L’ex vicepresidente del governo spagnolo e padre fondatore di Podemos, Pablo Iglesias, ora che non fa più il politico è più attivo che mai. Fa un podcast di cui va molto orgoglioso, La Base, scrive su diversi quotidiani come opinionista e analista politico, partecipa in dibattiti televisivi e radiofonici. A tornare a fare il politico non ci pensa neanche, come scrive nel suo recente libro Verdades a la cara – Recuerdos de los años salvajes («Verità in faccia – ricordo degli anni selvaggi»).
Ma in questi giorni è tornato agli onori delle cronache per uno scandalo giornalistico di cui è stato vittima. «È apparsa una registrazione del 2016 in cui si sente la conversazione di uno dei giornalisti tv più importanti della Spagna, Antonio García Ferreras, che presenta il più rilevante talk show politico e dirige una rete teoricamente progressista, La Sexta. È in una conversazione assieme a capi della polizia, a membri della “fogna”(una rete legata alla polizia e al ministero degli interni durante il governo Rajoy che si dedicava a spiare e infangare i nemici politici del Pp, ndr), e al presidente del giornale di destra La Razón, dello stesso Grupo Planeta di cui fa parte La Sexta».
Come mai ha generato tanto scandalo?
Per due motivi. Il primo è che il giornalista riconosce di aver dato una notizia sapendo che era falsa: io avrei avuto un conto segreto in un paradiso fiscale, sul quale addirittura il presidente venezuelano Maduro avrebbe versato soldi. Ferreras stesso riconosce che la notizia gli sembrava assurda e inverosimile, ma l’avrebbe data lo stesso, limitandosi a darmi la parola per smentirlo. Uno dei giornalisti più potenti di questo paese riconosce di aver dato deliberatamente una notizia falsa per danneggiare Podemos. Un mese prima delle elezioni in cui eravamo dati come il primo partito della sinistra.
E il secondo motivo?
Lui stesso dice che poiché La Sexta è una rete per un pubblico di sinistra, lo schiaffo che ci dava “fa male un casino”. Cioè spiega il meccanismo per cui è necessaria una tv apparentemente di sinistra, per quanto i proprietari siano di destra, perché gli attacchi siano più efficaci. Per evitare che Podemos arrivasse al potere non bastavano il ministero degli interni, quello della difesa e la fabbricazione di prove false. Ci volevano anche giornalisti “di sinistra”. Noi abbiamo sempre denunciato che utilizzavano fake news, e ci accusavano di prendercela coi giornalisti. Il problema è che la maggioranza dei giornalisti non si può permettere di esercitare la professione in libertà.
Crede che questo sia diventato un problema per la democrazia in Europa?
È un problema mondiale, e non è un caso che i primi a esprimerci solidarietà siano stati il francese Melenchon e cinque capi di stato in America Latina (Messico, Argentina, Cile, Bolivia e il futuro presidente della Colombia, ndr). Uno dei principali pericoli per la democrazia è l’utilizzo della menzogna come strategia della destra mediatica, che è il principale avversario dei governi progressisti di tutto il mondo. I proprietari dei grandi mezzi di comunicazione, che sono i principali attori ideologici della nostra società, di solito sono banche, fondi “avvoltoio” o multinazionali. È il caso paradigmatico di Berlusconi: un multimilionario che usa i principali media del paese prima per i suoi interessi imprenditoriali, e poi per organizzare un partito politico per difendersi dalle accuse giudiziarie.
Dopo 20 anni di Berlusconi in Italia la sinistra è in crisi. È il destino della Spagna?
Quello che sta accadendo è la prova della crisi delle élite. Il potere giornalistico, il potere economico e il suo braccio mediatico, buona parte dei piani alti della polizia e del potere giudiziario hanno dovuto mostrare in maniera esplicita il proprio volto non democratico per andare contro le due principali sfide politiche prodotte in Spagna: Podemos e l’indipendentismo catalano. Fa paura questa congiura reazionaria contro la democrazia. Ma bisogna combattere. La reazione al caso Farreras dimostra che c’è un magma sotterraneo: Podemos ha contribuito a cambiar la struttura ideologica del paese e questo magma è pronto a uscire.
Come spiega nel suo libro, il costo personale che ha avuto il suo percorso politico, con appostamenti e persecuzione della sua famiglia, è stato grandissimo. Ne è valsa la pena?
In termini personali, è chiaro che no. Ci sono cose che non rifarei, ora che ho tre figli piccoli. Quello che hanno fatto, a me, alla mia compagna (la ministra dell’uguaglianza Irene Montero, ndr) e ai miei figli è un messaggio mafioso: non ti conviene. Ma in termini politici sì: siamo arrivati al governo. Certo, in una posizione più debole rispetto al 2015. Ma abbiamo un ministero dell’uguaglianza che è un riferimento mondiale, un ministero del lavoro che ha garantito un salario minimo a 1000 euro, un reddito minimo vitale, e una amplia protezione sociale durante la pandemia. C’è da esserne orgogliosi. Ora sono altre compagne quelle a cui tocca stare in prima linea.
E di Draghi che ne pensa?
Durante il vertice Nato di Madrid un politico importante mi ha detto: vediamo di tutti questi presidenti da qui a un anno quanti resisteranno alla crisi economica. La profezia inizia a compiersi: la crisi derivata da una guerra che interessa gli Usa ma non l’Europa sta generando crisi politiche in tutti i paesi. Ci sono poche figure che rappresentano più di Draghi l’establishment del potere europeo. Ma questo non annulla la politica. E in Italia c’è ancora politica, anche se purtroppo non c’è una presenza di una sinistra parlamentare come a molti di noi piacerebbe. Per evitare una grande instabilità in Italia e in Europa bisogna puntare in maniera decisa sul pacifismo. Non un pacifismo ingenuo, e non solo come posizione morale. Ma come difesa dell’autonomia europea contro gli interessi degli Usa e della Nato. Questa sarà la chiave del dibattito dei prossimi mesi.