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Le principali compagnie fossili europee, tra cui Eni, distribuiscono i ricavi aggiuntivi agli azionisti e non aumentano gli investimenti nelle energie pulite. Le analisi ReCommon-Merian Research.

 

Le compagnie oil&gas  realizzano profitti extra beneficiando dei prezzi elevati dei combustibili fossili, ma non aumentano gli investimenti nelle energie rinnovabili, perché i proventi aggiuntivi sono distribuiti agli azionisti, sotto forma di dividendi e programmi di riacquisto di azioni proprie (share buyback).

Intanto famiglie e imprese pagano bollette sempre più care e gli Stati cercano di arginare la crisi energetica con varie misure, tra cui, in alcuni casi, tasse sui ricavi straordinari delle imprese petrolifere e del gas.

Ma queste tassazioni non stanno funzionando come dovrebbero, in particolare in Italia, dove il gettito finora è rimasto ben sotto le attese.

A quanto ammontano gli extra profitti delle aziende fossili? E dove finiscono esattamente?

Una nuova ricerca di ReCommon (think tank indipendente che promuove la transizione green) e Merian Research (società di consulenza basata a Berlino), ha provato a rispondere a queste domande, esaminando le sei principali compagnie petrolifere europee.

È bene precisare che i ricercatori hanno confrontato i numeri del primo semestre 2022 con quelli di gennaio-giugno 2019, in modo da tralasciare il 2020-2021, un biennio fortemente condizionato dagli impatti della pandemia.

Nel documento si spiega che gli autori hanno calcolato la differenza tra i profitti dei due periodi sia dal punto di vista reddituale (utili netti adjusted), sia dal punto di vista finanziario (free cash flow).

In altre parole, si sono considerati gli extra profitti sia in termini di costi e ricavi (con relativi debiti e crediti commerciali), sia in termini di entrate e uscite effettive dei flussi di cassa, considerando come free cash flow la liquidità rimanente dopo aver finanziato gli investimenti, gli interessi e altre spese finanziarie e prima di pagare dividendi o riacquistare azioni proprie.

La tabella sotto, tratta dal documento, riassume le principali conclusioni.

Dalle analisi emerge che gli extra profitti delle compagnie petrolifere europee, in termini di utile netto adjusted, ammontano a un totale di 74,55 miliardi di dollari in più nel primo semestre del 2022, rispetto allo stesso periodo del 2019. In termini di free cash flow il totale è pari a 46,22 miliardi di $.

In media, si legge nella ricerca, gli extra profitti costituiscono il 3% degli asset in termini di utili e il 2% in termini di free cash flow; Equinor ha fatto risultati ben sopra la media, a causa della sua maggiore esposizione al mercato del gas.

Dalla prossima tabella emerge che le sei compagnie fossili hanno trasferito agli azionisti, tramite dividendi e programmi di riacquisto di azioni, 31 miliardi di dollari, che corrispondono rispettivamente al 42%-67% circa degli extra profitti generati, in termini di utili e di cash flow.

Gli analisti osservano che per il 2022 si prevedono investimenti nelle fonti rinnovabili per circa 8,72 miliardi di dollari; ciò significa che i ricavi aggiuntivi trasferiti agli azionisti, nel solo primo semestre 2022, sono più del triplo di tutte le risorse finanziarie destinate alla transizione verde in un anno intero.

La maggior parte delle compagnie petrolifere analizzate, afferma il rapporto di ReCommon e Merian Research, ha diminuito sensibilmente sia la produzione di idrocarburi sia il Capex, mentre ha aumentato la distribuzione dei profitti addizionali agli azionisti, senza annunciare (con qualche eccezione) nuovi investimenti nelle tecnologie pulite.

Si evidenzia poi che gli impatti delle tassazioni introdotte da alcuni Stati, come Italia e Gran Bretagna, finora sono stati molto contenuti: intorno al 5% degli extra profitti in termini di utile netto; gli extra profitti generati da Equinor saranno tassati al 70%-75% in virtù di una tassa addizionale sui redditi da petrolio già esistente in Norvegia, pari al 56% degli utili.

I risultati di Eni

Per quanto riguarda Eni, più in dettaglio, si parla di extra profitti, misurati come differenza tra primo semestre 2022 vs primo semestre 2019, che ammontano rispettivamente a 5,52-3,22 miliardi di euro, in termini di utili e di free cash flow.

