Passare dalle parole ai fatti per rispondere all'emergenza sociale: bisogna aumentare le risorse per le categorie più deboli. Abbattere l'Iva? Perché no
Tanto si è parlato, e ancora c’è chi insiste nel proporlo e quasi rivendicarlo, di togliere o abbassare l’Iva su alcuni generi alimentari di uso quasi quotidiano per rispondere all’emergenza sociale. La Cgil negli incontri che si sono tenuti a Palazzo Chigi in preparazione del decreto Aiuti bis, ha sostenuto con fermezza, ma anche con dovizia di argomentazione, la propria contrarietà a questa ipotesi.
Ma come, si dirà, un provvedimento che potrebbe ridurre lo scontrino della spesa per famiglie e cittadini vede la contrarietà della Confederazione? Quando si parla di possibili “sconti” occorre saper fare di conto e dire la verità. Occorre saper valutare i costi, i risparmi e i beneficiari. Solo così si capirà se quanto proposto è davvero un vantaggio economico e per chi.
L’Iva su latte, latticini e formaggi, su frutta e verdura, frumento e farine è al 4%. Quella su carne e pesce è al 10%. Se si esaminano i dati Istat sulla spesa delle famiglie si scopre che nel 2022 una famiglia media, per la spesa mensile, spende circa 9 euro in più rispetto ad un anno fa per l’acquisto di pane e cereali, circa 8 euro in più per la carne, 6 euro per latte e latticini, circa 4 auro in più per la frutta e 7 per la verdura. Se si eliminasse l’Iva il risparmio per quella stessa famiglia sarebbe: 3,32 su cereali e pane, 4,92 sulla carne, 2,55 su latte e formaggi, 1,78 sulla frutta e 2,75 sulla verdura. Come si vede risparmio davvero contenuto, di cui però beneficerebbero sia le famiglie a basso e medio reddito che quelle con redditi alti e altissimi. Non solo: poco risparmio per le famiglie ma mancato gettito consistente per le casse dello Stato. Quelle casse che devono provvedere però, alla sanità, all’istruzione eccetera. Ecco svelata la contrarietà della Cgil.
Così come non va bene il decreto Aiuti bis. Non tanto per le misure individuate, anzi l’idea di passare dal bonus una tantum a uno strumento strutturale è certamente positivo, ma l’ammontare delle risorse è del tutto insufficiente: 2 miliari e mezzo sui 17 del provvedimento. Anche in questo caso a parlare sono i numeri: un pensionato con assegno di 500 euro mensili, riceverà 42 euro lordi da ottobre a dicembre; l’assegno da 1.000 riceverà 84 euro lordi, quello di 1.500 vedrà un aumento di 126 euro. Ai lavoratori e alle lavoratrici non va meglio: chi riceve una busta paga di 660 euro avrà un beneficio mensile di 7,96 euro; a busta paga di 1.065 euro corrisponde aumento di 12,78; a busta paga di 1.497 euro aumento di 17,96 euro; chi guadagna 1.909 beneficerà di 22,90 euro in più. Ovviamente solo da luglio a dicembre. Insomma, il taglio del cuneo fiscale per i mesi di copertura del decreto ammonta a meno dei 200 auro ricevuti dagli stessi lavoratori e lavoratrici come una tantum a luglio.
“Continuiamo a ritenere inadeguate le risorse per rispondere all’aumento del costo della vita, previste nel decreto Aiuti bis – commenta Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Confederazione -. In sede di conversione del decreto occorre aumentare queste risorse, attraverso sia il recupero del mancato gettito degli extraprofitti non versate dalle imprese, che aumentandolo almeno fino al 50%. Il decreto verrà convertito nel bel mezzo della campagna elettorale: sarà l’occasione per passare dalle parole ai fatti”.
