15 marzo I contributi sulla piazza di sabato
Manifestanti riescono sotto Palazzo Chigi sede della Presidenza del Consiglio – Mauro Scrobogna / Lapresse
Sono iscritto all’Anpi che, stavolta, non mi convince
Caro manifesto, da quando quella «matta» a Bruxelles ha urlato ”voglio 800 mld in armi” oggi ne spendiamo ca. 80, mi sono chiesto: ma i tempi quali sono? Ci vorrà qualche anno e intanto che succede, mentre i due imperi trattano sull’Ucraina a Riad e si fanno la pace che a loro conviene. Succede che noi europei facciamo esattamente quello che ci chiede Trump: distruggere l’Europa sociale, armare i singoli Stati, tenere l’intero continente sotto una minaccia presunta che annichilisce ogni idea di futuro e liberare gli Usa dal pensiero della Russia in modo da potersi occupare della Cina. Mi chiedo se con 6000 testate nucleari puntate contro di noi, oggi non fra tre anni, non sarebbe saggio tornare a fare politica diplomatica, lanciare ponti di pace a Est e in M. O., assolvere ad un nostro obbligo morale garantendo la vita (si proprio la vita nuda) dei palestinesi dei curdi degli yazidi degli alawiti e degli ucraini vittime innocenti di questa tragica commedia che è la geo-politica. Sono un iscritto all’Anpi Milano, ma questa volta sono in disaccordo con il nostro caro Presidente sull’andare alla manifestazione del 15 marzo, non so se sia utile una contro manifestazione. E per favore basta con quei sepolcri imbiancati dell’Ulivo (…)
Gigi Sanza, Milano
Vado a prendermi il sole
Buonasera caro direttore del manifesto , ho letto il suo articolo molto ben fatto e mi sembrava di averlo scritto io (con rispetto parlando), per quanto mi ci sono immedesimato. In particolare, condivido totalmente il senso di disagio e di insufficienza delle parole d’ordine con cui è stata convocata questa manifestazione. Io, da europeista (e federalista) incallito, provo un forte disagio e insofferenza a riconoscermi in questa Europa, per tutti i motivi che lei ha efficacemente illustrato. E questo sentimento aumenterebbe ancora di più così nel partecipare alla manifestazione del 15 marzo, a meno di dover fare troppi distingui e dissociazioni. Anche considerando i proclami annunciati e balbettanti di una difesa europea, che tutto sembra meno che comune e finalizzata a razionalizzare e ottimizzare spese già molto elevate, e quindi inutile e inefficace nel perseguire i pur giusti obiettivi di sicurezza (su cui molto si dovrebbe dire). Perché mancante di una visione politica condivisa a fondamento di una possibile difesa europea, e di cui dovrebe anticiparne la concezione e costruzione. Così, pur se sarà una bella giornata di sole, e c’è voglia di aria fresca, preferirò saltare questo giro e dedicarmi ad altro.
Cordiali saluti
Stefano Proietti
Non riesco a tacere
Non riesco a tacere di fronte alla confusa rincorsa di capi di partito, sindacati, associazioni che preferisco non nominare anche se non le giustifico nel rispondere prima e con più entusiasmo all’appello pubblicato da Michele Serra su Repubblica. Sapete tutti di cosa parlo, e mi permetto di confrontare il mezzo scelto, un giornale che non ha mai avuto riferimenti solidi a sinistra, e confrontarlo con gli appelli alla pace fra Israele e Palestina pronunciati da papa Francesco, prima costretto a parlare di martoriata Ucraina perché si era permesso di parlare di Nato che abbaiava ai confini della Russia.
