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Oltre quattro miliardi di persone andranno a votare nel 2024 e troppe sono le elezioni che non saranno libere. La mappa dei Paesi più a rischio

kbuntu - stock.adobe.com 

Oltre 4 miliardi di persone in 76 Paesi di tutto il mondo saranno chiamati alle urne in questo 2024. Un’ondata elettorale che mai prima si era vista nella storia, determinante per il futuro democratico globale e, in questo campo, le preoccupazioni non mancano.

I timori su di una rilevante deriva a destra al termine di questa tornata elettorale sono supportati anche dalle valutazioni dell’Economist intelligence unit, secondo le quali ci saranno votazioni pienamente libere ed eque in 43 Paesi, mentre altri 28 non soddisfano le condizioni essenziali per un voto democratico. L’indagine del Democracy Index, pubblicata dall’Economist, si basa su cinque criteri per classificare lo stato di salute della democrazia in 167 paesi del mondo: processi elettorali e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili. “Più di un terzo della popolazione mondiale è soggetta a un regime autoritario, mentre solo il 6,4% gode di piena democrazia”, è la conclusione più

Comunicato stampa M5S Faenza

File:M5S logo 2050.png - Wikipedia
Nel corso dell'ultima seduta del Consiglio Comunale avvenuta ieri sera, è stato approvato un ordine
del giorno riguardante l'autonomia differenziata tra regioni proposto dal nostro gruppo consiliare.
Un passo significativo che riflette l'attenzione della comunità locale verso temi di rilevanza nazionale.

È importa nte sottolineare che il dibattito non è solo sulla materia stessa, ma doveva essere
soprattutto sul metodo che deve guidare eventuali modifiche del titolo quinto della Costituzione.
Il Movimento 5 stelle è sempre stato convinto che si debba partire dalla consapevolezza che una
società giusta è necessariamente fondata sulla solidarietà come chiede la nostra carta costituzionale
e per questo abbiamo evidenziando la necessità di un approccio ed un percorso condiviso e
partecipato.

I partiti di opposizione, da Fratelli d'Italia ad Area liberale (Lega non pervenuta), hanno concentrato
l'attenzione sui contenuti del DDL Calderoli che si presenta sostanzialmente come una scatola vuota
privo, al momento, sia di provvedimenti che di finanziamenti. La discussione, infatti, ha evidenziato
l'assenza di chiarezza riguardo ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) per i servizi essenziali di
23 categorie con relative sottocategorie che richiederebbero ingenti finanziamenti. La richiesta di
uniformità, obbligatoria, su tutto il territorio nazionale ha fatto emergere dubbi sul processo decisionale.

Nel corso del dibattito è emersa, da parte delle opposizioni intervenute, una confusione continua tra
i principi di solidarietà e sussidiarietà. Inoltre è stato criticato, da parte del rappresentate di FDI, il
Presidente Conte, colpevole a suo dire, di aver tentato di riformare il rapporto Stato Regioni durante
i governi Conte 1 e Conte 2. Tuttavia, attraverso il nostro capogruppo Marco Neri, abbiamo ribadito
che il regionalismo in discussione con i governi Conte 1 e Conte 2 doveva rispettare i principi
fondamentali della Costituzione, promuovendo un’autonomia regionale solidale che favorisse
l'uguaglianza e la coesione sociale su tutto il territorio nazionale, evitando il risch io di competizione
tra le regioni.

Come spesso accade, anche ora in Parlamento, addossano responsabilità ad altri per spostare l’attenzione 

attraverso dichiarazioni infondate e di facciata.

Durante la discussione sia la destra che la lista civica di opposizione, hanno utilizzano nei loro
ragionamenti meccanismi propri di un'impresa privata confondendoli con quelli dello Stato, perciò
abbiamo ricordato ed evidenziando loro che la competizione non trova spazio in contesti istituzionali.

In conclusione, si è sottolineata l'importanza di ritornare ai principi della Costituzione per garantire
ad ogni territorio accesso a risorse adeguate per ridurre gli squilibri territoriali attraverso
un'applicazione corretta del principio di sussidiarietà. Solo attraverso un cambiamento radicale,
basato sui valori costituzionali, sarà possibile realizzare un regionalismo in sintonia con la visione
originaria della nostra Repubblica.
Ringraziamo il gruppo PD di Faenza per aver votato favorevolmente il documento. 

