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Il Black Friday coinciderà con una giornata di mobilitazione globale, la Make Amazon Pay. Al via un'indagine sindacale rivolta ai lavoratori di Amazon

 Foto: Marco Merlini

Si avvicina il Black Friday di Amazon (il prossimo 25 novembre) e i sindacati si preparano a una campagna di scioperi e proteste in tutto il mondo. Se Amazon “mobiliterà” i suoi consumatori in una corsa all’acquisto con saldi e conti alla rovescia planetari, la risposta del mondo del lavoro non sarà da meno. La coalizione Make Amazon Pay, co-convocata dalla sigla internazionale Uni Global Union e Progressive International, raccoglierà oltre 80 sindacati, organizzazioni della società civile, associazioni ambientaliste tra cui Greenpeace, 350.org, Tax Justice Network e Amazon Workers International attorno a una piattaforma di richieste comuni: “Amazon deve pagare i suoi lavoratori in modo equo e rispettare il loro diritto di sindacalizzazione, deve pagare la sua giusta quota di tasse e deve impegnarsi per una reale sostenibilità ambientale”.

Un’indagine rivolta ai lavoratori Amazon

Ma per difendere un mondo così complesso, dove algoritmi, software di tracciamento della produttività ed esoscheletri dominano l’organizzazione del lavoro, tanto nei magazzini quanto nel territorio esterno delle consegne, occorre capirlo e conoscerlo bene. Da qui la decisione di lanciare un’indagine tra i lavoratori di Amazon, progettata e gestita dalla stessa Uni Global Union in collaborazione con Jarrow Insights.

L’indagine, spiegano i responsabili del sindacato internazionale, “mira a comprendere meglio i sistemi di monitoraggio del posto di lavoro di Amazon e il loro impatto sui lavoratori. Crediamo che i lavoratori debbano far sentire la propria voce e che debbano essere liberi di discutere le realtà della vita quotidiana sul lavoro”.

 

Sorvegliare il Panopticon 

Non è il primo passo di “conoscenza” mosso da Uni Global Union. Già in una precedente ricerca molti lavoratori di Amazon di tutto il mondo hanno denunciato stress e ansia a causa dei ritmi di lavoro intensi e dell'invadente monitoraggio tecnologico delle loro prestazioni. Quell’indagine ha portato a un’importante pubblicazione, The Amazon Panopticon, della quale Collettiva ha dato notizia.

Amazon “arruola” direttamente oltre un milione di lavoratori in tutto il mondo, senza contare le centinaia di migliaia di addetti dell’indotto esterno. “Nei magazzini dove sono immagazzinate le sue merci - scrivevano i ricercatori di Uni -, nelle auto che consegnano i pacchi attraverso la sua app Flex, nei camion che spostano i suoi prodotti, i lavoratori sono costantemente osservatiregistrati, il loro lavoro misurato e le loro attività monitorate. Il risultato è che i lavoratori di Amazon sono soggetti involontari di un sofisticato e onnicomprensivo esperimento di sorveglianza digitale che sta avendo impatti disastrosi sui loro corpi e sulle loro vite. Nelle strutture di Amazon si registrano tassi di infortunio altissimi, e i lavoratori denunciano stress e ansia perché i ritmi richiesti dall'azienda li costringono a non idratarsi, a ridurre le pause in bagno, a orinare nelle bottiglie, a prendere scorciatoie non sicure”.

Make Amazon Pay

La giornata di mobilitazione globale del 25 novembre coinvolgerà circa 30 Paesi. La campagna compie il terzo anno d’età e accusa Amazon di "spremere fino all'ultima goccia" i "lavoratori, la comunità e il pianeta" di fronte allo scandalo del costo della vita, alla crisi del debito globale e all'emergenza climatica. 

Gli organizzatori promettono che, nel giorno della somma celebrazione dello shopping online, Amazon si troverà a dover affrontare “scioperi e proteste in Argentina, Australia, Austria, Bangladesh, Belgio, Brasile, Cambogia, Canada, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, India, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Palestina, Polonia, Slovacchia, Sudafrica, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti, e altri sono in programma”. 

