Domani Consiglio europeo, il primo con Putin super-zar. E il presidente Michel lo annuncia così: «Prepariamo la guerra». L’Europa cade in un elmetto, ogni paese si prepara: in Polonia fondi per i bunker, in Germania soldati nelle scuole, in Danimarca leva per le donne…
CRISI UCRAINA. Domani Consiglio europeo, il primo con Putin incoronato super-zar. E il presidente Michel scrive: «Mosca ci minaccia, saremo i prossimi»
Kharkiv (Ucraina, vicino al confine russo), un ragazzino gioca su un monumento militare ell’erasovietica - foto Ap
L’aggressione russa dell’Ucraina ha cambiato l’Ue, che «doveva adattarsi e doveva farlo rapidamente». A due anni dall’inizio del conflitto è chiaro che «la Russia non si fermerà all’Ucraina» e che Mosca rappresenta una «seria minaccia militare» per l’Europa e per il mondo. Così «se la risposta dell’Ue non sarà adeguata e non forniamo a Kiev il sostegno sufficiente per fermare la Russia, saremo noi i prossimi».
È una vera chiamata alle armi l’editoriale che il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha pubblicato ieri su varie testate europee (La Stampa in Italia, con il suggestivo titolo “Se vogliamo la pace prepariamo la guerra”). E fa rumore proprio perché i leader dei 27 si riuniranno giovedì e venerdì al Consiglio europeo. Sarà il primo consiglio di guerra dopo la consacrazione di Vladimir Putin zar di tutte le Russie, territori ucraini compresi.
L’EX PRIMO MINISTRO belga invita anche l’Europa ad assumersi la responsabilità della propria difesa, «passando alla modalità di economia di guerra». Tutto questo farà bene non solo a Kiev e alla democrazia europea, ma creerà «posti di lavoro e crescita in tutta l’Ue».
«Tutto verrà deciso in estate». L’Ue sbatte sulla crisi ucraina
L’invito di Michel per un’Ue che spenda di più in armamenti arriva all’indomani di un Consiglio dei ministri degli esteri che ha stanziato
Commenta (0 Commenti)Prima i raid dal cielo, poi l’irruzione. Per la seconda volta le truppe israeliane attaccano l’ospedale al Shifa a Gaza. Cercavano un ufficiale di Hamas. Decine di palestinesi uccisi e arrestati, tra loro la troupe di al Jazeera. Sfollati in fuga, pazienti intrappolati nel pronto soccorso
STRISCIA DI SANGUE. Israele ha attaccato per la seconda volta il principale ospedale di Gaza. Sostiene di aver ucciso «40 terroristi», tra cui un ufficiale di Hamas. Fao e Pam: a maggio carestia nel nord della Striscia
Gaza: soldati israeliani davanti all'ospedale Shifa - Ap
«I soldati israeliani sono arrivati nel cuore della notte. Quando ho raggiunto una zona non lontana dallo Shifa ho sentito raffiche di mitra, esplosioni e ho visto un incendio. Gli sfollati accampati nel cortile dell’ospedale scappavano urlando». Anas Sharif, un giornalista, ci raccontava ieri quanto ha potuto vedere e sentire prima di allontanarsi a causa la violenza del nuovo raid dell’esercito israeliano nell’ospedale Shifa di Gaza city che ha fatto decine di morti e feriti. Il portavoce militare israeliano ha parlato di «un’operazione mirata volta a colpire terroristi di Hamas». Poi si è saputo che uno degli obiettivi del raid era Fayek al Mabhouh, un ufficiale del movimento islamico. Suo fratello Mahmoud Al-Mabhouh, fu assassinato dal Mossad israeliano a Dubai nel 2010.
