MODELLO VINCENTE. Torino in marcia contro tutti per restare la capitale dell’auto. In 12mila in corteo contestano Elkann, governo e sindaco Lo Russo per il selfie con Tavares. De Palma: «Ritrovata unità e dignità». «Per i manager stipendi vergognosi, per noi solo Cig». E alla Lear a fine anno finiranno gli ammortizzatori
Piazza Castello a Torino per lo sciopero unitario Stellantis - Foto Ansa
È passato talmente tanto tempo dall’ultimo corteo unitario che i pareri divergono. L’opinione prevalente è di considerare quello del 2002: «Anche quella volta chiedevamo di produrre 200 mila auto l’anno, quota che Umberto Agnelli considerava fatidica: senza non ha senso neanche accendere la luce, diceva», ricorda Giorgio Airaudo che in quegli anni era segretario cittadino della Fiom e ora è segretario regionale della Cgil.
SONO PASSATI 22 ANNI, dunque. Chi vi partecipò ed era in piazza ieri va considerato superstite della difficile vita del metalmeccanico, specie se nel frattempo ha subito la «rivoluzione Marchionne».
Ieri mattina un tacito patto sindacale ha portato a non citarlo dal palco. Ma il suo fantasma aleggiava lungo il corteo che ha sfilato da piazza Statuto a piazza Castello.
I cori dei lavoratori però avevano come bersaglio sopratutto John Elkann, considerato ormai da gran parte degli operai «quello che si prende i soldi e di Torino non gliene frega niente».
Il corteo è molto anarchico. Gli spezzoni non sono divisi in modo preciso e le bandiere rosse della Fiom – nettamente prevalenti – si mischiano con quelle blu della Uilm e le biancoverdi della Fim Cisl.
In sindacati parlano di 12 mila partecipanti con buona presenza di semplici cittadini e studenti e qualche esponenti dei centri sociali a chiudere il corteo.
Lo striscione più riuscito invece è una gigantografia dell’improvvido selfie che il sindaco di Torino Stefano Lorusso ha insistito a fare con Carlos Tavares mercoledì a Mirafiori, dopo che
Commenta (0 Commenti)I dispersi diventano morti nel lago di Suviana, mentre vanno avanti con fatica le ricerche. Cgil e Uil scioperano: «Adesso basta morti sul lavoro». Il governo fa promesse, ma spinge sull’autonomia differenziata che svuoterà i poteri di intervento e controllo dello stato
LAVORO SOMMERSO . Corteo e piazza piena con il vescovo Zuppi a parlare dal palco. Ma l’ad di Enel nega responsabilità: nessuna catena di sub appalti
Bologna, la testo del corteo di ieri contro le morti sul lavoro foto di Michele Lapini/Ansa
Migliaia di persone in strada, le autorità in prima fila e uno striscione con su scritto «Adesso basta» ad aprire il corteo. Ieri l’Italia guardava in due direzioni contemporaneamente. Verso l’Apennino, dove i soccorritori hanno continuato per tutta la giornata a cercare i dispersi dell’esplosione di Bargi. E verso Bologna, dove i sindacati hanno riempito la piazza sull’onda dell’indignazione per la strage della centrale idroelettrica. Proprio mentre il corteo concludeva il suo percorso, le agenzie hanno battuto la notizia del ritrovamento di altri due corpi nelle profondità dell’impianto.
LO SCIOPERO, IN REALTÀ, era indetto a livello nazionale. Ma nel capoluogo emiliano c’è stato inevitabilmente l’appuntamento più sentito. L’impianto idroelettrico di Enel Green Power dove hanno perso la vita almeno cinque persone è a meno di un’ora di macchina dal centro cittadino. La mobilitazione era stata indetta settimane fa da Cgil e Uil. Doveva durare quattro ore e incentrarsi sul fisco, in contrapposizione con le misure del governo. In Emilia Romagna, nel settore edile, tra i lavoratori Enel e in molti siti metalmeccanici lo sciopero è stato portato ad otto ore. E il tema chiave, inevitabilmente, sono state le morti sul
Leggi tutto: Bologna fa rumore per i suoi morti: «Basta insicurezza» - di Lorenzo Tecleme, BOLOGNA
Commenta (0 Commenti)Stop di quattro ore nei settori privati. Esteso a otto in molte realtà. Cgil e Uil: “Lottiamo per zero morti sul lavoro, un fisco più giusto e per cambiare modello di sviluppo”
È il giorno dello sciopero generale. Oggi, giovedì 11 aprile, le lavoratrici e i lavoratori si fermano per quattro ore in tutti i settori pubblici, per la protesta proclamata da Cgil e Uil. Una giornata che assume un sapore particolare, amaro e di lotta, dopo l’immane tragedia alla diga di Suviana: l’esplosione alla centrale idroelettrica Enel, che ha provocato tre morti accertati, quattro dispersi e molti ustionati. Già definita “la nuova Thyssenkrupp”.
