POLITICA. La segretaria alla direzione Pd: «Una estate militante con una agenda di sette punti»
Elly Schlein sfida gli avversarti interni che, ogni occasione, come la sua partecipazione alla manifestazione di sabato del M5S, alzano scudi di indignazione. «Se a qualcuno la linea del Pd non piace meglio che lo ammetta apertamente», dice la segretaria aprendo la direzione dem, e invitando i critici ad uscire allo scoperto.
Non si pente di essere andata in piazza da Conte, «anche se sull’Ucraina le distanze restano enormi». Andrebbe a portare un saluto anche a Calenda, «ma questo non significa che io condivida le sue idee sull’elezione diretta del premier». Perché «stare l’opposizione non significa stare in vacanza e coltivare il proprio oricello, da soli non bastiamo per costruire un’alternativa».
PER SFIDARE GLI AVVERSARI interni Schlein cita Daniele Silvestri «le cose che abbiamo in comune sono 4850», ma anche Diodato, la sua «Fai rumore» che vinse Sanremo nel 2020. «Non so lo se mi fa bene questo rumore», e si riferisce appunto al rumore di fondo delle polemiche interne, il solito «giochino di logoramento dei segretari» che tanto male ha fatto al Pd. «Mettetevi comodi, siamo qui per restare», ribadisce il concetto già espresso dopo il flop delle amministrative. «Per fare quello che ci hanno chiesto gli elettori delle primarie, anche se cambiare crea forti resistenze». «Non c’è una linea? «Siamo pieni di proposte ma le copriamo con discussioni interne che hanno stufato la gente».
UN RICHIAMO PIUTTOSTO bonario all’unità interna. Ma Lorenzo Guerini non ci sta: «Nessuno vuole azzoppare la segretaria. Ma con franchezza devo dirti che
Leggi tutto: Schlein replica al fuoco amico: «Non riuscirete a logorarmi» - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)A TUTTO CAMPO. Al corteo del M5S le voci del paese che soffre le disuguaglianze. La leader dem: «Bene manifestare dissenso verso questo governo». Si presenta (a sopresa) anche il fondatore Beppe Grillo. Ma gli applausi dei 5 Stelle sono per l’ex premier
«Un presidente, c’è solo un presidente» canta la folla sfidando questi giorni di lutto nazionale che riguardano un altro presidente. Quello in questione, Giuseppe Conte, quando il corteo si muove da piazza della Repubblica ancora non si vede. Si presenta invece il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. Viene preso d’assalto dai cronisti e salutato dal mugugno di alcuni dei manifestanti: alle politiche siete andati col Pd, avete votato la tal legge e via borbottando (a mezza voce). Per certi versi, per Conte è un buon segno: da questi malumori malcelati (che accompagnano anche Elly Schlein) può intravedere il Movimento 5 Stelle del boom elettorale e prendere atto che la mutazione che ha accompagnato non ha dissipato per strada alcuni dei tratti delle origini. Il tutto sta nel tenerli nella giusta prospettiva, e questo primo corteo dell’era Conte, pieno di ospiti, adesioni esterne e sinistra sparsa che è «venuta a vedere», è una prova in questo senso. L’ex verde Paolo Cento, esponente della sinistra per Conte che ha provato nel Lazio a costruire la gamba progressista accanto ai 5 Stelle, la mette così: «Qui almeno c’è un pezzo di popolo».
QUANDO SPUNTA Schlein va incontro a Conte e trova questa formula: «Avete fatto bene a mobilitarvi, Giuseppe. Ci tenevamo a venire per testimoniare la volontà di lavorare insieme contro la precarietà». Conte accoglie la segretaria dem: «È un segnale importante per chi pensa di essere maggioranza nel paese. Di percorso ne abbiamo da fare, ma questo è un buon messaggio». Lo zoccolo duro della piazza è costituito dalle decine di pullman che hanno raggiunto Roma, soprattutto dal sud. A questi si aggiungono altri simpatizzanti e i rappresentanti delle categorie sociali che il M5S ha chiamato a parlare. Il serpentone scende lungo via Cavour. Difficile ascoltare un coro unico, uno slogan caratterizzante. Si sentono piuttosto le tante voci che compongono il M5: unito attorno a Conte come unico faro e senza i volti noti delle scorse legislature fatti fuori dalla tagliola dei due mandati (con qualche eccezione per Francesco Silvestri e Riccardo Ricciardi). Rocco Casalino è fuori dal suo ruolo di gran regista della macchia mediatica, spesso in giro per selfie, forse già in campagna per le prossime europee.
