Il cessate il fuoco prima di tutto, poi l’impegno della comunità internazionale, delle istituzioni globali e dei governi nazionali per un processo diplomatico che porti alla risoluzione del conflitto in Medioriente, nel segno del rispetto dei diritti umani. Con questo appello che si è conclusa l’iniziativa promossa ad Assisi dal sindacato dei pensionati Cgil. Simbolico il luogo scelto: la Sala della Pace del Sacro Convento della Basilica di San Francesco.
Un appello, quello al cessate il fuoco, risuonato fin dai saluti di Padre Marco Moroni, della sindaca della cittadina umbra e del segretario generale dello Spi Cgil regionale Andrea Farinelli. Il cuore dell’evento è stato il confronto tra esponenti politici israeliani e palestinesi: Aida Touma-Suleiman in collegamento da Tel Aviv, deputata palestinese al Knesset per il partito di Hadash; Ilan Baruch, presidente del Policy Working Group, già ambasciatore israeliano in Sud Africa e Jamal Zakout, scrittore palestinese, componente del Palestinian National Council.
Tre voci diverse, tre esperienze differenti che hanno tutte chiesto di fermare immediatamente le uccisioni di massa nella Striscia di Gaza, di avviare i negoziati di pace con il sostegno e l’impegno della comunità internazionale e che quei negoziati partano dalla fine dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele.
“L’assalto di Hamas del 7 ottobre – doloroso e terribile per la popolazione israeliana – non è arrivato dal nulla. Ha alle spalle una storia di sopraffazione e oppressione. Continuare a ignorarlo impedirà di trovare una soluzione pacifica al conflitto”.
Paola Caridi, autrice del libro “Hamas. Dalla Resistenza al regime”, ha ripercorso la storia del conflitto mediorientale negli anni recenti sottolineando la debolezza della posizione europea e i fattori che hanno finora impedito la costruzione di uno Stato Palestinese, indispensabile perché il processo di pace si compia.
Giuseppe Provenzano, responsabile esteri della segreteria nazionale del Partito Democratico ha sottolineato come il caos che circonda l’Unione – dall’Ucraina al Medioriente passando per il Nagorno-Karabach – imporrebbe alla politica europea di fare la propria parte. “In Italia – ha dichiarato Provenzano - la presidente del Consiglio si è addirittura nascosta su questo tema, ma il vuoto di iniziativa politica colpisce al cuore l’Europa alla vigilia delle elezioni europee”.
A concludere i lavori Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi Cgil, che rilancia la soluzione due popoli e due Stati e sollecita la politica italiana ed europea a fare la propria parte: “La guerra è tornata a essere il braccio lungo della politica, magari un po’ meno governata che in passato, in un contesto in cui le leadership politiche sono in crisi, così come gli equilibri mondiali. Eppure senza tentennamenti dobbiamo chiedere che si sospenda qualsiasi forma di guerra, che si attivino tutti i canali di diplomazia e di ascolto. A breve saremo chiamati a confrontarci e ad esprimerci su quale Europa vogliamo. Cogliamo quest’occasione per ripartire dai valori fondativi dell’Europa, fondata su libertà, uguaglianza, stato di diritto e sicurezza dei popoli. Siamo una generazione che ha una storia e una memoria. Non tramandiamola soltanto. Teniamola bene a mente quando affrontiamo le crisi e le difficoltà del presente”.
GLI INTERVENTI
Padre Marco Moroni: “Mi auguro che da qui, in questa giornata, si riesca a influire per il cessate il fuoco in Medioriente. Il cessate in fuoco oggi è il minimo indispensabile, l’obiettivo è costruire una realtà di pace in ogni modo che la fantasia umana possa trovare”.
Stefania Proietti, sindaca di Assisi: “Sono grata al sindacato dei pensionati per aver scelto Assisi per l’iniziativa “Parole di Pace” ma soprattutto per aver avuto il coraggio di parlare di pace con ospiti che vengono dal cuore pulsante della fede e della guerra. Oggi, infatti, parlare di pace con tutte e due le parti coinvolte nel conflitto è difficilissimo. Manca proprio il vocabolario perché ciascuno è offeso in ciò che ha di più caro. Eppure noi non possiamo rassegnarci né tanto meno abituarci alle cifre di questa violenza”.
