Solo Fratelli d'Italia vuole abolirlo, per tutti gli altri partiti va modificato o limitato, comunque reso più efficiente. Il provvedimento, introdotto nel marzo 2019, è un tema importante della campagna elettorale: vediamo cosa intendono farne i singoli schieramenti
Abolizione, sostituzione, revisione: sono queste le parole abbinate al reddito di cittadinanza. Il sostegno economico ai redditi familiari, introdotto nel marzo 2019, è uno dei temi principali della campagna elettorale. I giudizi delle forze politiche sul provvedimento sono ovviamente molto diversi, anche se va segnalata una sostanziale concordia sul fatto che la misura sia stata inefficiente riguardo la parte relativa al percorso di reinserimento lavorativo e sociale.
Il centrodestra propone una “sostituzione con misure più efficaci”, ma tra i singoli partiti si registrano differenze. Fratelli d’Italia parla esplicitamente di “abolizione” e di risorse da spostare dal reddito di cittadinanza “alle aziende per assumere i giovani”. Più sfumate le posizioni di Lega e Forza Italia: per Salvini va mantenuto (con qualche modifica) per i “percettori inidonei al lavoro” e trasformato in “un ammortizzatore sociale finalizzato all'occupazione” per chi può lavorare; per Berlusconi è necessaria una “rimodulazione”, con forti modifiche nei confronti dei giovani.
Più favorevole al reddito di cittadinanza è il centrosinistra. Per il Partito democratico la misura va “ricalibrata secondo le indicazioni elaborate dalla Commissione Saraceno, a partire dall’ingiustificata penalizzazione delle famiglie numerose e/o con minori”, nonché affiancata da una nuova “integrazione pubblica alla retribuzione (in-work benefit) in favore dei lavoratori e delle lavoratrici a basso reddito”. Anche l’alleanza tra Sinistra italiana e Verdi intende “rafforzare” il reddito di cittadinanza, con l’obiettivo strategico di arrivare a un “reddito universale di base”.
Per la conferma del provvedimento è ovviamente il Movimento 5 stelle, che però apre a modifiche “per rendere più efficiente il sistema delle politiche attive” e sul “monitoraggio delle misure antifrode”. Cambiamenti molto più incisivi chiede il Terzo polo, che intende toglierlo a chi rifiuta la prima offerta di lavoro congrua e introdurre “un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione, dopodiché l’importo dell’assegno deve essere ridotto di almeno un terzo”. Per l’Unione popolare, infine, il reddito di cittadinanza va portato “da 780 a 1.000 euro al mese” e trasformato in “una misura individuale e non esclusivamente legata al nucleo familiare”.
Centrodestra
Alle forze di centrodestra, in generale, la misura introdotta dal primo Governo Conte piace poco. Il programma comune parla di una generica “sostituzione” del reddito di cittadinanza con “misure più efficaci d’inclusione sociale e di politiche attive di formazione e inserimento nel mondo del lavoro”. Entrando però nel merito dei singoli partiti, si scoprono differenze di posizioni.
Fratelli d’Italia intende “abolire” il reddito di cittadinanza e introdurre “un nuovo strumento che tuteli i soggetti privi di reddito, effettivamente fragili e impossibilitati a lavorare o difficilmente occupabili: disabili, over 60, nuclei familiari con minori a carico”. Le intenzioni della leader Giorgia Meloni sono quelle di adottare uno strumento di “assistenza verso chi non può lavorare”, dando invece le risorse del reddito di cittadinanza “alle aziende per assumere i giovani”.
La Lega intende mantenere il sostegno per i “percettori inidonei al lavoro, rivedendo i criteri di accesso e la scala di equivalenza, dando maggior peso al quoziente familiare e rimodulando gli importi in funzione delle differenti soglie di povertà assoluta”. Per gli idonei al lavoro, invece, la misura “viene trasformata in un vero e proprio ammortizzatore sociale finalizzato all'occupazione”, mediante “corsi di formazione, tirocini e contrattualizzazione dei percettori a fine percorso”.
Nel suo programma Forza Italia parla genericamente di “riforma del reddito di cittadinanza come politica di sostegno all’occupazione e trasformazione in una misura di sussistenza specifica”. Il presidente Berlusconi ha precisato che la “la decisione è di rimodulare il reddito di cittadinanza, non di eliminarlo. Deve restare alle persone che sono povere, cui ha dato la possibilità di vivere. Va invece modificato verso i giovani, cui dobbiamo offrire opportunità diverse”.