Le azioni riuniranno i lavoratori della catena di approvvigionamento di Amazon con gruppi ambientalisti, della società civile e leader politici. La coalizione invita i cittadini a iscriversi per partecipare alle azioni e i gruppi a contattarli per ospitare azioni tramite MakeAmazonPay.com.

Giustizia sociale, giustizia ambientale

“È ora che questo gigante tecnologico cessi le sue pratiche terribili e insicure, rispetti la legge e negozi con i lavoratori che vogliono migliorare le proprie condizioni”, ha dichiarato Christy Hoffman, segretario generale di Uni Global Union. 

“Mentre i lavoratori di tutto il mondo lottano contro lo scandalo del costo della vita, Amazon, nonostante i suoi enormi profitti, sta imponendo ai suoi lavoratori tagli alle retribuzioni in termini reali. Si sottrae alle tasse e le sue emissioni di CO2 stanno aumentando vertiginosamente: +18% nel 2021”: così, invece, Daniel Kopp di Progressive International.

“Amazon è il terzo più grande datore di lavoro diretto al mondo, ma se si tiene conto di noi della catena di fornitura, il numero diventa ancora più grande”, ricorda infine Nazma Akhter, presidente della Sommilito Garments Sramik Federation: “In Bangladesh siamo in prima linea nella lotta contro il clima, quindi sappiamo che la giustizia climatica e la giustizia sociale non possono essere separate. Dobbiamo fare in modo che Amazon paghi a tutti i suoi lavoratori un salario dignitoso in luoghi di lavoro dignitosi e per i suoi danni ambientali”.

 

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2022FIRENZE.EU. Nella prima giornata delle assemblee di convergenza di 150 fra organizzazioni e reti sociali continentali, si discute delle nuove campagne di sensibilizzazione e di protesta. A partire dalla pace sempre più necessaria, mentre le istituzioni nazionali e sovranazionali spingono per il riarmo "fino alla vittoria finale".
Il rifiuto delle guerre torna ad unire i movimenti europei La manifestazione "Europe for peace" di Roma - Andrea Sabbadini

E’ il rifiuto delle guerre, da quella russo ucraina ai conflitti “dimenticati” nel continente africano, il filo che torna a legare i movimenti sociali continentali, riuniti a Firenze non tanto per ricordare l’esperienza del primo Forum sociale di vent’anni fa, quanto per evidenziare alcuni macro-temi su cui avviare nuove campagne di sensibilizzazione e di protesta. “Le grandi sfide di oggi – sintetizza Tommaso Fattori – che oltre alle guerre ci interrogano sul collasso climatico e ambientale del pianeta, sull’aumento esponenziale delle disuguaglianze, e sullo svuotamento di fatto della democrazia da parte di un sistema di potere a-democratico e sempre più pervasivo”.

Nella prima giornata di una “assemblea di convergenza” che andrà avanti anche oggi, di fronte all’interrogativo su dove stia andando l’Europa e quale sia il suo ruolo in una fase così tumultuosa, gli interventi degli attivisti delle circa 150 organizzazioni presenti si concentrano anzitutto sul conflitto bellico in corso nel cuore del vecchio continente. Denunciando ancora una volta la sordità delle istituzioni nazionali e sovranazionali, che invece di ascoltare le richieste di ampi strati della società per l’avvio di reali negoziati tesi a fermare bombardamenti quotidiani, migliaia di lutti e devastazioni di interi territori, vanno avanti sull’assunto di una guerra che va alimentata “fino alla vittoria finale”.
“Il Parlamento europeo – ricorda nel suo intervento il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo – ha dato il suo via libera a una risoluzione che parla proprio di ‘vittoria finale’, assecondando la decisione della Commissione Ue di finanziare massicciamente l’invio di ulteriori armamenti. Nella risoluzione non compaiono mai le parole ‘pace’ e ‘negoziato’, stracciando di fatto il Trattato di Lisbona e i suoi principi, all’epoca solennemente sanciti”.