ELEZIONI. Dopo la rottura di Calenda sono più che mai valide le ragioni della richiesta a tutti i partiti che non stanno con le destre di presentare candidature concordate nei collegi uninominali per fermare il pericolo di subire un cappotto nel maggioritario
Giuseppe Conte (M5S) ed Enrico Letta (Pd) - LaPresse
Dopo la rottura dell’accordo, in precedenza sottoscritto con il Pd, da parte di Calenda a nome di Azione, riteniamo più che mai valide le ragioni dell’appello (pubblicato da il manifesto del 3/8/22) che avevamo rivolto a tutti i partiti che non stanno con le destre. Un appello a porre la difesa e l’attuazione della Costituzione a fondamento della presentazione di candidature concordate nei collegi uninominali, per fermare il pericolo di cappotto della destra nel maggioritario, che le consentirebbe di modificare unilateralmente la nostra Carta fondamentale, puntando sul Presidenzialismo e mettendo a rischio l’unità nazionale con l’autonomia regionale differenziata.
Non è sufficiente l’impegno assunto dal Pd con Sinistra italiana e i Verdi a contrastare ogni iniziativa mirata a modificare l’impianto della nostra Carta fondamentale, ribadendo l’opposizione al Presidenzialismo, la volontà di difendere la centralità del Parlamento e l’unità nazionale, contro ogni tentativo di alimentare le disuguaglianze tra territori.
Per potere dare un seguito a queste impegnative affermazioni è necessario la costruzione di una coalizione nell’uninominale che comprenda anche il Movimento 5 Stelle e altre formazioni di sinistra, senza
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AMBIENTE. Nei 5 giorni di Festambiente, la nostra festa nazionale svoltasi a Rispescia (Gr) dal 3 al 7 agosto, abbiamo parlato delle priorità ambientali per i prossimi Governo e Parlamento
Alleanze che vanno e vengono, diritto di tribuna, blocchi navali per fermare i migranti. In questo avvio di campagna elettorale, tra i temi affrontati abbiamo sentito di tutto. Davvero poco o nulla invece su una delle emergenze più gravi per l’umanità, quella climatica. Delle azioni da mettere in campo nei prossimi anni nel nostro paese per affrontarla in modo efficace sembra non volersi curare nessuno e la politica sembra essersi già dimenticata che siamo nell’anno del Po in secca in pieno inverno, della tragedia causata dallo scioglimento del ghiacciaio della Marmolada, delle ondate di calore e delle distruzioni causate da eventi meteorici estremi.
È proprio per questo che nei 5 giorni di Festambiente, la nostra festa nazionale svoltasi a Rispescia (Gr) dal 3 al 7 agosto, abbiamo parlato delle priorità ambientali per i prossimi Governo e Parlamento. Ci siamo confrontati con i ministri Enrico Giovannini, Stefano Patuanelli e Andrea Orlando, con il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, con parlamentari di tutti i partiti e schieramenti, imprese dell’economia verde italiana, associazioni di categoria e di cittadini, e abbiamo stilato un’agenda per la lotta alla crisi climatica.
Abbiamo ricordato i ritardi accumulati, considerando che nella prima metà del 2022, al netto di alcune semplificazioni sulla diffusione delle rinnovabili, il governo ha lavorato soprattutto per diversificare i Paesi esteri da cui compriamo gas fossile, per far ripartire le centrali a carbone o a olio combustibile, per far costruire rigassificatori galleggianti per importare gas dai paesi con cui non siamo collegati da gasdotti, per far partire di nuovo le estrazioni di gas dai fondali marini dove ci sono concessioni attive. Tutte azioni che ci hanno fatto tornare indietro nelle politiche climatiche.
Abbiamo allora sollecitato il taglio dei sussidi pubblici alle fonti fossili, la velocizzazione degli iter autorizzativi degli impianti a fonti rinnovabili, affrontando anche il problema dei pareri senza senso delle Sovrintendenze, l’aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) ai nuovi obiettivi europei di decarbonizzazione del RepowerEu, la necessità di approvare il Piano nazionale sull’adattamento climatico fermo dal 2018, l’urgenza di definire il quadro normativo per realizzare le comunità energetiche e quello sulle aree idonee alla realizzazione dei grandi impianti, di mettere a bando velocemente le risorse per l’agrivoltaico che produce elettricità verde in agricoltura senza consumare suolo.