Lo Shifa, il più attrezzato degli ospedali di Gaza ma operativo solo in parte, era già stato circondato e poi occupato lo scorso novembre dalle truppe israeliane. Per il gabinetto di guerra guidato da Benyamin Netanyahu e i comandi militari lo Shifa era una «copertura» del quartier generale sotterraneo di Hamas. Le ispezioni portarono alla scoperta solo di alcuni tunnel: nessuna dell’«enorme base a più livelli» del movimento islamico. Molti medici ed infermieri furono arrestati. In quei giorni alcuni neonati e pazienti gravi morirono a causa della mancanza di elettricità per le incubatrici e le terapie intensive. Intervenendo di nuovo ieri mattina sullo Shifa, il portavoce dell’esercito ha detto che l’attacco non avrebbe coinvolto il personale medico, i pazienti e gli sfollati accampati. Le cose sono andate in modo ben
Commenta (0 Commenti)Seggi aperti in Russia da ieri fino a domenica (mai così a lungo, serve un plebiscito). E indovinate chi vincerà. Schegge di dissenso: inchiostro sulle schede, una molotov, qualche arresto… Ma nelle zone di guerra, ucraine o russe, piovono missili elettorali
TESTA A TESTA. Elezioni al via, da ieri a domenica. Putin farà un pienone. Schegge di dissenso. Centinaia di migliaia di giovani sono in fuga
Mosca, al voto in un seggio - Epa/Maxim Shipenkov
L’hanno chiamata in molti modi diversi, ma qui in Russia il nome più efficace è “Generazione P”, la generazione di quelli nati a partire dal 2000, l’anno in cui Vladimir Putin è salito per la prima volta al Cremlino. Nel corso della loro vita non hanno visto altro. Eppure alle elezioni cominciate ieri in Russia molti non prenderanno parte. Decine e decine di migliaia hanno lasciato il paese per evitare di combattere in Ucraina, per non essere coinvolti in quel che accade o semplicemente per non sentirsi complici.
«Io credo che non abbia alcun senso sistemarsi in fila indiana per mettere una croce su una scheda», dice uno di loro, un certo Dan Lipatskij, un tipo alto e loquace che avevo conosciuto a Mosca alla vigilia delle ultime presidenziali, nel 2018: allora, appena maggiorenne, aspettava di votare per la prima volta, e la cosa sembrava appassionarlo; adesso, a 24 anni, vive a Yerevan, in Armenia, lontano da casa e da tutto quello che la casa è diventata.
DI DAN LIPATSKIJ, come detto, ce ne sono decine di migliaia. Per ora alle autorità la categoria non sembra interessare troppo. La priorità è garantire che il sistema avanzi e non incontri spigoli, e quindi che la guida di Putin sia legittimata nuovamente. Alla vigilia del voto il capo del Cremlino in persona ha chiesto ai cittadini con un messaggio video la consueta prova di patriottismo. Che significa: voto di massa per il presidente, dato che rivali di fatto non
Commenta (0 Commenti)Salpati dalla Libia in 85, alla deriva per 7 giorni, raggiunti finalmente dalla Ocean Viking che ne salva 25. Gli altri tutti morti. È la stessa nave sotto processo a Brindisi e sequestrata da Piantedosi. Ora ha a bordo oltre 200 naufraghi e il governo la costringe a navigare fino ad Ancona
SOCCORRITORI DI FRODO. Ocean Viking era stata rimessa in mare dalla giudice il 20 febbraio. La causa decide il destino del decreto Piantedosi. Un caso giudiziario che può finire davanti alla Corte costituzionale
Assistenza medica sulla Ocean Viking - Johanna de Tessières
Poche ore dopo che la Ocean Viking di Sos Mediterranée aveva ripreso per i capelli la vita di 25 persone abbandonate in mezzo al mare su un gommone sgonfio, ma altre 60 erano già morte, e proprio mentre la guardia costiera italiana le chiedeva di soccorrere 200 migranti, ieri in un’aula del tribunale di Brindisi la stessa Ong ha dovuto difendere il suo operato. L’accusa? Aver salvato altri naufraghi senza obbedire ai libici. Che sia necessaria un’autorizzazione a evitare una strage non è scritto da nessuna parte, che Tripoli non sia un porto sicuro e la sua cosiddetta «guardia costiera» sia collusa con i trafficanti, invece, lo stabiliscono rispettivamente una recente sentenza della Cassazione e diversi rapporti Onu.