Centrosinistra
Più favorevoli al reddito di cittadinanza sono le forze politiche di centrosinistra. Nel suo programma il Partito democratico asserisce che la misura “andrà opportunamente ricalibrata secondo le indicazioni elaborate dalla Commissione Saraceno, a partire dall’ingiustificata penalizzazione delle famiglie numerose e/o con minori”. Si propone, inoltre, di ridurre il periodo minimo di residenza in Italia per accedere al reddito di cittadinanza, oggi fissato in dieci anni.
Per il Partito democratico è necessario “completare il sistema con un altro meccanismo: l’integrazione pubblica alla retribuzione (in-work benefit) in favore dei lavoratori e delle lavoratrici a basso reddito, come proposto dalla Commissione sul lavoro povero”. Questo tipo d'integrazione “introduce nel sistema opportuni incentivi di ricerca e permanenza di occupazione, permette l’emersione del lavoro nero e incentiva al lavoro. In questo quadro, appare utile favorire la cumulabilità tra sussidi e lavoro, senza disincentivare la partecipazione al mercato del lavoro”.
La lotta alla povertà e alle disuguaglianze è un pilastro fondante dell’alleanza tra Sinistra italiana e Verdi. “In questo contesto - si legge nel loro programma elettorale - intendiamo difendere e rafforzare il reddito di cittadinanza, secondo le previsioni del rapporto elaborato dalla Commissione presieduta da Chiara Saraceno, con l’obiettivo strategico di arrivare a un vero reddito universale di base”.
Movimento 5 stelle
Gli ideatori del reddito di cittadinanza puntano al “rafforzamento” del sussidio, mediante “misure per rendere più efficiente il sistema delle politiche attive” e il “monitoraggio delle misure antifrode”. Il leader Conte ha spiegato che il provvedimento è “oggi ancora più necessario vista la grave crisi economica che stiamo vivendo”. Riguardo la revisione, l’ex premier ha precisato di voler “rafforzare il reddito attraverso l'aggiornamento della scala di equivalenza per famiglie numerose e disabili, e la possibilità di renderlo compatibile con lo svolgimento di lavori stagionali fino a una certa soglia di reddito annuo”.
Terzo polo
“Il reddito di cittadinanza è uno strumento pensato male, che ha voluto raggiungere troppi obiettivi con un solo strumento e che ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti”, si legge nel programma elettorale. Per Azione e Italia viva occorre “introdurre modifiche che incentivino maggiormente la ricerca di un impiego”. La proposta è di togliere il sussidio “dopo il primo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione, dopodiché l’importo dell’assegno deve essere ridotto di almeno un terzo e il beneficiario deve essere preso in carico dai servizi sociali del Comune”.
Unione popolare
“Portare il reddito di cittadinanza da 780 a 1.000 euro al mese, innalzare la soglia di accesso Isee da 9.360 a 12 mila euro e renderlo una misura individuale e non esclusivamente legata al nucleo familiare”: così è scritto nel programma elettorale. Il leader De Magistris ha precisato che “il reddito di cittadinanza è un reddito di povertà, serve a sostenere chi si trova in difficoltà e non può essere ovviamente eliminato. Ma il percettore di reddito vuole anche essere aiutato dallo Stato per trovare lavoro e dignità”.
Parte la kermesse in laguna dal 31 agosto al 10 settembre. Un occhio puntato sull'oggi. C'è la sindacalista interpretata da Isabelle Huppert, insieme a molti temi sociali: dagli italiani agli internazionali, un'edizione ricca e attuale. In concorso il film sull'obesità. L'impegno della Biennale per i registi sotto attacco come Jafar Panahi
Sarà un grande occhio puntato sul contemporaneo, il Festival di Venezia numero 79, che si svolge dal 31 agosto al 10 settembre nella cornice della laguna. D'altronde è noto che il cinema ha il potere magico di anticipare la realtà: l'anno scorso vinse il Leone d'oro La scelta di Anne di Audrey Diwan, la storia di una ragazza e la sua difficoltà ad abortire, un titolo che oggi suona quasi profetico dopo la sentenza della Corte Costituzionale degli Stati Uniti e i nuovi anti-abortisti di casa nostra, espliciti o meno che siano, vedi alla voce Meloni. E anche quest'anno la Mostra internazionale d'arte cinematografica punta il faro sul presente: lavoro, diritti, donne, guerre saranno al centro di molti film selezionati.