Invece di usare in modo pretestuoso il dramma dei migranti che fuggono dai loro paesi, spesso per responsabilità dei paesi occidentali, o di parlare di soluzioni al problema dei rincari in bolletta, proponendo un surreale ritorno al nucleare, l’opzione tecnologica più costosa ormai fuori mercato grazie alla convenienza delle rinnovabili, ci aspettiamo nei prossimi 45 giorni proposte concrete per aiutare famiglie e imprese e per rendere finalmente libera l’Italia dalla dipendenza energetica dall’estero che alimenta tensioni e guerre.
A Festambiente si è parlato anche di strumenti per il coinvolgimento territoriale finalizzato a ridurre le contestazioni sulla realizzazione delle opere che servono (digestori anaerobici per produrre compost e biometano, impianti eolici a terra e offshore, infrastrutture ferroviarie moderne, depuratori, etc); dell’urgenza di un quadro normativo sulla riduzione dell’uso dei pesticidi e del supporto necessario per far decollare l’agricoltura biologica dopo l’approvazione della legge; di innalzamento del livello qualitativo dei controlli pubblici per prevenire le illegalità ambientali; di nuovi strumenti per la lotta alle ecomafie e alla criminalità organizzata attiva in agricoltura o nel racket degli animali; di perdita di biodiversità, riforma della legge quadro sui parchi per rispettare l’obiettivo del 30% di territorio e mare protetto entro il 2030; di lotta alla povertà energetica e alle ingiustizie sociali.
Le proposte non sono mancate ma il tempo sta scadendo inesorabilmente. È il momento dei fatti sulla vera transizione ecologica, che non abbiamo visto finora.
L’autore è presidente nazionale di Legambiente
Una ricerca e un documentario raccontano la vita e lo sfruttamento delle giovani donne in uno dei cuori pulsanti dell'industria globale asiatica: migrano dalla campagna lasciando famiglia e figli, per vivere in dormitori-alveare dove le loro attività sono limitate al minimo, nutrirsi e riposare, per poter affrontare gli intensissimi ritmi di lavoro
A partire dagli anni Novanta e con sempre maggiore intensità dopo l’entrata nel Wto del 2006, il Vietnam è andato attestandosi come uno dei cuori pulsanti della fabbrica globale asiatica. L’intensificarsi degli investimenti diretti esteri ha contribuito all’incremento dei movimenti di giovani donne dalle aree rurali alla volta dei parchi industriali. Questa è la realtà che il team di ricerca del progetto europeo Ecow, Empowering Civil Society and Workers in Vietnam, ha studiato in un’importante indagine sulle condizioni del lavoro operaio femminile nella grande industria vietnamita, che ha coinvolto 3 mila occupate nei settori dell’abbigliamento e nell’elettronica.
Ne è nato un documentario, attualmente in lavorazione, dal titolo SHE. Women Workers from Vietnam, prodotto da Antropica, per la regia di Parsifal Reparato, che al Sunny Side of the Doc de La Rochelle, uno dei più importanti mercati del cinema europei, si è aggiudicato il primo premio, Best Global Issues Pitch, e due premi speciali.
I ricercatori, assieme al regista e alla troupe, si concentrano sul parco industriale di Yen Phong, nel Nord del Paese, sede di una delle principali corporation dell’elettronica del mondo. Il parco occupa circa 80 mila lavoratori, prevalentemente giovani donne immigrate da aree povere e rurali o pendolari da zone relativamente poco distanti. Il punto di osservazione sono gli spazi di vita delle operaie, piccoli alloggi affittati privatamente in edifici-alveare, che si sviluppano in verticale o in orizzontale, e che spuntano come funghi, gli uni a ridosso degli altri, negli ex villaggi che circondano il parco.