Andrea Farinelli, segretario generale Spi Cgil Umbria: “Il nostro compito, anche come sindacato, è favorire e far crescere una cultura del dialogo, del rispetto e dell’ascolto attraverso l’impegno quotidiano di ciascuno di noi che costruisca azioni di pace, di cura e di solidarietà in un mondo che purtroppo va in tutt’altra direzione”.
Silvana Cappuccio, responsabile dipartimento internazionale Spi Cgil: “Rilanciamo in ogni sede la richiesta del cessate il fuoco. Difendiamo il principio di umanità. Per troppi anni la comunità internazionale e quella europea sono rimaste silenti a dispetto degli impegni e degli accordi assunti”.
Aida Touma-Suleiman, deputata palestinese al Knesset per il partito di Hadash: “Penso che abbiamo alle spalle 111 giorni di inferno, brutalità e violenza. Sentiamo di vivere in un incubo ormai dal 7 ottobre, l’assalto di Hamas ci ha scioccato e ha prodotto un enorme dolore ma la guerra contro Gaza e la sua popolazione è orribile. Nulla può legittimare i crimini commessi dopo l’attacco del 7 ottobre né può farci dimenticare anni di occupazione e oppressione militare di Israele su Gaza. Non si può continuare così: le uccisioni di massa che si sono susseguite per decenni, quelle odierne di donne e bambini - che costituiscono il 70% delle vittime di Israele in questo conflitto - non sono tollerabili. Se la guerra contro Gaza non terminerà adesso, assisteremo a catastrofi ancora peggiori. Dobbiamo chiedere ad Hamas di rilasciare gli ostaggi, perché ciò avvenga c’è un’unica strada: avviare i negoziati immediatamente. Senza garantire il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e il rispetto dei diritti non può esserci pace. Questo deve essere l’obiettivo di un processo diplomatico che per partire deve porre fine all’occupazione avviata nel 1967. Solo in questo modo, infatti, potremo garantire la sicurezza personale e nazionale di entrambe le parti. Abbiamo aspettative sulla comunità internazionale. Sappiamo che ci sono tante manifestazioni di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese ma serve l’impegno dei governi. Il governo israeliano non vuole la diplomazia, pertanto deve essere la comunità internazionale a intervenire per fermare questa deriva”.
Ilan Baruch, presidente del Policy Working Group, già ambasciatore israeliano in Sud Africa: “Cito Nelson Mandela che disse ai suoi compagni che finché il popolo palestinese non avesse avuto la propria libertà e autodeterminazione, la lotta contro l’apartheid non avrebbe potuto dirsi conclusa: uno Stato per ciascuno, l’autodeterminazione per entrambi, sulla base di un principio di uguaglianza. La nostra tragica storia dimostra che da soli israeliani e palestinesi non sono in grado di risolvere un conflitto centenario, il fallimento dei negoziati – da Oslo in poi - suggerisce che il ruolo di facilitatori assunto dagli Stati Uniti o dall’Europa è insufficiente, quindi crediamo che il processo vada rivisto e che debba assumere un carattere multilaterale. L’assalto del 7 ottobre non è arrivato dal nulla. Il governo israeliano vuole far passare il messaggio che Hamas abbia agito in quel modo perché “nazista”; non possiamo cedere a questo, non è così: dietro l’assalto di Hamas ci sono decenni di violenze, occupazione e oppressione. Io dico che Israele è uno Stato piccolo, la popolazione è tanta, ma c’è terra per tutti, c’è spazio per tutti. I palestinesi hanno il diritto di vivere la propria vita dignitosamente, hanno diritto a un proprio Stato esattamente come gli israeliani. Quindi mi appello alla comunità internazionale perché lavori per una soluzione diplomatica di pace che vada a beneficio di tutti e che per tutti sia giusta”.