Va da sè, purtroppo, che la mobilitazione per la sicurezza – motivo dello sciopero – acquista una forza diversa, in una situazione già prima segnata dalle morti sul lavoro. L’Emilia-Romagna ha portato lo sciopero ad otto ore. Così anche gli edili, che da giorni avevano annunciato l’allungamento all’intera giornata.
Lo sciopero diventa di otto ore anche per tutti i lavoratori del settore elettrico e dell’Enel, ovvero il settore coinvolto direttamente nella strage. Così Filctem Cgil e Uiltec Uil: “A seguito del gravissimo incidente accaduto ieri alla centrale elettrica della diga di Suviana, presso il comune di Camugnano, le segreterie nazionali di Filctem Cgil e Uiltec Uil proclamano otto ore di sciopero per la giornata dell’11 aprile e per tutti i lavoratori del gruppo Enel”.
In molti territori la Fiom decide per l’estensione a otto ore. Nello specifico, la Fiom nazionale e la Uilm “decidono di dare copertura nazionale alle strutture territoriali e alle rappresentanze dei lavoratori in caso di estensione da quattro a otto ore dello sciopero”. In particolare l’estensione a 8 ore è stato stabilito dalle Fiom e dalle Uilm regionali per tutte le province dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, delle Marche (dove lo sciopero si estende a 8 ore a livello confederale in tutti i settori privati), della Sicilia. Così come in molte altre province dove lo sciopero sarà effettuato per l’intera giornata lavorativa, ad esempio a Venezia, Padova e Verona, Siena, Foggia, Udine, Pordenone, Vercelli e in tantissime altre aziende metalmeccaniche dove le Rsu, i delegati della Fiom e della Uilm, hanno allungato la proclamazione dello sciopero per tutti
Leggi tutto: “Adesso basta”, il giorno dello sciopero generale - di EMANUELE DI NICOLA
LAVORO SOMMERSO. Ore 15, salta in aria una turbina 30 metri sott’acqua nell’impianto di Bargi, nel bolognese. È un massacro, tre morti e quattro dispersi
La centrale idroelettrica di Bargi (Bologna) nel bacino artificiale di Suviana foto LaPresse
Tre morti, cinque feriti e quattro dispersi. È questo il bilancio provvisorio dell’incidente di ieri alla centrale idroelettrica di Bargi, sul lago di Suviana, nell’appennino bolognese. Mentre andiamo in stampa le operazioni di soccorso sono ancora in corso, ma il fumo, la polvere dei detriti e gli allagamenti le rendono difficoltose.
TUTTO HA INIZIO attorno alle 15:00 di ieri, martedì 9 aprile. Al piano interrato -8 della centrale idroelettrica, che sorge quasi interamente sotto il livello del lago, si verifica una violenta esplosione. A saltare in aria è probabilmente una delle turbine, spiega alla stampa il prefetto di Bologna Attilio Visconti. L’esplosione avrebbe portato ad un incendio e, immediatamente dopo, a un’inondazione al piano inferiore, il -9. Al momento dell’incidente erano a lavoro diversi operai, dodici secondo le stime, impegnati nell’adeguamento degli impianti.
La difficoltà per i soccorritori è data anche dalla struttura stessa della centrale, che si sviluppa per settanta metri sotto terra. «I corpi che stiamo cercando dovrebbero essere a circa meno quaranta metri» spiegano i vigili del fuoco. «Speriamo che siano ancora vivi, nonostante l’esplosione abbia causato un vasto allagamento. Speriamo che abbiano trovato ricovero in qualche altra parte della piastra, che è comunque molto ampia» dichiarava ieri in serata il direttore dei vigili del fuoco dell’Emilia Romagna Francesco Notaro.
DEI LAVORATORI coinvolti non si conoscono ancora i nomi. Da subito, però, è emerso come si trattasse non di dipendenti Enel, ma di operai assunti da ditte appaltatrici. Uno solo di loro – non è noto se morto, ferito o sopravvissuto – è un ex dipendente della compagnia, ora inquadrato come consulente di un’altra azienda che opera nel sito produttivo.