Movimento 5 stelle Faenza Capogruppo Marco Neri


Faenza 26/01/2024

LETTERA APERTA. In occasione della conferenza di Roma la Campagna 070, promossa da Focsiv, AOI, CINI, Link 2007, chiede al governo italiano di rispettare, entro il 2030, l’impegno assunto all’ONU, oltre cinquant’anni fa, di destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo italiano all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo

Sì a un piano per e con l’Africa. Lo sviluppo è una cosa seria Nel campo profughi di Kakuma, in Kenya - Ap

Guardiamo con vivo interesse alla Conferenza internazionale Italia-Africa, organizzata dal Governo italiano per il 28 e 29 gennaio, a Roma, per discutere di cooperazione insieme a Capi di Stato e di Governo dei Paesi del continente africano. Ci aspettiamo una discussione aperta e approfondita, coerente con l’intenzione rivendicata dalle nostre Istituzioni di dare vita a un modello di partenariato vantaggioso per tutte le parti, lontano da logiche paternalistiche o predatorie.

Una occasione da non perdere.

Attendiamo, in occasione della Conferenza, di conoscere meglio i contenuti del Piano Mattei per lo sviluppo dell’Africa, la cui struttura di governance è stata da poco confermata in Parlamento. Questo Piano suscita attenzione anche e proprio per la scelta del Governo di impegnarsi direttamente su un tema importante e complesso. Sentiamo quindi la necessità di offrire un nostro contributo di idee per il buon successo di questa iniziativa.

Sarà importante, in primo luogo, dare vita a un sistema equilibrato di programmi e di progetti per distinguere tra cooperazione allo sviluppo sostenibile in senso specifico – quella riconosciuta dalla Legge 125/2014 come “parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia” – e la promozione economica, che dovrebbe essere anch’essa realizzata in conformità con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Sarà importante distinguere tra la tutela dell’ambiente e l’adattamento ai cambiamenti climatici da un lato e, dall’altro, la promozione di esportazioni, investimenti e l’approvvigionamento, in particolare degli idrocarburi, e lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, come oggi recita il Piano Mattei.

Nella realizzazione del Piano Mattei, in coerenza con le previsioni della Legge 125/2014, l’Italia non potrà sottrarsi dal prevedere risorse adeguate, a partire dal rapido mantenimento dell’impegno assunto dall’Italia in sede ONU, ben 50 anni fa, di dedicare lo 0,70 % della sua ricchezza nazionale agli aiuti allo sviluppo, un valore che attualmente corrisponderebbe a circa 13 miliardi di dollari all’anno, contro i circa 6 miliardi di dollari per il 2022. Inoltre, l’iniziativa italiana potrà essere pienamente efficace se sarà capace di coordinarsi e di esercitare un forte effetto leva con e sugli strumenti e le risorse comunitarie nell’ambito di una nuova stagione delle politiche di sviluppo europee verso l’Africa e il Mediterraneo. Considerata la vastità dell’obiettivo è immaginabile che l’Italia possa convincere l’Unione Europea a un’azione coordinata per avere così maggiore impatto.

Ci sono preoccupazioni, come è facile immaginare di fronte ad un impegno così ambizioso. Preoccupa il fatto che il Piano Mattei possa tradursi in un superamento della citata Legge 125/2014, qualora i finanziamenti a valere sul Bilancio dello Stato risultassero sbilanciati a favore degli interessi d’affari privati e la cooperazione ridotta a convenienza economica, ridimensionando così il ruolo, ad esempio, della nostra Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Nel Piano Mattei deve essere evidente la consapevolezza che lo sviluppo non può fondarsi solamente sul capitale economico, ma necessita di capitale umano, di capitale relazionale e di capitale sociale e istituzionale; il Piano deve essere ancorato alla cornice dei Diritti Umani come statuiti dalla Carta delle Nazioni Unite e al consenso internazionale sullo sviluppo sostenibile come raccolto nell’Agenda 2030. Tutto ciò nella convinzione condivisa che la cooperazione internazionale non possa essere ridotta a mero dono, a un trasferimento monetario, dall’alto in basso, che può anche indurre dipendenza, sterile assuefazione per chi dà e per chi riceve.

Ancora più evidente deve essere la condivisione della consapevolezza che lo sviluppo non è riducibile all’acquisizione di fonti energetiche o di minerali “preziosi”, cosiddetti critici e strategici, alla competizione per la realizzazione di mega commesse infrastrutturali. Confidiamo che il Piano Mattei possa dare vita a una rinnovata consapevolezza riguardo a cosa possa essere la cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile. Dove sviluppo è condivisione fra le parti di obiettivi e partecipazione nella definizione di piani e attività. Sviluppo è investimenti nell’istruzione e nella formazione professionale, accessibilità universale alle medicine e ai servizi sanitari, riqualificazione delle periferie urbane, disponibilità di acqua potabile e di elettricità e di servizi TLC e digitali, promozione della imprenditorialità locale in partenariato, cura dell’ambiente e delle risorse naturali, programmi per la transizione ecologica, abbandonando i combustibili fossili, superamento delle monoculture agroindustriali.