SI RISPOLVERA il vecchio «Onestà», che via via lungo la strada qualcuno aggiorna in «dignità». Ci provano i giovani, a cercare le parole giuste dietro lo striscione giallo che indica le priorità: clima, salario e precarietà. Ma rispolverano il «fuori la mafia dallo stato» della primavera palermitana. Il corteo si sfilaccia un po’, si ricompatta per qualche foto suggestiva verso la fine e poco dopo finisce nell’imbuto di transenne costruito a largo Corrado Ricci, a ridosso dei Fori. Una location scelta per accogliere folle non troppo ampie in modo farle apparire sostanziose. C’è da dire che i numeri, di questi tempi, sono questi.
LA NARRAZIONE grillina (o meglio contiana) vuole che «la politica fa un passo indietro per ascoltare le vostre storie». Il leader parla velocemente di un paese in cui i salari sono fermi da trent’anni prima di cedere la parole alle categorie colpite dalle politiche anti-sociali del governo Meloni. «Il salario minimo è la strada giusta – dice Conte – L’hanno seguita anche Francia Spagna Germania. Se il governo non vuole ascoltare noi almeno ascolti il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco». E ancora: «Non prendiamo in giro nessuno, sappiamo che la riforma del reddito di cittadinanza è complessa, ma il governo la vuole fare o vuole fare cassa sui poveri?». Poi si fa di lato e ascolta la decina di testimonianze (tre minuti a testa) delle «vite precarie».
L’IDEA È CHE ogni sfaccettatura che riguarda la precarietà venga messa in scena: gli esodati del Superbonus, i ricercatori, i percettori di reddito, gli sfruttati e 4 euro l’ora. Con una vistosa mancanza, soprattutto a pochi giorni dalla spaventosa ecatombe nel mar Egeo: nessuno cita o fa parlare i migranti, che pure sarebbero un pezzo decisivo della componente precaria della forza lavoro di questo paese. Alla fine, dopo l’intervento contro la guerra di Moni Ovadia, spunta davvero a sorpresa persino Beppe Grillo. Si produce in un monologo senza filo conduttore, difficile da riassumere, dal quale proviamo a estrarre alcune suggestioni politiche. Evoca la necessità di un reddito di base incondizionato, dice che vorrebbe un voto commisurato all’età delle persone e alla loro aspettativa di vita (non saranno stati contenti gli over 60, come sempre nelle piazze del M5S parte preponderante), invita a costituire brigate di incappucciati che nottetempo riparino cose in giro per le città. Conte ritorna in scena per congedare tutti, un po’ frettolosamente. Il bilancio politico, in giornate non facili, per lui è positivo: ha radunato il suo popolo e ha costretto i potenziali alleati a venire ad ascoltarlo
Commenta (0 Commenti)Esiste una sinistra in grado di attrarre a sé consenso senza perdere la radicalità. È sparsa nelle città e oggi, a Bologna (ore 15, al centro sociale Giorgio Costa) prova a tirare le prime conclusioni di un lavoro di cucitura che va avanti ormai da qualche mese. A piccoli passi e senza fare solenni proclami, ma nella convinzione che ci sia davvero uno spazio politico non piccolo da occupare.
Lo scorso gennaio, a Torino, gli esponenti di una quarantina di liste civiche di sinistra si sono incontrati per la prima volta e da lì si è cominciato a discutere del documento che verrà presentato oggi in assemblea, il «Manifesto per la Rete neo-municipalista per la giustizia sociale e ambientale». Tra i promotori si segnalano l’assessore torinese Jacopo Rosatelli, la vicesindaca di Bologna Emily Clancy, il presidente del municipio di Roma VIII Amedeo Ciaccheri E poi ci sono quelli di Coalizione Civica Padova, Adesso Trieste, Napoli Solidale e tanti altri. L’idea è dunque quella di dar seguito al percorso cominciato ormai diversi mesi fa, con l’obiettivo di costruire uno spazio «dove le tantissime realtà civiche del Paese possono riconoscersi, negli obiettivi politici ma anche nel metodo per raggiungerli, mettendo a fattor comune buone pratiche, promuovendo iniziative politiche coordinate e comuni a livello nazionale, valorizzando differenze e specificità territoriali, insieme e grazie alla Rete».