Sembra così di tornare al 2003, quando le proteste di decine di milioni di persone in tutto il pianeta contro la guerra in Iraq, che pure avevano fatto scrivere al New York Times che si era manifestata una superpotenza mondiale, non avevano smosso di un millimetro i governanti dell’epoca. Una ferita profonda, si osserva in sala, che ebbe riflessi negativi anche sul cammino dei movimenti sociali. E che oggi pone, come allora, gli stessi interrogativi: “Perché non riusciamo ad incidere sulle agende politiche nazionali e dell’Ue? – si chiede dunque Fattori – perché non riusciamo a parlare, a raggiungere, quella massa di persone che come noi subisce le crisi del nostro tempo ma resta chiusa in una solitudine arrabbiata, terreno di coltura delle destre?”.

Sono domande a cui, appunto, l’assemblea di convergenza cerca di rispondere tornando ad alimentare nuove mobilitazioni: “Dopo la grande manifestazione italiana del 5 novembre – osserva sul punto Giulio Marcon a nome della rete Sbilanciamoci – il nostro obiettivo, il nostro sogno deve essere quello di fissare una nuova data, per manifestare nelle principali città europee così come abbiamo fatto a Roma”.

Nella grande sala del Palaffari la lingua comune è l’inglese, e un efficace sistema di traduzione simultanea permette agli attivisti di ascoltare nella propria lingua gli interventi che si susseguono. Come quello di Martial Mbourangon della rete Ras le bol della Repubblica democratica del Congo, abrasivo ma efficace nel chiedere ai movimenti europei di non fermarsi alle sole manifestazioni pacifiste: “Perché non iniziate a contestare le fabbriche di armi, quelle stesse armi che vengono vendute in Africa e che condannano il mio continente a guerre su guerre?” Un ragionamento che vale anche per altri conflitti, dalla Palestina al Kurdistan, dall’Armenia allo Yemen.

All’assemblea intervengono anche Luca Sardo dei Fridays for Future, Jan Robert Suesser dell’European Civic Forum, l’ungherese Vera Mora, Vittorio Agnoletto di Medicina Democratica, Sergio Bassoli di Europe for Peace, l’attivista irakeno Sahar Salam, Stefano Castagnoli del Movimento Federalista Europeo e l’inglese Chris Nineham di Stop the War Coalition. Pronto a ricordare una incontestabile verità: “Le conseguenze delle guerre sono sempre patite dalla gente comune”.

 
 

imbarcazione

Chi volesse unirsi all’appello può firmare compilando questi moduli a titolo individuale o in rappresentanza di un’associazione:

Il Decreto del 4 novembre 2022 – dei Ministeri dell’interno, dei trasporti e della mobilità sostenibile e della difesa – vieta alla nave Humanity1, della ONG SOS Humanity, di “sostare nelle acque territoriali italiane …oltre il termine necessario per assicurare le operazioni di soccorso ed assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali ed il precarie condizioni di salute”; analogo decreto è stato adottato la sera del 6 novembre per la nave Geo Barents, della ONG Medici Senza Frontiere, secondo un metodo che potrebbe ripetersi anche nell’immediato futuro (altre navi con naufraghi a bordo sostano infatti al confine con le acque territoriali). I decreti sono manifestamente illegittimi in quanto violano numerose norme del diritto internazionale ed interno.

I Decreti devono essere ritirati.

Invocando un generico pericolo per la sicurezza dell’Italia, posto in relazione allo sbarco di naufraghi, impropriamente richiamando l’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione Onu sul diritto del mare, il Governo impedisce la conclusione delle operazioni di salvataggio di naufraghi. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce, infatti, nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”) (Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza del 20 febbraio 2020, n. 6626).


Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile».


Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004), allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Obbligo al quale le autorità preposte, italiane e maltesi, si sono sottratte.


Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poichè tali persone hanno, tra i numerosi altri diritti, quello di presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave.


A ulteriore conferma di tale interpretazione è utile richiamare la Risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.).


