Harvard dice no ai diktat della Casa bianca su inclusione e libertà di protestare per Gaza negli atenei Usa. Anche Obama plaude: «Sia d’esempio». Ancora imboscate agli studenti pro-Pal: Mohsen Mahdawi arrestato durante un colloquio per la naturalizzazione
Usa L’università «non rinuncerà all’indipendenza e ai suoi diritti costituzionali». L’amministrazione congela 2.2 miliardi di fondi
Agenti di polizia nel campus dell'Ucla vicino a un accampamento di manifestanti filo-palestinesi, a Los Angeles – Ryan Sun/Ap
«Harvard non rinuncerà alla propria indipendenza né ai propri diritti costituzionali. Né Harvard né nessun’altra università privata può permettersi di essere sottomessa dal governo federale». Dichiarazione che sarebbe sembrata scontata un paio di mesi fa. Con la quale l’ateneo più prestigioso d’America ha respinto l’intimazione della Casa bianca a cessare ogni iniziativa di pari opportunità, pena la perdita dei finanziamenti pubblici. Il contesto che ha reso singolare la nota è quello in cui atenei come la Columbia hanno accettato le condizioni imposte fino all’eliminazione idi facoltà e la riformulazione di programmi di studi dettata dalla Casa bianca. Per non parlare dell’espulsione d’ufficio di centinaia di studenti stranieri per reati d’opinione (di solito opposizione al massacro di Gaza qualificato come «apologia di antisemitismo»). Ad oggi più di 600 visti sono stati revocati senza appello direttamente dal ministro Rubio. In alcuni casi i “colpevoli” sono stati prelevati a casa o per strada da squadre di incappucciati e fatti sparire nel gulag dei penitenziari federali o in lager offshore.
PER QUANTO LOGICO il rifiuto di Harvard è risaltato dunque come uno squarcio dell’assordante silenzio e della connivenza che ha accompagnato l’inquietante spirale autoritaria. E ha rappresentato un’inversione di rotta rispetto alla genuflessione dello scorso anno, quando l’ateneo aveva licenziato la rettrice, Claudine Gay, per non aver sufficientemente represso il movimento contro la strage di Gaza e revocato le lauree di studenti «dissenzienti».
Anche l’attacco al “Dei” (diversity, equity and inclusion) è stato motivato col «contrasto all’antisemitismo», ma nel panorama ideologico Maga la «sacrosanta crociata» contro il politically correct, è in realtà quella dal più diretto retaggio razzista, una rivalsa promessa da Trump ai sostenitori bianchi che hanno dovuto subire il «sopruso» del «riequilibrio dell’accesso» vinto a suo tempo dal movimento per i diritti civili.
«HARVARD HA DATO l’esempio ad altre istituzioni – ha commentato Barack Obama – respingendo un goffo e illegale tentativo di sopprimere la libertà accademica ed assicurando invece che gli studenti possano beneficiare di un’atmosfera consona all’indagine intellettuale, il dibattito rigoroso ed il mutuo rispetto. Speriamo che altri la seguano».
Almeno un secondo ateneo, l’Mit (Massachusetts Institute of Technology), sembra aver accolto l’appello
Commenta (0 Commenti)Secondo l’Associazione nazionale magistrati è incostituzionale e a Milano c’è già il primo richiamo alla Consulta. Il decreto sicurezza arriva in parlamento ma al governo la stretta non basta ancora. Piantedosi: «Servono nuove misure per proteggere i poliziotti»
Arrestatela «Incostituzionale» per l’Associazione nazionale magistrati. Il decreto incardinato alla Camera. Le toghe auspicano «tutti i correttivi necessari a scongiurare i rischi di un diritto penale simbolico»
Agenti di polizia durante l'operazione di sgombero di un'abitazione occupata a Milano – Ansa
In vigore da appena trentasei ore e già rischia il marchio di incostituzionalità. È l’Associazione nazionale magistrati, soprattutto, a riconoscerne i chiari tratti – subodorati anche dalla difesa di un imputato che ha sollevato la questione davanti al tribunale di Milano – nel decreto Sicurezza che ieri è stato assegnato alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera per la conversione in legge entro 60 giorni. I rappresentanti delle toghe infatti – sul solco della denuncia già avanzata dagli avvocati penalisti e da numerosi accademici prima che il decreto assorbisse come carta carbone il ddl – ammoniscono l’esecutivo e il parlamento riguardo i «seri problemi di metodo e di merito» posti dal nuovo provvedimento che ha creato d’emblée «14 nuove fattispecie incriminatrici, l’inasprimento delle pene di altri 9 reati», e che ha ridotto in cenere «un fecondo dibattito in Parlamento che durava da oltre un anno». Mostrando platealmente la carenza dei «requisiti della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza». Eppure, il ministro dell’Interno Piantedosi già annuncia «ulteriori misure» per proteggere le forze dell’ordine.
