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Palestinians celebrate a ceasefire agreement between Hamas and Israel in the West Bank city of Beitunia, on Sunday, Jan. 19, 2025. (AP Photo/Leo Correa)

Nella foto: Palestinesi in Cisgiordania festeggiano l’accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas  via Ap

Oggi un Lunedì Rosso dedicato al potere delle narrazioni.

Durevole, e riproposta in varie epoche della politica americana, è la retorica Maga (Make America Great Again).

Una connessione diretta tra il presente trumpiano e il passato dei presidenti Lindbergh, Regan e altri.

Si presta a varie narrazioni il racconto intorno al caso di Ramy Elgaml, morto dopo un inseguimento con la polizia la notte del 24 novembre 2024, quella della destra tende a deresponsabilizzare gli agenti ma l’indagine è ancora aperta.

Genio indiscusso della narrazione per immagini, David Lynch ha lasciato questo mondo, qui ricordato per l’impatto dirompente di Twin Peaks in onda su Canale 5 nel 1991.

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Il momento in cui i militanti di Hamas consegnano i primi tre ostaggi alla Croce Rossa

https://www.huffingtonpost.it/video/2025/01/19/video/i_militanti_di_hamas_consegnano_i_primi_ostaggi_alla_croce_rossa-18218342/?ref=HHTP-BH-I18206000-P4-S1-T1

La liberazione dei 90 prigionieri palestinesi: l'accoglienza della folla festante a Ramallah

Gli autobus con i prigionieri palestinesi rilasciati da Israele in base agli accordi sulla liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco, si fanno largo tra lo folla festante a Ramallah, in Cisgiordania. Sui mezzi le 69 donne e i 21 ragazzi rilasciati da Israele.

https://www.huffingtonpost.it/video/2025/01/20/video/la_liberazione_dei_90_prigionieri_palestinesi_laccoglienza_della_folla_festante_a_ramallah-18220498/

 

 

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Palestina/Israele 470 giorni dopo, inizia la "pausa". Ben Gvir si dimette, il premier promette altra guerra. Tra sollievo e caos: l’esercito dichiara off limits intere aree, troppo pochi i camion di aiuti in arrivo

Il lutto per le vittime di un attacco aereo israeliano ieri sulle tende di al-Mawasi Il lutto per le vittime di un attacco aereo israeliano ieri sulle tende di al-Mawasi – Hani Alshaer /Getty Images

Oggi alle 8.30 in Palestina, le 7.30 in Italia, a Gaza cesserà il fuoco. Entra in vigore la prima fase di 42 giorni prevista dall’accordo di tregua firmato da Hamas e Israele a Doha.

NELLA NOTTE tra venerdì e sabato, dopo una riunione durata sei ore, il governo israeliano ha approvato l’accordo: 24 ministri a favore, otto contrari. Tra questi, oltre ai partiti di ultradestra Potere ebraico e Sionismo religioso, anche due membri del Likud, il partito del premier Netanyahu.

Il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, come già minacciato, si è dimesso. Quello delle finanze Bezalel Smotrich invece ha confermato le indiscrezioni in merito alle promesse strappate venerdì: «Possiamo garantire, grazie a una decisione del governo, che la guerra non finirà – ha detto – Abbiamo ottenuto l’impegno a cambiare completamente il metodo della guerra attraverso la graduale acquisizione dell’intera Striscia di Gaza, l’eliminazione delle imposizioni dell’amministrazione Biden e il totale controllo di Gaza».

Le indiscrezioni le ha confermate lo stesso Netanyahu ieri sera nel messaggio tv con cui ha tentato di vendere una vittoria a quel pezzo maggioritario di opinione pubblica che legge nell’accordo una sconfitta: il cessate il fuoco è temporaneo, Israele ha il diritto (riconosciuto, dice, da Biden e da Trump) di «riprendere i combattimenti se la seconda fase sarà infruttuosa…La campagna non è finita – ha assicurato – Dobbiamo tornare a combattere e lo faremo in nuovi energici modi».

