Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

EUROPA. Il progetto di riproporre lo schema della maggioranza Meloni si allontana. La premier teme che le tensioni Ue si ripercuotano anche in Italia nell’esecutivo

Matteo Salvini, foto Getty Images Matteo Salvini - Getty

Le grandi manovre europee nella maggioranza Meloni in vista delle elezioni del giugno 2024 rischiano seriamente di impantanarsi e di produrre tensioni tra i partiti anche in Italia. Ieri c’è stata la prima di due giornate del Partito popolare europeo a Roma, organizzata dal coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani con il presidente del gruppo al parlamento europeo Manfred Weber alla presenza dei 177 parlamentari e dirigenti europei del partito. È stata l’occasione per investire i berlusconiani del progetto popolare, ma anche per sancire la difficile alleanza continentale (auspicata da Giorgia Meloni) tra centristi e conservatori. Non ci sono le condizioni politiche (popolari e cristiano-democratici non possono legittimare l’estrema destra esattamente per motivi di politica interna) e neppure quelle aritmetiche (per costituire una nuova maggioranza servirebbe anche l’apporto dei liberali a trazione macroniana di Renew Europe, che hanno già fatto sapere di non essere disponibili).

Lo ha detto chiaramente proprio Tajani, che pure di recente aveva lasciato credere che lo schema del governo italiano potesse presagire una nuova maggioranza in Ue.

I popolari, insomma, si apprestano alla prossima campagna elettorale europea smarcandosi dalla destra e rilanciando la loro centralità, senza rompere esplicitamente con lo schema della maggioranza Von Der Leyen. «L’Europa è impensabile senza i cristiano-democratici. Siamo partiti dagli ideali di persone come Adenauer, Schuman e De Gasperi – è la rivendicazione identitaria di Weber – Noi includiamo, costruiamo ponti e questo vuol dire essere un cristiano democratico».
La Lega, che nelle settimane scorse aveva parlato apertamente della necessità di poter incidere maggiormente uscendo dalla gabbia di Identità e Democrazia, il gruppo sovranista egemonizzato da Marianne Le Pen, deve registrare il rifiuto a ogni possibilità di dialogo. E allora i salviniani fanno marcia indietro. Ieri una delegazione di eurodeputati di Identità e Democrazia ha incontrato a Madrid alcuni rappresentanti dell’estrema destra spagnola Vox tra i quali anche il presidente del partito Santiago Abascal. Lo stesso Matteo Salvini si è intrattenuto con Andre Ventura, leader del partito di estrema destra portoghese Chega. «Andare coi Popolari, quelli che da decenni mal governano in Ue a braccetto con socialisti e sinistra? No, grazie – attaccano gli europarlamentari leghisti – Dobbiamo prendere atto, forse, che il Ppe preferisce continuare il cammino con Macron e le sinistre e la maggioranza Ursula».

La faccenda riguarda in prima persona anche Meloni, ovviamente. La premier è coordinatrice dei conservatori europei e aveva sperato che il clima di guerra in Europa e lo sdoganamento dei polacchi di Visegrad avrebbe concesso spazio per a virata a destra del baricentro dell’Unione, il che le avrebbe conferito di guadagnare accreditamenti continentali, mantenendosi fedele al credo sovranista e al tempo stesso ritagliandosi il ruolo di tessitrice dei nuovi equilibri.

Se questo scenario si allontana, peraltro, ce n’è abbastanza per sospettare che le tensione tra le famiglie politiche europee nei prossimi mesi si possa ripercuotere sulla maggioranza italiana. Non è una novità, del resto. Già la maggioranza gialloverde del primo governo Conte entrò in crisi di fatto quando la scommessa di Salvini e Di Maio di nuove geometrie nell’Ue venne smentita prima dalle urne e poi dall’isolamento del M5S nella scelta dei gruppi

Commenta (0 Commenti)

TORMENTI DEM. L’ex ministra: giusto rafforzare il rapporto col mondo cattolico che lotta per i poveri e per la pace. Il "partito nel partito" del governatore: tre coordinatori e una kermesse a luglio: «Vogliamo aiutare la segretaria»

 Elly Schlein con Stefano Bonaccini - LaPresse

Dopo tre mesi di relativa pace dopo la vittoria di Schlein alle primarie, il Pd sta recuperando tutti i suoi vizi, a partire dalle polemiche inutili. Per dire, la promozione a vice capogruppo di Paolo Ciani, pacifista, della comunità di Sant’Egidio, invece di essere valorizzata come una mossa di sostegno al tentativo di pace del cardinale Zuppi (anche lui proviene da quell’esperienza) è stata letta dalla destra dem come una sorta di diserzione dal militarismo atlantista.