Ci siamo appellati, pur non avendo nomi famosi, ai governi che combattevamo, perché non respingessero i migranti per mare, e non nascondessero ancor di più quelli della rotta balcanica, che fossero a Trieste, in Bielorussia e in Polonia. A ognuno il suo, Michele Serra. Se anche noi anonimi portassimo meno persone di te, dal basso veramente, le porteremmo perché stanno tutti i giorni con noi, facciamo le stesse cose, e combattiamo il capitalismo e i suoi servi, anche quelli più furbi
Marcello Pesarini
Nel segno dell’articolo di Francesco Pallante
Mi sembra che l’articolo di F. Pallante del 5 marzo colga precisamente nel segno, ponendo l’interrogativo: per quale Europa scendere in piazza? Certamente non per l’Europa che prospetta la Presidente della Ue, lanciata in una crociata bellicista che più sconsiderata è difficile immaginare, purtroppo accompagnata dal plauso del governo di K. Starmer e di tutti o quasi i conservatori europei. L’Italia rischia di accodarsi pur con esitazioni, trascinata dal mucchio guerrafondaio. È singolare constatare come si stia rievocando una inesistente e vetusta minaccia dell’orso russo, addirittura una minaccia esistenziale. Si continua a voler ignorare le radici dell’ aggressione all’Ucraina da parte della Russia e il ruolo nefasto della continua avanzata della Nato nell’Europa Orientale. Ma una Russia comunque drenata da tre anni di sforzo bellico non rappresenta certo “il pericolo esistenziale” che si vuole agitare come spauracchio. A vantaggio di chi? Solo dell’industria bellica, evviva la crescita del Pil. Il vero pericolo politico consiste nell’impoverimento progressivo di larghe fette di popolazione europea, nella morte dello Stato sociale e la crescita di una destra neofascista. E il pericolo esistenziale che incombe sempre più minaccioso arriva dallo scioglimento dei ghiacciai, dalle crepe del manto gelido della Groenlandia e dalla perdita della biodiversità, realtà rimosse come un brutto sogno (…)
Stefania Sinigaglia
Federalisti Europei
Come attivisti del Movimento Federalista Europeo, del Movimento Europeo e di altre organizzazioni abbiamo scritto una lettera aperta per spiegare le ragioni della nostra adesione all’appello di Michele Serra a scendere in piazza il 15 marzo, rivolgendoci a chi si sta giustamente chiedendo di «quale Europa» stiamo parlando. Crediamo sia importante aprire un dialogo con coloro che non ci saranno perché non hanno chiaro lo scopo della manifestazione o perché non lo condividono. In questo momento di grave crisi internazionale, occorre sostenere l’unità dell’Europa contro tutti quelli che, dall’interno e dall’esterno, la vorrebbero disunita e incapace di agire. Nel Manifesto di Ventotene, nato durante la Resistenza europea contro il nazifascismo, era chiaro l’obiettivo di liberare il continente, e progressivamente il mondo, da guerre, nazionalismi e imperialismi. Proseguendo su questa strada, auspichiamo di iniziare un percorso condiviso verso un’Europa democratica e federale, capace di avere un’autonomia strategica nei settori dall’energia, della tecnologia digitale e della politica di sicurezza comune. Per costruire una difesa europea non occorre aumentare le spese per il riarmo nazionale togliendo soldi al welfare, ma razionalizzarle su scala continentale per creare un esercito comune pensato come strumento difensivo con corpi civili di pace a disposizione dell’Onu, così da realizzare un nuovo ordine internazionale più inclusivo, sostenibile e pacifico.
Noi saremo dunque in piazza, guardando anche oltre il 15 marzo, per rinsaldare i legami tra i cittadini europei in nome di un’Europa libera, unita, solidale e di pace.
Nicola Vallinoto, Antonella Braga e Giulio Saputo
prime adesioni:
Diletta Alese, Giuseppe Allegri, Antonio Argenziano, Paolo Bergamaschi, Sara Bertolli, Grazia Borgna, Giuseppe Bronzini, Sandro Capitanio, Berardo Carboni, Antonia Carparelli, Renato Carpi, Gabriele Casano, Roberto Castaldi, Alessandro Cavalli, Filippo Ciavaglia, Giancarla Codrignani, Marcella Corsi, Pier Virgilio Dastoli, Stefano Dell’Acqua, Gabriella Falcicchio, Maria Sophia Falcone, Luigi Ferrajoli, Sofia Fiorellini, Michele Fiorillo, Alex Foti, Filippo Maria Giordano, Matteo Gori, Piero Graglia, Francesca Graziani, Giorgio Grimaldi, Piergiorgio Grossi, Ariane Landuyt, Claudio Leone, Guido Levi, Lucio Levi, Alberto Majocchi, Alessandro Marcigliano, Enzo Marzo, Fabio Masini, Pinuccia Montanari, Guido Montani, Bruno Montesano, Angelo Morini, Antonio Padoa Schioppa, Mimmo Rizzuti, Stefano Rossi, Vito Saccomandi, Elias Salvato, Cinzia Sciuto, Giorgia Sorrentino, Mauro Spotorno, Daniele Taurino, Valentina Usai, Giulia Vassallo, Giovanni Vetritto, Tommaso Visone, Marco Zecchinelli.