IN ATTESA DI CAPIRE se e quanto la tregua reggerà, oggi pomeriggio saranno rilasciate tre donne dei 33 ostaggi della prima fase. Hamas non ha inviato la lista con i nomi, ha detto Netanyahu minacciando di far saltare tutto.

1.904 i prigionieri politici palestinesi che torneranno liberi di cui 1.167 catturati a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, senza accuse. I primi 95 saranno rilasciati oggi, per lo più donne.

Tra loro la politica e attivista femminista del Fronte popolare, Khalida Jarrar, in isolamento e detenzione amministrativa (senza accuse) e Zakaria Zubeidi, leader delle Brigate Martiri di al-Aqsa (Fatah) a Jenin e volto della seconda Intifada, che nel 2021 evase con una fuga spettacolare insieme a cinque compagni dal carcere israeliano di Gilboa.

A Gaza ieri i raid aerei non sono cessati. Non si è fermata nemmeno la conta delle vittime, atroce destino degli ultimi a morire quando la tregua è lì, a un passo. «Ogni famiglia ha un morto, un ferito o un arrestato. Basta», raccontava ad al Jazeera Bilal al-Nahawani, sfollato da Rafah a Khan Younis. Ieri il bilancio ufficiale del ministero della salute ha toccato quota 46.899 uccisi e 110.725 feriti, un numero che – è ormai acclarato – è al ribasso.

GAZA GUARDA l’abisso da un altro abisso. Il ronzio incessante dei droni e il rombo dei caccia si quieteranno, ma l’angoscia no. Le voci che ci giungono dalla Striscia sono specchio della totale incertezza del futuro. Di certo, ci raccontano, nelle tende si impacchetta il necessario per partire subito verso gli scheletri delle proprie case.

La prima settimana non ci si potrà spostare in auto, ma solo a piedi, nell’idea di poter rallentare il flusso di persone in marcia verso nord. La protezione civile si appella ai residenti del nord: non affrettatevi, c’è il timore fondato di ordigni non esplosi e c’è la realtà sul terreno, il 90% delle case nella parte settentrionale completamente o parzialmente distrutte.

Da parte sua l’esercito israeliano ha pubblicato una delle sue ormai famigerate mappe per ordinare agli sfollati di non avvicinarsi alle zone dove sono ancora presenti le truppe di Tel Aviv, pena il fuoco. In particolare il corridoio Netzrarim, che spacca Gaza in due e che, dice l’esercito, non è ancora attraversabile fino al settimo giorno dall’inizio della tregua. Off limits anche il valico di Rafah e il corridoio Filadelfi.

A Gaza però vogliono muoversi subito per verificare cosa ne è delle proprie case e per riprendersele: c’è il timore, dicono, che possano essere occupate da chi non ha più rifugio o che quel poco di ricordi che resta possa essere saccheggiato.

Una paura che si fonda sulle condizioni di vita di due milioni di persone, private di tutto, e sull’incertezza rispetto alla quantità di aiuti umanitari che davvero entreranno a Gaza: l’accordo parla di 600 camion al giorno, ma si parla già di un massimo di cento al giorno, per lo meno all’inizio.

LO SPETTRO dei saccheggi è concreto in una società privata di beni essenziali per un tempo così lungo. A rischiare assalti, dicono da Gaza, sono soprattutto i camion di tende, non quelli di cibo: pioggia e vento hanno distrutto nelle scorse settimane decine di migliaia di rifugi già provati dal tempo, la gente ne ha bisogno per proteggersi dal freddo che ha già ucciso almeno otto neonati.

Ieri Hamas rassicurava sulla creazione di «team governativi specializzati pronti all’implementazione del piano» e sul coinvolgimento della polizia e dei comuni, seppure la cronaca di questi mesi abbia ridato indietro la devastazione delle forze dell’ordine, decimate dai bombardamenti israeliani.

***
Coltelli a Tel Aviv, pietre a Nablus
È stato ucciso dal fuoco sparato dai passanti il 19enne palestinese Salah Yahye, di Tulkarem. Pochi minuti prima, fuori da un bar a Tel Aviv, aveva accoltellato un gruppo di israeliani, ferendone uno (a ieri non era stata resa nota l’identità), tuttora ricoverato in gravi condizioni.