Al riguardo, risulta arbitraria quanto approssimativa la distinzione all’interno dei gruppi dei naufraghi che il Governo italiano sta proponendo, come risulta impossibile escludere la situazione emergenziale delle decine se non centinaia di persone a bordo la cui condizione va valutata singolarmente, in ossequio all’art. 19 della Carta del Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che vieta le espulsioni collettive e all’effettivo rispetto dell’art 3 della CEDU e dell’art 4 della CDFUE, nonchè al carattere assoluto del divieto di trattamenti inumani e degradanti (l’art. 15 della Convenzione EDU fa espresso divieto di deroga, persino in caso di guerra o di pericolo pubblico che interessi la nazione).


Deve poi essere assicurato alle persone a bordo della nave e in acque territoriali italiane il diritto a chiedere la protezione internazionale in attuazione dell’art. 6 della direttiva 2013/32/UE (direttiva procedure) che obbliga gli Stati membri a garantite un accesso effettivo alla procedura. Si tratta di diritto fondamentale sancito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione, norma declinata anche come diritto di accedere al territorio dello Stato al fine di essere ammesso alla procedura anche di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. sent. n. 25028/2005), in quanto, come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 29460/2019), il diritto alla protezione internazionale “è pieno e perfetto” e “il procedimento non incide affatto sull’insorgenza del diritto” che “nelle forme del procedimento è solo accertato…il diritto sorge quando si verifica la situazione di vulnerabilità”.


Ai sensi dell’art 10 ter del D.lvo n. 286/98 le persone giunte sul territorio nazionale a seguito di salvataggio in mare devono essere condotte presso i punti di crisi o nei centri di prima accoglienza, dove sono identificati, è assicurata la prima assistenza e deve essere assicurata l’informazione anche sul diritto a chiedere la protezione internazionale. L’illegittimo tentativo di fare sbarcare esclusivamente alcuni dei naufraghi e respingere indistintamente tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali si configura, oggettivamente, come una forma di respingimento collettivo, vietato dall’art. 4, Protocollo n. 4 della CEDU; attività, quest’ultima, per la quale l’Italia è già stata condannata in passato (sentenza Hirsi Jamaa c. Italia del 2012).


La condotta governativa si pone, altresì, in contrasto con i principi sanciti nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e, in primo luogo, del principio di non refoulement (art. 33). In questa condizione se i comandanti delle navi portassero fuori dai confini italiani i naufraghi potrebbe configurarsi a loro carico, e a carico degli armatori, una responsabilità per avere prodotto, in esecuzione di un ordine manifestamente illegittimo, una grave violazione dei diritti umani.


È, dunque, necessario che il Governo ritiri immediatamente i suoi decreti e consenta lo sbarco a tutte le persone naufraghe che da giorni sono costrette a rimanere sulle navi di soccorso.

 

La situazione in Emilia-Romagna: Reggio Emilia, Forlì e Rimini sul podio dei capoluoghi più virtuosi, Modena e Ravenna fanalino di coda Legambiente: “Fondamentale accelerare la transizione ecologica urbana”  

Preoccupa il quadro generale. Nel 2021 capoluoghi di provincia in stallo e affanno anche nel post pandemia, paralizzati dalle emergenze croniche: aumenta smog, traffico, e rifiuti prodotti

 Legambiente Emilia-Romagna APS | Bologna

Un 2021 difficile per molti capoluoghi di provincia italiani, che restano in forte affanno anche nella fase post pandemia. Pochi quelli che sono riusciti a fare la differenza puntando, davvero, sulla sostenibilità ambientale. A dare l’esempio è Bolzano la nuova regina green che dal sesto posto dello scorso anno conquista la vetta della classifica di Ecosistema Urbano 2022, il report di Legambiente realizzato in collaborazione con Ambiente Italia e Il Sole 24 ORE, sulle performance ambientali di 105 Comuni capoluogo che tiene conto di 18 indicatori, distribuiti in sei aree tematiche: aria, acque, rifiuti, mobilità, ambiente urbano ed energia. La classifica finale che ne esce fuori, pubblicata sul Sole 24 Ore di oggi con dati relativi al 2021, ne rappresenta la sintesi. Bolzano si lascia alle spalle Trento, che scende al secondo posto, Belluno che risale la graduatoria passando dall’ottavo al terzo posto, seguita da Reggio Emilia e Cosenza, unica città del sud a entrare anche quest’anno nella top ten della graduatoria. Chiudono la classifica Alessandria (103esima), Palermo (104esima) e Catania (105esima), che da tempo non riescono a invertire la tendenza e a risalire la classifica. Nel complesso le metropoli confermano più o meno le performance della passata edizione con qualche oscillazione di classifica in positivo, risalgono ad esempio per Venezia (che 13esima) e Torino (65esima). Oscillazione in negativo, ad esempio, per Genova che scende al 53esimo posto, per Firenze (che slitta al 43esima posto) e Milano (38esima perdendo 8 posizioni). Roma (88esima), invece, non ha risposto quasi per nulla alle domande del questionario Legambiente.

