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GUERRA IN UCRAINA catastrofe nella catastrofe

 

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LA PREVISIONE. Lo sostiene l'Ufficio parlamentare di bilancio. Certificate le prime conseguenze della caccia agli «occupabili» poveri lanciata dal governo Meloni. Ecco come il nuovo «assegno di inclusione» esclude e discrimina. Saranno così potenziate le caratteristiche del Workfare creato da Lega e Cinque Stelle nel 2019 con il governo "Conte 1"

400 mila famiglie resteranno senza reddito di cittadinanza Alla manifestazione Ci vuole un reddito del 27 maggio a Roma - LaPresse

Quattrocentomila famiglie perderanno il «reddito di cittadinanza» quando il governo Meloni procederà all’istituzione dell’«assegno di inclusione» prospettato nel cosiddetto «decreto lavoro» che attende di essere convertito in legge. è la previsione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) contenuta nel «Rapporto sulla politica di bilancio» presentato ieri al Senato.

«DEI QUASI 1,2 MILIONI di nuclei familiari beneficiari del reddito di cittadinanza circa 400 mila (il 33,6%) sono esclusi dall’assegno di inclusione perché al loro interno non sono presenti i soggetti tutelati». Cioè non ci sono anziani, portatori di handicap, minori e le altre figure che, secondo l’esecutivo di estrema destra, garantiranno il riconoscimento di un sussidio che assomiglia sempre di più a una misura di ultima istanza contro la povertà assoluta che si presuppone insuperabile e, dunque, riservato solo a una porzione degli esclusi assoluti sia dal mercato del lavoro che dall’intera società. Tutte le persone estromesse perderanno in media tra i 460 e i 535 euro circa, stima l’Upb.

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DAI RESTANTI 790 MILA nuclei familiari restanti sarebbero inoltre esclusi altri 97 mila (il 12% dell’attuale totale) perché non rientrano nei vincoli di natura fiscale e patrimoniale previsti per erogare il nuovo «assegno di inclusione». Il «paletto» principale che rende sempre più escludente la fallace categoria di «inclusione» usata dal governo è quello dell’Isee (cioè l’Indicatore della situazione economica equivalente) calcolato a 9,360 euro. Chi guadagna solo un euro in più non sarà più «incluso». Gli altri, grazie alla piena compatibilità tra la nuova misura e l’«assegno unico e universale figli», potrebbero essere beneficiari di un fondo complessivo pari a 6,1 miliardi di euro.

NON È UNA NOVITÀ. Anzi è tipico di tutte le politiche di Workfare com’era il «reddito di cittadinanza», e come sarà anche l’«assegno di inclusione». Nel maggio 2023 in un’audizione parlamentare, l’Inps ha informato che il «reddito di cittadinanza» non è stato dato a un milione e novecentomila persone in quattro anni. Nello stesso periodo un altro milione è «decaduto». A trecentomila è stato revocato. Il «risparmio» di 11 miliardi di euro è stato realizzato su 3,2 milioni di persone. È l’esito di un progetto concepito come un Workfare e diventato, anche a causa di una violenta campagna di diffamazione, sempre più escludente. Meloni sta proseguendo il lavoro iniziato nel 2019 dal governo pentaleghista «Conte 1».

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CON UN SURPLUS di repressione. Si ricorderà, infatti, che i 400 mila nuclei sono stati esclusi perché «occupabili». Nell’interpretazione di questa teoria neoliberale del mercato del lavoro, introdotta dal «Conte 1» nella legge italiana le attuali destre prediligono l’idea che l’occupabile sia un occupato potenziale che non vuole lavorare. Mentre, invece, l’occupabile sarebbe chi si prepara a cercare un lavoro e non lo trova anche perché, com’è il caso italiano, è da anni inoccupato e non ha spesso saperi e relazioni per diventare «occupato».

NELL’«ASSEGNO DI INCLUSIONE» gli «occupabili» saranno in linea teorica maltratti. Per avere un sussidio da 350 euro, inferiore all’assegno di inclusione, dovranno avere un Isee inferiore ai seimila euro, anziché 9.360. Ma per avere il denaro dovranno firmare un «patto di servizio personalizzato», cercare corsi di formazione per la durata di almeno sei mesi, rivolgersi ad almeno tre agenzie di lavoro private o altri enti. E dovranno svolgere il lavoro servile dei «progetti utili alla collettività» o il «servizio civile». In pratica, sarà difficilissimo ottenere il sussidio.