Jamal Zakout, scrittore palestinese, componente del Palestinian National Council: “Se non viene riconosciuto il diritto dei palestinesi a esistere e vivere nell’autodeterminazione è impossibile che il conflitto si concluda. Come persona che crede nella pace, dopo il 7 ottobre, e ogni giorno, sono convinto che il governo israeliano, un governo – lo ricordo - di estrema destra abbia un solo progetto: portare a termine la Nakba, l’esodo palestinese del 1948. D’altro canto nei cinquant’anni di occupazione israeliana che hanno preceduto il 7 ottobre, pur essendo uno Stato membro delle Nazioni Unite, Israele non è stato mai chiamato a rispondere delle proprie azioni. Quando uccidi centinaia di persone e nessuno ti chiede di fermarti, perché mai non dovresti arrivare a ucciderne migliaia, se questo è il tuo obiettivo. Questa guerra ha scopi nascosti significativi: non si vuole affatto di smantellare Hamas, ma prevenire la costruzione di uno Stato palestinese, concludere un progetto che risale ormai a quasi ottant’anni fa. Come dicevo, sbaglia chi sostiene che il conflitto sia cominciato il 7 ottobre scorso, il conflitto è nato, appunto, con la Nakba del 1948, quarant’anni prima della costituzione di Hamas”.
Paola Caridi, autrice del libro “Hamas. Dalla Resistenza al regime”: “L’Europa è stata citata più volte: come Godot, come qualcuno che si attende e non arriva mai e, però, lo si attende anche con una certa emozione. Per anni rispetto al Medioriente l’Europa è stata considerata un elemento di terzietà in contrasto con la posizione degli Stati Uniti e, in particolare di alcune amministrazioni statunitensi, schiacciata su Israele. Penso che ciò sia avvenuto anche per un’assenza di conoscenza del Medioriente da parte dell’Europa. Ora però ci viene richiesto, come poco fa ha ripetuto Ilan Baruch, di intervenire, di “salvare” i due popoli, non con uno spirito “colonizzatore” ma come quel modello politico e pacifico uscito dalla seconda guerra mondiale. Questa è la funzione che l’Europa dovrebbe avere e che tuttavia non vuole assumere”.
Giuseppe Provenzano, responsabile esteri segreteria del Partito Democratico: “L’Europa è circondata dal caos – pensiamo alla guerra in Ucraina, a quella in Medioriente, al Nagorno Karabakh. Ritengo che questo caos sia frutto della riduzione della politica avvenuta in questi anni, dell’idea che si potesse affidare e delegare la politica internazionale ai soli interessi economici. Il conflitto mediorientale è emblematico di questa nostra rimozione. Come Partito Democratico abbiamo chiesto che ci fosse una missione del Partito Socialdemocratico europeo in Israele e Palestina. Le nostre posizioni si sono misurate con posizioni molto diverse, come quelle dei socialdemocratici tedeschi. In Italia la presidente del Consiglio Meloni si è addirittura nascosta su questo tema, ma il vuoto di iniziativa politica colpisce al cuore l’Europa alla vigilia delle elezioni europee”.
Ivan Pedretti, segretario generale Spi Cgil: “La guerra è tornata a essere il braccio lungo della politica, magari un po’ meno governata che in passato. Noi parliamo di pace non perché siamo un’organizzazione sindacale pacifista ma perché la pace è un valore fondamentale della vita di una persona e così deve essere interpretata. Rilanciare l’idea di pace vuol dire rilanciare un’idea culturale che passa anche attraverso i popoli. A noi il compito di forzare la mano, di costringere la politica - italiana ed europea, in particolare - ad agire. Lo facciamo in un contesto in cui la guerra è tornata a essere il braccio lungo della politica, magari un po’ meno governata che in passato, in cui le leadership politiche sono in crisi, così come gli equilibri mondiali. Eppure senza tentennamenti dobbiamo chiedere che si sospenda qualsiasi forma di guerra, che si attivino tutti i canali di diplomazia e di ascolto. A breve saremo chiamati a confrontarci e ad esprimerci su quale Europa vogliamo. Cogliamo quest’occasione per ripartire dai valori fondativi dell’Europa, fondata su libertà, uguaglianza, stato di diritto e sicurezza dei popoli. Siamo una generazione che ha una storia e una memoria. Non tramandiamola soltanto. Teniamola bene a mente quando affrontiamo le crisi e le difficoltà del presente”
L’esame della nuova legge prosegue al Senato. È urgente fermare l’emendamento che impedirebbe il diritto di cronaca. Petizione a Mattarella: non firmi il testo
AGENZIA SINTESI
Poco prima di Natale, mentre il Parlamento era alle prese con la legge di Bilancio, Enrico Costa, deputato di Azione, ha presentato un emendamento alla legge di delegazione europea che mette il bavaglio alla libertà di informare e riduce il diritto ad essere informati, violando così interamente l’art. 21 della Costituzione. La Camera dei deputati ha dato il via libera al testo non solo con il voto favorevole della maggioranza di governo, ma anche con quelli di Azione e di Italia Viva dell’opposizione. Ora il provvedimento è al vaglio del Senato.