A partire dal concorso ufficiale, che si apre con l'atteso White Noise di Noah Baumbach, ovvero l'adattamento del romanzo Rumore Bianco di Don De Lillo, uno che ne sa qualcosa della fine della civiltà. E che oggi, col rischio della nuova apocalisse (virale o bellica), torna subito d'attualità. A sfidarsi in competizione sono 21 lungometraggi in prima mondiale che corrono per il massimo premio, assegnato dalla giuria presieduta da Julianne Moore. Molti i temi importanti affrontati nelle pellicole, a partire dagli italiani: Gianni Amelio ne Il signore delle formiche inscena la vicenda di Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio), protagonista di un celebre processo negli anni Sessanta, condannato a nove anni per plagio di un giovane che fu sottoposto all'elettroshock per guarire dalla sua "influenza". Obiettivo fare luce su un angolo buio della nostra Storia, contro le discriminazioni di ieri e di oggi. In generale, sarà un festival pieno di film che parlano di discriminazione: non può essere un caso.
Se Luca Guadagnino si presenta con un progetto squisitamente di genere (Bones and All), c'è molta curiosità per il ritorno di Emanuele Crialese con L'immensità, su una coppia che finisce mentre intorno scorre l'Italia degli anni Settanta, col volto dominante di Penelope Cruz. Susanna Nicchiarelli con Chiara risarcisce l'omonima santa, Santa Chiara appunto, cresciuta nell'Assisi del 1200 all'ombra di San Francesco, il santo più famoso (anche perché maschio?): sarà una sorta di versione femminile della santità, riportando al centro della scena una donna forte e oscurata.
Il cinema internazionale si schiera con titoli pesanti. Uno dei più attesi è Blonde di Andrew Dominik, sulla vita di Marilyn Monroe col viso di Ana de Armas: è facile prevedere la riflessione sul meccanismo fagocitante della fama. Ma occhio ai temi sociali. C'è Saint Omer di Alice Diop, che attraverso il processo a una mamma accusata di aver ucciso la figlioletta vuole "sondare l'indicibile mistero di essere madre" (parole sue). C'è Tár di Todd Field, la storia di un'altra grande donna: Lydia Tár (Cate Blanchett), prima direttrice d'orchestra in un mondo di soli uomini. Troviamo poi Argentina, 1985 di Santiago Mitre, che rievoca uno dei momenti più sanguinosi della dittatura militare. Il grande documentarista Frederick Wiseman esordisce al film di finzione a 92 anni, portando Un couple sulla storia d'amore tra Tolstoj e la moglie Sonia.
Impossibile non segnalare il film su uno dei temi più difficili in assoluto da trattare sullo schermo: l'obesità. È The Whale di Darren Aronofsky, che nei panni del protagonista obeso vede Brendan Fraser autore di un incredibile ingrassamento per sostenere la parte. Questi i maggiori titoli che si giocano i Leone.
E poi, come sempre, c'è il lavoro. Uno dei nodi fondamentali del contemporaneo, che la Biennale di consueto tratta e mette al centro delle pellicole scelte. Tracce di occupazione sono ovunque, soprattutto nelle sezioni collaterali. Basti pensare al francese La Syndicaliste di Jean-Paul Salomé, con protagonista Isabelle Huppert nella parte proprio di un'esponente sindacale di oggi. La questione del lavoro si intreccia con quella dei migranti, non può essere altrimenti: una clandestina nigeriana è al centro di Princess di Roberto De Paolis, costretta a vendere il proprio corpo per sopravvivere. Andiamo nel foggiano con Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa, già autore del corto La giornata sulla morte per caporalato di Paola Clemente: qui attraverso una faida rappresenta quella terra troppo spesso segnata da violenza, criminalità, mancanza di speranza.
La Biennale quest'anno ospita due iniziative di solidarietà per i cineasti sotto attacco. Si tratta di momenti, spiega la mostra, dedicati ai "registi, cineasti, artisti arrestati o imprigionati nel mondo nell’ultimo anno, con lo scopo di sensibilizzare i media, i governi e le organizzazioni umanitarie mondiali sulla loro situazione". Un panel internazionale, intitolato Cineasti sotto attacco: fare il punto, agire / Filmmakers Under Attack: Taking stock, Taking Action, avrà luogo sabato 3 settembre alle ore 15.30 al Palazzo del Casinò (Lido di Venezia), in sala conferenze stampa.
L'altro è un flash-mob fissato per il 9 settembre: "I cineasti, gli artisti e altre personalità della comunità del cinema presenti il 9 settembre alla Mostra saranno invitate a partecipare, alle 16.30, al flash-mob sul red carpet del Palazzo del Cinema per attirare l’attenzione sulla situazione dei cineasti arrestati o imprigionati nel mondo, e in particolare del regista Jafar Panahi e degli altri registi iraniani perseguitati". Il flash-mob si terrà infatti prima dell’inizio della proiezione del film in concorso No Bears, diretto proprio da Panahi.