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L’IRRIGIDIMENTO del Workfare creato nel 2019 verso un modello più selettivo, ma ugualmente non universale, produrrà nuove gerarchie tra i più poveri. L’Upb si è soffermato anche su un altro aspetto dell’impostazione meloniana: la discriminazione negativa (cioè colpisce doppiamente le persone già vittime di diseguaglianze) tra i poveri che non lavorano, oggetti dello stigma dei «divanisti», e quelli che hanno in famiglia un disabile. Mentre i primi saranno esclusi, agli altri potrebbe essere aumentato il sussidio di 64 euro al mese. Le famiglie con minori non disabili potrebbero avere 124 euro in più. Per i nuclei con anziani, mediamente, il beneficio potrebbe anche ridursi di 29 euro medi mensili circa

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PENSATE ALLA SALUTE. Incontro con Cgil, Cisl e Uil su rinnovo contratti e liste d’attesa Landini: nessuna risposta, ragioni in più per la piazza di sabato. Chi si attendeva annunci dal ministro è rimasto deluso: il piano per le assunzioni non ha coperture

Quattro milioni di italiani rinunciano alle cure, due anni d’attesa per una mammografia, pronto soccorso intasati. Ma il governo taglia. E il ministro Schillaci ai sindacati può promettere solo «tavoli». La Cgil: ragioni in più per il corteo di sabato a Roma

Sanità al collasso, Schillaci non ha soldi ma promette tavoli Infermieri e medici di un Pronto Soccorso - Foto LaPresse

A quattro giorni dalla manifestazione nazionale a difesa della sanità pubblica, la convocazione dei sindacati confederali da parte del ministro della Salute Orazio Schillaci sembrava fatta apposta per qualche annuncio del governo che ne smontasse le motivazioni.

Nonostante la buona volontà del ministro meno peggio della compagine Meloni, niente di tutto questo è successo. Il fantomatico piano Schillaci anticipato due giorni fa dal La Stampa sarebbe – se non la «rivoluzione» che il quotidiano torinese vedeva – quanto meno un inversione di tendenza: gli specializzandi in medicina generale verrebbero subito assunti dal Sistema sanitario nazionale per lavorare nelle Case della Comunità, mentre gli attuali medici di famiglia in convenzione con le Asl potrebbero optare di fare lo stesso, mentre alle attuali 10 mila guardie mediche verrebbe affidato il compito di effettuare le visite a domicilio.

NIENTE DI TUTTO CIÒ è stato annunciato a Cgil, Cisl e Uil: evidentemente Schillaci non ha il via libera politico da Meloni e finanziario da Giorgetti, nonostante i miliardi

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Quindici progetti ammessi per un totale di più di 530mila euro di contributi: sono questi i risultati del bando regionale sulle Comunità energetiche che riguardano la provincia di Ravenna. Nei giorni scorsi, infatti, è stata pubblicata la graduatoria del bando che finanzia gli studi di fattibilità finalizzati alla realizzazione di Comunità Energetiche Rinnovabili e che deriva dall’approvazione della legge regionale 5 del 2022 di cui è stata relatrice la consigliera regionale del MoVimento 5 Stelle Silvia Piccinini.

 montaggio pannelli solari

In tutto, per la provincia di Ravenna, hanno ricevuto l’ok della Regione 15 progetti per un finanziamento complessivo concedibile di 531.145 euro. Sette progetti riguardano la città di Ravennadue a Lugouno rispettivamente a BrisighellaAlfonsineCerviaFaenzaConseliceRussi.

 

“Sono particolarmente soddisfatta che anche la provincia di Ravenna abbia dimostrato grande interesse per il tema delle Comunità energetiche Rinnovabili, sfruttando al massimo l’opportunità che abbiamo voluto offrire grazie al bando regionale – spiega Silvia Piccinini – Si tratta di un primo e importante passo verso l’attuazione di quella grande rivoluzione energetica di cui abbiamo assolutamente bisogno se vogliamo contrastare con efficacia anche gli stravolgimenti climatici che stanno provocando danni sempre più importanti, come purtroppo abbiamo avuto modo di constatare durante la devastante alluvione che ha colpito la nostra regione”.

