La sconfitta in Abruzzo malgrado la coalizione ampia complica l’alleanza tra Pd e 5 Stelle alle prese con accordi difficili in Basilicata e Piemonte. Per Schlein si va avanti, Conte parla di risultato «modesto» ma non rompe. A destra festeggiano tutti, tranne Salvini
CENTROSINISTRA. E adesso? Facile dire che bisogna «seguire la scia della Sardegna», come fa Giuseppe Conte, visto che sull’isola si era vinto per un soffio, ma è dalla sconfitta in Abruzzo […]
Giuseppe Conte ed Elly Schlein
E adesso? Facile dire che bisogna «seguire la scia della Sardegna», come fa Giuseppe Conte, visto che sull’isola si era vinto per un soffio, ma è dalla sconfitta in Abruzzo che bisogna partire. Pesante, perché colpisce una coalizione larga come quasi mai e perché in qualche modo le opposizioni avevano finito col credere che il vento per il governo stesse davvero cambiando. Invece la prima lezione che arriva dalla domenica elettorale è che le destre sono ancora forti e salde, a dispetto delle loro incompetenze e dei disastri alla guida del paese. In Abruzzo crescono, anche se il dato prevalente è il riequilibrio dei pesi interni, per una volta a favore di Forza Italia e ancora una volta a danno della Lega. Il vento non sta cambiando affatto, nemmeno in Europa come dimostra il Portogallo. L’ultimo paese dei 27 al voto politico generale prima delle europee di giugno ci consegna un altro cattivo presagio.
La sconfitta di D’Amico conferma che la coalizione larga è una condizione necessaria per battere le destre ma niente affatto sufficiente. Tenere insieme Pd e 5 Stelle, ma anche la sinistra di Avs e, in questo caso, i centristi di Calenda e Renzi è già di per sé operazione complicata assai, eppure è ancora solo il primo passo. Perché l’alleanza funzioni elettoralmente deve superare altri due scogli e in Abruzzo non c’è riuscita.
Deve convincere i cittadini, che hanno ormai poca fiducia nella politica, di rappresentare un’alternativa reale alle destre, credibile malgrado le prove del passato del centrosinistra e capace di incidere sui loro problemi concreti. Per dirla in sintesi, il principale problema del “campo largo” è che in una regione che fa i conti con pessimi servizi essenziali, a cominciare dalla sanità, l’astensionismo è cresciuto pur in presenza di una coalizione sulla carta competitiva con chi
Leggi tutto: Quando l’unione non basta - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)REGIONALI. Le proiezioni indicano una vittoria di Marsilio: 54,7% contro 45,3%. M5S crolla al 7%, il Pd tiene, Fdi perde quasi 4 punti rispetto al 2022 ma resta il primo partito
Marco Marsilio durante il comizio di chiusura della campagna elettorale per le elezioni regionale in Abruzzo, Pescara, 05 marzo 2024 - ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Il centrosinistra non ha fatto l’impresa in Abruzzo. La seconda proiezione di Noto Sondaggi attorno a mezzanotte e trenta chiude la partita: il governatore uscente Marco Marsilio di Fdi è stimato al 54,7%, lo sfidante del centrosinistra Luciano D’Amico si ferma al 45,3%. Un risultato assai più netto di quanto suggerito dal clima dalla vigilia, e dai primi exit poll delle 23 che indicavano un testa a testa come quello di due settimane fa in Sardegna.
I dati delle proiezioni sono stati salutati con dei boati al comitato di Marsilio, mentre le bocche restano cucite in quello di D’Amico, dove si attendono dati reali prima di qualsiasi commento. La delusione è comunque palpabile, dopo che nelle ultime settimane la campagna elettorale del centrosinistra aveva preso ritmo e fiducia, mentre la destra era parsa molto nervosa.
Il dato dell’affluenza si è fermato al 52%, un punto in meno delle regionali del 2019. Un dato che ha evidentemente penalizzato il centrosinistra, che puntava sul recupero dei tanti elettori progressisti che negli ultimi anni si erano spostati sull’astensione. Un tentativo che non è riuscito, nonostante gli sforzi di Schlein e Conte. Il segretario regionale del Pd Daniele Marinelli parla di “grave disaffezione e grave distanza dei cittadini nei confronti della politica”.