Questi risultati straordinari, si spiega (neretti nostri nelle citazioni), “hanno spinto Eni ad aumentare i dividendi e le risorse destinate al riacquisto di azioni proprie. In termini di cash flow, nel primo semestre sono state riacquistate azioni proprie per 195 milioni di euro e sono stati pagati dividendi per 1,53 miliardi di euro”.

Si ricorda poi che il 26 maggio il CdA di Eni ha approvato un programma di acquisto di azioni proprie minimo di 1,1 miliardi, incrementabile fino a 2,5 miliardi, in funzione dello scenario del prezzo del Brent. Nel luglio del 2022, tale impegno di buyback è stato aumentato a 2,4 miliardi.

Gli analisti infine evidenziano che “il surplus straordinario di cash non è stato accompagnato da impegni per un maggior investimento nelle energie verdi“.

Nel primo semestre 2022, Eni ha già speso 1,73 miliardi di euro per pagare dividendi e riacquistare azioni proprie, mentre il target di investimento del comparto Green-Plenitude (decarbonizzazione, economia circolare e rinnovabili), per tutto il 2022, arriva a 1,92 miliardi di euro.

Guardando agli impatti della tassa italiana sugli extra profitti, i ricercatori sottolineano che “l’onere stanziato da Eni nel conto economico del primo semestre 2022 ammonta a 546 milioni di euro, di cui l’acconto del 40% è stato versato nel mese di giugno; il saldo è dovuto entro il mese di novembre”.

Mentre la Energy Profits Levy britannica sulle attività Uk di Eni dovrebbe fruttare circa 230 milioni di euro.

In tutto, quindi, “i due interventi di tassazione straordinaria dovrebbero costare a Eni circa 776 milioni di euro nel 2022, circa il 14% degli extra profitti calcolati come differenza tra primo semestre 2022 e primo semestre 2019″.

Ma a Eni, “in base al ricalcolo reso noto dalla stessa azienda il 31 agosto 2022, la tassa addizionale sugli extra profitti dovrebbe costare in realtà 1,4 miliardi di euro […] che si sommano ai 230 milioni stimati per le attività nel Regno Unito. In tutto, il peso delle tassazioni addizionali su Eni dovrebbe essere di circa 1,63 miliardi di euro nel 2022″.

Il punto, conclude il documento, è che per ora “le entrate fiscali dall’imposta italiana sono state decisamente minori delle attese. Entro giugno sarebbero dovuti entrare nelle casse pubbliche più di 4 miliardi di euro, la prima rata, mentre per ora ne sarebbe arrivato solo uno. Entro novembre dovrebbero arrivare altri 6 miliardi, ma il ritmo attuale pone seri dubbi sul risultato finale”.

Il 21 settembre di ogni anno ricorre la giornata internazionale della Pace, quest'anno l'appello per fermare i conflitti è ancora più urgente visto l'imperversare della guerra in Ucraina. Ma i luoghi di scontro armato sono quasi 60 in tutto il mondo e oltre 300 le aree di crisi cronica mentre le spese per le armi e militari continuano ad aumentare ovunque

L' Assemblea delle Nazioni Unite istituì nel 1981 la giornata internazionale della Pace che successivamente venne fissata per il 21 settembre di ogni anno. Nel 2001 gli Stati membri votarono una risoluzione affinché in quella giornata vi fosse il cessate il fuoco su tutto il pianeta. Che si fermassero le armi di tutti i conflitti almeno nel giorno della pace. Un giorno che durasse per sempre.  

Purtroppo, l’appello non ha messo a tacere le armi ma è sempre più urgente ricordarlo e rilanciarlo visto che la produzione e il commercio di armi, la spesa militare e le guerre godono di ottima salute. Chi sta male, invece, sono le popolazioni e il pianeta.

L’industria mondiale di armi, dal 2010 al 2020, ha prodotto un fatturato pari a 5.000 miliardi di dollari, con un trend di continua crescita

Un programma composito di richieste e proposte da sottoporre ai candidati di queste politiche, scritto dalle associazioni della società civile, idee che rispondono alle necessità dei cittadini, delle fasce più deboli, dei fragili, dei precari. Cose da fare e progetti da realizzare per cambiare modello di sviluppo

 

Non è esattamente un libro dei sogni, ma un insieme di richieste legate alle urgenze e alle emergenze del nostro Paese, alle necessità di noi cittadini, delle fasce più deboli della popolazione, dei fragili, dei lavoratori precari. È l’agenda sociale di cui l’Italia ha bisogno, fatta di idee e proposte che hanno come obiettivo il cambiamento del modello di sviluppo, elaborata dalle associazioni della società civile che hanno stretto un’alleanza con la Cgil per promuovere politiche di pace e disarmo, tutelare e creare lavoro, accelerare la transizione ecologica, rilanciare un welfare dei diritti. Un programma composito da sottoporre ai candidati di queste elezioni politiche, che copre a 360 gradi i temi più rilevanti, cose da fare e progetti da realizzare per il governo e il Parlamento prossimi venturi. Ecco una carrellata.