Nel manifesto fondativo si parla dunque di «un mondo da costruire a partire dai Comuni, dai rioni e dalle periferie delle nostre città, attivandoci nei singoli territori e in considerazione della loro specificità, ma adottando fin da subito uno sguardo e una prospettiva europea e globale. Promuovendo una politica che si nutra di partecipazione popolare e valorizzazione delle differenze contro ogni discriminazione, traendo linfa dall’elaborazione teorica e pratica, dell’ambientalismo, dell’antirazzismo, del pacifismo, del movimento lgbtqia+, del transfemminismo, delle lotte contro il lavoro povero, precario e ricattabile e di quella contro le mafie». Le parole d’ordine, per cominciare, sono tre: «Partecipazione, coerenza, radicalità».
Una messa a disposizione di esperienze diverse che vorrebbero coordinarsi tra di loro sia per essere più forti nelle città sia per far sentire la propria voce a livello nazionale. Di organizzazione si discuterà con calma (già si pensa alla formula del doppio portavoce e a una struttura leggera per coordinare le varie iniziative territoriali), intanto oggi la discussione riguarderà prima il manifesto fondativo con «interventi politici sul contesto generale» e poi la crisi climatica, con esperti e contributi sul tema, a partire dal territorio emiliano che ancora sta facendo i conti con le conseguenze dell’alluvione di due settimane fa.
Ci sarà da vedere poi quale sarà la collocazione precisa della Rete sulla scacchiera delle forze politiche: tra le realtà che si vedono oggi a Bologna, infatti, alcune sono andate in coalizione con il centrosinistra mentre altre hanno preferito andare da sole. Da scoprire pure quale sarà il rapporto con gli altri partiti di sinistra che già esistono. Spiega Rosatelli, che a Torino è assessore alle Politiche Sociali della giunta guidata da Stefano Lo Russo (Pd): «Da questo punto di vista ognuno ha una sua storia. In alcuni contesti Sinistra Italiana ha, per così dire, ceduto la sua sovranità alla civica di turno, altre volte si mantiene un rapporto di dialogo e collaborazione ma si fanno cose diverse. Il modello è quello spagnolo, dove a livello municipale esistono forze indipendenti che a livello nazionale poi fanno le loro scelte»
Crescono le proteste degli amministratori della Romagna che, a un mese dall’alluvione,aspettano la nomina del commissario e lo stanziamento dei fondi per la ricostruzione. E l’incontro a Palazzo Chigi del 15 giugno tra i rappresentanti dei territori alluvionati e il governo non ha fatto che accrescere i malumori. Non solo sono state contestate le scarse risposte, ma ha fatto molto rumore la frase del ministro Nello Musumeci che, nel corso del vertice, ha replicato usando l’espressione “l’esecutivo non è un bancomat”. L’uscita ha provocato le reazioni delle opposizioni: da Pd al M5s, l’accusa è quella di inerzia e “arroganza” nei confronti delle popolazioni colpite. Il ministro, poi interpellato da Rainews24 ha detto: “La cifra va solo verificata”. E ha scaricato le responsabilità sul passato: “Se ci fosse un fondo per le calamità, oggi non staremmo qui a discutere su dove trovare il denaro. Non c’è mai stato questo fondo e, quindi, dobbiamo fare una ricognizione. Ci vorrà del tempo per mettere insieme le risorse”.
“Ma chi crede di essere? Pensa davvero di
Commenta (0 Commenti)La Banca Centrale Europea (Bce) ha festeggiato ieriventicinque anni di storia aumentando per l’ottava volta consecutiva i tassi di interesse sui depositi al 3,5% e quelli per il rifinanziamento principale e marginale al 4 e al 4,25 per cento. È il livello più alto mai raggiunto dal 2001. A luglio è stato già annunciato un altro aumento per i venti paesi che utilizzano l’euro. Francoforte ha deciso, a larga maggioranza, di non prendere una pausa di riflessione come ha fatto l’altro ieri la Federal Reserve statunitense dopo dieci rialzi consecutivi.
«NON SO CHE DIFFERENZA c’è tra una pausa e un salto – ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde durante la conferenza stampa di ieri, riferendosi alla Federal Reserve – La Bce non farà nessuna pausa sul rialzo dei tassi». A meno che, ha aggiunto, non ci sia un «cambiamento sostanziale» nelle aspettative di inflazione. Ipotesi al momento remota dato che la cosiddetta «inflazione sottostante», depurata cioè dai prezzi ondivaghi dell’energia e dei generi alimentari, è stimata al 5,1 per cento nel 2023, dovrebbe calare al 3 nel 2024 e al 2,3 nel 2025. L’inflazione generale nell’Eurozona era stimata a maggio al 6,1% dopo aver raggiunto un picco di oltre il 10%.