Foto: La Syndicaliste di Jean-Paul Salomé (copertina), Saint Omer di Alice Diop, The Whale di Darren Aronofsky, Princess di Roberto De Paolis, No Bears di Jafar Panahi
Il prelievo colpisce i guadagni abnormi realizzati dalle imprese che hanno acquistato materie prime ben prima che scoppiasse la guerra in Ucraina e ora le rivendono a prezzi non giustificabili semplicemente con la la legge della domanda e dell'offerta. Ma finora solo il poche hanno pagato e sono fioccati i ricorsi
Tassare gli extraprofitti per redistribuire eccedenze di guadagno realizzate in una situazione eccezionale, cioè la guerra in Ucraina, che premia alcune aziende a discapito di famiglie e imprese. Tecnicamente, secondo quanto si legge nel dizionario Treccani, l’extraprofitto è “l’eccedenza sul profitto normale del profitto effettivamente conseguito dalle imprese non marginali”.
La base “morale” di una tassa sugli extraprofitti risiede nel fatto che le società energetiche hanno realizzato grazie a petrolio e gas utili enormi (secondo alcune stime fornite da Europa Verde, solo per l’Eni, che è di proprietà pubblica, si parla di 20 miliardi di euro tra 2021 e 2022) non solo per l’aumento della domanda rispetto all’offerta come conseguenza della guerra in Ucraina che ha fatto salire alle stelle il prezzo del gas, ma per il fatto che le compagnie energetiche stanno vendendo a prezzi salatissimi materie prime che erano state acquistate ben prima dell’invasione dell’Ucraina ed è questo a produrre guadagni abnormi. Si tratta di uno di quei casi da manuale in cui il mercato lasciato a sé stesso è tutt’altro che virtuoso.
Per questo il 13 giugno l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) nel “Monitoraggio dei contratti di approvvigionamento del gas naturale” “ritiene opportuno che una parte del gettito derivante dai provvedimenti fiscali a carico delle aziende del settore sia destinato ai clienti finali che ne hanno sostenuto l’onere”. La base imponibile su cui viene calcolata la tassa sugli extraprofitti così come normata nel Decreto aiuti bis viene calcolata confrontando nei bilanci le operazioni attive e passive realizzate dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, con quelle dello stesso periodo tra il 2020 e il 2021. Il pagamento doveva essere in due tranche: la prima entro il 30 giugno (il 40%) e il resto il 30 novembre.
Tutto bene dunque? Affatto, perché quasi tutte le aziende non stanno effettuando i pagamenti e quindi rispetto ai 10,5 miliardi previsti – che dovevano appunto servire ad alleviare le bollette – ne sono arrivati un decimo circa. La motivazione cui si appigliano è che la tassa sarebbe anticostituzionale e hanno presentato ricorsi a pioggia all’Autorità per l’energia e al Tar. Tra le aziende ricorrenti ci sono Kuwait Petroleum (Q8), Ip (che però ha pagato l'acconto), Esso e Engycalor. Non hanno presentato ricorso i colossi di Stato Eni ed Enel, al contrario di Acea Energia Spa, la municipalizzata di Roma.
Oggi (31 agosto) rappresenta una data cruciale per capire il destino della tassa: scadono infatti i termini per il “ravvedimento” per il pagamento dell’acconto (con una penale del 15% che sale al 60 se il pagamento verrà effettuato successivamente), mentre la pronuncia del Tar in merito ai ricorsi è prevista per l’8 novembre. Se il tribunale amministrativo dovesse sospendere l'efficacia del provvedimento rimandandolo alla Consulta, salterebbe il saldo di novembre e considerando che il pronunciamento della Corte non arriverà prima di un anno e mezzo, risulterà molto difficile finanziare su questa tassa ipotesi di “restituzione” di risorse a famiglie e imprese. E sarebbe un peccato perché se fosse applicata su scala continentale una misura di questo tipo, oltre a liberare 200 miliardi di euro di risorse, rappresenterebbe una spinta forte alla transizione ecologica.
Emilia-Romagna capofila con le regioni del nord. “La legge urbanistica regionale non ha funzionato, serve una nuova legge realmente efficace”.
È allarme in Emilia-Romagna: Ostellato primo comune per consumo di suolo pro capite e Ravenna in testa per incremento assoluto nel 2021. La provincia di Modena è la prima in regione per suolo consumato, più di venti i comuni superano il limite del 3% imposto dalla legge regionale
L’ultimo rapporto ISPRA sul consumo di suolo sancisce il 2021 come vero e proprio annus horribilis per la nostra penisola. Rispetto agli ultimi dieci anni, infatti, l’incremento di consumo di terreno vergine in Italia ha segnato il record di oltre 2 m2 al secondo, per un totale di quasi 70 km2 di nuove coperture artificiali.
Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400 (una fetta di territorio grande quanto la regione Liguria) destinati agli edifici. Un manto di cemento che soffoca la penisola, con gravi conseguenze per la permeabilità del suolo, che invece, di fronte a un quadro di crisi climatica e al conseguente acuirsi dei fenomeni metereologici estremi, è fondamentale per rendere più resiliente il nostro territorio. Si pensi che i danni causati dalla perdita di suolo sono stimati intorno agli 8 miliardi all’anno, una spesa che senz’altro rallenta la ripresa del nostro paese.
In questo quadro così drammatico, l’Emilia-Romagna è terza sia per incremento di suolo consumato nel periodo 2020-2021 (658 ettari) sia in totale di suolo consumato nel 2021 (oltre 200mila ettari), dopo Lombardia e Veneto.
Nella classifica nazionale dei comuni peggiori troviamo Ravenna seconda solo a Roma per incremento consumo di suolo nel periodo 2020-2021, con 68,66 ettari di incremento nell'ultimo anno.
Nella classifica regionale invece, dietro Ravenna troviamo i comuni di Reggio nell’Emilia (35,44 ha) e Ostellato (30,26 ha).
Se guardiamo invece al consumo di suolo pro capite, l’indice in rapporto alla densità abitativa, troviamo Ostellato (FE) in cima alla lista dei comuni in Emilia-Romagna, con un consumo di suolo annuo di 52,5 m2 per ciascun abitante. Subito dopo si piazzano Polesine Zibello (PR) e Besenzone (PC), che hanno perso rispettivamente 25,5 m2/ab e 16,4 m2/ab.
Ben 13 comuni hanno superato i 10 m2/ab di consumo pro capite nel 2021: erano 8 nel 2020 e 10 nel 2019.
Dati allarmanti e senza precedenti, risultato di un ritmo insostenibile di nuove costruzioni dovuto in parte alle forti pressioni del settore della logistica e dall’altra all’assenza di interventi normativi efficaci per ridurre il consumo di nuovo suolo.
I dati del rapporto ISPRA confermano anche l’inadeguatezza della legge urbanistica regionale sulla tutela e l’uso del territorio: il corretto recepimento della legge a livello comunale attraverso la stesura e approvazione dei PUG (Piano Urbanistico Generale) imporrebbe la soglia di consumo pari al 3% della superficie consumata al 2017. Rielaborando i dati ISPRA, si trova che tale soglia è già stata ampiamente superata da 21 comuni che hanno prorogato più volte l’approvazione del PUG. “Con questo trend allo scattare del limite del 3% rischieremo paradossalmente di non avere più suolo consumabile” – commenta Legambiente. “Questa è la prova ulteriore di come la legge 24/2017, così come è stata progettata, non ha posto un freno al consumo di suolo”.
Oltre ai consueti nuovi insediamenti abitativi, preoccupa l’avanzata del settore commerciale, in particolare del comparto della logistica, che in assenza di un quadro normativo più stringente e vincolante rischia di esaurire le scorte di suolo consumabile sottolineate in precedenza.
A tal proposito, il tanto enfatizzato Accordo territoriale tra Città metropolitana di Bologna e Regione Emilia-Romagna approvato lo scorso mese, pur chiudendo in modo definitivo il capitolo relativo al polo logistico di Altedo (BO), non pone infatti uno stop a nuovi insediamenti logistici ed al consumo di suolo. Rispetto alle proposte complessive di logistica nel territorio della Città Metropolitana pari a circa 460 ettari, si continuano a destinare alla logistica circa 392,5 ettari: in pratica tutto quanto previsto in precedenza tranne il polo di Altedo (BO).
La pianificazione attuale inoltre non tiene conto della presenza di nodi ferroviari: in questo senso è utile avviare il percorso di reintroduzione della norma prevista nel precedente Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale che, salvo limitati casi specifici, limitava a 10.000 m2 la superficie degli insediamenti logistici sprovvisti di trasporto merci su ferro, vincolando impianti di dimensioni maggiori alla presenza dell’infrastruttura ferroviaria.
“La priorità immediata nella pianificazione urbanistica e periurbana dev’essere il riuso e la rigenerazione urbana” - continua Legambiente - “azioni al centro della Legge d’Iniziativa Popolare in materia di suolo, parte delle 4 leggi che verranno presentate a breve in Regione”. In tal senso, servono azioni concrete di censimento del patrimonio edilizio non utilizzato o abbandonato e un sistema di incentivi per il recupero di tale patrimonio.