Particolarmente diffusa in Vietnam, questa tipologia di dormitorio condivide molte delle caratteristiche tipiche del dormitorio ufficiale di fabbrica per come studiato, per esempio, in Cina o nell’Est Europa. Le attività delle lavoratrici sono qui limitate al minimo indispensabile, nutrirsi e riposare, per poter affrontare giornalmente gli intensissimi ritmi di produzione.
Al contempo il dormitorio non si presta alla stabilizzazione delle famiglie operaie nella zona industriale, resa già difficile da un sistema di regolazione della mobilità interna (ho-khau) che, introdotto in Vietnam nel secolo scorso sulla scia del modello cinese, tutt’oggi limita i diritti di cittadinanza dei migranti nelle zone di arrivo (per esempio, l’accesso a scuole e asili). Il dormitorio definisce così la strettissima integrazione tra gli spazi di vita e di produzione delle lavoratrici e la loro separazione da quelli dove si svolge la vita famigliare: per le donne con figli, per esempio, la migrazione comporta pressoché sistematicamente una dispersione dei nuclei tra campagna e zona industriale e i bambini tendono a essere affidati ai nonni, ai parenti, eventualmente all’altro genitore rimasto al villaggio.
La ricerca e il girato partono quindi dalla vita nel dormitorio e si muovono all’indietro sino ai villaggi rurali, e in avanti dentro la fabbrica. Un movimento che disvela come questi spazi apparentemente separati siano intimamente connessi, concorrendo a una specifica modalità di organizzazione dello sfruttamento imperniata sulle linee del genere. Non soltanto lungo l’asse zona industriale-campagna si consuma un’esternalizzazione dei costi della riproduzione sociale che concorre a tenere bassi gli stessi costi della forza lavoro.
Il mondo rurale è custode di norme e aspettative di genere ferree che attraversano gli spazi insieme alle lavoratrici, sino a incontrare a loro volta gli specifici requisiti imposti dalla fabbrica non soltanto in termini di intensità dello sfruttamento, ma anche della sua durata. Non di rado le stesse operaie associano la presenza femminile nell’industria a fasi definite del ciclo di vita di una donna: quando è giovane e single, o quando i bambini sono più facilmente affidabili alle cure dei familiari.
Il movimento verso la fabbrica, sino al suo interno, è lo scoglio maggiore che la ricerca-documentario affronta. In Vietnam l’accesso agli stabilimenti è pressoché impossibile, e lo stesso accesso alle lavoratrici e ai loro spazi di vita risulta difficile senza il supporto di un’istituzione locale. In questo quadro, il sito produttivo analizzato presenta caratteri di eccezionalità che ne fanno una sorta di fortezza. Per raccontare momenti della vita lavorativa particolarmente significativi, che altrimenti non si potrebbero conoscere, il regista anima un esercizio di etnografia performativa, dove le operaie rappresentano se stesse in teatro (nella foto di apertura, un momento della rappresentazione, ndr).
Il reparto controllo di qualità, uno dei più temuti, viene rappresentato come spazio simbolico dove si ricostruiscono dinamiche e paure comuni a molti dei reparti di fabbrica. Una sperimentazione certamente unica nella storia delle indagini sul lavoro in Vietnam. Ne emerge un regime fondato su complesse strategie di valutazione delle lavoratrici rese possibili da un controllo capillare del loro operato, che include il ricorso diffuso a dispositivi di sorveglianza quali foto e videocamere, e accompagnate da forme estreme di bullismo e abuso psicologico da parte di manager e leader: insulti durante il processo lavorativo o punizioni esemplari sulla postazione in caso di errori.