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Ci si può fidare di una classe politica europea che negli ultimi 30 anni ha fallito clamorosamente analisi e impostazione politica su punti fondamentali dell’assetto geopolitico: dal nuovo quadro uscito dalla caduta dei regimi dell’Est alla globalizzazione ? Scambiando il tutto come un’apertura dei mercati propedeutica a una sterminata felicità collettiva, non guardandosi attorno quando scoppiarono le guerre nei Balcani, non valutando fenomeni come la crescita cinese (scambiata con quelle delle “tigri asiatiche” ipercapitaliste”) e incapace di regolare i termini concreti dello sviluppo tecnologico. I risultati del connubio popolari/socialdemocratici in salsa blairiana con l’adozione indiscriminata delle teorie liberiste mutuate direttamente dal reagan-tachterismo.
Adesso lo stesso gruppo dirigente erede dei Kohl e dei Prodi (che ancora interviene direttamente) ci chiama a un riarmo da 800 miliardi di euro che alla fine esalterà il nazionalismo (dato e non concesso che se ne possa realizzare un decimo di quanti auspicato da lor signori). Ci si può fidare, si può dar loro ancora credito?
Grazie
Franco Astengo
Diserterò la chiamata del 15 di “Repubblica”
Non parteciperò alla manifestazione di sabato, 15 marzo. “Diserterò” quell’iniziativa perché da una parte si celebrano i valori sui quali si fonderebbe l’Europa, cioè la pace e la democrazia, ma dall’altra si punta al riarmo destinando ben 800 miliardi di euro che saranno sottratti al Welfare. L’Europa ha sposato in pieno il detto latino “si vis pacem, para bellum”, cioè se vuoi la pace, prepara la guerra. Io ritengo che se vuoi la pace devi prepararla mentre questa Europa non ha fatto nulla per bloccare il conflitto in Ucraina ed ha sostenuto Israele nella sua guerra criminale contro i palestinesi. Quanto dovrà durare ancora il conflitto in Ucraina?
Quante vite si dovranno sacrificare ancora sull’altare del potere prima che si dica “basta”? Quale vantaggio può ricavare l’Ucraina dal proseguimento della guerra? Quale vantaggio possono ricavare l’Europa da una parte e la Russia dall’altra dal solco scavato fra loro stesse? Non sarebbe meglio che si proponesse, senza stancarsi, gli strumenti della diplomazia e della trattativa perché se vuoi la pace prepara la pace? Ricordiamoci che la pace si stringe tra nemici, trovando un equilibrio delle convenienze reciproche. La guerra porta solo morte, distruzione, odio, persino i vincitori hanno poco da rallegrarsi perché ci vorrà tempo per recuperare “la normalità della vita quotidiana”. Ecco perché la pace deve vincere e la guerra deve essere sconfitta.
Liliana Frascati
Ora 800 miliardi, a quando il sangue?
A meno di credere al detto secondo cui “o’ munno è comm uno so fa ‘ncap” (il mondo oggettivo non esiste e chiunque può costruirsene uno nella propria testa), la bandiera Ue con cui Serra chiede di essere in piazza il 15 marzo non può essere considerata un significante vuoto. Non lo è mai stata, non lo è oggi. La bandiera Ue veste von der Leyen mentre chiede 800 miliardi (a quando il sangue?) per il ReArm Europe. È quella della socialdemocratica danese Frederiksen col suo “spendere, spendere, spendere in Difesa”. Fino al 2% del PIL, al 3%, al 3,5%, e perché non al 5% come vuole Trump? Fino all’infinito e oltre! È quella di chi smania per un keynesismo militare: transizione non ecologica, ma a un’economia di guerra. Dal verde ecologia al verde militare il passo è breve. Dalla Francia dell’estremo centro liberista di Macron, alla Germania rosso-nera di Scholz e Merz, passando per l’Italia dell’ultradestra, tutti vagliano o iniziano a sperimentare soluzioni per la transizione dall’industria civile (a partire dall’automotive) a quella militare. La necessità e urgenza del riarmo è condivisa dalle principali famiglie politiche.