Sviluppo sostenibile, ben definito nei consessi internazionali anche con il voto convinto dell’Italia, è anche due diligence, ovvero identificazione di rischi, problemi e garanzie nelle catene di valore, e criteri ESG per la sostenibilità ambientale e sociale nei nostri investimenti all’estero. E’ superamento delle barriere tariffarie europee, gestione generosa e prudente del debito, perché non diventi una spirale dalla quale i Paesi fragili non riescono a uscire e nella quale aumentano la loro dipendenza. È integrazione verso mercati equi e sostenibili, regionali e continentali, evitando i costi della competizione tra Stati e Regioni.

Sviluppo che richiede una “cooperazione di precisione” perché l’Africa, come altre realtà mondiali, non è un continente omogeneo ma presenta diversità significative che richiedono letture non stereotipate e politiche multidimensionali. Attenzione alle diversità culturali, di tradizioni, linguaggi e di risorse naturali, che sono elementi di grande ricchezza. Attenzione anche alle disparità reddituali e di costi immobiliari e di trasporto, alle istituzioni che sono diversamente stabili e quindi al rispetto dei diritti umani e sociali, diverso da Paese a Paese.

Sviluppo che richiede dunque la valorizzazione delle specificità territoriali e progetti su misura e non a taglia unica, con una eccezione: in ogni caso è necessario il coinvolgimento e il protagonismo delle giovani generazioni e delle donne. Sviluppo è progetti comuni, in partenariato, dialogando e lavorando con le comunità locali, con la società civile, con le associazioni, con le famiglie e le persone vulnerabili per esprimerne le potenzialità. Ed è dialogo interculturale e interreligioso. E’ tutela del l diritto ad una mobilità umana sicura, regolare e che sa creare ponti tra le società per uno sviluppo comune, equo e sostenibile.

Sviluppo è lavorare nelle periferie più abbandonate e nei villaggi più lontani, scavare un pozzo, costruire una scuola o un’infermeria, piantare alberi, curare un malato, nutrire un bimbo, rendere umano un carcere, sostenere lo sviluppo di una piccola azienda artigiana o contadina, salvare dall’estinzione un umile specie vegetale, promuovere l’associazionismo e la cittadinanza attiva, accompagnare movimenti sociali e dei popoli indigeni.
Sviluppo è cooperazione dal basso.

La Conferenza Italia-Africa e i primi passi del Piano Mattei diranno molto sul senso del cammino appena avviato. Perché l’Italia non deve accontentarsi delle parole senza azioni, delle azioni senza politiche e delle politiche senza cambiamenti profondi. E l’Italia ne ha le potenzialità.

In questo banco di prova ci riconosciamo come Campagna 070.

Legambiente Emilia-Romagna APS

Al via la nuova campagna di Legambiente e KyotoClub #perunsaltodiclasse con l’appuntamento di apertura della stagione invernale nel primo press tour organizzato dalle due Associazioni a Bologna, nel quartiere Corticella, che ha visto tecnici di Legambiente, insieme alle autorità locali, regionali e parti sociali, impegnati in analisi termografiche in diversi edifici residenziali – pubblici e privati – di epoche differenti, con l’obiettivo di “far toccare con mano” i principali problemi del settore edilizio come le dispersioni termiche che caratterizzano gli edifici e che portano ad un aggravio delle bollette energetiche.

Alla presenza, tra gli altri, di Silvia Piccinini, Consigliera regionale M5s, Francesco Tutino, dirigente Regione Emilia-Romagna settore sviluppo economico, Marco Odaldi, AESS, Roberto Guarinoni, CGIL Emilia-Romagna e il Presidente del Consorzio centrale termica di Corticella Adriano Rubini, il press tour ha preso il via dalla sede bolognese di Legambiente Emilia-Romagna. Prima tappa, le scuole primarie “Mader”, dove si sono riscontrate subito le prime criticità, insieme al nido “Marsili”, che a breve distanza ha mostrato risultati termografici abbastanza sconfortanti.

Gli edifici scolastici, nei quali i bambini trascorrono la maggior parte della loro giornata, sono risultati i meno efficienti e i più dispersivi a livello termico di tutto il campione esemplificativo esplorato.