Bombardieri: «Il governo non ha fatto niente queste aziende vanno fermate»
La ricostruzione esatta degli eventi è ancora confusa. Enel ha fatto sapere di aver interrotto la produzione, e che l’erogazione di elettricità alla Regione non è in pericolo. La centrale nel suo insieme sarebbe stata salvaguardata, e la diga non ha subito alcun danno. In attesa di maggiore chiarezza e del bilancio definitivo in termini di vite umane, intanto,
Leggi tutto: Esplode la centrale idroelettrica, strage nel lago di Suviana - di Lorenzo Tecleme
Commenta (0 Commenti)«Abbiamo fissato la data dell’attacco a Rafah»: macché ritirata, Netanyahu spegne subito le speranze nate dal ridispiegamento delle truppe di Israele, che hanno lasciato il sud di Gaza. Mentre i palestinesi tornano nelle case da cui erano fuggiti. E le trovano in briciole
STRISCIA DI SANGUE. Dopo il ridispiegamento delle truppe israeliane nel sud di Gaza, Khan Yunis riemerge in gran parte distrutta e invivibile
Gaza. Ciò che resta di Khan Yunis dopo l'invasione israeliana - Ap
La 98esima divisione dell’esercito israeliano è uscita da Khan Yunis dopo mesi di attacchi con la copertura dell’aviazione. Si è lasciata alle spalle una nuvola di polvere che ha avvolto e nascosto per qualche ora la distruzione del secondo centro abitato per importanza della Striscia di Gaza, fino al 6 ottobre scorso abitato da 400mila uomini, donne e bambini. La città che prende il nome dal caravanserraglio costruito dall’emiro Yunus an-Nuruzi, non c’è più. «È distrutta al 90%, irriconoscibile, sono state spazzate via anche le infrastrutture pubbliche, le strade e intere aree», ha riferito una troupe di Al Jazeera. Alcuni sfollati giunti da Rafah e altre località sperando di ritrovare ancora in piedi, danneggiata ma non distrutta, la propria abitazione, hanno detto che non riuscivano a riconoscere le strade dove avevano vissuto per tutta la vita. Maha Thaer, 38 anni, madre di quattro figli, ha detto a una agenzia di stampa che «la distruzione a Khan Yunis è ovunque, e anche l’odore della morte…Non è rimasto nulla, gli edifici residenziali sono stati distrutti, anche le strade con i bulldozer e tutti gli alberi sono stati sradicati…Ho visto gente tirare fuori dalle macerie i cadaveri, uccisi nei precedenti bombardamenti… non c’è più la città, solo rovine, non ho potuto trattenere le lacrime». Thaer tornerà nella sua abitazione. «Non ci sono più le finestre e i muri ma tornerò a casa mia, è comunque meglio di una tenda». Altri invece non andranno a Khan Yunis, almeno per ora. Non si fidano, temono che le truppe israeliane rientrino nella città all’improvviso. Preferiscono stare nelle tendopoli a Rafah, al confine con l’Egitto, sperando che Israele non attacchi anche quella città, come minaccia ogni giorno il premier Netanyahu deciso ad andare avanti fino in fondo «perché la vittoria totale è a un passo». Ieri sera ha confermato che l’attacco a Rafah si farà e che «è stata fissata una data». In questo modo Netanyahu ha
Commenta (0 Commenti)TRIPOLITALIA. Le autorità italiane accusano la Mare Jonio di aver creato il pericolo in mare, senza chiedere prove ai partner libici che giovedì avevano aperto il fuoco verso naufraghi e soccorritori. Nel verbale della detenzione le parole del capitano Buscema: «Una vergogna che il governo del mio paese sostenga e finanzi questi criminali»
Un momento del soccorso della Mare Jonio, con i naufraghi in acqua dopo l’arrivo della motovedetta Fezzan - Mediterranea
Libici finanziati dall’Italia a bordo di una motovedetta appartenuta alla guardia di finanza creano il panico durante un salvataggio, sparano verso naufraghi e soccorritori, minacciano con i mitra l’equipaggio di una nave che batte bandiera tricolore. Il governo Meloni non protesta con gli sparatori, al contrario: punisce gli sparati. Questo è successo negli ultimi tre giorni tra le acque internazionali del Mediterraneo centrale e Pozzallo, dove venerdì sera la Mare Jonio ha ricevuto un fermo di 20 giorni.
Il messaggio è chiaro: la premier Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, quello dell’Interno Matteo Piantedosi, il titolare delle Infrastrutture Matteo Salvini sono disposti a coprire qualsiasi cosa alla sedicente «guardia costiera» di Tripoli. È un gioco pericoloso, perché garantire impunità a chi negli ultimi mesi si è mostrato sempre più aggressivo rischia di aggiungere morti ai morti, responsabilità a responsabilità. Da entrambi i lati del mare.
Mediterranea soccorre, i libici sparano. È caos
QUALCUNO LA VITA potrebbe averla persa già giovedì scorso. «Ho visto i libici passare sopra a un uomo in mare, con il loro motore», ha raccontato ieri nella conferenza stampa dalla Mare Jonio Iasonas Apostolopoulos. È il coordinatore delle operazioni di salvataggio, quello che nel video diffuso dalla Ong grida: «Non sparate, non sparate, è un soccorso». Raggiunto dal manifesto Apostolopoulos specifica di aver notato sia la Fezzan sia il gommone nero dei militari passare sopra due diverse persone, «ovviamente non posso sapere se
Leggi tutto: Mediterranea, prima gli spari poi il fermo. Roma copre Tripoli - di Giansandro Merli
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