E DA QUANDO è stato pubblicato sabato scorso sulla Gazzetta ufficiale, il decreto legge ha già creato scompiglio. In particolare già dalle primissime ore ha mandando in tilt migliaia di imprenditori e gestori di negozi di cannabis light che non sanno cosa fare della loro merce regolarmente comprata e che ormai guardano all’estero come unica chance di salvezza. Inoltre, ha mandato in confusione pure i centralini delle questure che non sanno dare risposte certe sull’applicabilità di alcune delle norme più insensate del pacchetto “salva Salvini”. Norme contro le quali si è alzata la voce, tra le altre, dell’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone che da ieri e fino a Pasqua digiunerà sperando in una mobilitazione che accompagni la conversione in legge del decreto. «Di fronte alla criminalizzazione della resistenza passiva e della nonviolenza in carcere occorre che fuori dalle galere si manifesti con forme originali di disobbedienza civile», scrive Corleone auspicando «una sollevazione di massa anche attraverso un referendum popolare per cancellare la scelta panpenalistica che arriva al ridicolo equiparando la canapa tessile a quella con proprietà terapeutiche e di piacere».
LA GIUNTA ESECUTIVA centrale dell’Associazione nazionale magistrati, che chiede «correttivi» in sede di conversione del decreto, ricorda invece i «nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita» inseriti in una normativa «che non si concilia facilmente con i principi costituzionali di
Leggi tutto: Il dl Sicurezza fa già acqua. E Piantedosi rincara la dose - di Eleonora Martini
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Un uomo piange appoggiato all’autobus colpito da un missile russo a Sumy, Ucraina. via Ap Photo/Volodymyr Hordiienko
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla repressione che colpisce le nuove generazioni.
Una studente americana di origini palestinesi vive da latitante per sfuggire alle deportazioni di giovani e attivisti con background migrante che stanno destabilizzando le università americane.
Sfidano gli arresti e le manganellate i ragazzi cresciuti nella Turchia di Erdogan, protagonisti dell’ondata di proteste che ha travolto il paese dallo scorso marzo.
Con la criminalizzazione dei blocchi stradali, contenuta nel nuovo decreto sicurezza, verranno colpite le forme di protesta non violenta che hanno caratterizzato il movimento giovanile per il clima e l’ambiente, ma non solo.
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Niente dazi su Iphone, computer e altra elettronica: l’ennesima giravolta tariffaria di Trump è un risarcimento a molti zeri per Apple e altre big tech bastonate in Borsa. Mentre crescono le denunce per insider trading
Il tempo della mela Nota (retro-datata) delle dogane Usa: niente tariffe a cellulari, computer e altra elettronica. Esultano Apple, Ndivia e le altre
Una linea di produzione di componenti elettronici in una fabbrica a Longyan, in Cina – foto Getty Images
L’amministrazione Trump ha annunciato che smartphone, computer e altri componenti elettronici sono esentati dai dazi reciproci. La direttiva, emessa dalla U.S. Customs and Border Protection, prevede quasi due dozzine di esenzioni. L’ennesimo cambio di rotta arriva solo pochi giorni dopo l’imposizione da parte degli Stati Uniti dei dazi più alti in un secolo su dei beni stranieri.