Si dividono sui dettagli. Riarmo nazionale o “difesa comune”? Cambia poco. L’“uomo Ue”, Romano Prodi, l’ha chiarito: il primo è necessario e può essere una tappa verso la seconda. Sembra di essere sbalzati al 1914, quando socialisti francesi e tedeschi – ma quelli italiani no! – votano i crediti di guerra, cedono alla guerra tra “nazioni” abbandonando quella di classe. Sventolare la bandiera Ue col “Partito di Repubblica” è fare il gioco di chi vuole il keynesismo militare. Vogliamo ritrovarci in piazza col nemico che marcia alla nostra testa? Chi porterà la bandiera della “pace” potrà salvare la propria coscienza, ma non cambiare la cifra politica. Che è già chiara: riarmo per proteggere i capitali europei nella competizione internazionale. Disertare la piazza di Serra e della bandiera Ue significa sottrarsi al bellicismo. Non per stare alla finestra, ma per costruire un’altra piazza. Che dica no al riarmo e all’economia di guerra. Sì a stanziare fondi, ma per “medici, non bombe”. Senza confusione o mezze parole. Nell’aprile 1915, sventolando bandiere rosse, centinaia di donne si unirono agli scioperanti a Prato al grido di “abbasso la guerra”. Eccoli i nostri valori, i nostri principi più belli. Portiamoli a Piazza Barberini a Roma sabato 15 alle 15:00.
Giuliano Granato, Portavoce Nazionale Potere al Popolo
Parole giuste per una piazza sbagliata. No all’economia di guerra
La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza. Michele Serra, dalle pagine di “Repubblica”, ha chiamato ad una piazza per un’Europa libera e unita. Una piazza invocata all’indomani dell’umiliazione pubblica di Zelensky da parte di Trump, una piazza che nulla dice della necessità di Pace, una piazza che nulla dice sul piano Rearm che costerà 800 miliardi a danno della spesa sociale su scala europea. Non esiste un’astratta idea di Europa che valga più della Pace, della pacifica convivenza tra i popoli e di un’Europa dei diritti sociali e civili. L’appello all’unità dell’Europa che caratterizza la manifestazione del 15 marzo è distante dall’idea di Europa che la Cgil, non da sola, ha cercato di far vivere in questi anni.
L’idea di Europa che assieme abbiamo promosso ha attraversato le piazze italiane ed europee nelle manifestazioni per la pace e contro ogni guerra, nelle vertenze sindacali che invocavano politiche industriali e nel contrasto alle politiche liberiste.
La manifestazione del 15 marzo non promuove un’Europa diversa da quella bellicista, rappresentata dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen e di Macron, e che nelle scelte della Commissione Ue e del Consiglio europeo prepara l’economia alla guerra. Noi non cammineremo al fianco di chi vuole la guerra. Condividiamo la necessità di una forte e ampia mobilitazione per la Pace in raccordo con tutte le reti che da sempre sono impegnate su questo fronte.
Coordinamento nazionale Lavoro Società per una Cgil unita e plurale
Commenta (0 Commenti)Punto di svolta La spaccatura nel gruppo europeo sul progetto di riarmo proposto da von der Leyen è netta. Schlein conferma la sua posizione critica, pur mitigata in un’astensione che però non serve a tenere unito il partito
Un voto pesantissimo per il Pd a Strasburgo, la spaccatura nel gruppo europeo sul progetto di riarmo proposto da von der Leyen è netta. Schlein conferma la sua posizione critica, pur mitigata in un’astensione che però non serve a tenere unito il partito; la situazione interna è molto complicata.
Eppure la segretaria, questa è la sensazione, può contare su un consenso prevalente tra gli iscritti e nell’opinione pubblica di sinistra. Nella politica italiana anche le situazioni serie diventano occasioni di polemiche miserevoli e la linea di Schlein ha dato la stura al consueto lavorio di logoramento che punta ad etichettare come inadeguata la sua leadership.