ELABORAZIONI LEGAMBIENTE SU DATI ISPRA 2022
Comuni con aumento pro capite di suolo consumato nel 2021 superiore ai 10 m2/ab (elaborazione su dati ISPRA riferiti all’anno 2021)
COMUNE |
[m2/ab]
|
Ostellato (FE) |
52,5 |
Polesine Zibello (PR) |
25,48 |
Besenzone (PC) |
16,39 |
Castel San Giovanni (PC) |
15,75 |
Montecreto (MO) |
15,65 |
Pievepelago (MO) |
14,83 |
Gossolengo (PC) |
13,84 |
Toano (RE) |
13,37 |
Spilamberto (MO) |
12,12 |
Carpineti (RE) |
11,013 |
Campogalliano (MO) |
11,005 |
Bentivoglio (BO) |
10,11 |
Fiorenzuola d’Arda (PC) |
10,06 |
Primi 10 comuni per l’incremento assoluto di consumo di suolo tra il 2020 ed il 2021 (elaborazione su dati ISPRA riferiti all’anno 2021)
COMUNE |
Suolo consumato nel 2021 |
Suolo consumato al 2021 (ha) |
Ravenna (RA) |
68,66 |
7113 |
Reggio nell'Emilia (RE) |
35,44 |
4886 |
Ostellato (FE) |
30,26 |
785 |
Modena (MO) |
28,04 |
4620 |
Forlì (FC) |
27,34 |
3770 |
Castel San Giovanni (PC) |
21,76 |
803 |
Spilamberto (MO) |
15,57 |
527 |
Piacenza (PC) |
15,24 |
2923 |
Fiorenzuola d’Arda (PC) |
15,04 |
821 |
Cesena (FC) |
13,66 |
3563 |
Classifica frazione del 3% (LR 24/2017) consumato al 2021 calcolato sul suolo consumato nel 2017 [%] (elaborazione su dati ISPRA riferiti all’anno 2021)
COMUNE |
[%] |
Castel San Giovanni (PC) |
7,571616153 |
Gatteo (FC) |
6,918807683 |
Ostellato (FE) |
6,88458555 |
Gragnano Trebbiense (PC) |
6,363804703 |
Torrile (PR) |
6,179632277 |
San Giorgio di Piano (BO) |
5,88894522 |
Mordano (BO) |
5,619828659 |
Bentivoglio (BO) |
5,079447376 |
Villanova sull'Arda (PC) |
5,042613636 |
Medesano (PR) |
4,330339711 |
Granarolo dell'Emilia (BO) |
4,048850686 |
Sala Bolognese (BO) |
3,953504722 |
Rolo (RE) |
3,918557199 |
Ozzano dell'Emilia (BO) |
3,688739244 |
Sant'Ilario d'Enza (RE) |
3,662711385 |
Spilamberto (MO) |
3,553449225 |
Castelfranco Emilia (MO) |
3,436072269 |
Calderara di Reno (BO) |
3,406724426 |
Rottofreno (PC) |
3,341228547 |
Castenaso (BO) |
3,284539191 |
Ravenna (RA) |
3,05250606 |
Dati per provincia – incremento di consumo di suolo 2020-2021 (elaborazione su dati ISPRA riferiti all’anno 2021)
PROVINCIA |
Incremento 2020-2021 [consumo di suolo annuale netto in ettari] |
Suolo consumato al 2021 [%] |
Modena |
134,83 |
11,0 |
Ravenna |
113,95 |
10,2 |
Piacenza |
102,96 |
7,6 |
Reggio nell’Emilia |
95,58 |
11,1 |
Bologna |
63,18 |
8,9 |
Ferrara |
56,07 |
7,1 |
Forlì-Cesena |
50,69 |
7,3 |
Parma |
41,02 |
7,6 |
Rimini |
2,88 |
12,4 |
REGIONE ER |
661,16 |
|
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Nelle elezioni 2022 le forze in campo sono chiamate a esporre la propria visione sui cambiamenti climatici. Lo sviluppo di nuove infrastrutture energetiche è strettamente legato alla politica del clima. Dare una risposta nel breve periodo alla crisi russa non sottrae la politica dallo spiegare come conciliare l’emergenza con la transizione energetica. Non farlo – facendo leva sul consenso di quanti, esasperati dall’immobilismo italiano, sono a favore delle infrastrutture a prescindere – nei fatti moltiplicherà i costi dell’energia, questo in particolare nel settore del gas.
Questa la premessa dell’analisi che ECCO, think tank italiano specializzato sulla questione clima energia, ha pubblicato nei giorni scorsi sulla questione rigassificatori e che riproponiamo qui.
Snam – si spiega – ha già comprato due rigassificatori per una spesa di oltre 700 milioni di euro alla quale si dovrà aggiungere il valore del gas per tutta la durata dei contratti sottoscritti con i nuovi fornitori. Eppure, se gli impegni sulla transizione verranno rispettati, le rinnovabili sostituiranno oltre l’80% delle attuali importazioni russe al 2035.