Anche l’edilizia residenziale non se la passa bene: i condomini PEEP, legati per contratto alla centrale termica a metano di Corticella, hanno mostrato molte falle a livello di dispersione termica. Le testimonianze di alcuni proprietari degli appartamenti raccontano di bollette energetiche elevate non compensate dal raggiungimento di temperature confortevoli all’interno delle abitazioni.

Le indagini termografiche rappresentano ad oggi la tecnica più sicura, non invasiva e affidabile per questo tipo di monitoraggi. Con l’utilizzo di una termocamera, infatti, vengono rilevate le variazioni di temperatura delle superfici degli oggetti, determinando ponti termici, inefficienze e dispersioni che rappresentano non solo un inutile spreco di energia termica, ma anche lo stato di non comfort abitativo, costringendo milioni di famiglie a spendere molto di più per riscaldare gli ambienti, portando i costi delle bollette a valori decisamente notevoli. Questo strumento, infatti, misura la radiazione infrarossa emessa dalle superfici inquadrate, che varia in base alla temperatura, e i risultati vengono presentati all’operatore come un’immagine di differenti colori, ciascuno dei quali rappresenta diverse temperature superficiali.  E i risultati emersi da questo primo press tour non sono incoraggianti, perché evidenziano una significativa dispersione di calore in molteplici strutture, anche in quelle di recente costruzione. Un fenomeno che contribuisce all’aumento dei consumi energetici e comporta un impatto negativo sull’ambiente: non a caso il patrimonio edilizio è uno dei principali settori responsabili delle emissioni climalteranti con la sua forte dipendenza dalle fonti fossili, con particolare riguardo al gas: oltre il 40% del gas fossile consumato nel nostro Paese, infatti, viene proprio dal settore edilizio.  

“Occorrono politiche lungimiranti e urgenti non solo per combattere il cambiamento climatico, ma anche e soprattutto per ridurre le bollette energetiche di famiglie che, ormai e troppo spesso, non arrivano a fine mese – ha dichiarato Katiuscia Eroe, Responsabile Energia Legambiente -. Soprattutto considerando che oggi esistono tecnologie, competenze e conoscenze per portare la stragrande maggioranza delle abitazioni in Classe energetica A, riducendo i consumi fino all’80%. La nuova campagna #perunsaltodiclasse nasce non solo con l’obiettivo di far toccare con mano i principali problemi ambientali, climatici e sociali a chi oggi governa il Paese, regioni e città, ma anche di proporre soluzioni politiche e tecnologiche in grado di modificare radicalmente il ruolo di questo settore”.

“L’Italia ha bisogno non solo di politiche lungimiranti e più ambiziose di quelle che oggi si stanno definendo a livello comunitario, ma anche di dare risposte concrete alla mancanza di politiche di riqualificazione del settore edilizio che aiuterebbero le famiglie a ridurre i costi energetici, le imprese ad innovarsi e a creare migliaia di posti di lavoro, dando nuovo slancio al sistema Paese. A partire dalla decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento e raffrescamento e dall’utilizzo di materiali nuovi e innovativi già pronti sul mercato”, sottolinea Kyoto Club, partner di campagna insieme a Legambiente.

Diverse le misure che potrebbero essere adottate a livello nazionale e locale per migliorare la situazione, a partire da una riforma degli incentivi del settore edilizio accessibili a tutti in base alle prestazioni e al reddito – solo nel 2022 si sono spesi oltre 17 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi tra la promozione di caldaie a gas e sconti di IVA che rendono il patrimonio edilizio vetusto e inefficiente – passando per l’isolamento termico negli edifici, incoraggiando l’installazione di materiali innovativi e sostenibili per ottenerlo, finestre ad alte prestazioni energetiche, fonti rinnovabili per decarbonizzare i sistemi di riscaldamento e raffrescamento, comunità energetiche e configurazioni di autoconsumo collettivo.  

“Chiediamo un impegno concreto alla politica, affinché metta in campo azioni per favorire l’efficientamento termico degli edifici sia pubblici che privati – sottolinea Francesco Occhipinti Direttore di Legambiente Emilia-Romagna-. Gli incentivi e le detrazioni ad oggi utilizzabili non sono facilmente accessibili alle fasce più fragili della popolazione, che sono in realtà quelle che ne avrebbero maggiore necessità. Servirebbe anche una maggiore divulgazione degli strumenti già in essere, come il conto termico, utilissimo per l’efficientamento energetico degli edifici della pubblica amministrazione: sebbene dal 2016 l’utilizzo di questa misura di incentivazione sia aumentata, al 2023 registriamo un impiego di soli 147 milioni di euro su 200 disponibili”.