Tanto che è dovuta intervenire una fondatrice come Rosy Bindi per tentare di rimettere le cose a posto. «Si continua a dire che con Schlein non c’è spazio per i cattolici. Nel momento in cui viene nominato un vicecapogruppo che appartiene ad una tradizione del cattolicesimo italiano, allora a quel punto non va più bene, e questo dimostra che sono polemiche pretestuose», la stoccata dell’ex ministra che invita i dem a «riprendere un rapporto con il movimento cattolico, quello che sta con gli immigrati, con i poveri, nelle mense, che lotta per la tutela dell’ambiente e per la pace. Per questo la scelta di Ciani è non solo legittima, ma opportuna e positiva».

Anche ieri si è assistito a una corsa, da Debora Serrachiani a Anna Ascani e Marina Sereni, a smentire qualunque ipotesi di correzione della linea pro- armi «fino alla vittoria». Ma la guerra è solo uno dei problemi. Dopo la sconfitta alle comunali è partita la controffensiva dei cosiddetti riformisti che, al grido di «vogliamo più collegialità per aiutare la segretaria» (copyright Serracchiani) cercano di recuperare terreno e potere.

Di qui l’idea, già partorita dopo le primarie di febbraio, di dar vita a una corrente di Bonaccini, che naturalmente si chiamerà “area”, e pazienza se il governatore in tutto il congresso aveva predicato di voler sradicare le correnti e si era spinto fino a dire «se trovate qualcuno che è bonacciniano ditegli che è un co….one».

Fatto sta che mercoledì al cinema Capranica i bonacciniani si sono riuniti per gettare le basi della nuova area. C’erano una trentina di parlamentari, tra questi Guerini, Orfini, Piero De Luca, e anche Debora Serracchiani e Alessandro Alfieri che pure siedono nella segreteria di Schlein. Il bolognese Andrea De Maria si occuperò di organizzare la truppa, a Simona Bonafè e Simona Malpezzi il coordinamento dei parlamentari di Camera e Senato.

A luglio il primo evento pubblico, due giorni di dibattito probabilmente a Roma. L’obiettivo dichiarato è «aiutare Elly», ma «facendo sentire la voce di quella parte del Pd che ha sostenuto Bonaccini». Il governatore l’ha detto in tv: «Evitare una deriva minoritaria, stare all’opposizione mantenendo una cultura di governo».

L’obiettivo reale è marcare la segretaria, evitare in ogni modo che esca dalla rotta del vecchio Pd su tutti i temi caldi, dalla guerra al lavoro. Non è un mistero che i riformisti la accusino di scarsa attenzione all’impresa, eccessiva vicinanza alle posizioni della Cgil, per non parlare delle idee di Schlein sui diritti come la gestazione per altri.

Di fatto, «evitare una deriva minoritaria» significa impedirle di realizzare il programma con cui ha vinto il congresso. Su cui, a dire il vero, lei stessa finora è stata molto prudente, forse per paura di sbagliare qualche mossa. Tanto che anche alcuni suoi supporter la invitano ad alzare un po’ la voce, lanciare delle mobilitazioni su temi come il lavoro, l’autonomia di Calderoli, il rischio di fallimento del Pnrr. «Bisogna spiegare agli italiani cosa significherebbe perdere quei fondi per i più deboli», avverte Marco Sarracino.

«Servono un punto di vista sul domani e una vera agenda del Pd», il consiglio di Nicola Zingaretti. Oggi la riunione della segreteria preparerà la direzione convocata per lunedì, dove Schlein è attesa al varco dai suoi oppositori interni, ancora furiosi per il downgrade di De Luca Jr. nel gruppo della Camera. La segretaria risponde dicendo che «il pluralismo nei gruppi è stato garantito, come vice vicari sono state scelte persone che non hanno votato per me al congresso (Bonafè e Bazoli), ndr». In un partito normale sarebbe sufficiente. Non nel Pd

 

 

Commenta (0 Commenti)

FORTEZZA COI DEBOLI. Niente ricollocamenti obbligatori, ma chi non prende la sua quota di migranti dovrà pagare 20mila euro l’uno. Gli altri, trasferiti nell’ultimo luogo di transito fuori Ue. È il nuovo «Patto per l’immigrazione» approvato dai 27. Si incrina l’asse tra Italia e Ungheria e Polonia

Il cancelliere a Roma per rilanciare la politica industriale. Ma sui movimenti primari e secondari non c’è accordo