Il quadro dei capoluoghi in Emilia-Romagna

Il valore espresso in percentuale rappresenta una media dei 18 indicatori distribuiti nelle 6 aree tematiche (aria, acque, rifiuti, mobilità, ambiente urbano ed energia), laddove il 100% rappresenta l’obiettivo di sostenibilità. Nessun capoluogo in Regione fa capolino sul podio: Reggio Emilia, che nella scorsa edizione era risultata seconda sulla classifica nazionale, scende di punteggio, alla quarta posizione, pur restando prima sulla classifica regionale.

Insieme a Reggio Emilia, solo Forlì rientra nell’ottavo posto della top ten nazionale, risalendo dal 17esimo posto della scorsa edizione. Precipita invece Ferrara, che scende dal 10° posto della scorsa edizione al 17esimo di quest’anno: dal confronto degli indicatori però non emergono peggioramenti, una perdita di posizione dovuta dunque ad un’inazione rispetto ad altre città che hanno fatto più progressi verso un quadro di sostenibilità generale.

 

   

 

 

  Pos.ne su classifica nazionale
1 Reggio Emilia

 

 

72,99%

 

 

4

 

 

2 Forlì

 

 

70,34%

 

 

8

 

 

3 Rimini

 

 

67,00%

 

 

11

 

 

4 Parma

 

 

64,94%

 

 

14

 

 

5 Ferrara

 

 

64,03%

 

 

17

 

 

6 Bologna

 

 

61,93%

 

 

24

 

 

7 Cesena 59,02% 33
8 Piacenza

 

 

55,92%

 

 

44
9 Modena

 

 

54,38%

 

 

49
10 Ravenna 53,29% 52

 

Buone pratiche: Quest’anno tra le 16 buone pratiche premiate da Ecosistema Urbano, 3 le esperienze sul territorio dell’Emilia-Romagna, due su Bologna e una su Ferrara. A Bologna spiccano il progetto La piazza è “scolastica”, progetto del Comune di bologna e Fondazione Innovazione Urbana che prevede di pedonalizzare un’area di 700mq, e Pratello Plastic Free, azione di quartiere realizzata insieme ai giovani del circolo di Legambiente Bologna volta ad eliminare la plastica monouso in uno dei centri della movida. A Ferrara due percorsi sociali sostenibilidella fondazione Dalla Terra alla Luna e della cooperativa sociale I frutti dell’albero’, che mettono al centro inclusività sociale e sostenibilità ambientale.

