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SENZA TREGUA. Missili sul porto di Odessa, cuore nevralgico dell’intesa appena raggiunta. Onu e Ankara in ansia: «Ma i russi negano». Kiev fa saltare i ponti nel sud occupato. Washington conferma: morti altri due cittadini Usa nel Donbass

L’accordo sul grano è già sotto attacco Una nave cargo davanti a Istanbul, prima di entrare nel Mar Nero - Ap

Dall’accordo sul grano all’attacco sul grano in meno di 24 ore. Difficile a credersi, il giorno dopo l’intesa che doveva evitare la fame nel mondo, liberando dalla trappola della guerra ucraina 20-25 tonnellate di grano e suoi derivati. Eppure i missili russi piovono proprio sull’area portuale di Odessa, che ospita i silos in cui quel grano aspetta di essere imbarcato in diretta mondiale.

DEI QUATTRO “KALIBR” giunti dalla Crimea ieri mattina sui cieli della città, due sono stati intercettati dall’antiaerea ucraina e gli altri due – secondo le autorità regionali – hanno colpito una struttura adibita alla lavorazione dei cereali. «Sono caduti sulla zona in cui avvengono i processi di spedizione e dove ovviamente c’era del grano», ha aggiunto il portavoce dell’esercito ucraino Yuri Ignat. Poco dopo la sua omologa del Comando Sud, Natalia Humeniuk, precisava che «l’attacco non ha causato danni significativi alle infrastrutture portuali», ma invitava anche a riflettere sul fatto che i missili Kalibr lanciati su Odessa «sono molto costosi e vengono considerati ad alta precisione, si è trattato di un’azione deliberata». Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky quanto accaduto «dimostra solo una cosa: qualunque cosa la Russia dica e prometta, troverà sempre il modo di non rispettarla».

LA RUSSIA SU QUESTO DICE e soprattutto non dice. Non si è potuto parlare di “covo di nazionalisti” come il giorno prima per i missili piombati su una scuola di Kramatorsk. Semplicemente il Cremlino sembra negare la paternità dell’attacco. Solo lo fa attraverso la Turchia, garante dell’accordo e mediatrice a questo punto anche nelle comunicazioni tra Mosca e il resto del mondo. Per interposta persona, come la firma sul grano. In ansia per le notizie provenienti da Odessa, il ministro degli Esteri turco Hulusi Akar ieri avrebbe chiamato sia Kiev che Mosca. «I russi – ha poi dichiarato – ci dicono che non hanno assolutamente nulla a che fare con questo attacco e che stanno esaminando la questione nel dettaglio».

Un po’ poco per evitare la sequela di reazioni sdegnate e i dubbi sulle sorti dell’intesa appena siglata a Istanbul. C’è l’ovvia e «inequivocabile condanna» del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres che sulla vicenda ci ha messo la faccia e secondo il quale l’applicazione integrale dell’accordo resta «un imperativo».

PER IL CAPO DELLA DIPLOMAZIA Ue Josep Borell è la conferma del «disprezzo da parte della Federazione Russa del diritto internazionale e degli impegni presi». Di «schiaffo di Putin all’Onu e alla Turchia che hanno compiuto enormi sforzi per giungere a un accordo» ha parlato il portavoce del ministero degli Esteri di Kiev, Oleg Nikolenko. «Se non verrà rispettato – ha aggiunto – la Russia avrà la responsabilità di una crisi alimentare mondiale».

AL DI LÀ DEI MISSILI SU ODESSA c’erano comunque già abbastanza motivi, all’indomani di una firma che aveva generato inedite e forse eccessive speranze diplomatiche, per non dimenticare che la guerra in Ucraina continua come e più di prima. Ieri gli ucraini hanno rivendicato la distruzione del ponte Daryivskyi sul fiume Ingulets ,nella regione occupata di Kherson, importante linea di rifornimento per le truppe russe. Tramite Tass le autorità occupanti fanno sapere che sì, il ponte è stato colpito con il sistema di lancio a lunga gittata HiMars fornito dagli Usa. Ma che è ancora in piedi.