Sospeso il fermo della Ocean Viking. Primo colpo al decreto Piantedosi
IL GOVERNO ITALIANO, però, continua a bloccare le navi dei soccorritori con i tecnicismi più assurdi e a tenerle fuori gioco con le strategie più crudeli. Mentre le 85 persone partite poco più di una settimana fa dalle coste di Zawyia vagavano alla deriva nel Mediterraneo, morivano di fame e di sete, si lasciavano inghiottire dall’acqua salata ben tre navi umanitarie – Sea-Eye 4, Sea-Watch 5 e Humanity 1 – erano costrette in porto da qualche cavillo burocratico. E quando la finestra di beltempo ha fatto riprendere le partenze, circa 300 gli arrivi autonomi ieri a Lampedusa, nella rotta centrale non è rimasto nessuno: il Viminale ha spedito la Ocean Viking a 1.400 chilometri di distanza, nel porto di Ancona, con i
Leggi tutto: L’Ong salva oltre 200 naufraghi. Ma è a processo a Brindisi - di Giansandro Merli
Commenta (0 Commenti)La Farnesina sponsorizza navi-ospedale e corridoi marittimi ma congela tutti i fondi destinati alla Palestina, non solo a Gaza. Tagliate fuori ong e Agenzia per la Cooperazione. L’aiuto italiano va a Israele: un altro milione di euro in armi a dicembre, 15 milioni in tre mesi
STRISCIA DI SANGUE. Roma fa proclami ma con pochi fondi l’Aics a Gerusalemme opera a scartamento ridotto.
Camion con aiuti umanitari fermi a Rafah - Ap
«La cosa che mi ha stupito è che all’Aics, l’agenzia della cooperazione governativa italiana, non ricevevamo più direttive da Roma, nessuno ci diceva se sarebbero arrivati meno fondi o più fondi, fate questo o fate quello. Si è navigato a vista. Si procedeva sulla base di ciò che leggevamo nelle interviste fatte dai media al ministro degli Esteri, alla Premier, al sottosegretario agli Esteri». Guglielmo Giordano, fino a qualche settimana fa direttore dell’ufficio Aics di Gerusalemme, ricorda così i giorni e i mesi successivi al 7 ottobre, quando Hamas ha lanciato il suo attacco nel sud di Israele. «Tutto a un tratto è calato il silenzio e siamo stati abbandonati a noi stessi – aggiunge Giordano, ora in pensione – abbiamo cercato di fare qualcosa perché (a Gaza) la gente moriva, i bambini morivano. E per uno come me che per 40 anni ha fatto la cooperazione umanitaria vedere in certe condizioni gli stessi bambini che fino al giorno prima aiutavamo, facendo scuole, giardini d’infanzia, attività ricreative, e non riuscire nemmeno a fargli arrivare un sacco di riso, mi ha lasciato di stucco».