TUTTO QUESTO AVVIENE mentre l’economia dell’Eurozona «ha registrato una stagnazione negli ultimi mesi» ha detto Lagarde che prevede un rimbalzo. Le previsioni della crescita sono però state riviste in negativo (0,9%) quest’anno. E l’Istituto per l’economia mondiale di Kiel (Ifw) ha previsto che il Pil della Germania subirà una contrazione dello 0,3 per cento nel 2023. È una delle conseguenze del conflitto russo-ucraino che vede nella Germania, sistema capitalistico centrale nell’Eurozona, uno dei principali obiettivi. Molte delle «incertezze» riscontrate da Lagarde ieri nascono anche dalla ristrutturazione armata della globalizzazione.
LA MOSSA DI IERI è stata preannunciata dall’ultima riunione del Consiglio direttivo della Bce, tenutasi all’inizio di maggio, quando è stata espressa una preoccupazione per le pressioni inflazionistiche sottostanti, dovute probabilmente all’aumento dei profitti e all’impatto dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari, più che alla crescita dei salari che in paesi come l’Italia continuano ad essere congelati. Ma è esattamente su questo punto che l’analisi sulle origini, e le prospettive, del nuovo ciclo inflazionistico globale divergono.
LAGARDE HA SOSTENUTO, in primo luogo, che «al momento non si vede una spirale salari-prezzi» e che la persistenza dell’«inflazione di fondo», è legata al «costo per unità di lavoro». «Il mercato del lavoro è una delle componenti principali dei rialzi dell’inflazione». «La revisione al rialzo dell’inflazione core, quella che esclude cibo ed energia, deriva dalla tensione sui salari e dal costo del lavoro». Per la banchiera francese il «mercato del lavoro» è un «enigma» perché «molti servizi – che svolgono un ruolo importante nella nostra economia – sono ad alta intensità di manodopera e i salari, da questo punto di vista, giocano un ruolo fondamentale».
VICEVERSA, nel dibattito descritto dall’economista Christian Marazzi su Il Manifesto (17 marzo), il rischio di spirale salari e prezzi non esiste. L’inflazione è dovuta a una spirale prezzi-prezzi derivata dall’accumulazione dei profitti nella pandemia e proseguita con la speculazione sui prezzi delle materie prime. La testardaggine dei banchieri centrali è dettata da una politica che vuole proteggere questi profitti.
IL DILEMMA non sarebbe dunque rappresentato dal «mercato del lavoro», ma dalle politiche monetarie. I banchieri non riescono a capire se continuare ad aumentare i tassi produrrà un infarto dell’economia e peggiorerà le sue prospettive. Se invece ci fosse un rallentamento degli aumenti l’inflazione potrebbe diventare un problema persistente e difficile da sradicare. In ogni caso saranno i lavoratori e i consumatori a pagare la doppia tassa: quella dell’inflazione in sé e gli effetti delle decisioni della Bce.
A TALE PROPOSITO Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, parlava ieri di una «stangata annua di 240 euro» in Italia . La «domanda di mutui sta calando» e «sale il reddito di chi richiede un finanziamento per l’acquisto di una casa, con una selezione alla base» ha aggiunto Nicoletta Papucci di mutuionline.it. «C’è un indebolimento della domanda di acquisto destinato a riflettersi in un calo significativo delle compravendite nell’ordine del 14,6% su base annua» ha detto Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma.
È UN PERIODO DIFFICILE per i banchieri centrali. «Alla fine se ne andrà – ha detto Lagarde- Si prevede che l’inflazione scenderà nel 2022». Era il dicembre 2021. Finirà nel 2025. Forse
CONSIGLIO DEI MINISTRI. Abolito l’abuso d’ufficio e poco altro, il Guardasigilli adesso teme il giudizio della Ue. Tajani: Silvio sarebbe soddisfatto. Critici gli avvocati e le toghe, per il ministro «interferenze»
Il ministro della giustizia Carlo Nordio - Ansa
«Ho spiegato al Commissario Ue Reynders che l’arsenale dell’Italia per combattere gli amministratori infedeli è il più agguerrito d’Europa e la Commissione non deve focalizzarsi solo su una norma ma sull’insieme dell’ordinamento. Su questo si è detto d’accordo». Il ministro Nordio mette le mani avanti, presentando dopo il Consiglio dei ministri che l’ha approvato, il disegno di legge di (mini) riforma della giustizia. Decisa l’abolizione dell’abuso d’ufficio, è chiaro che adesso il governo teme il giudizio, imminente, dell’Europa. Perché le norme comunitarie così come le convenzioni Onu impongono agli stati di non disarmare la lotta alla corruzione. E i magistrati italiani sono chiari: l’abuso d’ufficio è un reato spia, cancellarlo indebolisce la lotta alla corruzione.