Il ministero della Difesa russo invece esulta invece per i danni inferti dall’artiglieria «alle posizioni del Secondo battaglione della 14ma Brigata motorizzata ucraina, formazione neonazista del Donbass, a Verkhnekamenskoye… Oltre 60 dei suoi membri, la metà circa del totale, sono stati uccisi». Dagli Usa è arrivata invece la conferma della morte di altri due cittadini americani nel Donbass. Il Dipartimento di stato non ha fornito dettagli «per rispetto delle famiglie».

IN REALTÀ L’AVANZATA RUSSA via terra sembra ancora esitare. A differenza delle nuove autorità filorusse insediate nella regione di Zaporizhzhia, che vanno spedite al dunque: Evgenij Balitsky, governatore dell’oblast che include – tra l’altro, o soprattutto – la centrale nucleare più grande d’Europa, ha firmato il decreto per insediare ufficialmente la commissione elettorale che a suo dire già in autunno gestirà il referendum per l’annessione alla Federazione russa.

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CRISI UCRAINA. Iniziative promosse da associazioni, comitati, organizzazioni studentesche, sindacati per riaffermare le ragioni della pace

Settanta manifestazioni in tutta Italia per il cessate il fuoco e il negoziato in Ucraina. Migliaia di persone hanno partecipato alla mobilitazione pacifista di Europe for Peace. Fiaccolate, banchetti, cortei presidi in decine di città italiane, da Asti a Livorno, da Pisa a Isola Capo Rizzuto, da Roma a Torino a Palermo: iniziative promosse da associazioni, comitati, organizzazioni studentesche, sindacati per riaffermare le ragioni della pace. No all’escalation militare e un negoziato subito per arrivare alla costruzione di una conferenza nazionale di pace, questi punti principali delle manifestazioni di ieri.

Critiche alle politiche del governo, della Nato, dell’Unione europea che invece di lavorare per la pace alimentano la logica del conflitto. E molta solidarietà con la popolazione ucraina vittima della follia criminale di Putin. In molte città ci sono state raccolte di aiuti.
Nonostante l’attenzione sia stata tutta incentrata in questi giorni sulla crisi di governo e la guerra in Ucraina sia passata in secondo piano, la risposta dell’Italia pacifista non è mancata. Le Nazioni unite devono riprendere un ruolo fondamentale, l’Europa non può essere subalterna alla Nato e agli americani, le armi devono tacere e non possono più essere inviate sul teatro del conflitto. Questo il messaggio della mobilitazione del 23 luglio.
Tutte le iniziative che si sono svolte si trovano su www.sbilanciamoci.info (portale Europe for peace).

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LA LEGGE ELETTORALE. Fdi, Lega e Forza Italia compatti puntano a fare il pieno nei collegi uninominali

Coalizioni in pole position. Incubo Rosatellum per il centrosinistra diviso In un seggio - Aleandro Biagianti

Per capire perché la destra guarda alle elezioni con tanto ottimismo non serve prendere i sondaggi, quanto dare un’occhiata a come funziona la legge elettorale, il famigerato Rosatellum approvato in coda alla scorsa legislatura e che, dopo la tornata del 2018, si ripropone aggravato dal taglio dei parlamentari. Due terzi dei seggi (244 alla Camera e 122 al Senato) vengono assegnati in maniera proporzionale, con soglia di sbarramento al 3% per le liste e al 10% per le coalizioni. Il resto (148 alla Camera e 74 al Senato) si attribuisce con i collegi uninominali: passa chi arriva primo. Gli ultimi posti (8 alla Camera e 4 al Senato) spettano agli eletti nella circoscrizione estero.