COSA DICE L’EMENDAMENTO
Se la proposta di Costa diventasse legge, sarebbe vietato pubblicare “integralmente o per estratti” quanto contenuto nelle ordinanze di custodia cautelare fino a conclusione delle indagini o dell’indagine preliminare. In sostanza si impedisce il diritto di cronaca di giornalisti e giornaliste, si viola il diritto a essere informati di cittadini e cittadine e in qualche modo si violano i diritti degli indagati, perché i “si dice” sono cose assai diverse dalla trasparenza,
CONTRARI NON SOLO I GIORNALISTI
Sono i magistrati a sostenere che quella in attesa nella Commissione di Palazzo Madama è una norma niente affatto a garanzia degli indagati. Sostiene ad esempio Raffaele Cantone, procuratore della Repubblica a Perugia e in passato magistrato anticamorra: “Quando leggo che il divieto di pubblicazione dell’ordinanza rafforzerebbe la presunzione di innocenza dell’arrestato, non capisco il collegamento. La presunzione di innocenza è fornire una informazione corretta per evitare che si formino pregiudizi. Quindi è il contrario. Una informazione incompleta potrebbe produrre danni all’indagato impedendo di riferire elementi utili alla sua difesa, al contesto in cui ha agito. La completezza dell’informazione è la migliore garanzia per tutti: per l’opinione pubblica, per l’indagato, per le parti offese”.
LA PETIZIONE
È stata promossa e lanciata dalla Rete No Bavaglio a sostegno della mobilitazione lanciata da Fnsi, Usigrai e Ordine nazionale dei giornalisti. L’obiettivo è netto: si chiede che il Parlamento non approvi il testo dell’emendamento Costa, e al presidente Mattarella di non firmare la norma se malauguratamente fosse varata. L’appello è rivolto al “mondo dell’informazione, della cultura, della società civile, ai sindacati, alle reti sociali, a tutti i cittadini che hanno a cuore la libertà di informazione e il diritto a essere informati”. Marino Bisso, mente, braccia e cuore della Rete No Bavaglio, si definisce “un operaio del giornalismo innamorato della libertà”, e racconta: “Abbiamo lanciato la petizione con le nostre sole forze, nei primi giorni erano circa 200 le persone che firmavano, nella sola giornata di oggi ne abbiamo raccolte oltre 6.000. Penso che si stia capendo che quell’emendamento non riguarda solo i giornalisti, gli effetti che quella norma produrrebbe riguarderebbe tutti e tutte”.
Il divieto di pubblicare le ordinanze cautelari fino al termine dell’udienza preliminare, approvato dalla Camera, viola l’articolo 21 della Costituzione
IL SINDACATO C’È
La firma l’ha apposta il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, a nome suo e dell’organizzazione, e poi Stefano Milani ha sottoscritto per sé e per tutta la redazione di Collettiva. Con loro, tra gli altri, l’Associazione Articolo21, Libera lnformazione, Cgil, Arci, Libera, Legambiente Libertà e Giustizia, Ordine dei giornalisti del Lazio, Associazione Nazionale Giuristi Democratici, Collettiva, MoveOn Italia, Associazione Stefano Cucchi, Free Assange Italia, Coordinamento per la democrazia costituzionale, Udu Roma, Gay Net, Stampa Critica, Assopace Palestina, Fillea Cgiil Roma Lazio, Anpi G. Matteotti Flaminia-Tiberina, Anpi Teresa Noce Fiano Romano, InLiberaUscita, Agenzia Pressenza, Reti di Giustizia, Obct Transeuropa, Associazione Senza Paura, Associazione Coordinamento Antimafia Anzio Nettuno, Associazione Socio-Culturale Nawroz, Bibliopop, TastoRosso, Uisp, Stampa Romana, Sindacato Cronisti Romani e Giornale Radio Sociale.