Il ricorso a strategie altamente coercitive per l’ottenimento di target produttivi sempre più alti e flessibili a costi contenuti è sempre più diffuso nei vari nodi delle catene globali del valore. Il regime dei controlli e delle valutazioni interne, arbitrariamente applicato secondo le esigenze del capitale, determina livelli altissimi di (auto-)sfruttamento e comporta al contempo una perenne esposizione delle lavoratrici alla perdita di pezzi di salario, così come della stessa occupazione, nonché a livelli estremi di logoramento fisico e psicologico che possono essi stessi definire i tempi di permanenza nell’industria
Il progetto SHE distilla la logica complessiva che sottende l’organizzazione dello sfruttamento nel settore dell’elettronica vietnamita usando una lunga ricerca ricca di informazioni, analisi, prospettive condivise da decine di giovani operaie e di familiari. Una logica che prende forma all’intersezione di molteplici oppressioni – lungo le linee della classe, del genere, della provenienza – prodotte, utilizzate, riprodotte a proprio vantaggio dal capitale, per modellare una forza lavoro a basso costo, sempre giovane e altamente produttiva, strutturalmente transitoria. La permanenza in fabbrica di una donna migrante raramente supera i cinque anni.
Le dinamiche ricostruite parlano del Vietnam e del Sud globale, ma anche di tendenze che ormai permeano ampiamente nei settori più diversi un mondo occidentale che ha quanto mai bisogno di riportare al centro le voci del lavoro. Anche in questa prospettiva SHE prova a essere un racconto dove ogni singola protagonista non soltanto disvela un pezzo di quel meccanismo più grande entro cui tutte sono risucchiate. Ma dà voce e corpo a come esso morda nella carne viva di esistenze fatte di desideri, aspirazioni, tentativi, sogni, solitudini, perdite d’identità. E ancora, al modo in cui le soggettività interagiscono costantemente con quel meccanismo, aderendovi, sfidandolo, resistendovi, provando a piegarlo, dentro e fuori gli spazi della fabbrica.
Il progetto Ecow, cofinanziato dall’Unione europea, si è svolto tra il 2019 e il 2021 in collaborazione tra l’Istituto di studi europei dell’Accademia delle scienze sociali di Hanoi (manager del progetto dott. Do Ta Khanh), l’università di Napoli L’Orientale (coordinamento scientifico prof. Pietro Masina) e altri centri di ricerca vietnamiti.
Michela Cerimele, geografa dello sviluppo, coordinatrice scientifica e del lavoro di campo progetto Ecow, coautrice del documentario SHE
Legambiente: “Stiamo pagando alto il ritardo negli investimenti sulle rinnovabili. Sì all’eolico off-shore. Emilia-Romagna pronta a scommettere sull’energia pulita del vento, giocando un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi energetici dell'Adriatico e dell’intero Paese”
EnergiaWind2020: “questo genere di impianto può rappresentare il manifesto della transizione energetica, il nostro progetto di Rimini e il progetto a Ravenna di Agnes nell’insieme potrebbero rilanciare la regione come pioniera dell’uso della risorsa eolica in mare.”
Agnes, costa romagnola permette le condizioni ideali per la realizzazione di eolico off-shore: “profondità di massimo 60-70m anche oltre le 12 miglia, permettono la realizzazione di turbine fisse con le attuali tecnologie a disposizione”
Si è tenuto questa mattina al museo della Marineria di Cesenatico il “Forum del mare: le prospettive per l’energia pulita nell’Adriatico del Futuro”. Un momento di dibattito e confronto tra esperti, amministratori locali, realtà associative e territoriali sul tema, per attivare sinergie territoriali che rendano possibile la totale decarbonizzazione della regione Emilia-Romagna al 2035, come previsto dal Patto del Clima e del Lavoro. La sfida è di trasformare il ruolo della Romagna da hub dell’industria fossile a pioniere della transizione verde, grazie ai progetti di eolico off-shore su Rimini e Ravenna.