Sin dalla sua promulgazione, è subito parso chiaro a tutti che il Rosatellum tende ad avvantaggiare le coalizioni: se nel 2018 non è accaduto fu solo perché il M5S vinse un gran numero di collegi uninominali nelle regioni del centro e del sud, compensando il pieno che fece il centrodestra al nord. In questo meccanismo, a rimanere schiacciato fu il centrosinistra, capace di imporsi solo in alcune zone della Toscana e dell’Emilia Romagna. La situazione che si andò a determinare in parlamento fu così complicata che per riuscire a fare una maggioranza (la prima, quella che vedeva come protagonisti la Lega e 5S) si resero necessari quasi tre mesi, per un governo che di mesi ne durò in tutto quindici.

Adesso, con la destra che si presenterà unita alle urne, un centrosinistra diviso in due (o in tre) non sarebbe competitivo praticamente in nessun collegio, spianando di fatto la strada a un trionfo pressoché epocale della coalizione di Meloni, Salvini e Berlusconi, che avrebbe buonissime probabilità di prendere la maggioranza assoluta in entrambi i rami del parlamento. L’idea del campo largo di Letta, più che da presupposti politici, nasce dalla banale osservazione della legge elettorale: solo mettendo insieme chi mai vorrebbe farlo (Azione e Italia Viva con M5S e sinistra) la partita si aprirebbe a risultati diversi dalla sconfitta. La fine del governo Draghi, però, sembrerebbe aver portato via con sé anche l’ipotesi che una coalizione del genere possa prendere vita e da qui alle prossime settimane, quando magari i bollori dell’immediato post crisi si saranno attenuati, Letta dovrà trovare una quadra. L’alternativa è del tutto evidente: qualsiasi coalizione con dentro il Pd, in sede di conteggio maggioritario, sarebbe fatalmente azzoppata sia dalla presenza di un raggruppamento centrista sia da una candidatura targata 5 Stelle.

Da considerare, poi, le variabili di stampo locale: il Svp, avvantaggiato dalla parte della legge che garantisce rappresentanza al Senato anche alle liste che superano il 20% su base regionale, strapperà probabilmente seggi, così come è facile ipotizzare che Iv raccoglierà in Toscana percentuali migliori che altrove. In assenza di accordi politici, però, questi sono ragionamenti astratti che nulla aggiungono né nulla tolgono al pantano da cui dovrà uscire il centrosinistra.

Dopo le elezioni, comunque vada, si porrà il problema della governabilità: meno parlamentari non significa solo meno eletti, ma anche numeri più piccoli per formare una maggioranza e, di conseguenza, un potere di trattativa e di condizionamento superiori per i gruppi meno numerosi. In altre parole, per provare a governare e a farlo bene, la destra non dovrebbe vincere ma stravincere, ipotesi percorribile solo se le altre forze non riusciranno a trovare un accordo e si presenteranno divise alle urne. Tutte le altre possibilità, così come testimoniato dal gran numero di simulazioni e di scenari che gli istituti di ricerca stanno già producendo, porterebbero a una situazione instabile, senza maggioranze o con maggioranze dai margini strettissimi. È la scommessa che, soprattutto dalle parti dei centristi, qualcuno sta già facendo: la palude, in fondo, è un habitat già noto ai più.

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https://www.ilbuonsenso.net/il-commento-dei-politici-faentini/

 

governo draghi faenza

Faenza-Roma andata e ritorno. Come commentano la situazione nazionale i leader dei partiti locali? Se da un lato gli eventi della capitale ci sembrano distanti e incompressibili, dall’altro le posizioni dei politici faentini possono aiutarci a comprendere meglio come è vissuta l’appartenenza ai partiti e, inoltre, come i civici si dispongono sulla scacchiera del consenso nazionale. Esercitare, quindi, la libertà di parola, esporre le proprie opinioni per delimitare un’area di pensiero – e di azione politica – anche perché da oggi, inevitabilmente, siamo in campagna elettorale.  