Oltre alla classifica sulle performance ambientali, Ecosistema Urbano fa anche un punto generale sul trend che emerge. Nel 2021, in quello che doveva essere l’anno della lenta ripresa post COVID-19 e della messa in campo di interventi concreti, i capoluoghi di provincia confermano la tendenza di stallo degli anni precedenti. Poco propensi a migliorare le proprie performance ambientali, sono paralizzati da alcune emergenze urbane ormai croniche. Più smog con i valori di picco che tornano lentamente a crescere nelle aree urbane storicamente afflitte da mal’aria. Un parco auto che resta tra i più alti d’Europa, pochi miglioramenti sul fronte del trasporto pubblico. Torna a salire la produzione dei rifiuti prodotti – il valore medio arriva a 526 kg pro capite, quasi ai livelli pre-pandemia (erano 514 kg pro capite nel 2020 e, appunto, 530 nel 2019) – nonostante la raccolta differenziata stia migliorando scavalcando la soglia media del 60%. Piccoli segni positivi arrivano, invece, dalla crescita della ciclabilità (km di piste e infrastrutturazione) e dalla diffusione del solare (termico o fotovoltaico) installato su edifici pubblici il cui valore medio, tocca i 5,41 kW/1.000 abitanti. Per quanto riguarda le perdite idriche, rimangono all’incirca costanti le città dove più del 30% dell’acqua viene dispersa (passando da 53 del 2020 a 52 nel 2021), mentre il valore medio dell’acqua che viene dispersa si conferma al 36,0%. Nel 2021 sono sei le città virtuose (erano 5 nel 2020) che riescono a contenere le perdite entro il 15% (Livorno, Macerata, Mantova, Milano, Pavia e Pordenone).

“Dalla fotografia di Ecosistema Urbano 2022 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – non vediamo quel cambio di passo repentino che impone l’emergenza energetica, ambientale e sociale. In tutte le città serve velocizzare gli interventi, diffondere gli impianti fotovoltaici sui tetti e le comunità energetiche rinnovabili, riqualificare gli edifici, promuovere l’elettrificazione del trasporto pubblico e privato,  completare fognature e depuratori, realizzare gli impianti dell’economia circolare, a partire da quelli di digestione anaerobica e compostaggio per produrre biometano e compost di qualità, di riciclo chimico delle plastiche miste e quelli per recuperare le terre rare dai rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Queste sono le sfide che attendono il nuovo governo. La transizione ecologica dei capoluoghi italiani dipende dalle scelte dei Comuni ma soprattutto da quelle che verranno fatte a livello nazionale dall’esecutivo. Da parte nostra ci auguriamo di non perdere tempo a discutere di progetti inutili come il Ponte sullo Stretto di Messina, ma daremo il nostro contributo per dare concretezza alle opere pubbliche e agli impianti per la transizione ecologica che serve al Paese”.

“Le città – spiega Mirko Laurenti, responsabile Ecosistema Urbano – devono essere protagoniste di una nuova ripartenza capace di ripensare l’organizzazione, la forma e le funzioni dei quartieri, il modo con cui le persone si muovono nei centri urbani, garantendo insediamenti multifunzionali e inclusivi. C’è urgenza e necessità di città ben pianificate, che combinino spazi residenziali, commerciali, spazi pubblici e alloggi a prezzi accessibili, per un maggior benessere delle comunità. Le aree urbane che riescono a garantire salute, alloggi e sicurezza ai gruppi più fragili, possono contribuire al new normal, affrontando la povertà e le disuguaglianze, ricostruendo un’economia urbana, rendendo più chiare legislazione urbana e governance”. 

Il report Ecosistema Urbano 2022, presentato oggi a Roma e in diretta streaming sui siti di Nuova Ecologia e Sole 24 ORE, sul canale YouTube e sulla pagina LinkedIn di Legambiente, è consultabile anche sulla piattaforma interattiva del Sole 24 Ore e sul webgis di Legambiente. Nel corso della mattinata di oggi sono state anche presentate le Best Practices di Ecosistema Urbano 2022, che hanno come partner Iterchimica ed Ecomondo.

Gianna Fracassi, Cgil, commenta i primi deludenti provvedimenti dell'esecutivo su inflazione, caro energia e fisco. "Auspichiamo di essere coinvolti nella discussione, però basta parlare di innalzamento del contante, flat tax e condoni"

Inflazione, caro energia e fisco stringono salari e pensione in una triplice morsa. Questa, quella del potere di acquisto delle famiglie, è la vera prima emergenza da affrontare. Non è con flat tax e condoni che si risponde, ma con un raddoppio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori e con un recupero del fiscal drag. E le risorse ci sono, basta volerle trovare: negli extra profitti, nel contrasto all’evasione, in un contributo di solidarietà. Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Cgil, era al confronto con il governo e poi ha letto nel dettaglio l’aggiornamento alla Nadef e la bozza del decreto Aiuti Quater: nulla, se non la conferma di provvedimenti del governo Draghi per il contenimento del caro energia. L’augurio è che prima della stesura della legge di bilancio si avvii un confronto reale sulle proposte delle organizzazioni sindacali.

