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https://www.ravennawebtv.it/faenzawebtv/

 

 

“Alla luce del giorno e man mano che passano le ore appare sempre più evidente la dimensione del disastro che ha colpito la nostra città e tutta la Romagna. Difficile trovare le parole per descrivere tanta distruzione.
Non è però il momento dello sconforto: le squadre di soccorso stanno continuando senza sosta a mettere in sicurezza le persone.
 
ALCUNE INFORMAZIONI
– Anche domani, giovedì 18 maggio, le SCUOLE di ogni ordine e grado resteranno CHIUSE
– Confermo che la rete idrica è integra e l’acqua assolutamente POTABILE.
– Per ogni necessità di ricovero, continuano ad essere attivi i tre centri di prima accoglienza allestiti al Palacattani, Pala Bubani e alla palestra della scuola Don Milani. Al momento gli evacuati sono circa 550.
 
IMPORTANTE
Ricordo nuovamente quanto già detto in precedenza: chiunque sia a conoscenza di parenti o amici al momento irrintracciabili è pregato di segnalarmelo tramite MESSAGGIO PRIVATO. Stiamo cercando di metterci in contatto con tutti.
Vi prego di indicare:
nome e cognome, indirizzo di residenza, composizione del nucleo familiare, numero cellulare, e ogni altra informazione ritenuta utile.
Stiamo reagendo con tutte le energie a quanto accaduto. Forza!
Seguiranno aggiornamenti.”, cosi in una nota il sindaco Massimo Isola.

 

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EDITORIA. Il direttore Sansonetti: saremo di sinistra come il papa. La redazione licenziata: non usi il nome di Gramsci e Berlinguer. Archivio conteso: sarà oggetto di un nuovo bando ma l'editore Romeo lo vuole usare

Torna l’Unità. Ma è il Riformista con altro nome Piero Sansonetti presenta la nuova Unità - Foto LaPresse

Oggi torna in edicola l’Unità. O meglio: torna in edicola Il Riformista diretto da Piero Sansonetti sotto la testata del giornale fondato da Antonio Gramsci che l’editore Alfredo Romeo ha comprato all’asta per 900 mila euro.

Si tratta infatti di un episodio unico nella storia del giornalismo mondiale, una sorta di esperimento genetico: trasporre un’intera redazione da una testata all’altra, spacciando l’operazione come una grande novità editoriale, nonostante mantenga perfino gli stessi inserti.

Ieri mattina il direttore Piero Sansonetti (che fu condirettore negli anni novanta dell’ex quotidiano del Pci) ha illustrato la spericolata operazione: «Dopo sette anni e alla vigilia del centenario, l’Unità torna nelle edicole. Fisicamente sarà un giornale piccolo, composto da dodici facciate, ma impegnato ad affrontare temi di grande rilevanza e profondità. E se all’origine era rivolto a contadini e operai, oggi sarà la testata anche di migranti e detenuti. Pur mantenendo sempre netta la propria indipendenza, sarà vicina al Pd, principale forza politica della sinistra, e al pensiero di papa Bergoglio che, attualmente, rappresenta un punto di riferimento ideologico. Il quotidiano, in edicola al costo di 1,50 euro, ha alle spalle una redazione dinamica di sei redattori per il cartaceo, pochi altri per l’online e da diversi collaboratori esterni», ha spiegato Sansonetti.

Fra questi non ci sono i 15 redattori dell’ultima edizione del quotidiano, devastato dal periodo renziano. Che hanno subito risposto a Sansonetti, contestando il riferimento a Gramsci e l’uso della storica foto con Berlinguer e la scritta “Eccoci”: «Questa Unità non ha nulla a che vedere con la testata fondata nel 1924, né con le battaglie del segretario del Pci perché con scientifica, padronale protervia calpesta ogni diritto dei suoi lavoratori: i giornalisti e poligrafici che hanno tenuto in vita il giornale sono stati esclusi, cancellati, perfino vilipesi. Lo ribadiamo al direttore Sansonetti e all’editore Romeo: la testata sono anche i lavoratori. Un concetto tanto più vero nel caso dell’Unità, per la storia e il ruolo del quotidiano fondato appunto da Antonio Gramsci. Un intero corpo redazionale spazzato via. Sansonetti – aggiungono – ci ha tacciato di essere renziani, proprio lui che ha lasciato il Riformista nelle mani del leader di Italia Viva. Molti di noi lavoravano a l’Unità quando Sansonetti era condirettore, e siamo noi ad aver subito l’ultima, indegna chiusura nel 2017 quando la governance del giornale era nelle mani dei Pessina, gli editori voluti dal senatore Renzi».

