Nella foto: Jannik Sinner vince gli Us Open battendo Taylor Fritz @AP Photo/Julia Nikhinson
Oggi un Lunedì Rosso che analizza le “destre all’assalto”, in Italia come in Francia e in Germania. Ma se nel nostro paese, sempre più povero e diseguale, Giorgia Meloni deve fare i conti con il caso Sangiuliano, oltralpe il piano di Macron (e Le Pen) ha portato alla nascita dell’esecutivo guidato da Michel Barnier, conservatore vecchio stampo, e in Germania, dal voto in Turingia e Sassonia, emerge un’onda di piena dell’estrema destra nazionalista, ma non ancora sufficiente ad aprirle le porte del potere di governo. Il tutto, mentre il “salto di qualità” del conflitto ucraino sta aprendo le porte verso il disastro.
Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni.
Commenta (0 Commenti)
Venezia 81. «Gran finale» a sorpresa del neo presidente Buttafuoco: una celebrazione governativa con citazioni latine. «La stanza accanto» di Almodóvar è il miglior film, leone d’argento a «Vermiglio» di Maura Delpero. Migliore attrice Nicole Kidman, miglior attore Vincent Lindon, miglior regia Brady Corbet. L’intervento di Moretti: «Dovremmo essere più reattivi contro questa legge cinema»
Pedro Almodóvar riceve il Leone d'Oro - Ap
Ha vinto Pedro Almodóvar col cinema fuori dal tempo del suo The Room Next Door, melodramma di cromatismi tra vita e morte che sceglie la vita, accetta la morte e non si perde mai dentro le sue emozioni.
Ma la liturgia (abbastanza letale) di quella che è stata la cerimonia di premiazione che ha chiuso questa Venezia 81, coi sui ringraziamenti, sorrisi, pianti, balbettii, sussurri nel microfono per mamma&papà è stata cancellata dal «gran finale» a sorpresa di Pietrangelo Buttafuoco, il neo-presidente che in un impeto oratorio ha monopolizzato l’elegante platea della Sala Grande con un intervento lunghissimo – cosa insolita, a dire il vero mai vista nelle Mostre del passato e neppure nei festival nel mondo.
E fra la celebrazione dei successi dell’edizione appena terminata e le citazioni dei classici latini ha tessuto una bella ode al governo che in questi giorni in ciò che concerne la «cultura» è apparso assai in difficoltà.
Ci aveva provato Nanni Moretti prendendo il Leone d’oro per il restauro di Ecce Bombo a mettere al centro le crisi e le questioni che il cinema nazionale dovrà affrontare: «Dovremmo essere più reattivi contro questa legge cinema». La stessa presentata trionfalmente – fra innumerevoli ma silenti scontenti – qui al Lido.
Però il doppio premio ai film italiani, coincidenza davvero unica dopo anni – al giovane interprete di Familia di Francesco Costabile e soprattutto il Gran premio della Giuria a Maura Delpero per Vermiglio, una storia contadina formato presepio che mette al centro le donne come madri, perché in fondo è questa la loro ricchezza e resistenza – non fa che oscurare ancora di più le questioni a venire nel trionfo celebrativo del festival quale «vetrina unica per ribadire prodotti e artisti del cinema italiano» come si legge nel comunicato del sottogretario alla cultura Borgonzoni, e delle politiche cinematografiche governative. Tutto si tiene, appunto.
E IL PALMARÉS? Già il palmarès. Esclusa dunque la grazia di un grande maestro, quale è Almodóvar , che coniuga con sapienza il tema (l’eutanasia) e il cinema, e la sorpresa della giovane regista georgiana Dea Kulumbegashvili col suo April – premio speciale della giuria – che declina questo sì con pudore il femminile nel suo conflitto – a proposito: su cinque registe donne in gara tre hanno avuto il premio, includendo Halina Reijn e il suo Babygirl Coppa Volpi a Nicole Kidman – a dissolvere le critiche di un eccesso maschile della Mostra di Alberto Barbera – non poteva esserci spazio in questi premi per un film libero e rivoluzionario come è Queer di Luca Guadagnino, il grande sconfitto di questa Mostra a cui azzardo e rischi sono mancati.
La missione (fallita) della brigata d’assalto della destra
NEL SENTIMENTO generale, volto ai riflettori mediatici, come e in questi premi
Commenta (0 Commenti)Ultimo spettacolo. Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano
Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano.
«Stiamo facendo la storia», ha detto l’altro giorno la premier ai Fratelli raccolti intorno alla loro leader, avvertendoli: «Non sono ammessi errori». Peccato – avrebbe potuto aggiungere – se questa grande epopea per ora è un po’ così, zoppicante, anzi fa acqua da tutte le parti, ma come si dice? Dagli errori proviamo a imparare… Niente di nuovo sotto la fiamma, invece. Il solito vittimismo, condito da un tocco di berlusconismo d’antan: a rovinare un eccellente lavoro al ministero della Cultura sono stati l’odio e il gossip.