Tanesini (PD): “Populismo e sovranismo i veri mali della politica italiana”

“Quanto accaduto dimostra la totale irresponsabilità di alcune forze politiche. Se c’erano ancora dubbi ora è chiaro a tutti che il populismo da una parte e il sovranismo dall’altra sono i veri mali della politica italiana. Guardare ai propri interessi di bottega, puntare al tanto peggio tanto meglio in un momento tanto drammatico per il Paese e l’Europa, sacrificare Mario Draghi che ha saputo in questi 18 mesi di governo di affrontare i problemi e ridarci autorevolezza è totalmente da incoscienti. Tanto più che al voto ci si sarebbe andati comunque a primavera a scadenza naturale della legislatura. Da cittadino sono profondamente amareggiato e preoccupato. Ci attende un futuro davvero difficile e complicato.”

Bertozzi (Fratelli d’Italia):”Questo governo utilizzato dal PD per politiche di sinistra”

“Il governo è imploso vittima di contraddizioni insite nella maggioranza che lo sosteneva, dentro tutto e il contrario di tutto. Nato come governo di unità è stato utilizzato dal PD e dai suoi sodali per cercare di forzare politiche smaccatamente di sinistra, con l’avallo del Premier. Poi è partita la campagna elettorale, a gennaio, dopo l’elezione di Mattarella, da allora pochi risultati, confusi, a tratti dannosi. Questo l’epilogo, con buona pace della drammatizzazione pelosa delle ultime ore.”

Bosi (M5S): “I nove punti importanti, Draghi ha escluso il movimento dal governo”

“I nove punti, presentati a Mario Draghi dal Movimento, derivano da istanze di cittadini e imprese. Non considerare tali proposte, ha significato escludere il Movimento dal governo che, diversamente, avrebbe tradito i propri elettori e i valori di coerenza e responsabilità che da sempre lo distinguono. Chi critica questa scelta, dimentica che in democrazia si hanno responsabilità nei confronti dei cittadini, non dei governi; è nostro compito portare la loro voce in Parlamento e le elezioni ne sono l’espressione più alta.”

Liverani (Lega): “Giusto e doveroso dare la parola agli italiani”

“Come Lega abbiamo dovuto governare con forze politiche completamente diverse da noi e l’abbiamo fatto con grande senso di responsabilità. Negli ultimi mesi però, il PD e il M5S hanno incominciato a fare propaganda impegnando il parlamento su oggetti come il ddl sulla cannabis o quello sullo Ius Scholae, dimostrandosi lontani anni luce dai veri problemi degli Italiani. Vista l’impossibilità di andare avanti, penso che sia giusto e doveroso dare la parola agli Italiani procedendo con nuove elezioni.”

Luccaroni (Faenza Cresce): “Vergognoso chi antepone tornaconto elettorale al rispetto verso il paese”

“La meschina pantomima parlamentare alla quale abbiamo assistito ieri, che ha condotto alle dimissioni del presidente Draghi, mostra a quali bassi livelli possa essere scaduta la dignità della politica nazionale. È vergognoso il comportamento di chi ha anteposto un tornaconto elettorale al bene del Paese e al rispetto di un patto per l’Italia, che evidentemente non era mai stato sinceramente condiviso, senza nemmeno avere il coraggio di votare e manifestare apertamente le proprie convinzioni.2

Zoli (Per Faenza):“Gli interessi dei partiti più importanti degli italiani: incomprensibile”

“Riteniamo incredibile quello che è successo a proposito delle dimissioni del presidente del Consiglio, di fatto il governo ha consegnato il paese all’unico partito che non ne faceva parte, Fratelli D’Italia che stravincerà le elezioni e diventerà secondo partito nazionale, Il primo partito italiano continuerà ad essere quello dell’astensionismo, con gli Italiani sempre più lontani dalla Politica, in seguito a questa ulteriore conferma che gli interessi personali dei partiti continuano ad essere più importanti rispetto al bene Nazionale. Non sappiamo quali saranno le ripercussioni locali a questa situazione ma sempre più cresce la voglia di distaccarsi dai partiti per costruire un movimento realmente civico.”