Tra i progetti finanziati c’è quello che riguarda Russi (che riceverà un contributo di 27.180 euro) che vede la creazione di una Comunità energetica formata da ASP, dal Comune e dalla Pubblica Assistenza che potrebbe portare ad una quantità di CO2 equivalente evitata in circa 37.125,50 kg grazie proprio agli impianti della CER. A Cervia, invece, l’amministrazione comunale l’ASP “Ravenna, Cervia e Russi” e il Consorzio Cervia Parcheggi (grazie al contributo assegnato di 20.608 euro) vogliono realizzare impianti fotovoltaici di nuova costruzione, per una potenza complessiva di 242 kWp con una producibilità attesa di 302.742 kWh/anno, con una quantità potenziale di energia condivisa dalla CER pari a 262.210 kWh/anno. I siti individuati potranno avere un risparmio complessivo stimato in 40.532 kWh/anno. Ha ricevuto il massimo del contributo concedibile (50mila euro) il progetto presentato dal Comune di Faenza che individuato un’area in località Santa Lucia su cui potrebbe essere installato un impianto fotovoltaico flottante di circa 1 MW su invaso irriguo che sarà proprio al centro della nuova Comunità energetica.

“Ciò che mi preme sottolineare è che molti dei progetti presentati hanno come denominatore comune una attenzione speciale all’inclusione sociale, cogliendo in pieno quello che era lo spirito della legge sulle Comunità energetiche che ho voluto con tanta determinazione lo scorso anno. Un aspetto che conferma la straordinaria opportunità fornita proprio dalle Cer per rendere più solidale, inclusivo e condiviso il modo di produrre e consumare energia” conclude Silvia Piccinini.

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EMILIA ROMAGNA. Le promesse di Meloni a Enzo Lattuca (Pd) sono cadute nel nulla: «Risorse in ritardo: i 300 milioni arrivati, quasi tutti già spesi. Il governo separa l’emergenza dalla ricostruzione, ma è un discorso che sui territori non è comprensibile. Non possiamo concepire una gestione del genere»
Il sindaco di Cesena: «Commissario e fondi, basta prese in giro» La turbina trascinata dal fiume Senio incastrata sotto un ponte a Riolo Terme, Ravenna - foto Ansa

Un mese fa, quando la sua città e mezza Emilia Romagna erano immerse nel fango, il sindaco di Cesena Enzo Lattuca (Pd) aveva ricevuto una telefonata da Giorgia Meloni: «Il governo farà tutto il necessario». La risposta: «È un impegno che prendo sul serio».

Così, mentre le settimane passano, i soldi promessi non si vedono e il commissario alla ricostruzione ancora non è stato nominato, Lattuca torna a farsi sentire, invocando il rispetto delle promesse fatte e chiedendo che si agisca alla svelta. Perché se non piove più e l’estate è ormai cominciata, la vita nei territori alluvionati continua ad essere complicata.

Sindaco Lattuca, a che punto siamo?

Cesena è ormai ripartita, anche se ancora abbiamo 400 famiglie fuori dalle loro abitazioni perché sono inagibili o irraggiungibili. La situazione, insomma, è ancora per molti versi complicata. Da parte nostra abbiamo fatto la conta dei danni: il problema non riguarda soltanto le strade, ma anche i sottoservizi, le fognature, argini i canali di bonifica, le scuole….

Enzo Lattuca, sindaco di Cesena

A quanto ammonta questo conto che avete fatto?

Per Cesena sono 58 milioni di euro. È la cifra che abbiamo comunicato alla Regione. In provincia saliamo a 400 milioni. Per tutta l’Emilia Romagna parliamo di quattro miliardi.

Però il governo ancora parla di emergenza e non nomina un commissario alla ricostruzione.

Il governo separa l’emergenza dalla ricostruzione, ma si tratta di un discorso che sui territori non è comprensibile. Non possiamo concepire una gestione del genere. Emergenza, riparazioni e ricostruzione sono sulla stessa linea. Poi, certo, ci sono anche opere che richiederanno più tempo per essere progettate e realizzate, ma molte altre possono essere fatte nell’immediato. Oltre alle 400 famiglie che dicevo prima, ad esempio, abbiamo migliaia di case danneggiate. A differenza del terremoto, in questa situazione gli edifici hanno bisogno di interventi onerosi ma che possono essere fatti subito. Le condizioni per una ricostruzione rapida ci sarebbero tutte.

E come si spiega questo ritardo?