Questa situazione, e lo stesso voto a Strasburgo, segnalano ancora una volta come per il Pd si avvicini sempre più il momento delle scelte dirimenti. Nei due anni che ci separano dalle primarie, Schlein e chi la sostiene hanno costruito un nuovo profilo del partito, salvandolo dall’abisso in cui stava precipitando dopo le elezioni del 2022 (e a cui qualcuno lo aveva condotto: si tende un po’ troppo a dimenticarlo…).
Ma si è proceduto a strappi, con alcune campagne-simbolo e con alcune scelte che ora stanno provocando forme di rigetto, o di vero e proprio panico, in quella parte dei gruppi dirigenti che non ha mai fatto i conti con i fallimenti del passato: una di queste scelte è stata lo schieramento a favore dei referendum sul lavoro della Cgil; e ora, questa sul riarmo europeo.
Alcune reazioni, tuttavia, meritano di essere considerate con più attenzione: una è quella espressa da Luigi Zanda, che ha chiesto un «congresso straordinario». Non è chiaro il senso della proposta: stando alle regole attuali, significherebbe rifare le primarie, e non credo proprio che, in questo momento, possa emergere una seria candidatura alternativa, o che sulle questioni di politica internazionale le attuali posizioni della segretaria non riceverebbero un largo consenso. E allora, forse, la chiave è un’altra: «Il Pd avrebbe il dovere, anzi la necessità – dice Zanda – di cambiare lo statuto e decidere una volta per tutte se il segretario lo scelgono gli iscritti, oppure se chiunque possa continuare a andare ai gazebo…». Zanda coglie un problema reale; e ritengo che Schlein debba accettare la sfida: in che modo?
Ci sono due vie: la prima, che ha tempi più lunghi, è quella di una Conferenza d’organizzazione, preparata come si deve, al termine della quale si approvi un nuovo statuto, che riesca a pensare e progettare un nuovo modello di partito; la seconda è quella – a statuto vigente, si noti bene – di utilizzare uno strumento già previsto e mai utilizzato, quello della Conferenza programmatica annuale (ma la si può chiamare anche in altro modo), purché fatta anch’essa come si deve: documenti di base, possibilmente alternativi (non documenti generici in cui ognuno possa leggere quello che più gli piace), discussioni e votazioni nei circoli, assemblea nazionale di delegati. Su due o tre temi-chiave: e uno certamente è quello della situazione internazionale.
Alla base c’è un terzo problema: ci si deve render conto che non sarà sostenibile, a lungo termine, questa doppia fonte di legittimazione (il corpo degli iscritti e quello dei votanti alle primarie, che sono solo in piccola parte sovrapponibili). Oggi gli iscritti non sono rappresentativi della stessa forza elettorale del partito: basti ricordare la distribuzione profondamente squilibrata dal punto di vista territoriale tra i 150mila iscritti che parteciparono alla prima fase del congresso e gli oltre un milione di elettori che hanno votato alle primarie (i quali, peraltro, come mostrano le ricerche sono in gran parte ex-elettori ed ex-iscritti al partito: i famigerati «passanti» che votano ai gazebo sono un’infima minoranza).
A quanto risulta, solo una piccola parte di quanti hanno sostenuto Elly Schlein si è però poi iscritta al partito: perché accade? Perché spesso, localmente, nel suo modo di funzionare il Pd è letteralmente respingente; perché, spesso, sono altri e ben diversi gli incentivi che portano all’iscrizione; e poi, perché, nella migliore delle ipotesi, il partito non è in grado di valorizzare la partecipazione degli iscritti: anzi, sembra proprio non averne bisogno. Per questo, una riforma del partito è oggi essenziale: bisogna ricomporre la frattura tra iscritti ed elettori, e questo lo si può fare solo se si mette in moto un coinvolgimento di massa, che avvii una sorta di progressivo ricambio organico nel corpo del partito stesso.
Discutere, appunto, della situazione internazionale, e farlo in modo diffuso e sistematico, fuori e dentro il partito, potrebbe essere un modo per riattivare una partecipazione oggi silente e far crescere un’elaborazione collettiva di cui si sente un gran bisogno; ma sarebbe anche un modo per porre un freno alle chiacchiere inutili e avere una conferma di quali siano, anche su questo tema, le posizioni davvero prevalenti tra gli iscritti e gli elettori del partito.