L’ANNUNCIO del dietrofront americano è arrivato dopo la risposta cinese all’escalation della guerra commerciale innescata da Donald Trump, nella forma di un dazio del 125% su tutti i prodotti statunitensi, in risposta a quello del 145% voluto dal tycoon. Queste percentuali avevano sparso il panico negli Usa dove continuavano a rincorrersi voci di iPhone di prima fascia destinati ad essere venduti a più di 2.000 dollari.
La decisione di esentare i materiali elettronici è stata presa per evitare un’impennata dei prezzi dei prodotti tecnologici di più largo consumo, che sarebbe inevitabilmente ricaduta sui consumatori e sollevare aziende come Apple, Samsung, HP, Dell e Microsoft che producono parti dei loro prodotti elettronici al di fuori dei confini statunitensi. Il Financial Times ha sottolineato che nonostante Apple stia lavorando per spostare parte della produzione in India, al momento la sua catena di approvvigionamento è ancora concentra in Cina, tanto che l’80% degli Iphone sono un prodotto made in China.
Le esenzioni, però non rappresentano una tregua totale: all’inizio di quest’anno l’amministrazione Trump aveva già applicato un dazio del 20% sui prodotti cinesi, a causa del ruolo che, secondo Trump, la Cina starebbe svolgendo nel commercio di fentanyl negli Usa. Oltre a questo dazio che resta comunque in vigore, l’amministrazione Trump potrebbe ancora decidere di aumentare i dazi sui semiconduttori, un componente vitale degli smartphone e di altri dispositivi elettronici.
PER ORA QUESTO cambio di marcia dell’ultimo minuto rappresenta un contenimento del danno che permette a giganti della tecnologia come Apple, Dell e Nvidia di evitare una fetta sostanziale di tasse punitive, e una drastica riduzione dei loro profitti. Anche i consumatori eviteranno potenziali aumenti stellari su smartphone, computer e gadget tecnologici vari, e queste esenzioni potrebbero frenare l’inflazione e le turbolenze che molti economisti temono possano portare a una recessione, di cui ormai si perla apertamente.
Ciò che non smette di provocare instabilità è il continuo cambio di rotta della Casa Bianca che non sembra avere un vero piano ma che stia improvvisando le proprie mosse al momento, tra una cena di finanziatori e l’immancabile partita a golf. Almeno per quanto
Commenta (0 Commenti)Scendono con i polsi legati dalla enorme nave militare che li ha trasportati in Albania. Sono appena in 40, raccolti come pacchi nei Cpr solo per riempire un po’ le gabbie al di là del mare. È la prima deportazione di migranti dal territorio italiano
La scenda del crimine La nave Libra è arrivata ieri a Shengjin. Sul mezzo militare c’erano un’ottantina di agenti. Ad attendere in banchina i reparti anti-sommossa. Nessuna comunicazione ufficiale su nazionalità e status giuridico. Opposizioni all’attacco, maggioranza in silenzio
Migranti trasportati dalla nave militare italiana Libra nel porto di Shengjin, in Albania – Malton Dibra / Epa
La prima deportazione collettiva di migranti dal territorio italiano al Cpr in Albania è andata in porto. Intorno alle 16 di ieri la nave militare Libra, che qualche ora prima aveva mollato gli ormeggi da Brindisi, è arrivata nel porto di Shengjin. Ad attenderla sul molo c’erano una quarantina di agenti di polizia, carabinieri e guardia di finanza. Scudi in mano e caschi al lato, in assetto anti-sommossa. Altri 80 erano a bordo. I cittadini stranieri sono stati fatti scendere con le fascette ai polsi, un agente davanti, uno accanto e uno dietro con una sacca in mano, contente forse gli oggetti personali del trattenuto.
«LA SCENA ci ha fatto subito pensare alle deportazioni ordinate da Trump. C’è stata una dimensione simbolica più esplicita delle altre volte», afferma Francesco Ferri, del Tavolo asilo e immigrazione (Tai). «Immagini vergognose che mostrano quello che l’Italia sta facendo alle persone e ai diritti fondamentali», commenta l’eurodeputata Cecilia Strada, eletta da indipendente con il Pd. Sui migranti ammanettati non ha voluto rilasciare alcun commento la Commissione Ue, che ribadisce di non ritenere il progetto albanese in contrasto con il diritto comunitario e di stare accelerando per arrivare presto alla lista comune dei paesi sicuri.