Nelle stesse ore, un gruppo di coloni giunti dall’insediamento di Rahalim ha aggredito con le pietre i residenti del villaggio palestinese di Yatma, a sud di Nablus, ferendo un uomo. In mattinata, un missile lanciato dallo Yemen veniva intercettato prima dell’ingresso nello spazio aereo israeliano.

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Meloni andrà all’incoronazione di Trump. Una scelta inevitabile dopo il via libera del non ancora presidente alla liberazione di Sala. La premier immaginava di gettare ponti tra Europa e Usa, invece si schiaccia sul tycoon con la destra peggiore

Stati uniti La premier italiana decide di intrupparsi con la peggiore destra europea (e non solo). Dopo il viaggio a Mar-a-Lago non aveva scelta. La proposta del tycoon era arrivata insieme al via libera allo scambio di prigionieri con l’Iran. Ci saranno anche il francese Eric Zemmour, il britannico Nigel Farrage, pasdaran della Brexit, e il tedesco Tino Chrupalla, co-leader della AfD. Niente invito a Salvini che fa sapere che resterà in Italia per occuparsi dei treni

L'incontro da Donald Trump e Giorgia Meloni a Mar-a-Lago in Florida L'incontro da Donald Trump e Giorgia Meloni a Mar-a-Lago in Florida – Ansa

Giorgia Meloni è stata folgorata sulla via di Teheran. Ancora alla vigilia dell’incontro con Trump, a palazzo Chigi facevano gli sdegnosi: «Perché dovrebbe andare a far da comprimaria?». Per la parte del vassallo bastava Salvini, che peraltro non chiedeva di meglio e il mancato invito è un cruccio di quelli che non si stemperano col tempo. La pezza con la quale spiega la mancata partenza è che deve indagare sugli attentati alle ferrovie.

Ironizzare sarebbe maramaldesco. All’ex Capitano è toccata in sorte la parte più ingrata, quella del gatto Silvestro. Merita umana comprensione.

LA SCELTA INIZIALE di disertare l’incoronazione, per la premier italiana, era dunque questione d’immagine però non solo. C’era di mezzo l’etichetta: di norma i capi di Stato e di governo stranieri non vengono invitati agli insediamenti presidenziali.

Niente invito a Salvini che fa sapere che resterà in Italia per occuparsi dei treni

Ma a rompere la consuetudine ha provveduto l’incoronato in persona, che ha distribuito inviti a raffica e l’italiana non è l’unica ad avere accettato. Ci saranno l’argentino Milei, il salvadoregno Bukele.

Ci sarà, in rappresentanza di Xi jinping, il vicepresidente cinese Han Zheng e da solo vale l’intera platea. Ma a frenare la premier era soprattutto la nessuna voglia di trovarsi ingruppata con il peggio della destra europea. Non che non apprezzi i vecchi amici sovranisti, anche se magari non tutti e non tutti allo stesso modo. Ma lei, si sa, ama tenere il piede in due staffe e la festa di Washington invece ha un colore ben preciso, quello del sovranismo estremo e del suprematismo senza fronzoli, insomma è roba di destra tanto estrema da suggerire cautela persino a una Marine Le Pen che già pensa solo alle elezioni presidenziali e infatti domani alla Casa Bianca non ci sarà.

MA L’INVITO proveniva dall’imperatore in persona e da un imperatore che aveva appena graziosamente accettato di chiudere tutti e due gli occhi sullo scambio di ostaggi con l’Iran. Giorgia Meloni non è un’ingenua. Ha capito subito di non avere scelta anche se per ufficializzare ha aspettato l’ultimo momento. Per rispetto nei confronti della sua amica non invitata Ursula von der Leyen, secondo la versione fatta circolare dal Palazzo a Roma. Più probabilmente per evitare polemiche di ogni sorta.