Il settore residenziale è secondo solamente a quello dei trasporti in termini di consumi finali di energia. L’Italia, dopo l’affossamento del Superbonus e della cessione del credito, necessita di politiche incisive e accessibili alle famiglie a medio e basso reddito. L’approvazione delle Direttive EPBD ed EED ed il loro recepimento da parte delle istituzioni italiane rappresenterebbe non la soluzione al problema, ma un punto di partenza nel percorso di decarbonizzazione del nostro patrimonio edilizio, ancora altamente climalterante.

A livello nazionale gli obiettivi possono essere decisamente più ambiziosi: abbassare entro il 2030 i consumi degli edifici residenziali, riducendo al tempo stesso il loro impatto emissivo, e uscire definitivamente dalla dipendenza dal gas nel 2035.

Nello studio “La decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento” condotto da Elemens per Legambiente e Kyoto Club, nel modello “Gas reduction 2030”, si va oltre gli obiettivi proposti dalla direttiva EED che stima per l’Italia una diminuzione di appena 6,1 miliardi di smc di gas fossile per il riscaldamento domestico rispetto ai consumi 2020, con una riduzione pari al solo 37% in meno: è importante che l’Italia riveda al rialzo gli obiettivi minimi di risparmio fissati dalla direttiva europea entrata in vigore a settembre 2023 per raggiungere almeno il 2% di riduzione annuo dei consumi nel 2024-2025 (+ 0,7% rispetto al limite europeo pari a 1,3%); il 3% nel 2026-2027 (il doppio di quanto stabilito dalla direttiva EED, pari ad 1,5%) ed il 4,5% nel 2028-2030 (+ 2,6 rispetto di quanto stabilito dalla direttiva EED, pari a 1,9%);  è fondamentale mettere in campo una serie di interventi strutturali non più rimandabili, eliminando incentivi e sussidi alle tecnologie a fonti fossili, migliorando gli strumenti di monitoraggio, modificando l’attuale sistema di detrazioni con l’introduzione di un sistema premiante proporzionale ai risultati ottenuti, e reintroducendo la cessione del credito per tutti gli interventi di miglioramento delle prestazioni energetiche. Inoltre, a partire dal 2025, vietando l’installazione di tecnologie che impiegano fonti fossili e introducendo un Fondo dedicato alle famiglie a medio e basso reddito per la copertura dei costi non sostenuti dal sistema incentivante. 

 

#perunsaltodiclasse è la nuova campagna di advocacy di Legambiente e Kyoto Club che nasce per sensibilizzare Amministratori politici nazionali, regionali e locali, cittadine e cittadini ma anche progettisti e condomini sull’importanza per il nostro Paese di avere una seria e lungimirante politica di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio, a partire dalla decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento e raffrescamento e dalla riduzione delle emissioni di carbonio incorporato che caratterizza la filiera delle costruzioni e delle riqualificazioni edilizie.

Il segretario generale della Cgil, in Friuli per l’elezione del nuovo segretario regionale, Michele Piga, parla di ddl Calderoli, riforma fiscale e sviluppo

 

Maurizio Landini a tutto campo. Il segretario generale della Cgil, oggi, 25 gennaio, in Friuli Venezia Giulia per assistere all’elezione del nuovo leader regionale, Michele Piga, risponde alle domande dei giornalisti a margine dell’assemblea. 

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, LANDINI: “GOVERNO NON ASCOLTA NESSUNO E PENSA CHE AVERE LA MAGGIORANZA IN PARLAMENTO SIGNIFICA POTER FARE CIÒ CHE VUOLE”

Il segretario generale della Cgil torna a parlare di autonomia differenziata dopo il voto con cui il Senato ha approvato il disegno. In attesa del passaggio alla Camera, il leader del sindacato di Corso d’Italia ripete quello che la Cgil dice da tempo sul tema. “Una scelta sbagliata, che indebolisce un Paese già abbastanza diviso e frantumato, penalizzando non soltanto le regioni del Sud. Proprio in un momento in cui ci sarebbe più bisogno di fare sistema, la logica di questo provvedimento ci porterebbe ad avere venti sistemi sanitari diversi, venti sistemi scolastici, venti politiche industriali. Una follia che dimostra come manchi la comprensione della dimensione, europea e mondiale, dei problemi che ci sono da affrontare”. Landini sottolinea la grave mancanza di vere riforme di cui il Paese avrebbe davvero bisogno in tema di istruzione e in tema fiscale. “Dobbiamo contrastare in qualsiasi modo questo disegno che in realtà modifica anche l’assetto costituzionale del nostro Paese. Lo abbiamo detto al Governo quando siamo stati coinvolti, gli abbiamo chiesto di non seguire questa strada, ma questo Governo non ascolta nessuno e pensa che avere la maggioranza in Parlamento significa poter fare ciò che vuole. Secondo noi sta sbagliando, anche perché la maggioranza del Paese non pensa questa cose".