Sansonetti ha poi annunciato che «ogni giorno ci sarà una pagina dedicata allo straordinario archivio de l’Unità, dal 1947 ad oggi, patrimonio culturale di enorme valore, è in fase di riorganizzazione e sarà reso disponibile online quanto prima».

In realtà l’editore Romeo si è aggiudicato il bando della testata mentre a breve un altro bando riguarderà l’archivio storico della testata.
Si attende una presa di posizione del curatore fallimentare della vecchia Unità mentre non si escludono «diffide» per l’uso illegittimo dell’archivio storico del giornale.

Sansonetti, lascia in pace Gramsci

INFORMAZIONE. Il comunicato delle "lavoratrici e dei lavoratori dell'Unità fondata da Antonio Gramsci" a poche ore dal ritorno in edicola, il 16 maggio 2023, del quotidiano sotto la direzione di Piero Sansonetti

Domani uscirà l’Unità diretta da Piero Sansonetti. Per lanciare il suo progetto, il direttore sceglie slogan “forti”, chiama in causa “il ritorno” di Gramsci e utilizza l’immagine iconica di Berlinguer. Ma questa Unità non ha nulla a che vedere con la testata fondata nel 1924, né con le battaglie del segretario del Pci perché con scientifica, padronale protervia calpesta ogni diritto dei suoi lavoratori: i giornalisti e poligrafici che hanno tenuto in vita il giornale sono stati esclusi, cancellati, perfino vilipesi. Siamo di fronte a un caso mai contemplato nel mondo del lavoro: un’intera redazione sostituita da un’altra.

Lo ribadiamo al direttore Sansonetti e all’editore Romeo: la testata sono anche i lavoratori. Un concetto tanto più vero nel caso dell’Unità, per la storia e il ruolo del quotidiano fondato appunto da Antonio Gramsci. Un intero corpo redazionale spazzato via. Sansonetti ci ha tacciato di essere “renziani”, proprio lui che ha lasciato il Riformista nelle mani del leader di Italia Viva e che finge di non ricordare che noi, giornalisti e poligrafici, abbiamo una storia lunga, più lunga della sua memoria labile.

Molti di noi lavoravano all’Unità quando Sansonetti era condirettore, e siamo noi ad aver subito l’ultima, indegna chiusura nel 2017 quando la governance del giornale era nelle mani dei Pessina, gli editori voluti dal senatore Renzi. Respingiamo, dunque, al mittente allusioni e menzogne. Si assuma le sue responsabilità Sansonetti. Senza chiamare in causa chi odiava gli indifferenti e che ha lottato con la vita per difendere i diritti dei lavoratori. Quelli che Sansonetti e l’editore Romeo hanno calpestato.

* Le lavoratrici e i lavoratori dell’Unità fondata da Antonio Gramsci

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GUERRA E PACE . L'incontro tra Zelensky e Bergoglio in vaticano

Sulla pace posizioni distanti «Il piano del papa non serve»

 

I frutti dell’incontro di ieri pomeriggio in Vaticano fra papa Francesco e Volodymyr Zelensky, se ci saranno, si vedranno nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. Del più importante fra gli appuntamenti romani del presidente ucraino – quaranta minuti di colloquio con il papa e mezz’ora con monsignor Paul Gallagher, il “ministro degli esteri” della Santa sede – sono infatti emerse due narrazioni piuttosto diverse, che evidenziano posizioni decisamente distanti, quasi inconciliabili.