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Verso il 15 marzo Protestare non è mai «prepolitico», tantomeno contro l’Europa in armi
19 dicembre 2024, il presidente ucraino Zelensky con i capi di stato e di governo in un vertice sull'Ucraina a Bruxelles – Ukraine Presidency via ZUMA Press
Inaspettatamente Romano Prodi dà pieno appoggio al Progetto ReArm Europe, come prima di lui avevano fatto , meno inaspettatamente, Paolo Gentiloni e Enrico Letta. La manifestazione del 15 marzo prossimo “In difesa dei valori dell’Europa”, suscitata da un appello di Michele Serra su “la Repubblica”, è stata di slancio promossa dal Pd – o almeno questo passa nei giornali.
Si può ben essere d’accordo con Schlein che sarà in piazza ed è contraria al ReArm Project (benché non un parlamentare europeo si sia levato a protestare contro l’esclusione del Parlamento europeo dalla discussione sul riarmo). Ma delle due anime del Pd quale ha più influenza nell’attuale Unione europea, e quale avrà più accesso ai media che riverbereranno la manifestazione? Soprattutto se ci vanno anche Renzi e Calenda?
La Cgil di Maurizio Landini, l’Anpi – l’Arci significativamente non ci sarà – parteciperanno alla manifestazione, e lo faranno contro il Rearm Prject: ottima cosa, ma in piazza chi parlerà? Tutti, in uno stridio incomprensibile di proclami contrapposti? O nessuno, per evitare questo assurdo? Zero pensieri, solo slogan nella piazza? E quali bandiere?
Si era detto all’inizio: solo quelle blu-stellate dell’Ue. Le stesse che garrivano quando i 27 hanno approvato il proclama di von der Leyen e il discorso di Macron, aux armes, citoyens?
Gustavo Zagrebelsky (la Repubblica, 7 marzo) dice: andate, andate, sarà una manifestazione «prepolitica». Per sentirci vivi. Non è alla piazza che spetta dare indicazioni. La piazza esprime solo la vita, spetta alla politica interpretarla.
Oso dirlo con tutta l’ammirazione, direi di più, l’amore per il grande costituzionalista, fra l’altro presidente onorario di “Libertà e giustizia”: trovo indigeribile questo uso della parola «prepolitico». Come se, prima che le rappresentanze politiche traducano i sentimenti in programmi, ci fossero solo sentimenti vaghi, vitalità inarticolate, insoddisfazioni o sdegni muti. Come se «prepolitico» non volesse invece dire, anche, la voce della ragione pratica, appassionata quanto si voglia, ma i cui pensieri, per essere delle tesi su ciò che è giusto e ciò che non lo è nella situazione data, quindi per pretendere ascolto da tutte le persone di buona volontà, debbono essere articolati e limpidissimi. Altro che voglia di vivere!
Due altri grandi maestri, a diverso titolo, della ragione pratica e della sua luce, hanno scritto anche recentissimamente testi articolati e limpidissimi su ciò che dovremmo fare: si trovano facilmente in rete.
Eccoli: Luigi Ferrajoli, Per un’iniziativa di pace dell’Europa (il manifesto, 3 marzo 2025) e Raniero La Valle, Che fare? Riparare l’Europa, salvare il mondo, che oltre tutto contano già numerose adesioni nella società civile.
Se ad esempio ci fossero, in piazza, ragazzi e ragazze che alla piazza chiedessero ascolto, e leggessero punto dopo punto le chiare, distinte, articolatissime proposte all’Unione europea che questi testi contengono, allora sì che porteremmo in piazza anche un pensiero, e non soltanto la nostra vita. Perché chi ci sta chiamando alle armi, purtroppo, non ne ha di meno, di vita.
Un pensiero «prepolitico»? Non lo so. Certo un pensiero razionale e morale, ideale e appassionato, limpido e universale come i lumi e le luci d’Europa di cui è l’erede.
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«Svuotare gli arsenali, aprire i granai» In tante e tanti per una iniziativa alternativa a quella lanciata da Repubblica
Un campo di grano in Ucraina durante la guerra – Ap
«Svuotare gli arsenali riempire i granai». Con le parole del Presidente partigiano Sandro Pertini proponiamo a tutte e tutti di ritrovarci il 15 marzo a Roma in piazza Barberini alle ore 15, “Una piazza per la pace”, per riaffermare la richiesta di cessate il fuoco in Ucraina e una netta contrarietà al piano Rearm Europe approvato dal Consiglio europeo con l’assenso anche del governo italiano.