Partiamo dall'incontro con il governo, il tuo giudizio?
Sicuramente c'è stata una disponibilità formale al confronto. Oltre questo al momento nulla, non si è entrati nel merito delle cose, sia per quanto riguarda il decreto Aiuti quater, sia per quanto riguarda la legge di bilancio. Il segretario generale Maurizio Landini ha illustrato in maniera precisa e dettagliata sia delle proposte sia i problemi aperti, a partire dall'emergenza salariale fino alla questione precarietà, e ai temi di politica industriale con i problemi e le opportunità legati alla riconversione. E poi le pensioni, gli investimenti in sanità e istruzione, l’emergenza su salute e sicurezza. Rispetto a tutto questo nulla, né risposte né come si intende operare. E questo è un problema, la legge di bilancio dovrà essere definita in tempi molto rapidi e allora confrontarsi su cosa si intende fare rispetto alle grandi emergenze e rispetto al futuro del Paese è indispensabile.

 Foto: Marco Merlini


Gli unici due documenti sui quali si può provare a ragionare sono da un lato l'aggiornamento alla Nadef, dall'altro la bozza del decreto Aiuti appena varato dal Consiglio dei ministri. Partiamo dalla Nadef o meglio dall'aggiornamento alla Nadef.

La Nadef aggiornata è sostanzialmente molto simile a quella presentata a settembre, anzi direi pressoché identica per buona parte del dell'impianto. Ha un unico elemento di diversità che riguarda le modalità di adempimento all’obbligo europeo di rientro dal debito, il cosiddetto 3% del rapporto deficit-Pil. Per il 2023 si prevede di allargare le maglie, così da creare maggiore disponibilità economica, salvo poi precipitare molto rapidamente nei due anni successivi fino a rientrare nel rapporto del 3%. A nostro giudizio, però, non prefigura grandi spazi di agibilità economica. Di conseguenza dovrà essere la legge di bilancio a individuare le risorse necessarie e ovviamente occorrerà farlo attraverso il fisco. Voglio esser chiara, non vorremmo che si desse seguito a quello che purtroppo il ministro Giorgetti ha già ha già annunciato, e cioè che qualunque tipo di misura dovrà essere finanziata all'interno del settore. Questo significherebbe, ad esempio, che se c'è bisogno di risorse per la sanità si dovrebbero trovare all'interno della sanità stessa. Sarebbe paradossale visto che abbiamo alcuni settori, la sanità appunto o l’istruzione, che sono già definanziati e che, al contrario, hanno bisogno proprio per dare anche attuazione al Pnrr di ulteriori investimenti. 

E poi c'è il tema dell'emergenza energetica, delle bollette e dell’inflazione...
Nella Nadef ci sono 21 miliardi per fronteggiare queste emergenze. Ricordo che nell'arco del 2022 abbiamo speso circa 70miliardi, quindi pensare di affrontare il 2023 con 21 miliardi vuol dire non aver compreso l’entità della questione. Questa è la ragione che ci fa dire che occorre reperire le risorse attraverso il fisco. Serve rendere esigibile e ampliare il gettito da extra profitti, serve una serie e incisiva lotta all’evasione, e invece si parla di condoni, mandando così un messaggio totalmente sbagliato. E serve ragionare su un contributo di solidarietà: quando le risorse sono poche si devono far scelte per far dare di più a chi più ha. 

