POLITICA. Informativa della premier: maggioranza compatta sulla carta, ma sull’Ucraina si vedono crepe. E il tema migranti preoccupa. Il timore è che a Bruxelles l’Italia non ottenga niente. Telefonata con von der Leyen
Giorgia Meloni al Senato - foto LaPresse
Nervosissima. Una Meloni così tesa dalla vittoria elettorale in poi forse non la si era mai vista. Alza i toni, si abbandona all’iperbole, azzarda profezie apocalittiche, si irrita e si offende. Eppure l’informativa al Senato sul Consiglio europeo di domani non presenta incognite, non ci sono rischi di sorta, alcuni degli argomenti più spinosi, dalla riforma fiscale ai diritti civili, sono espunti in partenza. Sulla carta, quella su cui si scrivono le risoluzioni, la maggioranza è compatta anche dove non lo è affatto, vedi alla voce guerra, e sul resto è unita davvero.
L’OPPOSIZIONE INVECE proprio no. La senatrice del Terzo Polo Paita, anzi, chiede di poter votare la mozione di maggioranza per parti separate, in modo da poter appoggiare la parte sull’Ucraina. Finisce proprio così e il segnale è ben chiaro: i centristi sono pronti a un dialogo che in alcuni casi, primo fra tutti il presidenzialismo, si rivelerà politicamente prezioso. Anche le altre due forze d’opposizione sono divise che più divise non si può sull’Ucraina: il Pd vuole continuare a inviare armi a Kiev,
anche se nella mozione la parola è pudicamente cancellata, sostituita dalla formula «sostegno al diritto all’autodifesa». Viene da dire “il solito Pd”. I 5S invece sono contrari e non è una novità. Proprio perché la divaricazione era già nota Conte minimizza. Come se pensarla all’opposto in politica estera diventasse meno lacerante perché la frattura era già stata diagnosticata.
INSOMMA, ALL’APPARENZA la premier potrebbe rilassarsi e festeggiare. E allora perché trasforma l’immigrazione in una catastrofe biblica, in «emergenza che sta diventando strutturale», in «flusso di migranti senza precedenti»? Perché sbraita contro chi si azzarda a dubitare che a Cutro sia stato davvero fatto tutto il possibile, trattandolo da nemico dell’interesse della Nazione, mezzi traditori insomma? Proprio lei che, quando era all’opposizione, con quei toni esasperati, con quelle critiche corrosive, giocava un giorno sì e l’altro pure. E ancora, perché, in un’aula dove formalmente la stragrande maggioranza la pensa come lei, sbotta furibonda contro «la propaganda falsa e puerile» di chi sostiene che il governo «sottrae soldi agli italiani per inviare armi»? Nulla di più falso si accalora: «Inviamo armi di cui siamo già in possesso e che per fortuna non dobbiamo usare». Anzi, «le inviamo proprio per non doverle usare». Poi, non era chiaro sin dall’inizio che il suo governo avrebbe aumentato le spese militari, «perché la libertà ha un prezzo», e sarebbe stato il più atlantista di tutti?
IL NERVOSISMO della presidente ha molte motivazioni: alcune emergono già in aula, altre ancora si vedranno domani a Bruxelles, una terza categoria è composta dai soliti maledetti sondaggi. Sull’Ucraina l’unità di facciata della maggioranza resiste sino a quando non prende la parola il capogruppo leghista Romeo. Dice più o meno il contrario della premier. Serve «più equilibrio» rispetto alla linea estrema dei Paesi dell’Est, che incidentalmente è la stessa di Meloni. Bisogna «recuperare il ruolo storico dell’Italia e favorire una tregua». Serve il coraggio di farsi sentire anche nella Nato, a rischio di passare per collaborazionisti. Però, «che libertà è quella che criminalizza idee che si scostano dal pensiero dominante? Casomai è tirannia dolce». Fi è meno pugnace, ma il capo dei deputati Cattaneo rimarca che «la visione di Berlusconi è lungimirante» e decisamente non è la stessa visione della capa. Con la base è peggio: i sondaggi dicono che gli elettori di FdI sulla guerra non concordano con la leader e a seconda degli eventi il problema potrebbe diventare serio.
MA IL PROBLEMA PIÙ serio, quello che maggiormente spiega il nervosismo della premier, è l’immigrazione. In aula conferma la svolta storica della Ue con il riconoscimento delle frontiere marittime come frontiere dell’Europa e il progetto di accordo sulle espulsioni dall’intera Unione. La realtà è molto meno rosea e a porte chiuse, a palazzo Chigi, Meloni non lo nasconde. Teme che domani a Bruxelles, con l’immigrazione entrata nell’odg praticamente di straforo, l’Italia non ottenga nulla. Chiacchiere, «con le quali non facciamo niente». Per tutto il giorno ieri la premier si è mossa su più fronti cercando di tessere la sua tela in vista del Consiglio e qualche risultato lo ha raggiunto: una telefonata con Ursula von der Leyen nella quale le due presidenti si sono impegnate ad agire in modo «rapido e coordinato». L’italiana è terrorizzata dal disastro economico della Tunisia: per frenare la valanga servirebbero poco meno di 2 miliardi; l’Europa vuole investire 500 milioni per tutta l’Africa. E gli sbarchi sono già triplicati. Insomma, Giorgia Meloni vede la tempesta addensarsi e come fa a non essere un po’ tesa?