“Il dibattito ‘rigassificatori sì o no’, non è politica ma più una conversazione da bar“, osservano gli analisti di ECCO. La politica deve spiegare come si conciliano queste nuove infrastrutture con gli obiettivi di decarbonizzazione, e cosa si pensa di fare in futuro della nuova infrastruttura, dei contratti e delle relazioni commerciali con i nuovi fornitori, in particolare nel caso in cui le forniture dalla Russia non cessino e riprendano come un elemento sostanziale per ristabilire la pace in Europa, fino al raggiungimento degli obiettivi di RepowerEU.
Nuove infrastrutture gas significano ritardare lo sviluppo delle rinnovabili? O credere che l’efficienza sia un complemento d’arredo? Se non è così, a chi spetta pagare i costi di questa ridondanza di infrastrutture – agli azionisti, ai contribuenti o ai consumatori? Oppure si pensa di esportare gas in Europa nel prossimo decennio, come se la Germania non avesse i nostri stessi o più ambiziosi obiettivi? Quali sono le garanzie che l’infrastruttura gas sia l’opzione più efficace a gestire la crisi rispetto ai tempi di realizzazione e allo sviluppo di alternative?
Anche in termini di riempimento degli stoccaggi – prosegue l’analisi – sembra che nessuno si stia occupando del rischio economico per i consumatori. È in corso un massiccio intervento dello Stato per l’acquisto di gas sulle piattaforme internazionali a prezzi elevatissimi, di cui gli operatori di mercato non si sarebbero fatti carico, finanziato con un prestito di 4 miliardi di euro del Tesoro a una sua controllata, il Gestore dei Servizi Energetici (Gse) che in coordinamento con Snam gestisce l’operazione. In quanto tale, il prestito non incide (per ora) sui saldi di finanza pubblica, ma è di fatto debito per i consumatori e i contribuenti.
“Mai fare la spesa quando si ha fame, insegnano i dietologi. Forse dovremmo tenerne conto anche nel settore dell’energia e in generale in quello delle infrastrutture. Il rischio di reazioni avventate alla crisi dei prezzi dell’energia in termini di dimensione, durata temporale e mancata attenzione ai costi delle azioni rischia di danneggiarci quanto o più già facciano i prezzi”, scrivono dal think tank.
Lo stesso vale per la decisione, anch’essa avventata e a forte rischio di autolesionismo, di investire in un sistema europeo e italiano che non faccia più affidamento sul gas russo a tempo indeterminato. Quanto è credibile – chiedono gli analisti di ECCO – che decidiamo domani – magari a situazione internazionale normalizzata – di operare quella chiusura dei rubinetti che né l’Europa né gran parte dei suoi Stati membri hanno avuto il coraggio o l’interesse di attuare fino a oggi, nemmeno sull’onda dello shock dell’invasione dell’Ucraina? Eppure, su questo assunto stiamo costruendo la strategia per la sicurezza energetica, con tutti i costi e rischi conseguenti.
Un conto – osserva il think tank – è diversificare dal gas russo anticipando lo sviluppo delle rinnovabili e l’efficienza energetica, che sono misure comunque necessarie per raggiungere i nuovi obiettivi di decarbonizzazione europei e il cui valore dell’investimento, oltre a contribuire a ridurre la dipendenza dal gas russo nel breve, si mantiene in uno scenario coerente con la strategia di lungo periodo, un conto è lo sviluppo di nuova infrastruttura gas che al contrario verrà resa ridondante nei prossimi anni dalle politiche di decarbonizzazione.
I due rigassificatori galleggianti (Floating Storage Regasification Unit o FSRU) che Snam ha acquistato arriveranno, secondo le dichiarazioni del Governo, quando almeno il primo – e più insidioso – degli inverni a rischio sarà già terminato. L’acquisto – sottolinea l’analisi di ECCO – è avvenuto in assenza di informazioni pubbliche su come queste infrastrutture saranno gestite e ripagate: saranno considerate rete e ripagate in tariffa? Saranno cedute a operatori terzi per la loro gestione? Saranno finanziate direttamente con le tasse? Ciò che è certo è che il decreto (poi legge) “aiuti” ha istituito un fondo di garanzia per le eventuali perdite di Snam e una corsia preferenziale per l’autorizzazione delle opere necessarie.
Un’infrastruttura fatta per durare decenni si presume abbia prospettive altrettanto lunghe di utilizzo. Tuttavia, è difficile supporre questo per i nuovi FSRU. In primis, poiché l’Italia è impegnata al 2035 a dismettere sostanzialmente l’utilizzo del gas per la produzione termoelettrica (che oggi vale circa un terzo dei consumi) come da decisione in sede G7.