TANTI I TENTATIVI DI LIMITARE LA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE
Da settimane, però, è come se si fosse “scatenata” una vera e propria azione concentrica per limitare la possibilità di informare, oltre che il diritto a conoscere quel che accade. Dalle norme per limitare l’uso e la pubblicazione delle intercettazioni fino agli attacchi scomposti nei confronti di giornalisti, trasmissioni di inchiesta come Report e gruppi editoriali. Fino all’invio delle veline stile mattinale di antica memoria, per indicare a colleghi di partito come comportarsi e alle testate amiche cosa dire degli operatori dell’informazione.
Dice ancora Bisso: “La Rete nacque nel 2015 quando con Stefano Rodotà scrivemmo un appello contro il tentativo di impedire la pubblicazione delle intercettazioni. Allora a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi. Si ha la sensazione che in Italia esista una specie di partito trasversale che vuole silenziare quell’informazione d'inchiesta che dà fastidio, che non è patinata, e allora si prova a delegittimare giornalisti e gruppi editoriali che si ritiene non favorevoli al governo”.
GRANDE L’ALLARME ANCHE IN EUROPA
Dominique Predalié dell’International Federation Of Journalist ha affermato in una intervista a Repubblica: “Trovo scandalose le dichiarazioni della premier italiana. Quando si è ai vertici dello Stato è particolarmente grave prendersela direttamente con un editore e una redazione”. E lancia un vero e proprio allarme perché vede avanzare “una deriva liberticida” nei confronti della stampa in Europa che a suo giudizio “coincide con l’ascesa al potere di dirigenti di estrema destra”. Preoccupazione condivisa da Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine dei giornalisti, e dalla segretaria della Fnsi Alessandra Costante, che sempre sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari hanno sottolineato i rischi che corre la democrazia del Paese se il diritto ad essere informati viene via via limitato.
LO SCENARIO
È sempre Bisso a ricordare che quello dell’editoria è in realtà un settore debole, sono sempre meno i giornalisti con un contratto a tempo indeterminato con redazioni forti alle spalle, sono sempre più i precari e i freelance. “Negli ultimi 15 anni – ricorda – sono sparite testate e migliaia di posti di lavoro. Così si mina il pluralismo e si rendono più fragili i colleghi che sono anche spesso vittime di querele temerarie. Stiamo arrivando al punto che potrà fare il giornalista solo chi è ricco di famiglia e potrà permettersi di guadagnare poche centinaia di euro al mese”
COME REAGIRE
Facendo crescere la consapevolezza che a rischio è la qualità della democrazia nel nostro Paese, ricordando un principio caro proprio a Stefano Rodotà: “L’informazione è un bene comune” e come tale va tutelato. “L’informazione può essere buona o cattiva – chiosa Bisso – ma senza libertà è sicuramente cattiva perché condizionata da quei poteri forti che non sempre agiscono per il bene comune. Questo dobbiamo riuscire a fare capire ai cittadini e alle cittadine: non poter conoscere, non poter essere informati in modo adeguato espone a un rischio molto elevato”. E allora buona firma a tutti e tutte, buona mobilitazione collettiva in difesa della libertà di informazione, della libertà di essere informati così come la Costituzione prescrive.
La giornata, che sarà conclusa dal segretario generale Maurizio Landini, si svolgerà durante quattro sessioni, dalle ore 9 alle ore 16.45, che vedranno un confronto di numerosi e numerose esponenti del mondo accademico e sindacale che discuteranno del concetto di autonomia in un’ottica storico-sindacale.
Un’altra idea di autonomia - di Riccardo Ciccarelli
IL CONFLITTO. È l’antidoto al regionalismo differenziato e all’autoritarismo del «premierato». Ha ispirato una grande storia a sinistra. Per la Fondazione Di Vittorio l'idea di autonomia va usata contro il governo Meloni
torino operaie anni 70 - Tano D'Amico
Autonomia come autogoverno e autodeterminazione delle persone, della classe, dei popoli. Autonomia operaia e dei consigli di fabbrica. Autonomia come democrazia diretta, sociale e politica. Queste, e altre declinazioni, del concetto – quello di «autonomia», appunto – sono state fatte nella lunga e travagliata storia della sinistra sindacale, comunista, socialista e liberale.