I TEMI DEL COLLOQUIO fra Bergoglio e Zelensky «sono riferibili alla situazione umanitaria e politica dell’Ucraina provocata dalla guerra in corso», ha fatto sapere una comunicazione ai giornalisti della sala stampa vaticana, diffusa pochi minuti dopo che il presidente ucraino aveva lasciato il Vaticano.

«Il papa ha assicurato la sua preghiera costante, testimoniata dai suoi tanti appelli pubblici e dall’invocazione continua al Signore per la pace, fin dal febbraio dello scorso anno – ha aggiunto la nota -. Entrambi hanno convenuto sulla necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione. Il papa ha sottolineato in particolare la necessità urgente di gesti di umanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto».

Nell’incontro con Gallagher – il cardinale segretario di stato Pietro Parolin non c’era perché si trovava a Fatima per l’anniversario delle apparizione mariane – si è parlato soprattutto della guerra in Ucraina, delle «urgenze collegate ad essa, in particolare quelle di natura umanitaria», e della «necessità di continuare gli sforzi per raggiungere la pace», ha informato il comunicato ufficiale vaticano . Ma anche di «alcune questioni bilaterali, relative soprattutto alla vita della Chiesa cattolica nel Paese».

DIVERSA LA RICOSTRUZIONE di Zelensky,

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Nuova Finanza Pubblica

I fondi del Pnrr potranno essere usati per la produzione di armi, dato che il Next Generation Eu vede fra le sue finalità la resilienza e una forma di essa è… la resistenza armata. Sembra lo sketch di un programma di satira politica, invece è la realtà, per bocca del Commissario europeo Thierry Breton.

Questa dichiarazione disvela nella maniera più palese quanto fossero poco fondate le aspettative dello «strumento comune» in merito agli obiettivi di costruzione di una Europa migliore all’indomani del Covid, ma l’aspetto più preoccupante è lo sfondo su cui si colloca, consistente in un sinistro balzo in avanti della costruzione di un complesso militare-industriale Ue.

Le affermazioni di Breton infatti si riferiscono ad un piano in tre punti promosso dal Consiglio europeo e dalla Commissione per supportare militarmente l’Ucraina con la fornitura di armamenti: primo, la fornitura a Kiev di proiettili dai singoli Stati (svuotando i propri arsenali) che saranno pagati da un fondo comunitario, dall’orwelliano nome di “European Peace Facility”; secondo, l’acquisto congiunto finanziato allo stesso modo; terzo, promuovere la produzione bellica di tali armamenti favorendo un coordinamento dei produttori europei.

È così che il 20 marzo 2023 (esattamente 20 anni dopo l’attacco all’Iraq) il Consiglio europeo ha incaricato la Commissione di presentare una iniziativa per accelerare la capacità produttiva del settore degli armamenti europeo. La risposta è stata Asap, un acronimo anglicizzante che sintetizza l’espressione «il prima possibile» (as soon as possible), designando un piano intitolato “Act in Support of Ammunition Production” (“Atto a supporto della produzione di munizioni”).

Si tratta della proposta di regolamento (una delle due tipologie normative della Ue, accanto alla direttiva) che dovrà finanziare la cooperazione fra aziende d’armi con 500 milioni € per potenziale la fabbricazione di proiettili da destinare all’Ucraina. È nella presentazione di questo che hanno luogo le affermazioni sul Pnrr; ed addirittura anche i fondi di coesione potrebbero essere destinati per le armi – giustificando tale scelta con la collocazione di fabbriche d’armi in aree isolate…

Già l’anno scorso si era fatto dei passi in questa direzione: a luglio 2022 la Commissione aveva stilato una proposta di regolamento col finanziamento di 500 milioni € per favorire partnership congiunte fra aziende armiere di diversi paesi per la partecipazione ad appalti. Anche in tal caso la cosa era stata motivata dalla urgenza di rifornire l’Ucraina ma la lunghezza del processo legislativo da un lato e le divergenze dall’altro ne hanno inficiato la – attualmente la Commissione medita di modificare il provvedimento dimezzando i fondi.