Sono tre i progetti di parchi eolici off-shore presentati questa mattina all’iniziativa promossa da Legambiente, per una potenza complessiva di 930 MW, in grado di produrre energia per circa 1,2 milioni di famiglie: si tratta del progetto di Rimini di EnergiaWind2020 e i progetti Romagna 1 e Romagna 2 di Agnes. Numeri importanti non solo per il contrasto dell’emergenza climatica e per rendere il nostro Paese sempre meno dipendente dal gas fossile, ma anche perché rappresentano un’importante occasione di sviluppo sostenibile dell’intero territorio, in grado di produrre nuovi posti di lavoro, innovazione e di contribuire alla riduzione dei costi energetici. “Il progetto di Agnes Romagna potrebbe dare una grossa spinta alle società dell’Oil and Gas per la futura realizzazione di progetti di riconversione ecologica” – commenta Nicolò Lontani, technical manager di Agnes. Solamente i tre progetti presentati sulla costa romagnola apporterebbero 300 nuovi posti di lavoro nelle fasi di sviluppo e 180 in quelle della gestione e manutenzione. D’accordo anche Giovanni Selano di EnergiaWind2020: “questo genere di impianto può rappresentare il manifesto della transizione energetica”, commenta.
I progetti, viste le distanze dalla costa, non implicano alcuna criticità paesaggistica: il progetto a Rimini di EnergiaWind2020 - 330 MW di potenza complessiva e 59 aerogeneratori - verrebbe posto ad una distanza dalla costa tra 5,4 e 12 miglia, ovvero tra 8,6 e 19,3 km. “Si tratta di un progetto misurato, dalla superfice limitata” – commenta Giovanni Selano di EnergiaWind2020 – “che consente l’attivazione di molteplici attività connesse ed una conformazione tale per cui non è necessario identificare un’area chiusa ad uso esclusivo, ma ha la possibilità di attivare sinergie, in particolare con il settore della pesca, del turismo, e del monitoraggio ambientale”
Lo stesso vale sulla costa ravennate, dove si inserisce la progettualità di AGNES, con gli impianti Romagna 1 - 25 turbine per 200 MW complessivi, poste ad una distanza di almeno 22,22 km - e Romagna 2 - 400 MW per 50 turbine poste a circa 26 km. “In Romagna abbiamo una grande fortuna per quanto riguarda l’eolico off-shore” – commenta Nicolò Lontani di Agnes – “quella di avere batimetrie molto modeste, fino a 60-70m di profondità, che permettono un’applicazione di fondazioni fisse realizzabili con le tecnologie che abbiamo a disposizione.”
Potenziali benefici potrebbero esserci anche per la biodiversità marina: questi impianti, infatti, possono diventare luogo di ripopolamento per la fauna ittica e riparo per i cetacei, garantendo così non solo protezione dell'ambiente ma anche lo sviluppo sostenibile della pesca; settore sempre più in difficoltà per via del sovrasfruttamento delle risorse che, nel Mediterraneo, è arrivato a toccare la preoccupante percentuale del 75%. “Questi impianti, oltre a migliorare le caratteristiche del fondale marino, diverranno luogo per il ripopolamento della fauna ittica”, ha commentato Sauro Pari, presidente di Fondazione Cetacea.
“L’emergenza climatica che viviamo, la violenza delle guerre e il caro energia – ha commentato Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente– ci dicono che questo è il momento di agire, ripensando il nostro sistema energetico, nel modo di consumare e produrre energia, abbandonando le fonti fossili a favore delle fonti rinnovabili. Eolico e solare sono le fonti più promettenti del nostro Paese, patria del sole e del vento. Puntare sull’eolico off-shore, a terra e a mare, significa valorizzare le potenzialità che abbiamo a disposizione, realizzando progetti di qualità, frutto della partecipazione dei territori e degli stakeholder interessati, rinnovando il paesaggio. Stiamo pagando alto il ritardo negli investimenti sulle rinnovabili: è tempo di avviare un processo di decommissioning delle piattaforme fossili oggi esistenti, puntando su un turismo più sostenibile, in direzione di una vera transizione energetica. Così anche la Romagna potrebbe davvero giocare un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi energetici della regione e del Paese”.