Non parteciperemo alla piazza lanciata da un quotidiano che ha sostenuto in questi anni posizioni belliciste. Non ci facciamo arruolare da chi ha sostenuto la guerra in Ucraina in nome dei diritti dei popoli oppressi ma ha fatto da scorta mediatica al genocidio di Netanyahu contro i palestinesi a Gaza.
Non andremo a sventolare una bandiera a sostegno di chi ha scelto la via della guerra e dell’economia di guerra (…) Questa Europa – quella del Patto di Stabilità e del piano di riarmo – non ci rappresenta.
La Commissione e i governi europei hanno condiviso con Biden la scelta della guerra “fino alla vittoria” e oggi obbediscono al diktat di Trump sull’aumento della spesa militare. (…) L’Europa che decide di spendere 800 miliardi aggiuntivi in armi, che comprerà per gran parte dagli Usa, dovrà tagliare ulteriormente il proprio stato sociale (…)
Noi proponiamo di ritrovarci a Roma in un’altra piazza, per la pace e contro il riarmo. Una piazza che senza ambiguità esprima il dissenso, l’indignazione e l’opposizione alle scelte della Commissione Europea, del Consiglio Europeo e anche del governo italiano. Una piazza da riempire con le bandiere della pace.
Tra le tante firme dell’’appello segnaliamo Raniero La Valle, Ginevra Bompiani, Elena Basile, Vauro, Moni Ovadia, esponenti palestinesi come Ali Rashid e Yousef Salman, il rappresentante dei curdi Yilmaz Orkan, l’ex diplomatico Enrico Calamai, Franco Berardi Bifo, i registi Daniele Vicari, Andrea Gropplero e Costanza Quatriglio, gli storici Piero Bevilacqua, Angelo d’Orsi e Guido Liguori, gli ex europarlamentari Roberto Musacchio, Pasqualina Napoletano e Eleonora Forenza, gli economisti Pier Giorgio Ardeni e Luciano Vasapollo, Marco Bersani di Attac, il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, il fisico Francesco Sylos Labini, la portavoce comitati contro AD Marina Boscaino, Giovanni Russo Spena, l’urbanista Paolo Berdini, il produttore cinematografico Gianluca Arcopinto, gli attori Massimo Dapporto e Valentina Carnelutti, Chiara Rapaccini, artista/designer, Paolo Ferrero, la sceneggiatrice Silvia Scola, Patrizia Sentinelli, Rosa Rinaldi, Paola Nugnes.
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Verso il 15 marzo L’Ue da molti anni rinnega se stessa, violando valori costitutivi: il no alla guerra con l’insensato bellicismo e l’uguaglianza, con politiche disumane e razziste contro i migranti
Una manifestazione per la pace a Roma – Andrew Medichini /Ap
Si possono condividere gli argomenti critici proposti da questo giornale a riguardo della manifestazione per l’Europa promossa dall’appello di Michele Serra, eppure decidere di partecipare ugualmente.
Perché farlo? Per impedire all’Europa delle armi, voluta dalle von der Leyen e dai Macron, di proporsi come la sola Europa esistente.
Per manifestare l’esistenza di un’altra idea dell’Europa: quella, sicuramente maggioritaria, che vede nell’Europa il luogo delle democrazie costituzionali, delle separazioni dei poteri, dell’“unità nelle diversità” secondo la massima adottata nel 2000 dall’Unione, cioè dell’uguaglianza e, soprattutto, della pacifica convivenza.