Il comparto della difesa è patrimonio geloso dei governi nazionali, prolungamento della rispettiva politica estera e di difesa, in reciproca concorrenza commerciale – similmente alle divergenze fra gli interessi delle rispettive economie. Per cui un complesso militare-industriale unitario è difficile da far nascere. La European Defence Agency, un oscuro ente comunitario che sarebbe il più titolato ad assurgere a dominus del militarismo europeo non è riuscita a far molto.

Nella bozza di regolamento ASAP si prevede la possibilità di cofinanziamento fino al 60% di iniziative per incrementare la capacità produttiva, prefigurando di aprire «la strada al futuro programma europeo di investimenti per la difesa (Edip)», una nuova fonte di finanziamento da discutere nel corso dell’anno corrente.

Del resto lo stesso testo afferma che «le imprese delle filiere della difesa avranno accesso al finanziamento a debito per settore delle munizioni e dei missili. Il regolamento dovrebbe in particolare garantire che a tali soggetti siano concesse le stesse condizioni offerte ad altri, facendosi carico di eventuali costi aggiuntiv»”. Insomma credito per le armi. L’edificazione di un vero complesso militare-industriale non è ancora in vista ma c’è chi sta imboccando questa direzione

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LA QUESTIONE DEMOGRAFICA . Incontro tra la premier e il papa agli Stati generali di Roma. Il ridicolo panel di soli uomini 

Meloni e Bergoglio, due idee diverse di natalità e accoglienza Roma, Stati generali della natalità con papa Francesco e Giorgia Meloni - LaPresse

Nel linguaggio della politica, «Stati generali» significa che i partecipanti rappresentano tutte le parti in causa. In realtà al convegno organizzato dal Forum delle famiglie lo squilibrio è evidente: su 42 ospiti solo nove sono donne. Quattro di loro sono state invitate solo in quanto leader di partito (Meloni, Schlein, Carfagna, Bonetti).

Il punto più basso si raggiunge prima di pranzo durante l’incontro intitolato «Natalità produce ricchezza», con sette manager e un ministro – tutti maschi – invitati a ragionare dell’impatto economico della crisi demografica. «Peccato che il dibattito non si svolga in una caverna ma agli Stati generali della Natalità» ironizza la vice-presidente del parlamento europeo Pina Picierno.

Con queste premesse, la terza edizione degli Stati generali della natalità si è trasformata nell’ennesimo palcoscenico da cui rilanciare i temi cari alla destra in ambito familiare. Ne aveva approfittato giovedì il ministro Francesco Lollobrigida per chiarire che agli Stati generali non si va a parlare di demografia ma «a capire se il nostro raggruppamento linguistico e culturale possa sopravvivere». Anche in questa occasione il discorso del ministro non è passato inosservato quando ha parlato di «etnia italiana».

Ieri invece è stato il giorno di Papa Bergoglio e della premier Giorgia Meloni che si è presentata vestita di bianco come il pontefice – una gaffe notata dallo stesso Francesco e che rilancia la centralità dell’armocromista. Il dialogo tra premier e papa dura un’oretta.

La sorella d’Italia prova a spostare la discussione su temi più concreti, quello dell’occupazione femminile e della sua conciliazione con il carico familiare: «Se le donne non avranno la possibilità di realizzare il desiderio di maternità senza rinunciare a quello professionale non è che non avranno pari opportunità, non avranno libertà». Giusto. Peccato che il suo governo abbia scelto il Primo Maggio per approvare una riforma del lavoro che favorisce il lavoro precario – senza tutele per maternità e paternità – rispetto a quello stabile.

Di fronte all’evidente contraddizione, il discorso di papa Francesco finisce per apparire un rimprovero a tutto campo al governo e un assist ai giovani accampati in tenda davanti alle università. «Difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti sono problemi reali» dice. «Sono problemi che interpellano la politica, perché è sotto gli occhi di tutti che il mercato libero, senza gli indispensabili correttivi, diventa selvaggio e produce situazioni e disuguaglianze sempre più gravi».