Padovani (Area Liberale): “La vera sfida politica è dimostrare di saper governare il paese e rimanere fedeli ai programmi elettorali”

“Non crediamo sia una catastrofe tornare alle urne; riteniamo – anzi – che una eventuale solida maggioranza che fuoriuscisse dalla tornata elettorale possa essere molto più autorevole di qualsiasi governo tecnico. Se è vero che la sovranità appartiene al popolo, non dobbiamo preoccuparci per ciò che il popolo esprimerà attraverso il voto: dovremmo piuttosto preoccuparci del perché – facendo demagogia spicciola – vogliano farci credere che tornare al voto sia una tragedia.  Vero è – però – che l’attuale classe politica manca totalmente di competenza professionale ed a supporto di ciò ricordiamo che gli ultimi tre Presidenti del Consiglio sono stati nominati dal parlamento proprio perché i partiti non sono stati in grado di individuare una persona con l’autorevolezza necessaria per ricoprire tale carica. La vera sfida “politica” per i partiti è dunque quella di dimostrare di avere una classe dirigente che sappia governare il paese, di dimostrare la propria coerenza rimanendo fedeli ai programmi elettorali, di dimostrare la forza di sostenere le proprie idee per il bene collettivo, di dimostrare insomma di essere degni della fiducia dell’elettorato.”

Cavina (Insieme per Cambiare): “Un tradimento verso gli italiani con conseguenze per le fasce più deboli”

“Quello che è successo in questi giorni è un vero e proprio tradimento a danno di tutti gli Italiani e che avrà delle gravi conseguenze soprattutto per le fasce più deboli. Viviamo in un momento drammatico dove tutto è fuori controllo, si pensa che le prospettive siano anche peggiori appena terminerà l’estate e ci si addentrerà nell’inverno. Anche la nostra Città risentirà di tutto questo, ci sono scelte ed impegni già programmati con molteplici interventi che dovrebbero ricevere il finanziamento dal PNRR che potrebbero subire rallentamenti, ci saranno famiglie, anziani e probabilmente anche aziende che si troveranno in difficoltà economica e dovranno ricevere aiuto e sostegno. Il Sindaco e la sua giunta di fronte a quanto successo a Roma proseguirà il suo cammino come nulla fosse successo? E durante la campagna elettorale i vari partiti che compongono questa maggioranza come spiegheranno tutto questo ai cittadini? La città ne risentirà?”

Rivalta (Iv): “Ci auguriamo che la crisi di governo non abbia risvolti negativi sulla politica locale”

“Come Italia Viva abbiamo promosso la caduta di Conte e sostenuto Draghi, però era già evidente con la elezione del presidente che qualcosa non girava più come doveva. Un governo che non ha più l’unità di intenti con cui si è costituito è un problema, e l’Italia merita un governo al 100%. Con rammarico prendiamo atto di quanto avvenuto a Roma e a livello nazionale, ci auguriamo che la cosa non abbia risvolti negativi sulla politica locale, ma l’esempio di Draghi di non scendere a compromessi deve essere di ispirazione per tenere la barra dritta e volere il meglio per la nostra collettività.”

Visani (Coraggiosa): “Come sempre, la destra ha preferito l’interesse personale al bene del paese”

“Una crisi al buio incomprensibile, che ci consegna ad una stagione di incertezza che non possiamo permetterci e in un momento in cui già le incertezze internazionali bastavano e avanzavano a rendere complessa la situazione. Dietro le richieste del movimento c’era la questione sociale che attraversa il Paese. È vero, era decisamente difficile pensare che un Governo di unità nazionale fosse l’occasione per le Riforme economiche e sociali che sono indispensabili a ridurre le fragilità che la crisi e la pandemia hanno aperto. Di sicuro il rischio di consegnare il paese alla destra e di far saltare il più grande investimento pubblico degli ultimi decenni non potranno che aggravare questi problemi. Ci sono stati diversi errori in questa fase, ma come spesso succede la destra ha preferito l’interesse personale al bene del paese lanciando la campagna elettorale infischiandosene dei rischi economici e sociali a cui andiamo incontro. Vedremo cosa succederà. Noi siamo pronti.”