Migranti e idrogeno, l’intesa Meloni-Scholz corre su due binari Giorgia Meloni accoglie Olaf Scholz a Palazzzo Chifgi - LaPresse

Migranti ma non solo. Anzi è proprio un mix di questioni migratorie ed economiche il centro del vertice di ieri a Roma tra Giorgia Meloni e Olaf Scholz che guardano entrambi, seppure con motivazioni differenti, a quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo. E se la premier italiana è attenta soprattutto ai flussi migratori e cerca alleati in vista del vertice europeo di fine mese che si annuncia complicato per Roma, il cancelliere mira alle forniture di idrogeno: potrebbero arrivare in Germania attraverso la pipeline South H2 che prende avvio in Algeria, in cui l’Italia ha un ruolo nevralgico.

Imprescindibile per la svolta energetica voluta dalla Coalizione Semaforo, il «Corridoio H2 Sud» tra Nord Africa ed Europa che fa gola alla tedesca Allianz Capital Partners. Obiettivo: trasportare dall’Algeria alla Baviera almeno 1,7 mega tonnellate di idrogeno entro il 2030.

AL CONTRARIO delle divergenze sui migranti,

Commenta (0 Commenti)

TORMENTI DEMOCRATICI. Il nuovo vice capogruppo agita i dem. No di Guerini e Picierno. Schlein: sull’Ucraina posizione chiara. Vincenzo De Luca contro la segretaria per la rimozione del figlio: non c'è nulla di più volgare dei radical chic senza chic

Il caso De Luca e le armi all’Ucraina continuano ad agitare il Pd. Sul primo fronte, dopo il downgrade del figlio Piero da vice capogruppo alla Camera, fortemente voluto da Schlein, ieri il padre Vincenzo ha fornito un assaggio della sua reazione rabbiosa, che potrebbe avere ulteriori sviluppi.

A domanda sulla decisione di Schlein, il governatore campano ha risposto: «In questa stanza sono vietate le brutte parole». E su Facebook ha scritto: «In politica, come nella vita, non c’è nulla di più volgare dei radical-chic senza chic». Martedì il figlio Piero, dopo la defenestrazione, aveva parlato con un linguaggio crudo di «vendetta trasversale», sostenuto da Lorenzo Guerini, Mariana Madia e altri esponenti dem.

MA A SCUOTERE UN PD ancora tramortito dalla sconfitta alle comunali è soprattutto la nomina a vice capogruppo, sempre a Montecitorio, di Paolo Ciani, esponente di Demos, molto legato alla comunità di Sant’Egidio. Ieri Ciani, che non ha votato a inizio anno l’invio di armi all’Ucraina, ha ribadito le sue posizioni: «Nel nostro popolo questa discussione c’è, è un fronte molto più ampio di come è rappresentato in Parlamento», ha detto. «Il Pd nella scorsa legislatura ha fatto una scelta legittima, dopo una novità sconvolgente e mentre sosteneva un governo di unità nazionale, ma ora dopo un anno e mezzo di guerra il partito può evolvere in nuove posizioni. Si può anche cambiare parere». Ciani ha inoltre ribadito di non volersi iscrivere al Pd, e di voler restare alla guida del suo partito, Demos: «Il Pd da solo non basta».

LE SUE PAROLE sulla guerra hanno scatenato un putiferio in un partito ancora largamente ancorato alle tesi di Letta. «La nostra linea sull’Ucraina è chiara e non è minimamente in discussione», tuona Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa e tra i falchi pro Zelensky. Così anche la vicepresidente del parlamento Ue Pina Picierno: «Ciani diventa vice capogruppo, dichiara di non volersi iscrivere al partito ma di volerne cambiare la linea sull’Ucraina. Grande confusione sotto il cielo. Ma il sostegno del Pd alla resistenza Ucraina non cambia e non cambierà».

«Non si cambia sull’Ucraina con una intervista. E in ogni caso sarebbe un errore», rincara Piero Fassino. Un coro che spinge Ciani a puntualizzare: «Le mie posizioni non impegnano né il gruppo né il Pd. Come è sempre stato per gli indipendenti della sinistra, possono coesistere su alcune specifiche questioni punti di vista diversi senza che questi costituiscano profonde fratture». Le precisazioni non bastano a placare le proteste. Così interviene direttamente Schlein: «Ciani ha già chiarito, ha parlato a nome del suo partito che è Demos e con loro abbiamo condiviso l’esperienza delle elezioni. Sull’Ucraina la linea del Pd è ben chiara, non c’è bisogno che aggiunga altro io».