Dunque la presidente del consiglio italiano, scortata da tre esponenti del suo partito, partirà stanotte all’ultimo momento: toccata e fuga. Domani siederà, al

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Eccesso di Sicurezza Nessuna svolta della Procura ma il ministro Piantedosi giustifica gli agenti: «Fermarsi all’alt è meglio che rischiare di perdere la vita»

Proteste per la morte di Ramy Elgam Proteste per la morte di Ramy Elgam – Ansa

Non c’è nessuna reale novità sul caso di Ramy Elgaml, morto dopo un inseguimento con la polizia la notte del 24 novembre 2024, se non che la destra ha già stabilito innocenti e colpevoli. Alcune indiscrezioni di stampa, secondo le quali la procura di Milano non avrebbe rilevato infrazioni da parte delle forze dell’ordine nelle modalità del tallonamento, sono state sufficienti ai partiti di maggioranza per gridare all’innocenza dei carabinieri e attaccare chi ha sollevato dubbi sui fatti di quella notte.

L’indagine però è di fatto congelata in attesa dei risultati sulla perizia del cellulare del testimone e dell’analisi cinematica delle fasi finali dell’inseguimento allo scooter guidato da Fares Bouzidi. Si saprà qualcosa i primi giorni di febbraio. Quanto fatto filtrare ieri dalla procura di Milano ha più le sembianze di un intervento nel dibattito pubblico che di una svolta nell’inchiesta che gli stessi inquirenti ribadiscono essere centrata sulla dinamica della caduta della moto e sui possibili depistaggi dei carabinieri, non sull’inseguimento in sé.

NON È LA PRIMA VOLTA che i magistrati milanesi devono intervenire per stoppare indiscrezioni filtrate dal palazzo. Era successo anche con il capo d’accusa (omicidio stradale oppure volontario) dopo che il Tg3 aveva mostrato frammenti del video dell’inseguimento e soprattutto fatto ascoltare gli audio dai quali emergeva la volontà, da parte di almeno una delle gazzelle, di fare cadere i due. Il dibattito pubblico si era infuocato, dalla Tv alle piazze, e la procura era dovuta intervenire per ribadire che il capo di accusa rimaneva quello di omicidio stradale. Di certo però le indiscrezioni sono arrivate come una manna dal cielo per il governo e la maggioranza, impegnati a portare a casa il ddl Sicurezza presto e con poche modifiche.

C’è un network tra gruppi antagonisti per fare guerriglia contro le forze dell’ordine, è necessario approvare subito il ddl SicurezzaIl titolare del Viminale

E la destra ha avuto buon gioco nell’usarle come grimaldello contro l’opposizione (accusata di aver lanciato campagne d’odio contro le forze dell’ordine) e come prova della necessità del contestato scudo penale per gli agenti. In mezzo ci è finito anche l’ex capo della polizia Gabrielli, oggi delegato alla sicurezza del comune di Milano, colpevole prima di aver contestato il dispositivo delle zone rosse e poi di aver sostenuto che l’inseguimento dello scooter su cui viaggiava Ramy non fosse corretto, soprattutto in base al principio di proporzionalità.

LE DICHIARAZIONI della destra sono state perlopiù sulla falsariga di quella del forzista Maurizio Gasparri: «Il pessimo Gabrielli si dovrebbe dimettere, che incarico svolge a Milano? Chi lo paga? Si vergogni insieme a Sala. Noi siamo con le divise». Toni ancora più accesi dalla Lega e Fdi che si contendono il ruolo di «partito più amico della polizia» e la paternità delle leggi securitarie. «Attendiamo le reazioni di certa vergognosa sinistra che preferisce giustificare chi delinque anziché difendere le nostre forze dell’ordine» dice Salvini, seguito dal capogruppo meloniano alla Camera, Galeazzo Bignami, che accusa la sinistra di aver «alimentato un clima di odio e violenza nei confronti delle nostre forze dell’ordine». Per poi sottolineare: «È anche per questo che FdI sostiene l’approvazione del ddl Sicurezza».

A DARE MANFORTE sull’ineluttabilità delle “garanzie” per gli agenti e del disegno di legge, contestato anche dall’Onu, c’è anche il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che ieri ha rilasciato due interviste, al Messaggero e Qn, nelle quali per quanto si sforzi di sembrare democristiano (con tanto di citazione della sua passione per De Gasperi) esprime concetti scivolosi: «All’alt bisogna fermarsi, qualunque conseguenza eventuale è meglio che rischiare di perdere la vita».