È GIUSTO PARTECIPARE anche per molte altre, importanti ragioni: perché l’Europa, non solo la nostra ma anche quella delle von der Leyen e dei Macron, è oggi aggredita da tutti i reazionari e i fascisti dell’Occidente, che vogliono distruggere la sua residua identità democratica; perché contro i fascisti, in crescita in tutto il mondo, qualunque alleanza è doverosa; perché manifestare in difesa dell’Unione europea, pur con tutti i suoi limiti gravissimi, vuol dire oggi manifestare contro Trump, contro Musk, contro Milei, contro Meloni e contro tutti i sovranismi e le derive autocratiche e parafasciste in atto in tutto l’Occidente; perché l’Europa, grazie alla straordinaria convivenza pacifica che ha realizzato tra 27 paesi con 23 lingue diverse e un passato di guerre e di contrapposti imperialismi, ha mostrato che un’integrazione tra diversi è possibile, anche per l’intera umanità; perché quindi, nell’Unione europea, vediamo una tappa esemplare del processo di unificazione del genere umano perseguito da Costituente Terra, sulla base dei due valori che essa – come l’Onu, parimenti sotto attacco – pose alla base della sua fondazione: la pace e l’uguaglianza.
Sappiamo bene che ormai da molti anni l’Europa ha rinnegato se stessa, negando e violando questi due valori costitutivi: la pace, con l’insensata politica bellicista e l’assurda corsa a nuovi armamenti, e l’uguaglianza, con le sue politiche disumane contro i migranti e il razzismo alimentato dalla riapparizione in Europa della figura della persona illegale e clandestina per la sola colpa di esistere.
Ma proprio per questo, per difendere questi due valori e, insieme, i valori della legalità, delle separazioni dei poteri, dei limiti e dei vincoli ai poteri selvaggi dei nuovi padroni del mondo, è oggi necessario manifestare in difesa dell’Europa, che su quei valori è nata e a quei valori vogliamo che torni ad ancorarsi.
SOLO QUEST’ALTRA Europa, opposta a quella espressa dall’opzione dissennata per sempre nuovi armamenti, può oggi emanciparsi dalla subalternità agli Stati Uniti e promuovere un’autonoma iniziativa di pace nei confronti della Russia, basata non già sul riarmo ma sul disarmo e su reciproche garanzie di sicurezza, in vista di un progressivo ritorno della Russia nella sua casa europea.
È stato l’osceno ricatto di Trump che ha mostrato, insieme al fallimento di tre anni di politiche europee, quella che è un’assoluta ovvietà: che la garanzia della sicurezza proviene non già dal riarmo, che segnala ostilità, sfiducia e aggressività nei confronti della Russia, concepita aprioristicamente come nemico, bensì dalla disponibilità a un progressivo disarmo, che al contrario attesta la volontà di pace e sollecita l’analoga volontà e l’identico interesse della controparte.
E’ infatti chiaro che l’ulteriore corsa a nuovi armamenti – una corsa ininterrotta da oltre 20 anni – mentre non potrà mai portarsi all’altezza delle 6.000 testate nucleari di cui è in possesso la Russia, avrà il solo effetto di sottrarre alla sanità, all’istruzione e alla sussistenza gli 800 miliardi che si vuole siano ad essa destinati.
Manifestare per l’Europa vuol dire anche, perciò, manifestare a sostegno di quello stato sociale che solo in Europa si è realizzato in nome dell’uguaglianza, e che oggi Trump e le destre di tutto il mondo vogliono distruggere.
VUOL DIRE CONTRAPPORRE, al volto feroce ed ostile delle armi e dell’abbattimento dello stato sociale perseguito dalle politiche liberiste dei nostri governi, il volto benefico e civile dell’Europa della pace, dell’uguaglianza e della garanzia dei diritti e della dignità delle persone.
L’Europa con il primo volto è destinata a disgregarsi, non solo perché maggiormente esposta alla minaccia della guerra, ma anche per l’inevitabile conflittualità tra opposti sovranismi e per la perdita del consenso popolare.
Solo se assumerà il secondo volto, finanziando istituzioni europee di garanzia dei diritti sociali sussidiarie rispetto a quelle nazionali e promuovendo un disarmo globale e totale che renda impossibili tutte le guerre, l’Europa è destinata non solo a sopravvivere e a diventare popolare tra i cittadini europei, ma anche a proporsi come un modello di civiltà per il resto del mondo e ad attestare che una Federazione della Terra è possibile, oltre che necessaria ed urgente.
Ma questo secondo volto non può rimanere nascosto, coperto, assente, inespresso. Va, appunto, manifestato ed esibito con le bandiere della pace. Per mostrare che solo da esso, e non certo da un’illusoria potenza militare, dipendono il prestigio e l’autorevolezza politica dell’Europa.
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