Il ritardo riguarda lo stanziamento delle risorse. Nessuno di noi sindaci vuole tutto e subito, è chiaro. Ma nel decreto pubblicato ormai un mese fa le risorse erano qualcosa meno di 300 milioni di euro, quasi tutti già spesi. C’era ad esempio un fondo di 245 milioni per la protezione civile, ma è stato già speso. Il problema è tutto qui.

Voi avete già cominciato a fare alcuni interventi, ma dal governo vi hanno detto che non va bene.

La Regione ha presentato un piano di lavori di somma urgenza. Si tratta di interventi che soprattutto serviranno ad evitare ulteriori danni, cioè a ripristinare la situazione com’era prima del ciclone che ci ha travolti. Parlo dei fiumi, che alla prossima alluvione torneranno a esondare, e parlo anche delle abitazioni e delle aziende isolate dalle frane: è necessario ripartire il prima possibile. La cifra che servirebbe è di 1.8 miliardi di euro per questo. Qui diciamo che la prossima emergenza arriverà in autunno, ma ormai gli eventi estremi possono verificarsi in qualsiasi momento. Per questo penso sia necessario fare al più presto quantomeno gli interventi di ripristino. Non basterà, ma è davvero il minimo da fare in questo momento. Molti cantieri sono già stati aperti e dal governo ci hanno fatto sapere che prima di farlo dobbiamo chiederlo a loro. Ma se, come dicono loro, siamo in emergenza, bisogna fare ciò che è indispensabile e poi dopo ragioniamo su come coprire i costi.

I partiti della maggioranza di governo sembrano divisi su tutto: dalla nomina del commissario ai fondi necessari per la ricostruzione. Un’evidenza che Lega e Fratelli d’Italia ormai non riescono più nemmeno a nascondere. Ha anche lei questa sensazione?

Non sono a conoscenza degli screzi che possono esserci tra la Lega e Fratelli d’Italia, e in tutta onestà mi interessano poco. Qui nessuno vuole fare polemica, però, ecco, penso che certe frasi del sottosegretario Galeazzo Bignami sul fatto che il governo non può dare soldi sulla fiducia siano offensive. Posso assicurare che da queste parti siamo tutti piuttosto provati e nessuno ha voglia di prendere in giro, né di farsi prendere in giro.

 
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Infamily day - A Padova la procura impugna gli atti di nascita dei figli delle famiglie omogenitoriali registrati dal 2017 a oggi e cancella il doppio cognome. Alla Camera si discute la legge che trasforma in «reato universale» la gestazione per altri. I genitori: «Non siamo criminali»

DIRITTI. La procura patavina impugna gli atti di nascita dei bimbi delle famiglie omogenitoriali registrati dal 2017 a oggi dal sindaco Giordani. Alla Camera si discute il reato universale di Gpa. La protesta: «Non criminali, genitori»

Figli di «Melonia»,  a Padova è vietato avere due mamme Montecitorio, manifestazione contro il «reato universale» della Gravidanza per altri - LaPresse

Maria Sole, Isabella, Federica, Davide: non sono criminali, sono genitori. Lo rivendicano con il disappunto che si deve davanti ad un’idea balzana, quella del governo Meloni di rendere la Gestazione per altri non solo illegale in Italia (come è già per via della legge 40) ma anche un «reato universale». Sono arrivati a Montecitorio – mentre in Aula stava per aprirsi il dibattito generale sulla proposta di legge Varchi (Fd’I) che rende perseguibile il reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano – per un walk around attorno alla Camera vietato dalla norma sopravvissuta all’emergenza Covid che ancora proibisce manifestazioni davanti al Parlamento. Sono donne nate senza utero o con problemi di salute che impediscono loro di avere una gravidanza, o sono membri di famiglie omogenitoriali che percepiscono la furia proibizionista della destra come un attacco preciso alle famiglie arcobaleno, che in Italia non possono adottare bambini. E non possono neppure vedersi riconoscere come genitori dei loro stessi figli, nati dal proprio partner all’interno di un progetto familiare, come testimonia la decisione presa ieri dalla Procura di Padova che ha impugnato gli oltre 30 atti di nascita di figli di coppie dello stesso sesso registrati dal 2017 a oggi dal sindaco Sergio Giordani, per cancellare il “genitore 2” dallo stato di famiglia di quei bimbi, discriminati così di fatto rispetto agli altri. Il più antico di quegli atti di nascita padovani è già stato annullato.