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PATADRAG. Il segretario dem chiude ad alleanze con il M5S. Il leader 5 Stelle: «Noi oggettivamente progressisti. Spetta al Partito democratico fare le sue scelte»

Per Conte non c’è campo. Letta: «Ora difficile ricomporre» Enrico Letta - LaPresse

Più che la pistolettata di Sarajevo evocata da Enrico Letta sembra l’attentato di Dallas contro John F. Kennedy: non si sa bene da quale parte sia arrivato il colpo che ha fatto cadere il governo Draghi e scatenato l’implosione della legislatura e del campo largo di centrosinistra, ma lo sconquasso è avvenuto e il Movimento 5 Stelle ne è considerato responsabile. Non il solo, visto che lo stesso Letta ha fatto notare via Twitter al capogruppo del Partito popolare europeo Manfred Weber che proprio Forza Italia, espressione del Ppe in Italia, ha scelto di mandare casa Mario Draghi.

DAVANTI ALLA direzione del suo partito, tuttavia, il segretario dem ha ammesso che c’è un problema anche con il Movimento 5 Stelle. «È evidente che il voto di ieri impatta molto fortemente» sulla composizione delle alleanze. Il Pd deve fare i conti con le necessità del Rosatellum, tanto che si comincia a fare una distinzione tra alleanze «tattiche» e «strategiche». Quella coi 5 Stelle, adesso, dovrebbe essere declassificata alla prima casistica. «Discuteremo e decideremo della conformazione della nostra proposta – ha proseguito Letta – sul nostro progetto e programma, sulle modalità con cui affronteremo il voto, partendo dal fatto che abbiamo questa legge elettorale. Compagni di strada e modalità con cui questo avverrà verranno decisi insieme».

PIÙ TARDI, parlando al Tg3, usa parole più dure. Queste: «La differenza creata con il M5S lascia un segno e difficilmente sarà ricomposta. Lo dico molto francamente, il gesto di ieri e quello che è accaduto in questi giorni è sostanza e non forma».

I RENZIANI di Italia Viva e gli ex renziani rimasti nel Pd di Base riformista spingono il Pd a dare vita a un’alleanza che si muova sul solco dell’«agenda Draghi» ed eviti di allearsi con i «sovranisti e populisti» che hanno mandato a casa l’esecutivo. Secondo Andrea Marcucci, ad esempio, «il riferimento ormai quasi obbligato sono i moderati Renzi, Calenda, Di Maio, i liberali che hanno lasciato Forza Italia, senza dimenticare il ruolo che può svolgere Sala, e la presenza di ecologisti e civici».

DI QUESTO spettro dunque fa ormai parte anche Luigi Di Maio, che aveva lanciato solo poche settimane la costruzione del suo partito e che ora si ritrova in piena campagna elettorale. Oltretutto a causa di una crisi di governo che ha contribuito a causare con la sua scissione. Ora ribadisce il suo posizionamento centrista con parole che ricalcano quelle dei renziani. Alle elezioni «sicuramente non vado con quelli che hanno fatto cadere questo governo, che hanno deciso di stare dalla parte degli estremismi e dei sovranismi – sostiene il ministro degli esteri – Mi auguro si possa essere in tanti dalla parte dell’agenda riformatrice di Mario Draghi». Quanto al M5S, per Di Maio ormai è da considerare soltanto «il partito di Conte». «Quella che io avevo contribuito a fondare era una forza politica che creava governi, non li sfasciava», dice ancora l’ex capo politico grillino ai cronisti ribadendo la natura governativa dei pentastellati in questa legislatura.

