Al processo Open Arms la Procura chiede 6 anni per Salvini: «Sequestrò i migranti». Meloni alza i toni in difesa del ministro, ma soprattutto dei «confini della nazione», e attacca i magistrati: «Precedente gravissimo». Tajani si accoda. Il leader della Lega in un video: «Rifarei tutto»
Uomo a mare. Sette ore di requisitoria: «Doveva concedere subito il porto sicuro». Il ministro, assente in aula, fa la vittima con un video sui social. La palla passa alla difesa, la sentenza potrebbe arrivare alla fine dell’anno
A bordo della nave Open Arms, agosto 2019 - foto Open arms
È stato Matteo Salvini a imporre i decreti che impedivano alle navi delle ong di entrare nelle acque territoriali. È stato Matteo Salvini a ritardare e negare il porto sicuro alla Open Arms che aveva a bordo 147 migranti. È stato Matteo Salvini a tenere la regia del tavolo tecnico ed era a lui che arrivavano «in modo costante e quotidiano» gli aggiornamenti sulla nave spagnola per venti giorni tenuta in mare. È stato Matteo Salvini a imporre di procedere prima con la redistribuzione e poi al rilascio del pos (il porto sicuro).
PER I PM del processo Open Arms, il vicepremier è l’unico responsabile, lo dimostrano i documenti acquisiti al dibattimento e le testimonianze. E non è vero, come sostiene la difesa, che ogni decisione era concordata da Salvini con gli altri ministri competenti del governo Conte, persino l’allora premier, sentito al processo, era tenuto all’oscuro di alcune scelte. Salvini, è la tesi dell’accusa, ha fatto tutto per interesse, il suo scopo sarebbe stato di intercettare più consenso sfruttando la lotta all’immigrazione clandestina. «Non c’era ragione» per agire in quel modo ha incalzato la pubblica accusa. Ecco perché per i pm Salvini va condannato. L’aggiunto Marzia Sabella e i sostituti Geri Ferrara e Giorgia Righi hanno chiesto 6 anni di carcere per il leader della Lega, contestandogli il sequestro di persona e il rifiuto di atti d’ufficio.
Per questi reati il codice non prevede pene alternative al carcere. In sette ore di requisitoria l’accusa ha cercato di smontare alcuni punti interrogativi, come quelli legati al sommergibile Venuti della marina militare, la cui informativa trasmessa all’epoca al Viminale viene ritenuti ininfluente ai fini del processo. Ferrara ha ricostruito il quadro normativo nazionale e sovranazionale, sostenendo che l’allora ministro degli Interni nel governo Conte ha violato convenzioni, regolamenti europei e sentenze della corte costituzionale; Righi invece ha ripercorso tappa dopo tappa l’intera vicenda, ricordando alcune testimonianze, tra cui quella dell’ex premier Conte e delle lettere inviate a Salvini per contestargli fughe di notizie e decisioni non condivise col governo.
«ALLA OPEN ARMS il pos doveva essere rilasciato senza indugio e subito, il diniego è stato in spregio delle regole e non per proseguire in un disegno governativo», e quel «diniego consapevole e volontario ha leso la libertà di ognuna delle 147 persone e non c’era ragione». Quindi un pensiero ai migranti, «i grandi assenti in questo processo:
Commenta (0 Commenti)Il premier britannico Starmer, novello Blair, a Washington: vuole che Biden autorizzi l’Ucraina a usare i missili a lungo raggio. Ultimatum di Putin: così sarà guerra diretta fra la Russia e i paesi della Nato
Il limite ignoto. Al Consiglio di sicurezza Onu l’ambasciatore russo ribadisce la minaccia di Putin: «Conflitto con la Nato»
Il messaggio di Vladimir Putin «è molto importante», e «ha senz’altro raggiunto i suoi destinatari», ha detto giovedì il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov a proposito dell’ultimatum del presidente russo sui missili a lungo raggio. Se all’Ucraina verranno rimosse le restrizioni territoriali, e potrà impiegare gli agognati Storm Shadow inglesi per colpire sul suolo russo, «cambierebbe la natura stessa del conflitto», aveva affermato Putin, e i paesi Nato «si ritroverebbero in guerra con la Russia». Per maggiore chiarezza, il concetto è stato ribadito ieri anche dall’ambasciatore di Mosca all’Onu, Vassily Nebenzia, al Consiglio di sicurezza: «La Nato sarebbe direttamente coinvolta nelle ostilità contro una potenza nucleare, credo che non dobbiate dimenticarvi di questo, e pensare alle conseguenze». L’intervento al Consiglio di sicurezza avviene nello stesso giorno dell’incontro – a Washington – fra il presidente Usa Joe Biden e il primo ministro inglese Keir Starmer, che dovrebbe essere incentrato proprio sull’eventualità di autorizzare l’invio e l’uso dei missili Storm Shadow.