«VA CONTRO LE LEGGI, e i pronunciamenti della Cassazione, un atto di nascita registrato con due mamme», afferma infatti la procura di Padova diretta da Valeria Sanzari nell’atto giudiziario notificato ad una coppia di donne lesbiche con due figli, relativamente alla loro primogenita, una bambina di sei anni il cui atto di nascita è stato registrato addirittura il 30 agosto 2017. Ebbene, ora la procura chiede al Tribunale civile di cancellare il nome della madre non biologica dallo stato di famiglia e di rettificare il doppio cognome della bimba, eliminando quello della seconda mamma. «La giovane età della bambina – scrive ancora la pm Sanzari – esclude che la modifica del cognome come richiesto possa avere ripercussioni sulla sua vita sociale». Non la pensano così le due mamme, che sottolineano: «Non si tratta solo di ripercussioni sulla vita sociale. Ma ripercussioni sulla propria identità, fino a prova contraria un diritto fondamentale». Il Tribunale civile discuterà del caso l’11 novembre, ma altri ricorsi della procura sarebbero in dirittura di arrivo per tutte le famiglie omogenitoriali padovane.

IL SINDACO GIORDANI ha ribadito di essere «sereno e convinto delle scelte fatte»: «Ci sono momenti nei quali un sindaco è da solo con la sua coscienza e la Costituzione, e deve decidere nell’interesse primario di chi ha davanti, per me e ritengo per la Costituzione l’interesse di questi piccoli era quello da mettere al centro», ha detto ricordando il «vuoto legislativo gravissimo rispetto al quale il Parlamento dovrebbe legiferare», mettendo però «da parte la battaglia ideologica» per «pensare solo ai bambini». Per l’associazione Famiglie arcobaleno quello della procura di Padova è «un atto vergognoso e indegno di un Paese civile». «È incredibile – sbotta la presidente Alessia Crocini, che promette battaglia – che in una città dove per tutti questi anni nessun certificato era stato impugnato, la cosa avvenga a pochi mesi dalla circolare del Ministro dell’Interno Piantedosi ai Prefetti (che chiedeva di non registrare all’anagrafe i figli delle coppie gay, ndr)».

LA NOTIZIA PADOVANA arriva subito dopo la conclusione del dibattito in Aula sulla «maternità surrogata», che tutto è tranne una modernità, pratica antica come il mondo. Per le destre invece va considerata reato da perseguitare anche se commesso in Stati dove è legale. Anche a costo di violare i trattati internazionali. Eppure nella proposta, che riforma con un unico articolo la legge 40, il reato rimane punito esattamente come prima, con una pena da tre mesi a due anni e con una multa fino a un milione di euro. Non una gran cosa, per un reato universale.

RICCARDO MAGI, segretario di +Europa e relatore di minoranza della Pdl Varchi, mette così insieme i due fatti del giorno: «Ecco cosa produce l’omofobia di Stato di questo governo – scrive in una nota insieme ad Emma Bonino, a commento della decisione della procura di Padova – e di un ministro come Piantedosi che passa sopra i corpi e i sentimenti dei bambini e delle loro famiglie per imporre un unico modello di famiglia. Come si fa ancora a sostenere che non c’è la volontà di discriminare questi bambini?». In Aula alla Camera lo aveva sostenuto per prima la relatrice di maggioranza Maria Carolina Varchi, portando come prova provata il fatto che «la legge non è mai retroattiva». «Quindi nessuna discriminazione», ha assicurato Varchi. Magi – che ha depositato una pregiudiziale di costituzionalità sulla Pdl, e alla Camera anche una legge messa a punto dall’associazione Luca Coscioni per la legalizzazione della Gpa – le ha fatto notare che in Italia ci sono ragazzi ormai adolescenti nati con quella tecnica che saranno bollati, insieme a tutti quelli che nasceranno, come «figli di un crimine universale. Scusate se è poco».

NEL DIBATTITO IN AULA c’è anche chi, come Laura Zanella (Avs), boccia la Pdl benché contrarissima alla Gpa (si dilunga nella descrizione dello sviluppo della «creatura nel grembo materno», e parla di «mercato rampante della produzione artificiale della vita»), poi annuncia emendamenti per permettere «anche alle coppie lesbiche la fecondazione eterologa». Per l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, tutto questo è possibile solo nella «nazione di “Melonia”, dove le leggi sono pura propaganda»

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