“L’eliminazione di tutte le forme di energia derivate dai combustibili fossili, insieme ai processi di elettrificazione e di efficientamento energetico, deve assumere un ruolo centrale nelle politiche di sviluppo della nostra regione – ha sottolineato Davide Ferraresi, presidente Legambiente Emilia-Romagna – I nuovi progetti di parchi eolici contribuiranno a questa transizione indispensabile, che deve avvenire in tempi rapidi e che dovrà comprendere un’azione decisa anche sul fronte della diffusione degli impianti fotovoltaici a piccola e grande scala. L’installazione del nuovo rigassificatore a Ravenna e la richiesta di concessione di 25 anni ad esso collegata dimostrano però che la transizione non è ancora una priorità condivisa da tutti: serve una scelta politica chiara che riduca in modo deciso la permanenza di questo impianto nel nostro mare”.
All’incontro pubblico di oggi hanno partecipato Matteo Gozzoli, Sindaco di Cesenatico; Daniela Moderini e Giovanni Selano, EnergiaWind2020; Nicolò Lontani, technical manager Agnes; Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club; Sauro Pari, presidente Fondazione Cetacea; Massimo Serafini, ufficio energia Legambiente. Ha moderato Francesco Occhipinti, Legambiente Emilia-Romagna.
Si ringrazia l’amministrazione comunale di Cesenatico per l’ospitalità e la presenza all’iniziativa.
Il segretario generale della Cgil dopo l'incontro tra governo e sindacati sul decreto aiuti bis: "Abbiamo condiviso lo strumento delle decontribuzione, ma sulle cifre proprio non ci siamo. A un lavoratore ogni mille euro vanno dieci euro lordi, bisogna intervenire subito. Poi tassare gli extra profitti"
l decreto Aiuti bis "sul piano quantitativo del tutto insufficiente. Su 14,3 miliardi di manovra c'è un miliardo per i lavoratori e un miliardo e mezzo per le pensioni". Lo afferma il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, al termine dell'incontro tra governo e sindacati, spiegando: "Ridurre il cuneo contributivo in questa misura significa ogni mille euro ridurre dieci euro lordi al mese, per le pensioni ogni 500 euro ridurre dieci euro lordi. Cifre assolutamente insufficienti ad affrontare il problema. Questo decreto, così com'è, non va bene".
Nell'incontro con l'esecutivo, quindi, sulla decontribuzione "abbiamo condiviso lo strumento, anche perché potenzialmente strutturale, ma le risorse sono assolutamente inadeguate. Così non va. Visto che il Consiglio dei ministri si deve ancora riunire, chiediamo di intervenire".
DDL AIUTI BIS
Il leader di Corso d'Italia prosegue: "Abbiamo poi posto il tema degli extra-profitti. In questo caso non intervenire è uno schiaffo in faccia a chi paga le tasse. Per capirci, le entrate di Eni che balzano in alto arrivano dai rincari delle bollette pagati dalle persone. Su questo bisogna intervenire subito. Perché, ripeto, è uno schiaffo a lavoratori e pensionati e a chi ha sempre pagato le tasse. Le forze politiche ci riflettano: non pensino solo a cosa faranno dopo, ma anche a cosa fare adesso per essere credibili".
Insomma, a suo avviso, "il messaggio che deve arrivare adesso è che bisogna aumentare le risorse per lavoratori e pensionati". Infine i prossimi passi del sindacato: "Noi non ci fermiamo, stiamo ragionando su una serie di iniziative: faremo una grande assemblea di tutti i delegati a settembre per fare una nostra proposta per il Paese. Poi l'8 e 9 di ottobre, a un anno dall'assalto fascista alla Cgil, può essere l'occasione per trasmettere la nostra idea di Finanziaria e per costruire una rete europea antifascista".