 

Viviamo all'interno di una crisi di sistema che può diventare crisi di civiltà: pandemia, guerra, inflazione e speculazione stanno scuotendo dalle fondamenta le istituzioni europee; in Italia i valori e le culture politiche costituzionali si stanno sfarinando e crescono impetuose le destre populiste e sovraniste.

L'Altra Faenza non grida al voto utile, ma invita a un voto democratico e per difendere la Repubblica fondata sul lavoro, anche in questo contesto elettorale illiberale che discende da una legge che ha, a nostro giudizio, i crismi dell'anticostituzionalitá.

Molti di noi, per la prima volta, si trovano in difficoltà nell'esercizio del voto; alcuni non escludono di differenziare il voto tra Camera e Senato, valutando attentamente le biografie politiche dei candidati. La nostra critica ai partiti di 'centrosinistra', alla loro pochezza ideologica e ideale, alla loro pragmatismo liquido, alla loro spinta all'autoconservazione di un ceto politico, è radicale; potremmo fare un elenco dettagliato e documentato degli errori, delle promesse mancate, delle riforme contro il lavoro, la scuola, i giovani: contro la stessa idea di democrazia, per come l'intendiamo noi; per non dire di tatticismi fini a se stessi, di previsioni politiche smentite dai fatti, di dichiarazioni infelici e ingenerose. La crisi dei partiti della sinistra è davanti a noi, con il suo effetto più devastante, un vuoto di rappresentanza: pezzi interi del mondo del lavoro votano a destra; pezzi interi non si recheranno alle urne; nelle fabbriche e nelle scuole stanno saltando le ultime cerniere e la reazione individuale prevale ormai dappertutto rispetto alla lotta comune.

Ma all'opposto, il minimo bene comune dell'Altra Faenza rimane la tensione all'essere comunità politica plurale e democratica. Questa tensione non si scaricherà su un unico partito, ma su un'area più ampia di opposizione e contrasto al centrodestra, un'area litigiosa e che ama più lo scontro che la sintesi unitaria, ma un'area che complessivamente - ma quanto parzialmente! - può (se vorrà) organizzarsi per resistere, ancora una volta.

Anche con una legge elettorale che stabilisce che un voto possa valere 1, oppure 0,63, oppure 0, non si può rinunciare alla politica. Non saranno solo i numeri parlamentari a descrivere lo stato del Paese, perché la geografia sociale e culturale nazionale è molto più complessa e articolata di come la presentano sondaggi e dibattiti televisivi.

Anche se non avranno lo stesso effetto sulla composizione del Parlamento, tutti i voti saranno contati. Impegniamoci a dimostrare che, numeri alla mano, il centrodestra non è maggioranza in questo Paese.

(E dopo il 26, non perdiamoci di vista).

 

Faenza, 18 settembre 2022

L'Associazione Politico-culturale L'Altra Faenza

 

Come funziona la scheda elettorale

Questa legge elettorale non consente di esprimere nessuna preferenza e nemmeno un voto disgiunto.
Per evitare di vedersi annullare il voto, si metta la croce solo sul simbolo del partito scelto (al quale è collegato un candidato uninominale, in simbiosi indissolubile).

Non si puó scegliere fra i nomi del proporzionale, perché la lista è bloccata.
Si può, invece, come sempre, fare una scelta diversa tra Camera e Senato.

L'Altra Faenza invita quindi a valutare anche le biografie politiche dei candidati prima di recarsi al seggio elettorale.

 

Alleghiamo di seguito i fac-simile delle schede per la Camera e per il Senato, dei nostri collegi.

 

IL DOSSIER. Aumentano gli eventi estremi, Legambiente: «È urgente un Piano di adattamento»

Clima, la mappa dei disastri. L’Italia non ha una strategia Una vista area dei danni del nubifragio nella zona di Senigallia - Ansa

Mentre sale a undici il numero accertato delle vittime dell’alluvione che ha colpito le Marche mercoledì, Legambiente diffonde i dati della mappa del rischio climatico del suo Osservatorio Città Clima, con un focus sulle alluvioni e sul Centro Italia: da gennaio a settembre 2022 l’Italia è stata colpita da 62 alluvioni (inclusi allagamenti da piogge intense) contro le 88 in tutto il corso del 2021. Manca ancora l’autunno, che secondo l’associazione ambientalista «aggraverà ulteriormente il bilancio».