SECONDO una ricostruzione del New York Times, Biden sarebbe «sul punto» di approvare l’uso di missili a lungo raggio – la visita di Starmer è proprio mirata a chiedere formale approvazione da parte dell’alleato americano – a patto che (per il momento) non vengano impiegati quelli Usa, gli Atacms. A dissuadere Biden dall’autorizzare l’uso dei missili del proprio esercito avrebbero influito i report dell’intelligence per cui la Russia reagirebbe aiutando l’Iran ad attaccare le forze armate statunitensi in Medio oriente.
A RIBADIRE la sua assoluta contrarietà all’invio e l’uso di missili a lungo raggio è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, interpellato da Afp proprio in vista dell’incontro Biden/Starmer nel pomeriggio di Washington (troppo tardi per noi): «La Germania ha preso una decisione chiara su ciò che farà e ciò che non farà. Questa decisione non cambierà». Di parere opposto il premier canadese Justin Trudeau: il Canada sostiene e approva l’uso da parte di Kiev di queste armi per «prevenire e impossibilitare la continuata capacità russa di arrecare danno alle infrastrutture civili ucraine». Del suo stesso avviso, naturalmente, anche Volodymyr Zelensky, che su X ha ringraziato gli Stati uniti per il loro «sostegno militare ed economico». «Tuttavia – ha aggiunto – ci serve il permesso per usare le armi a lungo raggio, e spero che verrà presa una decisione rilevante».
In Cina un forum a cui partecipano russi e ucraini
In attesa dell’incontro che potrebbe cambiare la direzione della guerra, ieri è continuata la battaglia diplomatica fra Mosca e il Regno unito per i sei diplomatici britannici espulsi
Leggi tutto: Starmer al cospetto di Biden per l’ok sugli Storm Shadow - di Ester Nemo
Commenta (0 Commenti)In fuga dall’Iran dove ha partecipato alle lotte di «donna, vita, libertà», l’artista curda Maysoon Majidi è da nove mesi in una cella italiana con l’accusa senza prove di essere una «scafista». Cercava asilo e salvezza, ieri ha ricominciato lo sciopero della fame
Il mondo libero. La 28enne curdo-iraniana prigioniera da 9 mesi in Calabria: «È estremamente depressa». Dubbi sui testimoni e sui traduttori. All’udienza di mercoledì saranno ascoltati i poliziotti, la sentenza è attesa per il 5 novembre
Maysoon Majidi durante l’udienza a Crotone del 24 luglio scorso. Foto di Silvia di Meo
«Maysoon Majidi ha ricominciato lo sciopero della fame». A dirlo è il suo avvocato, Giancarlo Liberati, che ieri mattina l’ha sentita per telefono dopo averla incontrata nella mattinata di mercoledì. La regista e attivista curdo-iraniana, detenuta in Calabria, prima a Castrovillari e ora a Reggio, da oltre nove mesi per l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aveva già scelto di smettere di nutrirsi lo scorso maggio, arrivando a pesare appena 38 chili. «È estremamente depressa, nel corso del nostro incontro ha pianto ripetutamente», racconta il consigliere regionale Ferdinando Laghi, che giovedì è andata a farle visita in carcere. C’è anche tanta solidarietà per lei, però. «Maysoon ha collezionato ben due pacchi di lettere e cartoline che certamente l’hanno rincuorata – dice ancora Laghi -. Continuiamo a starle vicino e a sostenere la sua causa».
L’ATTESA è tutta per la prossima udienza, fissata per mercoledì a Crotone. La procura sostiene che Majidi, 28 anni, fosse «l’aiutante del capitano» dell’imbarcazione che il 31 dicembre dell’anno scorso è arrivata sulle coste calabresi con 77 persone a bordo, ma le prove risultano poche e contraddittorie: due testimoni l’hanno riconosciuta, ma ormai sono irreperibili (almeno per il tribunale) e la loro versione dei fatti non è stata videoregistrata, dunque la difesa non ha la possibilità di effettuare una perizia sulla traduzione delle loro parole. Non solo: a maggio, la trasmissione televisiva Le Iene era riuscita a raggiungerli in Germania e, intervistati, i due hanno detto di non aver mai riconosciuto Majidi come scafista perché la barca era guidata «da un uomo turco».