I primi dati sulle liste segnano un tracollo del M5S, che scende al 7% dal 18.5% delle politiche 2022. Il Pd è al 18%, in leggero aumento rispetto al 16,6% delle politiche. A destra Fdi al 24% (due anni fa aveva il 27,9%) , Fi sale al 14,3%, la Lega tiene rispetto a due anni fa: 8,7%,
Uno dei primi commenti arriva dal sindaco di Pescara Carlo Masci, di Forza Italia: “Mi sembra che Marsilio, rispetto a 5 anni fa, abbia migliorato la sua performance”. Nel 2019 il candidato di Fdi si era affermato col 48%.
Stefania Pezzopane, ex presidente della Provincia de L’Aquila (Pd) e ora consigliera comunale di opposizione parla di “uno scontro che era difficilissimo. Comunque sia il centrosinistra è ripartito, una grande unità e un campo larghissimo, siamo in campo. E’ importante quello che abbiamo fatto, può essere un messaggio che mandiamo all’Italia”
Commenta (0 Commenti)MIRAGGIO «UMANITARIO». Siccome il falso ha il sopravvento sul vero, ecco che arriva la versione «umanitaria» dell’Occidente, degli Usa e in coda dell’Ue. Siamo a cinque mesi di massacri, di tiro al […]
Siccome il falso ha il sopravvento sul vero, ecco che arriva la versione «umanitaria» dell’Occidente, degli Usa e in coda dell’Ue. Siamo a cinque mesi di massacri, di tiro al piccione sui civili, con 31mila morti tra donne e bambini e più di 71 mila feriti e mutilati.
Con due milioni e 300mila esseri umani costretti a fuggire a sud e a nord su un fazzoletto di terra, per una «guerra» impari autorizzata come vendetta della strage di Hamas del 7 ottobre. Con un intero popolo ridotto alla fame mentre seppellisce i familiari nelle fosse comuni. Allora ecco che Joe Biden – per Trump i palestinesi nemmeno esistono – , alle prese con le primarie democratich, scopre il forte peso elettorale del dissenso verso la sua politica pro-Israele tra l’elettorato arabo-americano, tra i giovani del movimento ebrei anti-sionisti e tra gli studenti dei campus universitari; così si dichiara dedito al «soccorso umanitario». In realtà corre al soccorso di se stesso in vista delle presidenziali Usa.
I segnali di questa iniziativa a dir poco tardiva e propagandistica sono ambigui e vergognosi. In primo luogo è il segno di un fallimento, come dice l’Alto funzionario Usa Jeremy Konyndyk ripreso ieri da Michele Giorgio sul manifesto, per l’incapacità dimostrata da Biden a frenare Netanyahu, ma allo stesso tempo rende evidente il
Leggi tutto: Gaza, per un popolo alla fame il porto di nebbie di Biden - di Tommaso Di Francesco
Commenta (0 Commenti)GUASTAFESTA. C'è ancora chi si stupisce come nei cortei di Non Una di Meno le bandiere palestinesi sventolino accanto ai cartelli per la sanità pubblica, le rivendicazioni economiche accanto a quelle per la libertà di scelta. C’è ancora chi non ha capito cosa significa transfemminismo: una visione complessiva della società che vede in guerre, massacri, colonialismo l’espressione più alta della violenza patriarcale
Una macchia fucsia si prende Roma e decine di città italiane e lo fa come lo ha fatto sempre: ma quale pane e lavoro, noi vogliamo gioia e rivoluzione. Le piazze transfemministe sono così, arrabbiate, allegre, sfidanti, ironiche, provocatrici. Si canta, si balla perché se non si balla che rivoluzione è.
Questo vede chi attraversa i cortei di Non Una di Meno. La rabbia come arma, l’allegria come sfida a chi ci vuole grigie, la presenza sfacciata di adolescenti e studenti medie, con i cartelli più urticanti e più veri. C’era anche la Palestina nelle bandiere, gli slogan, la kefiah al collo. Dopotutto stava nel manifesto di chiamata alla piazza.
Eppure ieri a leggere i commenti a caldo di molti giornalisti e politici pareva che Nudm fosse la filiale di un’organizzazione salafita. Nell’epoca di Giorgia Meloni, prima donna a capo di un governo, che restringe i diritti di donne, poveri, migranti, trans stupisce che qualcuno si stupisca ancora come nei cortei di Nudm le bandiere palestinesi sventolino accanto ai cartelli per la sanità pubblica, le rivendicazioni economiche accanto a quelle per la libertà di scelta, donne e persone trans o queer si incontrino invece di
Leggi tutto: Nelle piazze transfemministe la liberazione di tutte e tutti - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Un 8 marzo tra Europa e Italia per smontare la retorica di Meloni e costruire un Paese fondato sulla cultura delle differenze. Parla Lara Ghiglione, Cgil
Lo dicono i numeri, la cultura italiana è ancora inquinata da stereotipi e discriminazioni. La maternità è auspicata a parole ma nulla si fa per consentire alle donne di scegliere davvero cosa è meglio per sé stesse, nemmeno se avere figli e quanti visto che la maternità è ancora un ostacolo all’occupazione e al lavoro dignitoso. Un 8 marzo di riflessione, rivendicazione e lotta perché quello del prossimo anno sia migliore. Ne parliamo con Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil.