A Bergoglio non è piaciuta l’ennesima tirata sulla «sostituzione etnica» di Lollobrigida. E nemmeno la «scommessa sugli italiani» di Meloni. D’altronde l’Istat, nelle sue citatissime statistiche sull’inverno demografico, non parla mai di «italiani» ma di «residenti» e famiglie che danno impulso alla natalità sono soprattutto quelle straniere. Questa prospettiva dinamica sulla popolazione, che tiene conto anche dei flussi in entrata e in uscita, agli Stati generali è del tutto assente.

Tocca al papa, dunque, ricordare che «natalità e accoglienza non vanno contrapposte». «Una comunità felice – dice – sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, di accogliere, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno».

La conclusione del suo intervento è un invito alla premier a uscire dal ruolo di eterna vittima: «Adesso gli italiani hanno bisogno di risposte». Maurizio Lupi, leader del pacchetto di eletti di «Noi moderati» e riferimento ciellino in maggioranza, prova a mettere una pezza su un dialogo che assomiglia più a un confronto tra governo e opposizione. «Chi li mette in contrapposizione sbaglia ed è solo ideologia. Sono inutili tifoserie». Con l’effetto collaterale di mettere nero su bianco un imbarazzo reale.

La premier non si fa sfuggire l’occasione per ribadire che va bene difendere la famiglia, ma a condizione che sia quella tradizionale, un tema su cui il Vaticano è più allineato. «Vogliamo che non sia più scandaloso dire che siamo tutti nati da un uomo e una donna, che non sia un tabù dire che la natalità non è in vendita, che l’utero non si affitta e i figli non sono prodotti da banco che puoi scegliere e poi magari restituire».

Ma sa anche lei che dipinge un’Italia immaginaria. «Mostra di essere in piena contraddizione» le risponde da Torino Alessandro Zan (Pd) riferendosi all’impossibilità di registrare le famiglie omogenitoriali con figli. «Parlano di famiglia ma poi discriminano le famiglie».

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GUERRA UCRAINA. Oggi il presidente ucraino potrebbe far visita a Bergoglio. Ma sul negoziato la Russia tace. Visita lampo a Roma, incontri previsti anche con la premier Meloni e il presidente Mattarella

Aspettando Zelenksy (e Mosca). Il papa lavora alla pace vaticana Papa Francesco in Vaticano con una bandiera ucraina arrivata da Bucha - Ap/Alessandra Tarantino

Zelensky è atteso oggi a Roma per una visita lampo durante la quale vedrà il presidente della Repubblica Mattarella e molto probabilmente anche papa Francesco e la premier Meloni.

I dettagli non sono ancora noti, manca anche qualche conferma ufficiale, ma tutti gli indizi indicano che il presidente ucraino si recherà prima in Vaticano per essere ricevuto dal pontefice, poi al Quirinale e infine a palazzo Chigi.

DEI TRE APPUNTAMENTI quello con il papa è il più importante, anche alla luce delle indiscrezioni delle scorse settimane sulla missione diplomatica condotta dalla Santa sede: annunciata da Bergoglio nel volo che il 30 aprile lo riportava a Roma da Budapest, subito smentita da Kiev prima e da Mosca poi, infine confermata dal cardinale segretario di Stato Parolin, che ancora mercoledì scorso, a margine di un convegno alla Pontificia università lateranense su don Milani, ribadiva che «ci sono novità riservate» e che quindi la missione «andrà avanti».

Rispetto all’incontro di oggi, da Mosca minimizzano: non è legato alla «missione di pace» di cui ha parlato il pontefice nei giorni scorsi – scrive l’agenzia ufficiale russa Tass, citando «una fonte vaticana» –, Zelensky avrebbe fatto richiesta «solo alcuni giorni fa» di essere ricevuto da Bergoglio durante la sua visita a Roma e la richiesta è stata accolta.

L’agenda di papa Francesco per oggi è stata lasciata libera da impegni, proprio per consentire di accogliere in Vaticano il presidente ucraino in qualsiasi momento della giornata.

SI TRATTEREBBE del secondo faccia a faccia tra i due, dopo

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