TRA I 5 STELLE non si dà affatto per chiusa la partita delle alleanze. Ieri Conte ha partecipato alla riunione dei deputati. Qui Davide Crippa, il capogruppo che ha lavorato per votare la fiducia al governo, ha chiesto conto del clima di caccia alle streghe. «Chi la pensava diversamente è stato attaccato, demonizzato, trattato con ferocia – ha sostenuto Crippa – È stato vergognoso, eppure fino a ieri pomeriggio tutte le opzioni erano sul tavolo, anche quella di dare la fiducia al governo». In effetti, prima che lo scenario si sgretolasse per via della fuga in avanti del centrodestra Conte era orientato a proporre la soluzione dell’appoggio esterno. «Il presidente del Consiglio è stato sprezzante, è stato molto aggressivo incomprensibilmente e ingiustamente», ribadisce l’avvocato in serata su Rete4. Sull’alleanza si mostra sicuro di sè: «Il campo largo c’è ancora? Noi siamo una forza progressista, ma non per autodefinizione: siamo oggettivamente progressisti perché guardiamo ala giustizia sociale, alla transizione ecologica e digitale, e abbiamo un manifesto avanzato di misure in questa direzione. Chi vuole lavorare su queste misure, può ritrovarsi a confrontarsi con noi. Poi spetterà al Pd fare le sue scelte».

I PARLAMENTARI del M5S si trovano comunque spiazzati dal voto a settembre: nei giorni precedenti allo showdown molti affermavano di essere certi che la legislatura sarebbe comunque arrivata alla sua fine naturale. Ancora ieri, parlando ai deputati, Conte ha detto che il M5S non si sarebbe messo di traverso di fronte a una prosecuzione in qualche forma del governo Draghi. Consideravano di avere il tempo di fare qualche giro di giostra all’opposizione per riposizionarsi di fronte all’opinione pubblica.

 

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Pablo Iglesias, foto Ap L’ex vicepresidente del governo spagnolo e padre fondatore di Podemos, Pablo Iglesias, ora che non fa più il politico è più attivo che mai. Fa un podcast di cui va molto orgoglioso, La Base, scrive su diversi quotidiani come opinionista e analista politico, partecipa in dibattiti televisivi e radiofonici. A tornare a fare il politico non ci pensa neanche, come scrive nel suo recente libro Verdades a la cara – Recuerdos de los años salvajes («Verità in faccia – ricordo degli anni selvaggi»).

Ma in questi giorni è tornato agli onori delle cronache per uno scandalo giornalistico di cui è stato vittima. «È apparsa una registrazione del 2016 in cui si sente la conversazione di uno dei giornalisti tv più importanti della Spagna, Antonio García Ferreras, che presenta il più rilevante talk show politico e dirige una rete teoricamente progressista, La Sexta. È in una conversazione assieme a capi della polizia, a membri della “fogna”(una rete legata alla polizia e al ministero degli interni durante il governo Rajoy che si dedicava a spiare e infangare i nemici politici del Pp, ndr), e al presidente del giornale di destra La Razón, dello stesso Grupo Planeta di cui fa parte La Sexta».

Come mai ha generato tanto scandalo?
Per due motivi. Il primo è che il giornalista riconosce di aver dato una notizia sapendo che era falsa: io avrei avuto un conto segreto in un paradiso fiscale, sul quale addirittura il presidente venezuelano Maduro avrebbe versato soldi. Ferreras stesso riconosce che la notizia gli sembrava assurda e inverosimile, ma l’avrebbe data lo stesso, limitandosi a darmi la parola per smentirlo. Uno dei giornalisti più potenti di questo paese riconosce di aver dato deliberatamente una notizia falsa per danneggiare Podemos. Un mese prima delle elezioni in cui eravamo dati come il primo partito della sinistra.

