morale e legale». Lo ha ribadito ieri la portavoce della Commissione Ue Anita Hipper, pur sottolineando come non spetti all’Unione analizzare il contenuto del decreto Piantedosi, firmato il 2 gennaio scorso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
La netta presa di posizione di Bruxelles è arrivata nella stessa giornata in cui 18 Ong hanno fatto appello alle istituzioni europee affinché reagiscano con fermezza alle nuove norme che ostacoleranno, per l’ennesima volta, le attività di soccorso nel Mediterraneo centrale. Il comunicato congiunto è stato sottoscritto da tutte le organizzazioni non governative impegnate a vario titolo nei soccorsi in mare, con l’eccezione di Sos Mediterranée che ha pubblicato un suo testo dai contenuti simili ma a firma singola.
Le Ong sostengono che il decreto «ridurrà le capacità di soccorso in mare e renderà ancora più pericoloso il Mediterraneo» e che «contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti
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