Zerocalcare: «Solidali con i curdi, ma solo a volte»
Gli investigatori hanno anche un video preso dal cellulare della donna in cui lei rassicura il padre sulle sue condizioni e ringrazia il capitano della nave. E però la
Leggi tutto: Il processo arranca e Majidi ricomincia lo sciopero della fame - di Mario Di Vito
Commenta (0 Commenti)Elettorale americana. Il tycoon, intrappolato dalle fake news che ha diffuso negli ultimi giorni, esce nettamente sconfitto dal confronto. Il piano di Kamala Harris di far perdere immediatamente le staffe al candidato repubblicano ha funzionato: è sull'aborto che Trump ha mostrato il suo vero volto agli elettori
Il dibattito tra Harris e Trump trasmesso sui maxischermi a Berkley, California - AP-Gabrielle Lurie
“Ero tre contro uno”, ha scritto Donald Trump su Truth subito dopo il dibattito, riferendosi a Kamala Harris e ai due giornalisti, David Muir e Linsey Davis, che hanno condotto il dibattito e che, a suo dire, hanno favorito la rivale.
La verità è che il dibattito per Trump è andato malissimo. Se l’intento di Harris era quello di fargli perdere le staffe e confonderlo, c’è riuscita. La vice presidente è partita subito all’attacco, entrando nella sala del dibattito e andando diretta dal tycoon, costringendolo a stringerle la mano. Ed ha continuato assicurandosi che il dibattito riguardasse prevalentemente lui e i suoi tratti più deleteri.
La vicepresidente è riuscita a coprire quasi tutto lo spettro: i processi penali a carico del tycoon, il piano eversivo Project 2025, il tentato golpe del 6 gennaio, la fascinazione per i dittatori, le critiche all’eroe di guerra (per di più repubblicano) John McCain, la violenza razzista di Charlottesville minimizzata da The Donald, il suggerimento di abolire alcune parti della Costituzione e, forse la cosa più notevole di tutte, il diritto all’aborto. Harris lo ha più volte portato a parlare del diritto all’aborto, spingendo Trump su un terreno dove si sentiva profondamente a disagio.
Per buona parte del dibattito il tycoon non è riuscito ad attaccare, è caduto in tutte le trappole, ha perso il filo, si è difeso, ha detto cose sconclusionate e ha ripetuto fake news e bufale clamorose, come il fatto che i democratici siano favorevoli all’aborto anche oltre il nono mese e, più di tutto, la storia per cui in Ohio gli immigrati mangino i propri animali da compagnia. Quest’ultima è una super bufala messa in giro da un influencer di estrema destra, e che è arrivata al dibattito presidenziale grazie a Trump che l’ha ripetuta, e Muir che l’ha dovuta smentire. “Lo vedremo” ha ribattuto a denti stretti Trump.
Il podcast sulle elezioni presidenziali americane
Sull’aborto il tycoon si è rifiutato di rispondere alla domanda diretta e sul
Leggi tutto: Elezioni Usa, dal dibattito emerge il peggior Trump - di Marina Catucci, NEW YORK
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Il mistero di Maria Rosaria Boccia, quelle allusioni mai chiarite che hanno fatto cadere un ministro e tremare un governo, in fondo lo spiega lei stessa e avrebbe dovuto essere chiaro già da un pezzo se un tasso molto elevato di paranoia da un lato e di sovraesposizione mediatica dall’altro non lo avesse celato. «Il ruolo di consigliera mi è stato tolto per capriccio di donna», dice, alludendo alla consorte del ministro. Però non è una questione privata ma politica perché «se il capriccio comanda l’azione di governo siamo già al passaggio verso la dittatura e il principio di conservazione della dittatura consiste appunto nel capriccio del dittatore. Sono determinata a dimostrare la verità della mia virtù per amore della Repubblica Italiana e della Democrazia». Sic!
SEMBRA INCREDIBILE che un caso così palese di narcisismo portato alle estreme conseguenze possa far vacillare una maggioranza ma la realtà è proprio questa ed è più che eloquente. La premier, si sa, ha preso l’invito di Bianca Berlinguer alla consulente su una tv presunta amica, Rete4 , come una coltellata alle spalle vibrata da Piersilvio Berlusconi. Ma l’intervista è poi rimasta in forse fino all’ultimo perché Boccia «non se la sentiva». I ragionamenti di ieri a palazzo Chigi erano comunque di questo tipo: «Se nell’intervista dice qualcosa di nuovo e incisivo è una mossa ostile di Piersilvio. In questo caso l’erede dimostrerebbe di avere mire politiche diverse anche da quelle di Forza Italia».