La feroce sinistra però non ha nemmeno avuto il tempo di accorgersi di avere tanto potere, manifesto o occulto che sia. La ripartenza del governo dopo le vacanze di Giorgia Meloni è stata così precipitosamente rovinosa a causa degli errori inanellati dalla stessa premier -preoccupata di dare il via a uno di quei rimpasti che sai come comincia ma non come finisce – che gli animatori del famoso «sistema politico mediatico» ostile non hanno dovuto fare molto altro che prendere i pop-corn, come Maria Rosaria Boccia suggeriva su Instragram, e assistere a uno spettacolo pieno di colpi di scena.
Cade lo scudo di Meloni. Il ministro esce di scena
La premier che va in tv dal sussiegoso conduttore Mediaset per annunciare le meraviglie della ripresa autunnale e butta lì giusto una frasetta per chiudere il caso Sangiuliano che sta
Leggi tutto: Prendete i popcorn, il governo si autoaffonda - di Micaela Bongi
Commenta (0 Commenti)Il Nuovo Fronte Popolare è arrivato in testa alle legislative anticipate e 60 giorni dopo il voto, dopo settimane di indecisioni, voilà la surprise du chef: Emmanuel Macron ieri a metà giornata ha nominato primo ministro Michel Barnier, esponente di Lr, il partito che è arrivato praticamente ultimo alle elezioni, 6,5% al primo turno e 47 deputati. Indignazione a sinistra, «crisi di regime» per il socialista Olivier Faure, «voto rubato» per Jean-Luc Mélenchon, a favore di uno «xenofobo» secondo la France Insoumise, «gesto del braccio ai francesi» per il Pcf, «uno scandalo» per i Verdi, che ricordano che Barnier non ha preso posizioni a favore di un «fronte repubblicano» contro l’estrema destra. Ma anche «inquietudine» per Greenpeace e altre ong écolo. Freddezza a Renaissance, il partito di Macron, che rifiuta di «fare un assegno in bianco» al nuovo primo ministro. Per Marine Le Pen, invece, «sembra rispondere al primo criterio che abbiamo reclamato, cioè è un uomo rispettoso e capace di rivolgersi al Rassemblement National, che è il primo gruppo all’Assemblée Nationale, in modo eguale agli altri gruppi» (Rn ha appena bocciato un altro di destra, Xavier Betrand).
BARNIER ha due qualità agli occhi di Macron: potrebbe evitare di cadere a causa di una “censura” immediata all’Assemblée Nationale, perché il Rassemblement National ha dichiarato di avere una posizione attendista, «giudicheremo sul discorso di politica generale» dicono all’estrema destra. E poi, visto il suo background, non cambierà politica economica, anzi, non solo non disferà la scelta pro-business (e le pensioni, era per i 65 anni) ma con la finanziaria 2025 potrebbe anche imporre un giro di vite sulla spesa pubblica per far fronte al debito di 3160 miliardi e alla procedura per deficit eccessivo avviata a Bruxelles contro la Francia.
«Disprezzo totale per il voto di milioni di elettori»
La principale qualità di Barnier, 73 anni, è di essere un uomo che cerca il consenso, è lui che ha negoziato la Brexit: personalità liscia, calma, potrebbe portare in Francia il metodo di Bruxelles. «Essere settari è prova di debolezza» ha affermato al passaggio dei poteri a Matignon. Per evitare la caduta immediata c’è stata una trattativa dietro le quinte con l’estrema destra? Ci sono sospetti. Non dovrebbero però esserci ministri del Rassemblement National, ma potrebbero esserci promesse di vario tipo
Commenta (0 Commenti)Il rimpasto si chiama «perezavantazhennia»: dal governo dell’Ucraina si dimettono 5 ministri, vari boiardi e chissà chi altro ancora. Come l’incursione nel Kursk, è una fuga in avanti: pochi se ne andranno davvero. La guerra continua, senza sbocchi. E Zelensky con lei
Il gattopardo. Dopo giorni di indiscrezioni pubblicata la lista dei nuovi ministri, poche le reali novità. Continuano gli attacchi russi sulle città ucraine: a Poltava i morti sono arrivati a 53 e ieri a Leopoli ci sono state 7 vittime. I russi avanzano in direzione di Pokrovsk
Volodymyr Zelenskyy alla presentazione degli F16 ucraini - foto Ap
«Perezavantazhennia vlady» lo chiamano in ucraino. La prima parola significa «ricomposizione, reset» è la stessa che si usa quando si riavvia il telefono o il computer, oppure quando si vuole far ripartire qualcosa da zero. La seconda si riferisce al «potere» e dalla combinazione delle due si capisce chiaramente che l’apparato comunicativo di Volodymyr Zelensky ha scelto come concetto chiave non il «rimpasto di governo» ma il «nuovo inizio».