A leggere la Nadef si trova confermata la previsione di riduzione dei finanziamenti per sanità e istruzione. Se non si implementa la spesa corrente in questi due settori, sono a rischio le riforme previste dal Pnrr.
In realtà nella Nadef si riduce la spesa corrente e si prevedono aumenti su alcune poste di bilancio, ad esempio, sugli investimenti per far fronte ad alcuni anticipi di investimenti europei, e per l’aumento dell’8% della spesa pensionistica per l’adeguamento, neppure completo, all’inflazione. Insomma, servono risorse aggiuntive altrimenti si rischia di scoprire proprio i capitoli di spesa che riguardano l’inclusione e la coesione sociale o di non dare risposte all’emergenza. Basta osservare il folle dibattito sul reddito di cittadinanza ridotto a bancomat per recuperare risorse per finanziare la flat tax. Trovo francamente paradossale che si riducano le risorse per chi è in povertà assoluta, per consentire un risparmio fiscale a quelli che ricavano tra i 65 e i 100.000 euro l’anno.

Proprio di flat tax si parla molto nel Documento sull'economia non osservata, dove si mette in evidenza come invece che essere un modo per recuperare risorse dall'evasione fiscale, diventa uno strumento per l'evasione fiscale stessa...
Lo dice la Relazione della Commissione: emerge con chiarezza che c'è un addensamento attorno a 65 mila euro, questo vuol dire che siamo in presenza del fenomeno distorsivo delle sotto dichiarazioni per rimanere nel regime della tassazione agevolata. Pensare addirittura di innalzare la soglia è una follia, non significa assolutamente far emergere l'evasione ma aumentare il numero di chi paga meno tasse con il regime agevolato, continuando così a mantenere le condizioni per le sotto dichiarazioni e il nero.

Veniamo al decreto Aiuti quater. Sono due le cose principali del testo: da un lato il rifinanziamento di tutti i bonus e i contributi per famiglie e imprese rispetto al caro energia, dall’altro è messo nero su bianco l'innalzamento dell'uso del contante che invece di scendere a 1.000 euro come era previsto dalle norme, arriverebbe a 5 mila euro.
Il decreto dovrebbe prorogare semplicemente le misure che scadevano a novembre. Una di queste, il credito d'imposta per le imprese, ha un costo molto oneroso, tre miliardi. Altro intervento quello della rateizzazione delle bollette, ma pare solo per le imprese. Dovrebbe esserci, poi, un intervento di allargamento dei fringe benefit, e si agisce anche sul superbonus facendo un'operazione che in qualche modo mette in difficoltà chi fino ad oggi ha avviato i lavori. Significa, di conseguenza, migliaia di aziende e migliaia di lavoratori a rischio. Non è un caso che le categorie degli edili abbiano chiesto un incontro urgente con il governo per cercare di sventare un rischio concreto.

E cosa pensi dell'innalzamento del contante?
È un provvedimento sbagliato che lancia un messaggio profondamente sbagliato, e che fa il paio con l’annunciato condono. Aumentare o diminuire l’uso del contante ha a che fare esclusivamente con la possibilità di rendere tracciabili le transazioni economiche. Aumentarne la soglia mette in discussione la possibilità per il nostro Paese di recuperare un pezzo di evasione. Segnalo che la seconda imposta più evasa dopo la l'irpef degli autonomi è l'iva. E poi, Meloni al Senato ha affermato che non esiste nessuna correlazione scientifica tra uso del contante ed evasione. Si sbaglia. Innanzitutto è bene ricordare che siamo stati più volte richiamati dall’Europa, da ultimo nel 2019, a diminuire l’uso del contante proprio in funzione del contrasto all’evasione fiscale. E poi ricordo che la Banca d'Italia nel 2021 ha pubblicato uno studio – Pecunia olei – nel quale è dimostrato che un aumento dell’1% delle transazioni in contanti determina un aumento dell'economia sommersa tra lo 0,8 e l’1,8%. Non ne abbiamo proprio bisogno. C’è chi afferma, poi, che l’aumento delle banconote disponibili serve al nero di necessità. Ecco lo dico con fermezza: nero di necessità non esiste. Esiste il nero e basta. In questo Paese abbiamo bisogno di ricostruire un’etica pubblica condivisa e diffusa, non di mandare messaggi che incentivino illegalità e truffe ai danni della collettività. Perché l’evasione è una truffa ai danni dei cittadini e dei lavoratori onesti.

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