QUESTA STORIA si è sviluppata sempre nel fuoco delle lotte in Italia. Ha dato esiti stupefacenti molti fallimenti, riprese insperate. Fu rielaborata dall’Ordine Nuovo con Antonio Gramsci nel primo «biennio rosso» (1919-1920). Il grande politico e filosofo, fondatore del Pci, allora parlava di una delle istituzioni dell’autonomia: i «consigli operai». Erano «cellule prime» della democrazia rivoluzionaria. L’idea dell’«autonomia» tornò trasformata nel secondo «biennio rosso»: tra il 1968 e l’«autunno caldo» del 1969. Nacquero le organizzazioni autonome: il Consiglio Unitario di base (Cub) alla Pirelli di Milano. Altri consigli di fabbrica si erano strutturati prima.
UNA STORIA POTENTE. Ha attraversato prospettive leniniste, luxemburghiane, proudhoniane, gramsciane, socialiste e comuniste, liberalismi originali opposti a quelli classisti ed economicisti. C’è stata l’epica, la tragedia e il martirio. Quello di Piero Gobetti ucciso dai fascisti. Ci sono le traiettorie di socialisti come Vittorio Foa, oppure quelle di fondatori dell’operaismo: un gigante come Raniero Panzieri, per esempio. La riflessione sull’autonomia si ritrova, in altre posizioni, quelle di un segretario della Fiom e della Cgil, oltre che pensatore di prim’ordine: Bruno Trentin.
CI SONO STORIE di formidabili dibattiti pratici e teorici che hanno coinvolto le riviste più belle, i convegni più combattuti, gli intellettuali, gli operai, i militanti culturali e di base. Ci fu il dibattito sulle «sette tesi sul controllo operaio» del 1958 di Raniero Panzieri e Lucio Libertini sulla rivista del Psi «Mondo operaio». Molti ricordano e praticano l’operaismo dei «Quaderni Rossi».Su un altro versante possiamo trovare, per esempio, la storia della «nuova sinistra», quella de Il Manifesto. E ancora i movimenti rivoluzionari degli anni Settanta. In tutta evidenza, non stiamo parlando di una prospettiva unica, ma irriducibilmente plurale, spesso conflittuale, comunque problematica. Com’è la storia delle sinistre. Mille fili che però oggi potrebbero essere intrecciati in una genealogia eretica. Per creare nuove idee e cortocircuiti nel presente.
QUESTA È STATA l’intuizione che ha ispirato un bel convegno organizzato ieri all’università Roma Tre dalla Fondazione Di Vittorio (Cgil). I densissimi interventi, senza una pausa, possono essere ora rivisti sul sito Collettiva.it. In tale contesto è stata avanzata un’ipotesi di lotta culturale, dunque politica.
OGGI, È STATO DETTO, il concetto di «autonomia» è stato sequestrato dalle destre leghiste e postfasciste che compongono il governo Meloni. Quest’ultimo si regge su uno scambio osceno che rompe l’unità nazionale e rafforza l’autoritarismo dilagante. I leghisti Salvini e Calderoli vogliono imporre l’«autonomia differenziata», una «secessione» delle regioni «ricche» (Veneto e Lombardia, per cominciare) che aspirano a costituirsi in micro-staterelli. Meloni e i suoi «Fratelli d’Italia» vogliono il «premierato» che metterà in discussione sia il parlamento che le funzioni dello stesso presidente della Repubblica.
«LA STORIA DELL’AUTONOMIA come autogoverno e come pratica democratica non ha nulla a che vedere con l’autonomia differenziata di Calderoli ed è l’antidoto allo scambio osceno con il presidenzialismo di Meloni -ha detto Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio – Si tratta di un doppio autoritarismo. Per contrastare questa deriva possiamo ispirarci a queste tradizioni. Bisogna tornare a lavorare dal basso, cambiare profondamente il sistema sociale. La sinistra di governo ha gravissime responsabilità. Senza la riattivazione della partecipazione democratica nella società e nel lavoro non sarà possibile rispondere alla crisi della partecipazione sulla quale cresce anche la regressione in atto».