EPPURE qualcosa scricchiola in questa scelta lessicale, se si considera che ben 5 alti funzionari ucraini hanno rassegnato le proprie dimissioni ma non sono stati allontanati dal governo, anzi sono stati riassegnati ad altri incarichi, nello stesso esecutivo. Si tratta di Oleksandr Kamyshin, ministro responsabile della supervisione di armi per la guerra, Ruslan Strilets, ministro dell’Ambiente, Denys Maliuska, ministro della Giustizia, Olga Stefanishina, vicepremier ucraina per l’integrazione europea ed euro-atlantica e Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri. Inoltre, il capo del Fondo statale nazionale, Vitaly Koval, ha annunciato che prossimamente lascerà l’incarico. Cinque figure di primo piano nel giro di 24 ore e chissà quante altre in arrivo. È il famoso rimpasto annunciato – un po’ minacciato – dal presidente Zelensky in primavera che ora sta prendendo forma. Ma si preannuncia più mediatico che reale.
Secondo le prime indiscrezioni, i funzionari che hanno già consegnato la lettera di dimissioni, sarebbero stati iscritti a una lista di ministri e alti dirigenti che il governo di Kiev intende sostituire con figure, per usare le parole di David Arakhamia segretario del partito del presidente (Servitore del popolo), «più adeguate alle mansioni richieste dal governo». Secondo Arakhamia il rimpasto non è affatto finito e riguarderà quasi la metà dell’esecutivo, ma intanto il
Leggi tutto: Il rimpasto che non c’è. Kiev cambia i ruoli ma restano tutti - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)Il governo Meloni continua a sciorinare i dati record sull’occupazione ma Eurostat certifica ben altro: il reddito disponibile delle famiglie è in calo e l’Italia è fanalino di coda in Europa (Grecia a parte): dal 2008 persi 6 punti mentre la media Ue è aumentata di 10
Reddito di Esclusione. I dati Eurostat smentiscono la retorica dell’esecutivo Meloni: in calo nell’ultimo anno, dal 2008 solo la Grecia fa peggio di noi. Nel «Quadro di valutazione sociale» la confutazione dei successi su occupazione e calo della povertà
I consumatori fanno molta attenzione ai prezzi nei supermercati - Foto LaPresse
«Record dell’occupazione», «calo della povertà». In questi mesi la gran cassa del governo Meloni continua a citare dati che delineano l’Italia come un eden in controtendenza con gli altri principali paesi europei. Ora arriva Eurostat – con i dati pubblicati nel “Quadro di valutazione sociale” che monitora il progresso sociale in tutta Europa – a confutare in gran parte questa narrazione. L’istituto statistico di comparazione europea mette nero su bianco numeri che certificano come il nostro paese sia in coda nel continente sia nell’ultimo anno che nell’ultimo decennio.
IL REDDITO DISPONIBILE REALE lordo delle famiglie nel 2023 diminuisce e si attesta oltre sei punti al di sotto di quello del 2008. Se nei 27 paesi dell’Unione – prendendo come riferimento il 2008, l’anno della grande crisi – la media dei redditi disponibili nell’ultimo anno sale da 110,12 a 110,82, in Italia cala da 94,15 a 93,74. Rispetto alla media europea, dunque, in Italia il reddito disponibile reale risulta inferiore di oltre 17 punti, a dimostrazione di come le condizioni economiche delle famiglie siano gravi e continuino a peggiore, nonostante gli annunci del governo.
Per quanto riguarda il reddito l’Italia rispetto al 2008 ha fatto meglio solo della Grecia – qui nel 2022 il reddito lordo disponibile era al 72,1 rispetto a quello del 2008 – mentre resta lontana dalla Germania con il 112,59 nel 2023. La Francia supera il 2008 – 108,75 nel 2022 – mentre la Spagna è ancora indietro (95,85) ma è in fortissima ripresa.
«I DATI EUROSTAT confermano che il miglioramento degli indici del mercato del lavoro non rappresenta di per sé una buona notizia se non affiancato da qualità e stabilità dei rapporti di lavoro: l’occupazione è uno strumento di protezione dal rischio di povertà solo quando il lavoro è stabile, tutelato, sicuro e dignitoso. Per noi le priorità restano il contrasto ad ogni forma di precarietà, sfruttamento e illegalità nel lavoro e l’aumento delle retribuzioni – commenta la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli – . Le condizioni di discontinuità e povertà della condizione del lavoro, dovute ad esempio a part-time, appalti e subappalti, che si riscontrano in molti settori pubblici e privati, sono le condizioni che vanno rimosse per costruire una nuova cultura del lavoro con standard più alti: è la strada per colmare le distanze rispetto al resto dei paesi europei, soprattutto per giovani e donne», conclude Gabrielli.
«Nel nostro paese c’è un’emergenza legata ai redditi ma resta anche quella del lavoro povero – spiega il segretario confederale della Uil Santo Biondo – . Non si rinnovano i contratti e quindi non si riesce a recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione. L’aumento dell’occupazione – sottolinea – non ci dà grandi input in
Leggi tutto: Altro che «ripresa», Italia fanalino di coda per redditi in Europa - di Nina Valoti
Commenta (0 Commenti)