 

RIFORMA FISCALE, LANDINI: “COME SI FA A TASSARE PIÙ IL LAVORO E LE PENSIONI CHE LE RENDITE?”

Il tema centrale, secondo l’analisi di Maurizio Landini, resta quello della riforma fiscale che potrebbe diventare lo strumento di una vera redistribuzione della ricchezza. “Non possiamo continuare a essere un Paese nel quale l’evasione fiscale è di oltre 100 miliardi di euro e allo stesso tempo continuare a tassare di più i lavoratori dipendenti e i pensionati rispetto alle rendite finanziarie e immobiliari”.

"Quando proprio nei guadagni da rendite finanziarie e immobiliari ci sono i soldi da andare a prendere per fare gli investimenti, far funzionare meglio la sanità, investire sulla scuola. I soldi per attuare quelle politiche industriali di cui il nostro Paese ha bisogno. E invece qui si continua a parlare di privatizzazioni e a dare incentivi, generali e non finalizzati, al sistema delle imprese. Così, secondo noi, si cacciano via soldi pubblici e non si fa crescere il Paese”.

POLITICA INDUSTRIALE, LANDINI: “IL GOVERNO VUOLE PRIVATIZZARE PER FARE CASSA O PER INVESTIRE NELLA CRESCITA E NELLE INFRASTRUTTURE?”

Se si guarda al futuro del Paese, mai come oggi a un bivio, bisogna scegliere quali scelte politiche intraprendere per dare una svolta alla crescita. Per questo Landini torna a parlare della politica industriale che manca da anni. “Si è detto di recuperare 20 miliardi di euro con le privatizzazioni e si rischia di svendere settori strategici, dalle ferrovie all’Eni, al Monte dei Paschi. Noi non abbiamo nulla in contrario rispetto all’ingresso di investitori stranieri in Italia, ma il punto è: per fare che cosa? Queste privatizzazioni – si chiede il segretario generale della Cgil – si fanno semplicemente per fare cassa o servono a far crescere gli investimenti e a realizzare le infrastrutture di cui avremmo bisogno? Da un certo punto di vista, noi pensiamo che aziende che sono controllate dal pubblico debbano andare in questa direzione. Tra l’altro noi in questo periodo stiamo chiedendo – penso alla ex Ilva – che lo Stato diventi azionista di maggioranza. Perché i settori strategici di un Paese, questo vuol dire fare politica industriale, debbano avere indirizzi precisi”. 

Per Landini il Governo non può continuare a distribuire soldi a pioggia e lasciare fare al mercato, deve indirizzare le risorse pubbliche e favorire chi vuole fare investimenti, facendo rete. Per questo l’autonomia differenziata è una follia, “perché in questa situazione raccontare che ogni singolo territorio è in grado, da solo, di reggere la concorrenza con il mondo intero, è una bugia. Si sta determinando invece una competizione al ribasso. Noi da tempo denunciamo la gravità della situazione che attraversa i settori strategici come la mobilità, l’elettrodomestico, la siderurgia, il digitale. Devi fare sistema e rete, non lasciare fare al mercato”.

Landini ha ricordato che la Cgil ha chiesto, inascoltata, dei tavoli nei quali si discuta insieme di sviluppo e dell’utilizzo dei soldi pubblici che l’Europa ha messo a disposizione e che dovrebbero essere spesi dentro un’idea di sistema. “Faccio tre esempi: abbiamo bisogno di rinnovare i mezzi del trasporto pubblico, li continuiamo a comprare in giro per il mondo o facciamo la scelta di potenziare le attività produttive per costruirli nel nostro Paese e investiamo su nuove tecnologie e sulla nascita della filiera? E poi, ancora, sulle politiche energetiche: investiamo sulle fonti rinnovabili, la produzione di pannelli solari, ad esempio, o li compriamo all’estero? E sull’intelligenza artificiale che cosa abbiamo intenzione di fare?”.

