Prosegue sotto traccia l’azione di negoziazione del Vaticano nella guerra in Ucraina, sia dal punto di vista politico che umanitario, con le pressioni per l’apertura di nuovi corridoi per i profughi e per la risoluzione della questione del grano bloccato nei porti, affinché «non venga utilizzato come arma di guerra», come denunciato da papa Francesco.
Bergoglio ne ha parlato anche con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ricevuta in Vaticano venerdì scorso, affrontando sia il tema delle armi (che l’Europa fornisce all’Ucraina) che quello delle «conseguenze alimentari del protrarsi del conflitto».
Un’attività diplomatica che incassa il plauso di Mosca. «Tutte le iniziative della Santa Sede e di papa Francesco che possono portare alla pace in Europa sono percepite con grande rispetto – ha spiegato Alexei Paramonov, capo dipartimento del ministero degli Esteri russo – Manteniamo un dialogo aperto e fiducioso su una serie di questioni, principalmente legate alla situazione umanitaria in Ucraina».
MA IL PAPA DEVE FARE I CONTI anche con alcune critiche da parte ucraina, che gli rimproverano di non condannare in maniera netta l’aggressione di Putin, come emerso dal resoconto di Myroslav Marynovych, vice rettore dell’Università cattolica ucraina di Leopoli, che la scorsa settimana ha incontrato il papa in un colloquio privato in Vaticano.
Una risposta indiretta arriva da padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e autorevole interprete delle mosse papali. «Francesco, sotto il profilo diplomatico, si assume la responsabilità di posizioni rischiose e incomprese, fino a ritrovarsi solo come una voce che grida nel deserto», scrive Spadaro.
«La diplomazia vaticana – aggiunge – guarda al momento presente, ma anche al prossimo futuro. In questo senso è chiara nella condanna, ma intende tessere e cucire, non tagliare. Non devono esserci dubbi sulla lucidità della condanna dell’aggressore», tuttavia «i papi non attaccano capi religiosi o politici. Francesco, come i suoi predecessori, fa appello alla soluzione dei conflitti e condanna azioni e scelte politiche o strategiche maligne. Questo genera la falsa percezione di un “neutralismo” del papa».
LA DIPLOMAZIA VATICANA si muove anche verso Kiev. Domenica scorsa, al termine dell’Angelus in piazza San Pietro, il papa ha ricordato «la popolazione ucraina, afflitta dalla guerra». E ha invitato a non dimenticare il conflitto in corso: «Non abituiamoci a questa tragica realtà!». E si riaffaccia la possibilità di una visita del pontefice a Kiev. La settimana scorsa si sarebbe svolto in Vaticano un incontro con una delegazione ucraina per discutere dell’eventualità, ma per ora è tutto fermo per la gonalgia al ginocchio che ha costretto Bergoglio a rinunciare al viaggio già programmato in Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan dal 2 al 7 luglio.
Domenica intanto c’è stato il passaggio di consegne fra il metropolita Hilarion e il metropolita Antonij. Hilarion, dal 2009 a capo del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca e di fatto numero due della Chiesa ortodossa russa, è stato improvvisamente allontanato da Mosca e inviato in Ungheria dal patriarca Kirill, come metropolita di Budapest. Al suo posto, come “ministro degli esteri”, Kirill ha chiamato il giovane Antonij, che in passato era stato suo segretario particolare.
UNA RIMOZIONE, secondo alcuni, causata delle posizioni di Hilarion sulla guerra, decisamente più moderate di quelle di Kirill. Ma potrebbe trattarsi anche di un allontanamento consensuale, ovvero che sia stato lo stesso Hilarion a chiedere di lasciare Mosca, per poter essere maggiormente autonomo da Kirill senza far esplodere le tensioni causate dal dissenso sulla guerra.
I primi atti di Hilarion a Budapest aiuteranno a comprendere meglio quale delle due ipotesi avvalorare. Per ora il neo metropolita di Budapest si è limitato a dire che l’avvicendamento è stato dettato dalle «esigenze dell’attuale situazione socio-politica».