La premier scaccia la polizia Gli agenti: «Ci ha mortificati»
Insomma non bastano le dimissioni e l’ingloriosa cacciata dal governo. Non bastano nemmeno le inchieste a carico dell’ex ministro Sangiuliano che da ieri sono diventate due. A quella della Corte dei Conti per possibile danno erariale si è aggiunta quella della procura di Roma che in effetti era un atto dovuto dopo l’esposto del verde Angelo Bonelli, come assicura il legale dell’ex ministro. Non che abbia torto. Ma al peculato si è aggiunta una voce molto più insidiosa e pericolosa, «rivelazione e diffusione di segreto d’ufficio», sempre per le informazioni riservate di cui la quasi consulente e presunta amante sarebbe stata illecitamente messa a parte dal ministro innamorato.
MA BOCCIA NON SI accontenta. Insiste e
Leggi tutto: Meloni si sente assediata e sale la tensione con Fi - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Un Piano Marshall non basta, ce ne vogliono due, 800 miliardi l’anno contro la «lenta agonia» dell’Europa. Il report sulla competitività di Mario Draghi mette al centro di tutto la spesa per la difesa. Investimenti tecnologici e bellici comuni: per salvare l’Europa bisogna armarla
Debito di guerra. L’ex presidente del Consiglio ha indossato le vesti del profeta: 800 miliardi all’anno per tenere testa a Stati Uniti e Cina: "La produttività è una sfida esistenziale per l’Unione Europea. Servono investimenti come negli anni '60-'70, 5% di Pil all’anno". Von Der Leyen: "Necessari fondi per alcuni progetti europei comuni. Definiremo se li finanzieremo con contributi nazionali o con nuove risorse proprie". Tutto per difendere il «modello sociale europeo» senza toccare i disastri di 40 anni di neoliberalismo
Mario Draghi con la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen - Ansa
Armi, microchip, intelligenza artificiale e «energia green» per salvare i diritti sociali senza però rimediare ai danni di 40 anni di neoliberalismo. Avvolto in un’aura sacrale Mario Draghi ieri è tornato a indossare i panni del profeta.
PRESENTANDO il rapporto sul «Futuro della competitività» chiesto dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ieri Draghi ha detto che l’Europa «corre un rischio esistenziale». È il vaso di coccio nella guerra industriale e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per evitare di mettere fine al «modello sociale europeo», o meglio di ciò che ne resta sotto altre spoglie, l’Unione europea deve ripensarsi radicalmente e varare uno strumento finanziario di «debito comune» da 800 miliardi di euro all’anno. Insomma, un Next Generation Eu (chiamato in Italia «Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr») moltiplicato per otto. Ogni anno.
UNA MONTAGNA DI SOLDI che dovrebbero finanziare principalmente l’industria dei missili e dei carri armati, della tecnologia digitale, delle infrastrutture. L’obiettivo è partecipare a uno speciale campionato, quello della guerra dei capitali, in cui formare «campioni europei» che, forse in un giorno non precisabile, potranno competere con gli oligopoli statunitensi e i cinesi. La pace, i diritti, la politica si fanno con le armi in pugno.
L’economia europea sempre più “a mano armata”
IL PROGETTO è stato ufficializzato due giorni prima dalla composizione della nuova Commissione Europea. A dire di Von Der Leyen, che ieri ha affiancato Draghi in uno show annunciato, l’ambizioso testo è già «sul tavolo del Consiglio» dove siedono i governi degli Stati membri. I commissari designati all’esecutivo europeo dovranno impegnarsi ad applicare le 170 proposte riassunte, in maniera legnosa, in 62 pagine. Anche se non porta benissimo, visti gli esiti che ha prodotto in Italia, il rapporto è stato ribattezzato «Agenda Draghi» dall’entusiasta Partito democratico in giù. Critici invece l’Alleanza Verdi Sinistra e Cinque Stelle.
CON UN’EUROPA politicamente a pezzi, dilaniata dallo scontro tra il mercantilismo e il nazionalismo, è remota la possibilità di
Leggi tutto: Momento Draghi: l’Europa si salva con le armi e i capitali - di Roberto Ciccarelli
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