 

La destra vuole fare a pezzi l’Italia: bisogna fare di tutto per fermare l’autonomia differenziata approvata al Senato

Alle “trombe” della maggioranza di destra, che ha approvato il ddl Calderoli al Senato, occorre rispondere con una dura opposizione alla Camera e se necessario con le “campane” del referendum per abrogare il ddl Calderoli. Era prevedibile, dopo il patto tra Salvini e Meloni sull’approvazione dell’autonomia regionale differenziata e del premierato, che accadesse, ma l’Italia e la sua democrazia pagheranno un prezzo pesante se questi due obiettivi diventeranno realtà.

I numeri in Parlamento, purtroppo, consentono alla maggioranza di procedere. Solo le sue contraddizioni, che non sono poche, danno la possibilità di bloccare questa deriva scellerata. Il senatore Balboni, presidente della Commissione affari costituzionali, meloniano doc, ha mostrato quanto forti siano le contraddizioni di Fdi affermando che era ed è contrario al titolo V, ma che ora non vuole modificarlo perché approvato da un referendum popolare in cui lui era minoranza. Si tratta di una evidente contraddizione logica come ha replicato meritoriamente con forza il senatore De Cristofaro.

Dopo il sì del Senato, bisogna battersi alla Camera

Ora il disegno di legge Calderoli passerà alla Camera e questa è l’occasione per una opposizione senza quartiere. Non si tratta di un passaggio formale. Occorre rilanciare l’iniziativa per tentare di bloccare l’approvazione definitiva di un provvedimento sbagliato e regressivo: basterebbe anche un solo emendamento per rinviarlo al Senato. La maggioranza proverà a forzare la mano, subendo il ricatto della Lega, e non si può escludere che ricorra perfino al voto di fiducia. Parte dell’informazione sembra dare per scontata l’approvazione, vedremo, per ora non è ancora così. Ma dare per scontato è un modo per scoraggiare il movimento contro che è molto cresciuto e può ancora estendersi.

Per questo è necessario continuare ad informare e favorire la mobilitazione e la battaglia politica per fare conoscere i pesantissimi rischi se questa proposta diventasse legge dello Stato, per fare crescere la consapevolezza che occorre bloccarla. Non si tratta solo del fondamentale pericolo che a una parte decisiva dei cittadini e delle Regioni vengano ridotti i diritti e le strutture per garantirli, ma di un colpo all’Italia tutta, compresa quella parte a cui è stato raccontato che la devoluzione dei poteri porterebbe loro vantaggi. In realtà l’Italia intera risentirebbe pesantemente di un dualismo crescente. Diventerebbe meno giusta, meno solidale e meno concorrenziale per la frammentazione delle norme per le imprese che ne limiterebbero e intralcerebbero la concorrenzialità.

Qualche dubbio è penetrato in una parte della maggioranza, tanto da spingerla a tentare di correre ai ripari facendo approvare emendamenti al testo iniziale che cercano di evitare un aggravamento delle divaricazioni già esistenti tra Regioni e tra aree del paese. Peccato che siano norme mal scritte e inefficaci. Alcuni concetti inseriti non saranno efficaci e non realizzeranno gli obiettivi dichiarati. Infatti, questa è una legge ordinaria che non può impedire che una legge successiva – come sono quelle rafforzate che dovrebbero approvare le intese tra regione e governo – cambi le carte in tavola, sostituendole o derogando. E’ lo strumento scelto per mettere precisi confini all’autonomia che è sbagliato e insufficiente.

L’unico modo per garantire che le regole siano in grado di vincolare qualunque legge consiste nell’inserirle in Costituzione, come del resto abbiamo tentato con la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare. Ma i “preoccupati” della maggioranza non hanno avuto il coraggio di fare la scelta di inserire le modifiche nel titolo V della Costituzione, in particolare negli articoli 116 e 117 come noi abbiamo proposto, che oggi hanno formulazioni ambigue o sbagliate, che hanno permesso a Calderoli di dare sue interpretazioni, fino a contraddire i principi fondamentali della Costituzione che sono incompatibili con una legge che potrebbe rendere impossibile per i cittadini avere gli stessi diritti in ogni parte del nostro paese e finendo con il mettere in crisi la stessa unità nazionale.