E il secondo motivo?
Lui stesso dice che poiché La Sexta è una rete per un pubblico di sinistra, lo schiaffo che ci dava “fa male un casino”. Cioè spiega il meccanismo per cui è necessaria una tv apparentemente di sinistra, per quanto i proprietari siano di destra, perché gli attacchi siano più efficaci. Per evitare che Podemos arrivasse al potere non bastavano il ministero degli interni, quello della difesa e la fabbricazione di prove false. Ci volevano anche giornalisti “di sinistra”. Noi abbiamo sempre denunciato che utilizzavano fake news, e ci accusavano di prendercela coi giornalisti. Il problema è che la maggioranza dei giornalisti non si può permettere di esercitare la professione in libertà.

Crede che questo sia diventato un problema per la democrazia in Europa?
È un problema mondiale, e non è un caso che i primi a esprimerci solidarietà siano stati il francese Melenchon e cinque capi di stato in America Latina (Messico, Argentina, Cile, Bolivia e il futuro presidente della Colombia, ndr). Uno dei principali pericoli per la democrazia è l’utilizzo della menzogna come strategia della destra mediatica, che è il principale avversario dei governi progressisti di tutto il mondo. I proprietari dei grandi mezzi di comunicazione, che sono i principali attori ideologici della nostra società, di solito sono banche, fondi “avvoltoio” o multinazionali. È il caso paradigmatico di Berlusconi: un multimilionario che usa i principali media del paese prima per i suoi interessi imprenditoriali, e poi per organizzare un partito politico per difendersi dalle accuse giudiziarie.

Dopo 20 anni di Berlusconi in Italia la sinistra è in crisi. È il destino della Spagna?
Quello che sta accadendo è la prova della crisi delle élite. Il potere giornalistico, il potere economico e il suo braccio mediatico, buona parte dei piani alti della polizia e del potere giudiziario hanno dovuto mostrare in maniera esplicita il proprio volto non democratico per andare contro le due principali sfide politiche prodotte in Spagna: Podemos e l’indipendentismo catalano. Fa paura questa congiura reazionaria contro la democrazia. Ma bisogna combattere. La reazione al caso Farreras dimostra che c’è un magma sotterraneo: Podemos ha contribuito a cambiar la struttura ideologica del paese e questo magma è pronto a uscire.

Come spiega nel suo libro, il costo personale che ha avuto il suo percorso politico, con appostamenti e persecuzione della sua famiglia, è stato grandissimo. Ne è valsa la pena?
In termini personali, è chiaro che no. Ci sono cose che non rifarei, ora che ho tre figli piccoli. Quello che hanno fatto, a me, alla mia compagna (la ministra dell’uguaglianza Irene Montero, ndr) e ai miei figli è un messaggio mafioso: non ti conviene. Ma in termini politici sì: siamo arrivati al governo. Certo, in una posizione più debole rispetto al 2015. Ma abbiamo un ministero dell’uguaglianza che è un riferimento mondiale, un ministero del lavoro che ha garantito un salario minimo a 1000 euro, un reddito minimo vitale, e una amplia protezione sociale durante la pandemia. C’è da esserne orgogliosi. Ora sono altre compagne quelle a cui tocca stare in prima linea.

E di Draghi che ne pensa?
Durante il vertice Nato di Madrid un politico importante mi ha detto: vediamo di tutti questi presidenti da qui a un anno quanti resisteranno alla crisi economica. La profezia inizia a compiersi: la crisi derivata da una guerra che interessa gli Usa ma non l’Europa sta generando crisi politiche in tutti i paesi. Ci sono poche figure che rappresentano più di Draghi l’establishment del potere europeo. Ma questo non annulla la politica. E in Italia c’è ancora politica, anche se purtroppo non c’è una presenza di una sinistra parlamentare come a molti di noi piacerebbe. Per evitare una grande instabilità in Italia e in Europa bisogna puntare in maniera decisa sul pacifismo. Non un pacifismo ingenuo, e non solo come posizione morale. Ma come difesa dell’autonomia europea contro gli interessi degli Usa e della Nato. Questa sarà la chiave del dibattito dei prossimi mesi.

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