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L’uscita anticipata diventa di fatto impossibile se non con riduzioni fino al 20%. Ghiglione, Cgil: valutiamo azioni legali per profili di incostituzionalità

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Il governo ha di fatto cancellato la possibilità della pensione anticipata per tanti lavoratori pubblici. Stiamo parlando degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (Cpdel), alla Cassa per le pensioni dei sanitari (Cps) e alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi) e alla cassa per le pensioni degli ufficiali giudiziari, degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori (Cpug).

Nell’ultima legge di bilancio, infatti, per coloro che nel sistema retributivo hanno un’anzianità contributiva inferiore a 15 anni, è prevista una revisione delle aliquote di rendimento per il calcolo della pensione anticipata che interessa chi perfezionerà il requisito dal 2024 in poi.

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“Questa revisione delle aliquote sulla pensione anticipata potrà determinare tagli importanti sulla quota retributiva di pensione fino a raggiungere il 20%”, spiega Ezio Cigna responsabile delle Politiche previdenziali della Cgil nazionale.

NON SOLO PENSIONI ANTICIPATE

Tale, di fatto, da rendere la scelta dell’anticipo difficilmente praticabile se non al prezzo di tagli pesantissimi. Non solo. Aggiunge Cigna: “Il taglio, e quindi la revisione delle aliquote di rendimento, riguarderà non solo le pensioni anticipate (42 anni e 10 mesi uno in meno per le donne) ma anche la pensione dei cosiddetti precoci” In sostanza, l’unica forma di pensionamento in vigore dal 2017 in avanti che prevede 41 anni di contributi a prescindere dall’età viene fortemente penalizzata.

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“Sembrerebbe uno scherzo, invece è proprio così: il governo è riuscito nell’impresa clamorosa di peggiorare la legge Monti-Fornero”, attacca Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil. Che aggiunge: “La scelta di questo esecutivo contro le pensioni dei lavoratori pubblici non aveva avuto mai precedenti di questo tipo”. Ma vediamo nel dettaglio cosa comporteranno queste novità.

DA QUOTA 41 PER TUTTI A QUOTA 48 PER I PUBBLICI

Per non subire la modifica delle aliquote di rendimento non ci sono molte strade da seguire: l’unica è quella del pensionamento di vecchiaia, attualmente con almeno 67 anni di età, ma che per molti rischia di essere un sacrificio troppo gravoso da sostenere. Addirittura un peso enorme per coloro che hanno contribuzione previdenziale a cavallo della maggiore età e che per evitare questo taglio sarebbero costretti a lavorare fino a raggiungere i 48 anni di versamenti.

QUOTA 46 PER I SANITARI E INFERMIERI: MA SOLO PER CHI HA INIZIATO MOLTO PRESTO

Se è vero che il governo ha provato, dopo le tante proteste, a mettere una pezza per i lavoratori pubblici del comparto sanitario, questo intervento parziale non cambia il giudizio assolutamente negativo della Cgil su questa norma. Solo per gli iscritti alla Cps e alla Cpdel che cesseranno l’ultimo rapporto di lavoro da infermieri, il taglio viene parzialmente ridotto in misura pari a un trentaseiesimo per ogni mese di posticipo dell’accesso al pensionamento rispetto alla prima data di decorrenza utile.

“In sostanza – osserva Cigna – il taglio potrà essere azzerato ritardando di tre anni l’accesso alla pensione anticipata (45 anni e 10 mesi per gli uomini, 44 anni e 10 mesi per le donne). Attenzione però, perché il Governo non è solo intervenuto sulla pensione anticipata, ma ha anche allungato (sempre per queste gestioni) le finestre di pensione (cioè il momento in cui si percepisce realmente la pensione una volta raggiunto il requisito).

Ecco come cambiano le finestre:

Quindi, se un infermiere dovesse perfezionare i requisiti per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi, uno in meno per le donne) a gennaio 2025, per evitare totalmente il taglio dovrebbe lavorare altri 3 anni, così da arrivare a 45 anni e 10 mesi nel 2028, sempre che prima non abbia raggiunto l’età della pensione di vecchiaia.

TAGLI MOLTO PESANTI

Ma a quanto ammontano i tagli? Le simulazioni dell’Ufficio politiche previdenziali della Cgil dimostrano in maniera chiara come la riduzione della quota di pensione retributiva per le pensioni anticipate cresce per coloro che hanno meno contribuzione al 31 dicembre 1995.

Con una retribuzione da 30 mila euro, sottolinea ancora Cigna, si passa da un taglio annuale di 927 euro (per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1983), fino a 6.177 euro (per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1994).

Con una retribuzione da 50 mila euro, si passa da un taglio annuale di 1.545 euro (per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1983), fino a 10.296 euro (per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1994).

Infine, con una retribuzione da 70 mila euro, si passa da un taglio annuale di 2.235 euro (per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1983) fino a 14.021 euro (per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1994).

Di seguito le simulazioni dell’ufficio delle politiche previdenziali:

Tagli che se proiettati sull’attesa di vita media (20 anni di pensione) diventano ancora più pesanti: per una retribuzione da 30 mila euro si va da 18.540 a 123.540 euro; per una retribuzione da 50 mila euro l’impatto è ancora maggiore: da 30.900 a 205.920 euro; infine, per una retribuzione da 70 mila euro, si passa da 43.260 euro fino a 288.300 mila euro.

GLI “ESODATI” DEL GOVERNO MELONI

C’è un aspetto infine passato sotto silenzio nonostante le proteste di Fp e Flc Cgil. E cioè le ripercussioni importanti, che nemmeno il Governo aveva previsto, di queste norme. A subirle i lavoratori già cessati dal lavoro e che sarebbero dovuti andare in pensione nei prossimi anni, come chi si trova in isopensione (art. 4 legge 92/2012) e che accederà alla pensione anticipata dal 2024 in avanti. Ebbene, queste persone non lavorando più non hanno come ovvio alcuna possibilità di evitare il taglio.

Stessa cosa per gli ex lavoratori della Banca Monte Parma e Banca nazionale delle comunicazioni, confluite in Intesa San Paolo, che si trovano nel fondo esuberi grazie allo scivolo sottoscritto e che adesso rischiano una pensione ridotta. E poi ancora altre situazioni particolari, come quelle di coloro che sono cessati nel pubblico da tempo e pensavano di accedere al pensionamento anticipato con l’istituto del cumulo contributivo.

In sintesi: tagli di migliaia di euro a cui è impossibile sfuggire. “Ma al governo – commenta Cigna – interessava fare cassa, modificando le regole per 700 mila lavoratori pubblici e incassando con questo intervento qualche miliardo, magari per favorire ancora una volta gli evasori”.

E il risultato è sempre lo stesso: “Sulle pensioni il governo continua a dire bugie, con una legge orientata a far cassa su pensionati e lavoratori, non solo pubblici – riprende Ghiglione –. Non c’è infatti come da noi più volte denunciato nessuna risposta per giovani e donne, nonostante l’esecutivo continui a sostenere la volontà di riformare il sistema”.

E, cosa gravissima, conclude la sindacalista, “è la prima volta che si interviene su posizioni contributive già consolidate nel tempo. Proprio per questo, a nostro avviso, la revisione delle aliquote di rendimento presenta forti profili di incostituzionalità, su cui stiamo valutando quali azioni legali mettere in campo a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori”.