Quel vuoto derivava dalla paura – se non dal panico – che ha attraversato la Farnesina dopo il 7 ottobre. Le settimane successive sono state segnate da una vera e propria caccia alla presunta «collaborazione italiana con Hamas» e più in generale con i palestinesi. Sotto la pressione di Israele che vedeva Hamas ovunque e di certi giornali, radio e tv che riferivano di «finanziamenti» di Ong italiane alle «strutture del terrorismo islamico», al ministero degli Esteri hanno perduto la testa. Svetta su tutti l’articolo pubblicato il 24 ottobre 2023 dal Giornale, «Fondi italiani ai terroristi palestinesi», nel quale, sulla base di un dossier di Ngo Monitor – sito legato all’ultradestra israeliana – si accusava l’Aics di aver destinato 23 milioni e 200mila euro a ong italiane «filopalestinesi» vicine al Fronte popolare. «Ai piani alti hanno deciso, senza annunciarlo ufficialmente, di congelare la cooperazione con i palestinesi. Da qui l’abbandono dell’Aics a Gerusalemme al quale peraltro è stato chiesto di fornire informazioni sull’orientamento politico di suoi consulenti, dipendenti ed esperti palestinesi», ci racconta una fonte della Farnesina che ha chiesto di rimanere anonima. «All’improvviso – prosegue la fonte – i palestinesi sono diventati tutti, senza differenze, dei pericolosi alieni da controllare e isolare. Nei primi due mesi dopo il 7 ottobre, la Farnesina, in definitiva il governo, ha fatto tutto ciò che chiedeva Israele o che
Commenta (0 Commenti)REGIONALI. L'analisi del voto: «Rispetto alle politiche 2022, un pezzo di elettorato 5S diserta le urne, una parte di quello del terzo polo ha scelto Marsilio»
Il rieletto presidente dell'Abruzzo Marco Marsilio - LaPresse
Al netto della fortunata vittoria di Alessandra Todde su Paolo Truzzu, le tendenze sottostanti le elezioni regionali in Sardegna a Abruzzo «sono simili». Parola dell’Istituto Cattaneo di Bologna, che ha analizzato i due appuntamenti elettorali. «L’area elettorale del centrodestra si consolida, grazie ad un astensionismo relativamente basso tra i suoi elettori del 2022 e a piccoli apporti aggiuntivi che vengono per lo più dall’astensione o dal cosiddetto Terzo polo».
Segno che, nell’elettorato di centrodestra, «la fiducia nel governo guidato da Giorgia Meloni rimane stabile». Il cosiddetto campo largo, tanto nella geometria sarda (Pd, M5s, altri minori da un lato; Azione, Iv, +Europa dall’altro), tanto in quella abruzzese (tutti insieme), soffre di fuoriuscite più consistenti verso l’astensione o di flussi diretti verso la coalizione avversaria.
Un fenomeno che il Cattaneo ritiene quasi inevitabile, visto che l’elettorato di quest’area è attraversato da «varie linee di frattura al suo interno», oltre che «da una reciproca ostilità» deliberatamente tra i leader di partiti potenzialmente alleati (in particolare Conte e Calenda, ndr), da una «diversità di posizioni su vari temi (di politica interna ed internazionali) più profonda rispetto all’elettorato di centrodestra».
«Non a caso, le due componenti più volatili di questa area sono rintracciabili da un lato tra gli elettori del M5S e dall’altro tra gli elettori della componente liberale ed europeista (Azione, Iv, +Europa)». Nel caso dei 5S prevale, come già in passato, «la tendenza ad astenersi in occasione di elezioni locali». Nel secondo, «la tendenza a ricollocarsi o a tornare verso il centrodestra, soprattutto quando, come nel caso abruzzese, i partiti dell’area liberale ed europeista sono alleati con il M5s».
In questo quadro, «gli equilibri all’interno del centrodestra rimangono abbastanza stabili, con variazioni che di volta in volta riflettono specificità locali». Forza Italia «si giova della stabilità del quadro governativo e si riafferma come forza moderata all’interno della maggioranza, in un rapporto proficuo con la presidente del Consiglio», ma non regisstra «alcun balzo in avanti».
Secondo il Cattaneo il successo delle destre nella provincia de L’aquila «riflette una caratteristica di lungo termine del voto abruzzese, questa volta più accentuata». Ma questo dato «non è risultato determinante» per la vittoria di Marsilio «perché, a parte il consueto successo del centrosinistra nelle grandi città, e segnatamente a Pescara, il centrodestra è risultato prevalente in tutte le province». (red.pol.)
Commenta (0 Commenti)