Una dichiarazione che fa il paio con quella relativa al caso dei presunti abusi in questura a Brescia denunciati dalle attiviste di Extinction Rebellion, costrette a spogliarsi e a piegarsi. Anche in quella circostanza, secondo il ministro degli Interni, gli agenti hanno agito «in piena regolarità»: «Si tratta di una pratica operativa che in determinate circostanze è consentita e anche prescritta». Poi teorizza un «network tra gruppi antagonisti» che utilizzerebbero temi come l’ambientalismo, la scuola, il massacro della popolazione di Gaza e la contrarietà al Ponte sullo Stretto o alla Tav per alzare «il livello di tecnica di aggressione alle forze dell’ordine: dalle bombe carta agli artifizi urticanti, una vera forma di guerriglia». Tutto questo per Piantedosi giustifica la «fretta» sul ddl: «Ci sono una serie di normative importanti, come la tutela legale nei confronti delle forze dell’ordine, con il pagamento delle spese legali»

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Nuovi massacri di civili a Gaza, mentre il gabinetto di sicurezza israeliano vota il sì all’accordo. Domenica cessate il fuoco e primo scambio: liberi tre israeliani e 95 palestinesi. Ma sul futuro pesa la promessa di Netanyahu all’ultradestra: riprendere la guerra

Domani smetto Il gabinetto di sicurezza approva l’accordo con Hamas, Ben Gvir si sfila. Il premier: l’offensiva riprenderà dopo la prima fase . Raid senza sosta a Gaza (116 uccisi in due giorni) e coloni premiati in Cisgiordania: cancellata (per sempre) la detenzione amministrativa

Un centro di distribuzione di pasti caldi a Khan Younis foto Xinhua/Rizek Abdeljawad Un centro di distribuzione di pasti caldi a Khan Younis – Xinhua/Rizek Abdeljawad

Dopo il voto, nel pomeriggio di ieri, da parte del gabinetto di sicurezza, si attende che anche il governo israeliano, ancora riunito mentre scriviamo, approvi l’accordo di cessate il fuoco. È stata una lunga giornata per Netanyahu, impegnato soprattutto a rassicurare i suoi alleati più agitati.

Gli appelli del ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, si sono moltiplicati nelle ultime ore nel tentativo di trovare complici pronti a far cadere il governo pur di non approvare la fine dell’attacco a Gaza. Se non ci saranno sorprese e l’intesa passerà, il leader di Potere ebraico, espressione dell’estrema destra suprematista israeliana, potrebbe lasciare il governo e portare con sé i sei seggi che occupa il suo gruppo in parlamento.

DOPO L’ARRINGA furibonda di Ben Gvir, il Likud, partito del premier, ha rilasciato una dichiarazione che nel giro di poche parole ha trasformato l’accordo che avrebbe dovuto parlare di pace in una promessa di guerra: «Contrariamente ai commenti di Ben Gvir, l’accordo esistente consente a Israele di tornare a combattere sotto garanzie americane, ricevere le armi e i mezzi di guerra di cui ha bisogno, massimizzare il numero di ostaggi viventi che saranno rilasciati, mantenere il pieno controllo della rotta Filadelfia e il cuscinetto di sicurezza che circonda l’intera Striscia di Gaza e ottenere risultati tali da garantire la sicurezza di Israele per generazioni».

Promesse, queste, tutte dirette all’altro membro del governo fortemente contrario alla fine della guerra, Bezalel Smotrich, ministro delle finanze e capo di Sionismo religioso. Smotrich ha detto che avrebbe votato contro il piano ma, confortato dalle rassicurazioni di Netanyahu, di essere deciso a mantenere l’appoggio al governo.

Secondo Canale 12, anche durante la riunione del gabinetto di sicurezza il primo ministro ha lasciato intendere che con ogni probabilità Israele riprenderà i combattimenti dopo il completamento della prima fase e il rilascio dei 33 ostaggi trattenuti

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