«IL DIBATTITO SUI CONSIGLI di fabbrica oggi è prezioso – ha detto Luciana Castellina, co-fondatrice de Il Manifesto – Anche oggi è possibile immaginare forme di democrazie diretta non solo nei luoghi di lavoro ma nella società. Da qui possiamo ripartire nel momento in cui prevale la frammentazione e l’astensionismo. Possiamo reimpadronirci della gestione di pezzi della società costruendo poteri sul territorio. la gestione diretta dei beni comuni serve anche a cambiare la cultura diffusa attraverso le pratiche della democrazia diretta. Oggi non c’è solo la fabbrica, che è decentrata al suo interno da appalti e subappalti. Il nostro problema è creare poteri collettivi, decentrati e diffusi, anche fuori da essa, cioè nuove istituzioni nella società».
«CON LA PROPOSTA del “sindacato dei diritti” Bruno Trentin ha indicato come il sindacato deve aprirsi alla partecipazione dei cittadini e unirla a quella sui luoghi di lavoro. Questa idea pone la necessità di una maggiore radicalità della nostra azione – ha detto il segretario della Cgil Maurizio Landini – Il governo ha un progetto organico, corporativo, autoritario. Meloni ha chiesto il referendum sulla riforma costituzionale per affermare la propria leadership. Noi dobbiamo usare il referendum per obiettivi opposti e affermare la democrazia in nome della Costituzione. Dobbiamo portarci all’altezza dello scontro o rischiamo che il conflitto prenda un’altra strada»
Dura la Cgil: “Le cifre a nove zeri evocate da Meloni sono virtuali. La realtà è una totale assenza di risorse aggiuntive”
“Su anziani e non autosufficienza, la presidente del Consiglio, la ministra e la viceministra delle Politiche sociali superano Zuckerberg in quanto a realtà virtuale, nel descrivere un mondo che non c'è. Insomma un governo già nel metaverso, peccato che i 3,8 milioni di anziani vivono e soffrono in Italia, nel mondo reale”. Lo afferma la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi.
“Dopo gli annunci trionfalistici della presidente del Consiglio del ‘governo della Propaganda’ - prosegue la dirigente sindacale - ministra e viceministra del neo ‘Minculpop’ non vogliono essere da meno nell’annunciare le misure per anziani non autosufficienti contenute nel Decreto appena varato in attuazione della Legge 33/2023, evocando suggestive cifre a nove zeri”.
Il Consiglio dei Ministri vara il primo provvedimento attuativo della legge 33. Per Cecconi, Spi: “Non sembra esserci nessuna risorsa. Sarebbe clamoroso”
“Peccato che la realtà dei fatti - aggiunge Barbaresi - sia ben diversa a partire dalla totale assenza di risorse aggiuntive per finanziare le nuove misure. In particolare, non c’è nessun euro in più per sostenere la cosiddetta ‘prestazione universale’ (di 1.000 o 850 euro?) che di universale ha ben poco visto che i destinatari sono individuati con criteri molto restrittivi: almeno 80 anni, Isee non superiore a 6 mila euro, titolare di assegno di accompagnamento ed essere non autosufficiente con un bisogno assistenziale gravissimo (da definire con prossimi decreti)”.
“Una misura - sottolinea la segretaria confederale della Cgil - che riguarderà un numero di persone che potrebbe variare da 25 mila a 30 mila al massimo, a fronte di una platea di 3,8 milioni di anziani non autosufficienti, di cui 1,4 milioni con l’assegno di accompagnamento. Dunque solo lo 0,7% di essi potrà accedere alla nuova misura. E tutti gli altri? Quale risposta avranno? E con quali risorse? Con i 500 milioni in due anni che già il Piano nazionale destinava alla non autosufficienza? Non vengono, infatti, previste risorse aggiuntive, si fa riferimento solo alle risorse dei fondi a legislazione vigente”.
“La riforma - conclude Barbaresi - deve garantire la presa in carico universale della condizione di fragilità della persona anziana da parte del sistema pubblico, superando divari territoriali. Pensare di farlo a colpi di annunci e con risorse date, che già oggi non bastano a garantire nè Leps - Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali - nè i Lea sanitari, può funzionare nel metaverso del governo Meloni, ma nella realtà, fatta di persone reali, con le loro fragilità e i loro drammi, le cose sono molto diverse e spesso drammatiche”.