Sull’operazione di ieri le autorità italiane non hanno dato comunicazioni ufficiali. Quaranta persone sono state prelevate da molti dei Cpr operativi sul territorio nazionale, ma non da quelli di Trapani e Macomer. Non si conoscono però le nazionalità, né i dettagli dello status giuridico. Tutte informazioni che verificherà oggi Strada in un’ispezione a Gjader per parlare con i trattenuti. «Ci è stato detto che i rispettivi avvocati non sono stati informati di nulla», afferma l’europarlamentare. «Per i trasferimenti dei detenuti tra i penitenziari non c’è l’obbligo di comunicazione alla difesa, ma visto che in questo caso lo spostamento è avvenuto verso l’estero sarebbe stato corretto informare i legali affinché il diritto di difesa fosse stato tutelato dall’inizio», dice l’avvocato Gennaro Santoro, di ritorno dall’Albania.
A QUANTO RISULTA al manifesto – in attesa di conferma ufficiale – almeno tre persone sarebbero state prelevate dal
Leggi tutto: Ammanettati e “scaricati”. I primi 40 deportati dall’Italia - di Giansandro Merli
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Stallo e strisce Ieri vertice Washington-Mosca a Istanbul e coalizione per l’Ucraina a Bruxelles. Oggi gruppo di contatto Nato a Ramstein. Ufficializzate le dimissioni di Bridget Brink, ambasciatrice americana a Kiev. Kallas: «Dobbiamo chiarire i nostri obiettivi, perché un conto è il peace-keeping, un altro la deterrenza»
La coalizione dei volenterosi riunita al Palazzo dell’Elysee a Parigi a marzo – Ludovic Marin /Ansa
Senza la copertura degli Stati uniti la coalizione dei volenterosi è su un binario morto. È questa la vera notizia uscita dal vertice che si è tenuto ieri al quartier generale della Nato di Bruxelles al quale hanno partecipato i ministri della Difesa di 30 Paesi. Un gruppo riunito da Francia e Gran Bretagna, fondatori e presidenti di questo formato, che si è dato come obiettivo la difesa dell’Ucraina post-bellica. Ma a quale prezzo? Domanda amletica, alla quale gli alti funzionari riuniti ieri non sono riusciti neanche stavolta a dare una risposta.
«DOBBIAMO chiarire quali sono i nostri obiettivi in Ucraina perché un conto è una missione di peace-keeping, un altro il monitoraggio o la deterrenza: i vari Paesi hanno sensibilità diverse su questo punto» ha dichiarato Kaja Kallas, l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera. Il piano che porta il suo nome per l’invio di forniture militari a Kiev su base volontaria si era già arenato durante l’ultima riunione del gruppo e ieri non se ne è parlato per niente.
Ma il punto resta: se l’Ue, Parigi e Londra non avranno assicurazioni da Washington, i «volenterosi» dovranno sciogliersi, o perlomeno ridimensionarsi fortemente. Non sarebbe una novità, si tratta di una pratica che in inglese si definisce Backstop, ovvero, come si legge sul sito della Treccani, «Il sistema di sicurezza e di garanzia costituito dall’attività militare e di intelligence statunitense a sostegno di truppe appartenenti a nazioni europee, impegnate in operazioni di pace o di stabilizzazione in un contesto di conflitto internazionale».
In altri termini: la Casa bianca accetterà di condividere le informazioni provenienti dai suoi satelliti con il comando della coalizione? Gli altri mezzi «strategici» saranno messi a disposizione dei reparti occidentali e in caso di attacco russo scatterà la copertura aerea dell’aeronautica e del sistema missilistico a stelle e strisce? Se si passeranno tutte le linee rosse, Trump si impegnerà in una guerra diretta con Mosca? Tutte domande alle quali, al momento, la Casa bianca non ha
Leggi tutto: Volenterosi al palo senza l’appoggio Usa - di Sabato Angieri
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