Partiamo dalla Francia, andiamo a Parigi. È stato annunciato, lo ha fatto il presidente della Repubblica francese Macron che verrà inserita in Costituzione l'autodeterminazione delle donne sul proprio corpo
È una buona notizia per le donne francesi, speriamo che per imitazione possa diventarlo anche per quelle italiane. Purtroppo in Italia siamo assai lontane da questo obiettivo e ci allontaniamo sempre più. Aumenta il fenomeno dell’obiezione di coscienza e nei singoli territori accedere all’Interruzione volontaria di gravidanza è sempre più difficile. E dall’insediamento del governo Meloni le cose sono ulteriormente peggiorate e riscontriamo proprio un'emergenza. Ad avvio legislatura il centro destra ha presentato delle proposte di legge per riconoscere i diritti civili all'embrione che, per fortuna al momento, non sono state esaminate.
Ma certo non stanno fermi, hanno avviato in diversi territori una raccolta di firme per una proposta di legge che, tra le altre cose, imporrebbe alle donne che decidono di interrompere una gravidanza di ascoltare il battito cardiaco del feto come è già stato fatto in altri Paesi. Questo dimostra anche che le destre a livello internazionale stanno attaccando proprio l'autonomia, l'autodeterminazione, la libera scelta delle donne. Siamo preoccupate, è evidente che esiste una regia dietro questi movimenti. Oggi 8 marzo e anche nei prossimi giorni faremo rumore e il nostro rumore coprirà la retorica di chi si professa dalla parte delle donne ma poi, nei fatti, agisce nel modo contrario, rendendole sempre più
Leggi tutto: 8 Marzo. La consapevolezza è la forza delle donne
Ultimi fuochi pre-elettorali in Abruzzo. Schlein con Bersani a Sulmona: «Qui si fa l’alternativa a Meloni». Il candidato D’Amico: «Non hanno fatto nulla e radicalizzano lo scontro». Il campo largo punta sull’effetto Todde, la destra lo teme: un’altra sconfitta dopo quella in Sardegna sarebbe un allarme rosso per il governo
ABRUZZO AL VOTO. Intervista a Luciano D’Amico, il candidato progressista alle elezioni regionali di domenica
Luciano D’Amico, l’ormai celebre professore di economia che domenica potrebbe sconfiggere Giorgia Meloni nel feudo d’Abruzzo, arriva a Sulmona attorno alle sette di sera, dopo un’altra lunga giornata in giro per la sua regione. Ad aspettarlo una piazza affollata e calorosa, ma non è una novità: in queste ultime settimane, spiega «il clima è cambiato, l’elettorato progressista dopo la Sardegna ha capito che possiamo farcela anche qui». Prima di salire sul palco si ferma a parlare col manifesto.
Meloni martedì agli imprenditori di Teramo ha detto che se il governatore Marsilio non fosse riconfermato ci sarebbero «effetti devastanti» per l’Abruzzo.
A me pare una gigantesca minaccia. Marsilio insiste molto nel dire che lui è amico della premier, che loro sono una filiera e questo farà bene alla regione. A me pare una implicita accusa di scorrettezza a Meloni, come a dire che elargisce le risorse pubbliche in base al colore politico di chi governa i territori. Che per palazzo Chigi ci sono figli e figliastri, l’amichettismo elevato a regola di comportamento tra istituzioni. Mi rifiuto di credere che un premier si comporti così, al suo posto farei di tutto per scrollarmi di dosso questa immagine. Però non mi stupisce: in questi anni la destra si è mossa così in regione, nell’erogare i fondi ha privilegiato i comuni con governi politicamente omogenei.
Lei cosa direbbe al mondo delle imprese che teme che il rubinetto dei soldi si possa chiudere?
Che qui in Abruzzo c’è una classe imprenditoriale che ha dato vita nei decenni a un forte sviluppo, e dunque non hanno alcun bisogno delle benevolenza pelosa del governante di turno. E che non devono rinunciare alla loro libertà di pensiero: se i finanziamenti spettano all’Abruzzo arriveranno, non c’è spazio per ricatti