NON SONO INDOVINI, a Legambiente, hanno semplicemente memoria: dal 2010 a oggi nella Penisola si sono registrate 510 alluvioni (e allagamenti da piogge intense che hanno provocato danni), di cui 125 nell’area del Centro Italia, e precisamente 57 nel Lazio, 36 in Toscana, 26 nelle Marche e 6 in Umbria. L’evento estremo che ha colpito l’entroterra marchigiano nelle province di Ancora e Pesaro e Urbino è solo «l’ennesimo campanello d’allarme che il Pianeta ci sta inviando: con la crisi climatica non si scherza, servono interventi non più rimandabili» sottolinea

Legambiente, mentre i politici si accorgono che la cassa di espansione del torrente Misa, sopra Senigallia, non è mai stata realizzata nonostante i fondi stanziati dopo l’alluvione di otto anni fa. Per Legambiente, tuttavia, non sono le infrastrutture la prima risposta, urgente e necessaria, di fronte agli effetti del riscaldamento globale: il primo è infatti il Piano nazionale di adattamento alla crisi climatica, «scomparso ormai da anni dall’agenda politica italiana», anche se siamo l’unico grande paese europeo a non averlo redatto e per questo rincorriamo «le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione che vada a tutelare le aree urbanizzate e gli ambienti naturali delle aree di pianura e montane».

IL PRESIDENTE di Legambiente, impegnato in questi giorni in un tour per presentare l’Agenda di 100 proposte per la prossima legislatura è categorico: «Non c’è più tempo da perdere. Serve aggiornare e approvare entro fine anno il piano nazionale di adattamento alla crisi climatica, in standby dal 2018, praticare serie politiche territoriali di prevenzione del rischio idrogeologico, con una legge nazionale contro il consumo di suolo (che nel 2021 è tornato a correre, al ritmo di 19 ettari al giorno, ndr) e interventi di delocalizzazione, e promuovere campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone».

IL PROBLEMA È CHE L’ITALIA è sempre più soggetta a eventi climatici estremi: nubifragi come quello capitato nelle Marche, ma anche trombe d’aria, ondate di calore, forti siccità, grandinate sono ormai in forte aumento e colpiscono soprattutto le aree urbane causando danni ai territori e mettendo a rischio la vita dei cittadini.

STANDO AI DATI dell’Osservatorio Città Clima curato dall’associazione ambientalista, da gennaio a luglio 2022 si sono registrati in Italia 132 eventi climatici estremi, che è un numero più alto rispetto alla media annua dell’ultimo decennio. Preoccupante anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a luglio 2022 nella Penisola si sono verificati 1318 eventi estremi, con impatti molto rilevanti in 710 comuni italiani. Eppure l’urgenza di rispondere non è percepita. In campagna elettorale si è parlato di temi ambientali solo in relazione alla crisi di approvvigionamento di gas, come hanno spiegato Greenpeace e Osservatorio di Pavia.

Sono trascorsi più di 4 anni, ricorda Legambiente, da quando l’allora ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti pubblicò in bozza il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. «Malgrado l’accelerazione evidente dell’emergenza climatica il Piano non è stato ancora approvato, nonostante siano passati nel frattempo 3 governi (Conte 1 e 2, Draghi) e 2 ministri (Sergio Costa e Roberto Cingolani)» ricorda Ciafani. L’approvazione del Piano potrebbe tra l’altro guidare l’utilizzo delle risorse del Piano nazionale ripresa e resilienza per realizzare opere rispondenti alle urgenti politiche di adattamento.

SECONDO LEGAMBIENTE oltre al clima bisogna intervenire in modo più efficace per la prevenzione del rischio idrogeologico, che è noto e mappato. Difficile, forse, far comprendere che tra gli interventi essenziali ci sono anche la delocalizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi più a rischio. Tra le altre misure essenziali, secondo Legambiente, anche il divieto di edificazione nelle aree a rischio, la riapertura dei fossi e dei fiumi tombati nel passato (una delle cause dell’inondazione di Cantiano), il recupero della permeabilità del suolo sostituendo asfalto e cemento. Serve, infine, un’attenzione straordinaria alla cultura di convivenza con il rischio, «per informare e formare i cittadini sui comportamenti da adottare in situazioni di emergenza». Perché i disastri non si trasformino in tragedie umane.