BENZINA SUL FUOCO. Pubblicato il dl, nella maggioranza tutti assicurano compattezza. La premier a Milano: «Avanti nonostante i bastoni tra le ruote»
L’intervento in collegamento video di Giorgia Meloni, al convegno di FdI a Palazzo Lombardia - foto Ansa
«Qui o si fa l’Italia o si muore»: in collegamento con la convention FdI di Milano la premier scomoda Garibaldi per ostentare una sicurezza aggressiva e rivendicare meriti di ogni sorta al suo governo, dallo spread «sceso in due mesi» alla manovra, «la prima che considera la famiglia un investimento». Un po’ l’iperbole è la cifra delle assise, tanto che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano assegna addirittura a Dante la «paternità» della destra italiana. Un po’ la premier sa di dover contrastare l’immagine di battello in balia delle onde che il suo
«governo senza padroni» ha proiettato ovunque negli ultimi giorni. Non ci si può stupire se sventola il vessillo dell’orgoglio nazionale: «Dobbiamo tornare a essere padroni del nostro destino anche sull’energia», avvertendo però di non aspettarsi risultati a breve: «La nostra è una maratona, non i 100 metri». E di non aspettarsi neppure tempi facili, perché «non bisogna temere di fare le scelte giuste anche se impopolari» e il governo «passerà momenti difficili ma lascerà l’Italia meglio di come la ha trovata. Nonostante i tentativi di gran buona parte dell’opposizione, e non solo dell’opposizione, di fare qualsiasi cosa per mettere il bastone tra le ruote».
LA MARATONETA promette di tirare diritta, però nella pratica ondeggia come gli atleti spompati. I benzinai, tanto per dirne una, ci sono rimasti di sasso quando hanno saputo che il decreto contro il quale avevano proclamato lo sciopero ancora «congelato» era già stato emanato, firmato dal capo dello Stato ieri mattina e pubblicato in Gazzetta ufficiale. Come? Ma non avevamo stabilito di ridiscuterlo martedì prossimo al tavolo tecnico? In realtà l’accelerazione, dopo il colpo di freni promesso venerdì agli esercenti, è l’ennesima conferma dello stato confusionale in cui il governo versa. Come del resto la pochade del vertice di FdI con la premier ipotizzato per domani. Una vera convocazione in realtà non c’è mai stata ma il summit, venerdì sera, sembrava se non certo almeno probabile. Poi Giorgia Meloni ha cambiato idea, rendendosi conto di quanto una simile mossa avrebbe cozzato contro il racconto diplomatico secondo cui tutto è liscio come l’olio o quasi.
Il giro di valzer è l’ennesima riprova del labirinto in cui la garibaldina si dibatte. Deve fare i conti con una realtà che impone mediazioni e trattative su tutto ma è convinta, probabilmente a ragione, di dover difendere a tutti i costi l’immagine di premier decisionista e inflessibile. Correnti che tirano in direzioni opposte.
MA SU QUELLA NAVE stanno tutti e il naufragio non conviene a nessuno. Dunque ieri tutti si sono sbracciati per assicurare che non ci sono incrinature nella levigata compattezza della maggioranza. «Non c’è nessuna fibrillazione», giura la capogruppo forzista Licia Ronzulli, indicata come una delle meno compiacenti nei confronti del governo. Matteo Salvini è addirittura entusiasta: «Con la premier sto lavorando benissimo». La stessa Meloni si veste da pompiere per raccomandare ai suoi di tenere a freno la lingua e smetterla con «le note non concordate».
LA REALTÀ È DIVERSA. Sino al confine dei 2 euro al litro la maggioranza farà davvero quadrato per difendere il taglio delle accise sulla benzina. Passata quella soglia i pugni sbattuti sul tavolo reclamando l’intervento del governo saranno moltissimi. Sull’autonomia differenziata lo scontro si profila durissimo perché la Lega non ha alcuna intenzione di tornare indietro. Calderoli è definitivo: «Non ci sono santi: io porto avanti il mio percorso». Sulla giustizia il guardasigilli annuncia «interventi correttivi» della riforma Cartabia, una svolta che manda in visibilio i 5S e la stessa FdI ma non piacerà affatto a Forza Italia. Il Mes, come ormai da tempo immemorabile, è lo spettro più minaccioso. La dilazione della ratifica italiana della riforma era impossibile e infatti Bruxelles la ha esclusa senza perifrasi. Nel giro di poche settimane la premier dovrà mettersi contro la Ue, e in buona parte anche contro Fi, oppure scontentare la Lega e il suo stesso partito. Più che una maratona la aspetta una corsa a ostacoli