ORMAI TRA I DEM il clima è quello del sospetto. L’ala destra vede nella decisione di promuovere Ciani l’anteprima di un cambio di linea in senso pacifista. E non è un caso che il cardinale Zuppi, in missione per la pace, sia il principale riferimento spirituale della comunità di Sant’Egidio di cui il deputato fa parte dall’età di 14 anni. La direzione di lunedì 12, convocata per l’analisi del voto nelle città, sarà anche un’occasione di ulteriori discussioni sulla guerra.

LA SEGRETARIA INSISTE sui temi del lavoro e cerca convergenze con le altre opposizioni nella battaglia parlamentare sul decreto varato dal governo il 1 maggio. «Non è stato possibile migliorarlo, la destra ha bocciato tutte le nostre proposte», dice il capogruppo al Senato Francesco Boccia. «C’è una forte spinta verso la precarizzazione, aumentano le disuguaglianze e si ghettizzano i poveri». Conte è concentrato sulla manifestazione del M5S del 17 giugno e concede poco al presunto alleato: «La linea comune non si costruisce a tavolino come frutto di un incontro di vertice».

Da Stefano Bonaccini, finora piuttosto leale verso Schlein, arriva un avvertimento: «C’è una segretaria che è qui da tre mesi. A me pare che lo sport preferito nel Pd, quello di criticare chi arriva un minuto dopo che è arrivato, andrebbe messo da parte. Ma dobbiamo lavorare per evitare una deriva minoritaria che ci metta in un angolo»

 

Commenta (0 Commenti)

PIOVE SUL BAGNATO. Il tavolo settimanale con gli enti locali presieduto dal ministro Musumeci fa litigare la maggioranza. In attesa del commissario

Fondi e ricostruzione, lite Meloni-Salvini sul post-alluvione 

L’annuncio della costituzione di un tavolo settimanale con gli enti locali presieduto dal ministro Nello Musumeci fa litigare la maggioranza e lascia perplessi i sindaci dei comuni emiliani colpiti dal maltempo, convocati ieri a Roma per fare il punto della situazione con il governo. Una sorpresa per tutti, e infatti quando la premier Meloni ha comunicato la cosa, Matteo Salvini, seduto alla sua destra, ha alzato un sopracciglio e ha commentato gelido: «Apprendiamo adesso che è stato deciso così…».

SEMBRA IL SECONDO round della maxi rissa di due mesi fa, quando il governo cambiò i vertici delle grandi aziende di Stato e Lega e Forza Italia dissero schiettamente che tutto era stato stabilito a Palazzo Chigi senza consultare nessuno. E così va anche la gestione del post alluvione: Meloni fa e disfa, gli altri stanno a guardare.

I MALUMORI della destra si notano anche al capitolo ricostruzione: la premier giura di essere al lavoro notte e dì e lancia una serie di proposte senza dubbio golose (indennizzi al 100% per famiglie e imprese, recupero dei comuni non inseriti nell’elenco delle zone colpite, piani vari ed eventuali) ma non dice dove ha intenzione di trovare i fondi per

Commenta (0 Commenti)

Alluvione in Emilia Romagna: allarme per Montone, Lamone ...

Sono 1321 gli edifici di Faenza coinvolti dall’alluvione, in questi giorni al centro delle verifiche da parte dei tecnici comunali e dei Vigili del Fuoco. Non tutti al momento sono stati controllati: 423 i sopralluoghi ancora da compiere. 76 edifici sono stati considerati non più agibili, 229 parzialmente agibili, 17 gli immobili al momento non visitabili. 423 invece i controlli ancora da effettuare. 190 quindi al momento i faentini che potranno tornare nelle loro abitazioni solo dopo i lavori di ripristino. Durante il consiglio comunale dedicato all’alluvione, l’assessore alla Protezione Civile Massimo Bosi ha effettuato una fotografia di Faenza oggi, a tre settimane dagli eventi catastrofici. Nella notte fra il 16 e il 17 maggio furono 300 gli interventi di soccorso per aiutare le persone a scappare dalle case. 949 i faentini transitati nelle strutture d’accoglienza nelle prime ore dell’emergenza. Di queste, oggi, 134 persone vivono in albergo, all’hotel Cavallino e al B&b accanto all’autostrada. 23 sono minori. Si stimano poi altre 2000 persone che non si sono rivolte al Comune ma che hanno trovato un alloggio da amici e parenti.

GURDA IL VIDEO

https://www.youtube.com/watch?v=cuyhpYxm_LY

 

Commenta (0 Commenti)