Presentando il piccolo pacchetto giustizia che Tajani, moderatore in sala stampa, dedica a Berlusconi («sarebbe soddisfatto»), Nordio sostiene che le misure sulla segretezza dell’avviso di garanzia e il divieto di pubblicazione delle intercettazioni, non solo quelle che coinvolgono i terzi ma tutte, anche dopo il deposito e fino eventualmente alla fase del dibattimento, «non sono un bavaglio» perché «le intercettazioni hanno raggiunto un livello di imbarbarimento». Più avanti, assicura, il governo farà di più: «Una radicale trasformazione del sistema postula una revisione del codice di procedura penale». Ma non solo, anticipando le critiche sulla portata ridotta della riforma il ministro garantisce: «Vogliamo cambiare la Costituzione», com’è necessario se vorranno separare sul serio le carriere di giudici e pm. Nordio riconosce di avere «un vasto programma», quello di rispettare a fondo lo spirito accusatorio del codice di procedura penale, «adattando» la Costituzione che non solo sulle carriere, ma anche sulla obbligatorietà dell’azione penale e sull’assetto unitario del Csm va in un’altra direzione. «Lo faremo – promette – entro la metà della legislatura». Intanto però il governo consegna il disegno di legge al parlamento. «Spero – dice il ministro – che possa essere approvato nel più breve tempo possibile e che le critiche siano razionali».
Il Pd è contrario. Così il M5S. Non Azione, Calenda conferma l’appoggio. Ma «non siamo di fronte a nessuna riforma di largo respiro ma a interventi spot, alcuni dei quali allarmanti», dice la vicepresidente pd del senato Rossomando. Che sia solo «un primo passo» in realtà lo dice anche la Lega, che in Consiglio dei ministri ha messo da parte le sue riserve anche grazie al clima di omaggio alla memoria a Berlusconi. Il Pd però è preso in contropiede dai suoi sindaci. Come spiega quello di Milano Beppe Sala: «Suggerisco al Pd di non scagliarsi contro, perché tutti i suoi sindaci, e parlo di sindaci con la tessera del Pd, sono convinti che si debba mettere mano all’abuso d’ufficio». Mettere mano, ma non abolire del tutto, come prova ad argomentare il primo cittadino di Bari e presidente dell’Anc Decaro: «Non abbiamo mai chiesto impunità, solo di avere certezze». Ma il sindaco anche lui Pd di Pesaro Ricci non ci gira attorno: «L’abolizione è un fato positivo ed è una battaglia vinta dai sindaci italiani».
Il ministro riceve l’appoggio (imbarazzante?) dell’ex presidente dell’Anm motore dello scandalo al Csm, Palamara, per il quale «la riforma Nordio è coerente e coraggiosa». Con l’Anm di oggi invece il ministro continua il suo braccio di ferro. Non gli sono piaciute le critiche del presidente dell’associazione magistrati Santalucia. «Il magistrato non può criticare le leggi – proclama -, noi ascoltiamo tutti ma poi è il governo che propone e il parlamento che dispone, questa è la democrazia e non sono ammesse interferenze». Replica questa volta il segretario dell’Anm, Casciaro, toga moderata: «Non si può parlare di interferenza se i magistrati partecipano al dibattito pubblico».
Intanto però neanche il giudizio degli avvocati è tutto positivo. «Apprezziamo alcuni primi passi. Molto positivo il divieto di impugnazione delle sentenze di assoluzione, ancorché limitato – dice l’Unione delle camere penali – del tutto deludente invece l’intervento sulle intercettazioni: eluso il tema cruciale dell’abuso dello strumento e la sanzione per la pubblicazione rimane irrisoria». Gli avvocati penalisti trovano poi un difetto anche nelle norme con le quali Nordio vuole contenere il ricorso alla misure cautelari, in particolare al carcere preventivo, che in teoria apprezzano: «A prescindere dalle preoccupazioni circa la sostenibilità di questa innovazione in termini di organici – scrivono – lascia perplessi la formazione di compagini collegiali costituite da giudici strutturalmente e culturalmente monocratici quali sono i gip». Preoccupazioni operative in fondo non troppo diverse di quelle dei magistrati
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