E’ il momento di modificare il titolo V della Costituzione

A questo scopo era stata presentata la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per modificare gli articoli 116 e 117 che la maggioranza al Senato si è rifiutata di fare discutere prima del ddl Calderoli, come logica e razionalità avrebbero consigliato e poi ha bocciato, facendo un clamoroso autogoal.  Se parte della maggioranza, segnatamente Fratelli d’Italia, voleva impedire scivolamenti pericolosi negli effetti del ddl Calderoli avrebbe dovuto lei stessa proporre modifiche al titolo V inserendo alcuni vincoli che a quel punto avrebbero condizionato senza possibilità di deroga. Ad esempio il vincolo inserito nel ddl per le Regioni che chiedono più poteri, e soprattutto più soldi: che le stesse risorse debbono andare a tutte le altre è modificabile da leggi successive. In Costituzione sarebbe un vincolo reale, in una legge ordinaria può essere aggirato.

E’ importante che i senatori dell’opposizione abbiano denunciato questo rischio, richiamando il disegno di legge di iniziativa popolare, ma non sono stati ascoltati dalla maggioranza che ha fatto del patto per la devoluzione di poteri alle regioni, tra Fratelli d’Italia e Lega, un punto (per ora) intangibile.

Il fatto politico nuovo è che la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare ha ricevuto il sostegno dell’opposizione. I 106.000 firmatari del ddl costituzionale popolare possono essere soddisfatti di avere contribuito a individuare nella modifica del titolo V un obiettivo necessario. Questo risultato non era scontato, ed è importante perché porta oggi tutta l’opposizione alla consapevolezza che il titolo V del 2001 va superato in alcune parti per bloccare scivolamenti pericolosi come avviene con il ddl Calderoli. Ci sono, insomma, le condizioni politiche e sociali per arrivare alla richiesta di abrogare questo scempio, se diventerà legge, con referendum popolare. Oggi occorre rilanciare le modifiche al ddl Calderoli alla Camera e spingere l’opposizione parlamentare a fare crescere la sua pressione sulla maggioranza mettendo in luce i rischi e i pericoli di questa scelta.

Il grande trucco nella distribuzione delle risorse

Il trucco nella legge c’è ed è relativamente semplice. Riguarda non solo i poteri ma le risorse che Regioni come Lombardia e Veneto vogliono trattenere in misura maggiore dal prelievo fiscale. E’ del tutto evidente che se i quattrini da impiegare per riequilibrare le differenze tra le Regioni non possono crescere come afferma il ddl Calderoli e ad alcune di loro – Lombardia e Veneto anzitutto – verranno dati maggiori poteri e risorse, con la motivazione che lo stato già impiega quelle risorse per gli scopi indicati, le altre rimarranno con quello che hanno attualmente, cioè sotto le macerie finanziarie della spesa storica. In questo modo la distanza tra le regioni crescerebbe perché quelle che non hanno risorse da trattenere hanno bisogno di un intervento di solidarietà nazionale con fondi che vengono esclusi in radice proprio dal ddl che dovrebbe prevedere le risorse necessarie.

Quindi il trucco per dare soldi ad alcune Regioni e ad altre no c’è, ma si tenta di nasconderlo. Perché una parte della maggioranza ha accettato questa via, rischiando di compromettere – ad esempio – l’istruzione pubblica nazionale che è un punto fermo dei diritti insieme della coesione sociale? Perché la contropartita è l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, a cui tanto tiene Giorgia Meloni (questo è il vero scambio) che la vede come l’inizio di un cambiamento profondo della nostra Repubblica e della nostra Costituzione, da cui dovrebbe emergere come figura pigliatutto il capo del governo, riducendo drasticamente i poteri del Presidente della Repubblica e il ruolo fondamentale del Parlamento, costretto ad approvare le decisioni del governo o ad andare a casa.

Si tratta di un accentramento di poteri nelle mani del capo del governo mai visto e le “api operaie” (i parlamentari attuali della maggioranza) stanno già portando il loro contributo per accrescerne i poteri – come con il ddl Calderoli – prima ancora che sia approvata la modifica costituzionale del premierato. Vittima di tutto questo è l’Italia che verrà azzoppata da 2 modifiche sbagliate e controproducenti delle istituzioni del nostro paese. Poteri maggiori ad alcune Regioni concepite come traino, mentre le altre saranno lasciate al loro destino, e accentramento nelle mani del Presidente del Consiglio, riducendo drasticamente i poteri di indirizzo e controllo del Parlamento sul Governo e sul suo capo.

Un’altra Repubblica? Non solo. Un’altra Costituzione, superando quella democratica del 1948 basata sulla divisione dei poteri, nata dalla Resistenza che ha cacciato il fascismo e ridato dignità all’Italia.

25 gennaio 2024

Alfiero Grandi

vicepresidente CDC