In secondo luogo, poiché il Governo si è posto l’obiettivo 2030 per la penetrazione delle rinnovabili elettriche di oltre il 70% seppure, su questo punto, l’industria dell’energia ritenga fattibili valori oltre l’80%. Si tratta di politiche che comportano una riduzione d’uso di gas termoelettrico da un minimo di 15 miliardi di metri cubi l’anno a circa 25 miliardi, valore quest’ultimo paragonabile all’intero import pre-crisi dalla Russia. Una tendenza a cui si aggiungono le politiche di efficientamento degli edifici e l’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento e produzione del calore, nonché lo sviluppo di biogas che non avrà bisogno di porti.
I consumi italiani di giugno 2022 del gas per usi residenziali e industriali si sono ridotti rispetto a un anno prima di quasi il 10%. Se non fosse per l’eccezionale siccità, e la conseguente indisponibilità di energia idroelettrica, la riduzione di volumi complessivi tendenziale sarebbe già superiore a quanto l’UE può chiederci secondo il piano di risparmio approvato a fine luglio 2022.
Tutto questo, in un contesto di ridondanza della capacità di importazione via tubo. Solo il TAP oggi funziona a pieno regime tra i gasdotti di interconnessione verso l’Italia. E se è vero quindi che l’Italia si inserisce in un’infrastruttura gas europea ormai molto interconnessa, occorre anche ammettere che è semmai la sicurezza energetica europea, più che quella italiana, che investimenti avventati e costosi per le tasche italiane stanno mirando a proteggere.
L’Italia rischia quindi di fare investimenti onerosi, privi di una valutazione economica (non risultano criteri pubblici per valutarli né alcuna preoccupazione del Governo rispetto all’efficienza della spesa) per scongiurare un rischio di razionamenti ma ignorando che la domanda di gas è destinata a ridursi. Implementando le politiche europee al 2030, la domanda di gas è attesa in calo del 30-40% rispetto ad oggi.
Poco dovrebbe tranquillizzarci il fatto che i rigassificatori galleggianti possano essere rimossi e rivenduti, perché il danno economico di rivendere un asset quando la sua utilità si sarà ridotta anche per qualunque altro acquirente sarà ineludibile. Interessante, da questo punto di vista, osservare che il Governo tedesco ha sì acquisito la disponibilità di impianti di rigassificazione, ma l’ha fatto noleggiandoli, non acquistandoli.
Alla irrecuperabilità dei costi di asset fisici che potrebbero rivelarsi presto ridondanti, si aggiunge quella legata ad accordi commerciali di lungo termine che il Governo afferma di aver intrapreso (a proprio nome? A nome delle partecipate? Garantendone il rispetto con risorse pubbliche?). Esistono clausole d’uscita da questi accordi se la crisi si risolverà (e si risolverà se l’Italia e l’Europa faranno ciò che è da tempo stabilito con il REPowerEU)? Quanto impattano queste clausole in termini di rischio per i contribuenti e per i clienti di energia?
Purtroppo, le criticità non finiscono qui. C’è anche qualcosa di peggio, che esula dalla saggezza del sopra citato dietologo. Infrastrutture sbagliate e ridondanti rischiano di alimentare e protrarre politiche anch’esse sbagliate. Infatti, non è inverosimile che al momento di ammettere, tra qualche anno, che i due FSRU ormeggiati a Piombino e Ravenna non serviranno più, chi ha interesse alla loro operatività, o anche solo a non attribuirsi l’imbarazzo politico della loro dismissione, faccia con successo pressioni perché l’economia del gas prosegua, arrecando danno al clima e ritardando la transizione verso un sistema energetico emancipato dalla volatilità di prezzo e dall’insicurezza delle fonti fossili.
Per mitigare questi rischi – ausoicano gli analisti di ECCO – serve per quanto possibile limitare le rigidità delle decisioni già prese e riconsiderare quelle da prendere in una prospettiva più lunga che tenga conto delle politiche del clima. Ora che i rigassificatori sono stati comprati, serve chiarirne il regime di utilizzo nel modo più trasparente possibile e accelerare la loro integrazione nei piani di sviluppo di Snam per valutarne, seppur tardivamente, l’utilità secondo i processi di governance esistenti, eventualmente interrompendo l’installazione della seconda nave se le valutazioni di Arera e Governo fossero negative.
Valutazioni che non possono prescindere dalla coerenza rispetto alle politiche del clima. Un aspetto a cui “l’agenda Draghi” non ha dato la priorità necessaria e che dovrebbe essere recuperato anche dai suoi promotori e dal futuro nuovo Governo.