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Comunicato Stampa

IL GRUPPO DELLO ZUCCHERIFICIO TORNA A RAVENNA CON “IL GRIDO DELLA FARFALLA”,
FESTIVAL DELL’INFORMAZIONE LIBERA

Il Grido Della Farfalla, il festival dell’informazione libera organizzato dall’associazione “Gruppo dello Zuccherificio”, giunge alla 7^ edizione. Dal 24 al 27 settembre, la festa dell’informazione libera di terrà in Piazza Unità d'Italia a Ravenna. Conferenze, spettacoli teatrali, lezioni e concerti che prendono spunto dalle attività del Gruppo dello Zuccherificio e dagli interessi dei suoi componenti. Un insieme di persone con diverse competenze, passioni e idee che forniscono una particolare capacità di trattare i temi dell'attualità. 
In caso di pioggia, gli incontri si svolgeranno a Palazzo Rasponi, Piazza Kennedy a Ravenna, entrata sul retro dell'edificio.

Il programma di questa edizione si apre Giovedì 24 dalle 10 alle 18 presso la Sala Multimediale del Museo MAR, via di Roma 13 con L’accoglienza possibile, giornata formativa dedicata alle politiche di accoglienza e integrazione. Salvo imprevisti, sarà presente anche l sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini.
In collaborazione con Ass. Nazionale Comuni Virtuosi e con la Scuola di Altra Amministrazione. Costo giornata formativa e pranzo 50€. Prenotazione necessaria.

Venerdì 25, dalle 9.30 alle 17.30, nella sala del Palazzo Comunale, via d’Azeglio 2, si terrà Datajournalism Workshop. Andrea Nelson Mauro, fondatore di Datamedia Hub e Dataninja, terrà un corso e un laboratorio giornalistico sul tema Datajournalism. Il corso è patrocinato dall’ordine dei giornalisti e rilascia crediti per la formazione continua.

Alle 21.00, in Piazza Unità d’Italia, primo incontro pubblico del Grido 2015. Luca Mercalli (Scala Mercalli , “Che tempo che fa” RAI3 e Climatologo della società Meteorologica Italiana) spiegherà al pubblico come cambia il clima. Ravenna come Calcutta? Scenari climatici poco desiderabili: come fare per evitarli. L'evento è realizzato in collaborazione con la Settimana del buon vivere

La serata di chiude alle 22.45 con Panarama Swing Duo. Canzoni swinganti dai ‘30 ai ’60 con contrasto di sonorità dall’est al sud. Swing e Jazz manouche in piazza con il Maestro Valentin Florea alla fisarmonica e Raffaello Dileo alla voce e alla chitarra. 

La mattinata di sabato 26 è dedicata alle scuole. Alle 9,00 il Grido della Farfalla 2015 porterà
La scuola in piazza, in Piazza Unità d’Italia, con la partecipazione di alcune classi degli istituti superiori ravennati. Dopo il successo dello scorso anno, il Gruppo dello Zuccherificio ripropone le Lectio magistralis, un tuffo dentro mondi diversi attraverso le lezioni di tre protagonisti del proprio campo. Saranno ospiti Cristiano Cavina, scrittore, Roberto Magnani, attore del Teatro delle Albe e Serena Fagnocchi, fisica, ex ricercatrice universitaria. 

Alle 11.00 al Caffè Letterario in via Diaz, presenteremo Mio padre in una scatola da scarpe, il primo romanzo di Giulio Cavalli edito da Rizzoli.
“Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia, vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita”. Ispirato ad una

Con una conferenza stampa il 17.9 mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, ha presentato le iniziative della Diocesi in occasione del Giubileo della Misericordia ormai alle porte e la sua prima lettera alla Diocesi a sei mesi dal suo ingresso nella Cattedrale di Faenza; facendo riferimento anche alle questioni del lavoro e delle crisi occupazionali, fra cui la vertenza CISA.

Il testo integrale della Lettera Pastorale "Misericordiosi come il padre" del Vescovo Mons. Mario Toso

 

Faenza si mobiliti in difesa della CISA

La vertenza Cisa è arrivata a un punto cruciale. Nel prossimo incontro di martedì 22 al ministero dello Sviluppo, l'azienda potrebbe confermare l'intenzione di trasferire all'estero gran parte delle lavorazioni meccaniche, con l'effetto di creare più di 200 lavoratori in “esubero”. A fronte del “naturale” rifiuto da parte delle rappresentanze dei lavoratori (che si recheranno in massa a Roma), l'azienda ha dichiarato che aprirà la procedura di mobilità (ossia l'avvio dei licenziamenti).

Finora la risposta dei lavoratori è stata compatta, determinata e composta. Anche in questi giorni hanno scioperato in massa e partecipato alle iniziative di protesta e di sensibilizzazione. La città ha manifestato grande sostegno e solidarietà: cittadini, associazioni, forze politiche, Istituzioni si sono espressi e mossi a loro sostegno, lo stesso Consiglio comunale ha votato all'unanimità un ordine del giorno “dando completa disponibilità ad operare in ogni direzione per il buon esito della vicenda”.

Se nell'incontro del 22 l'azienda non modificherà le proprie posizioni, si renderà necessario un salto di qualità: i lavoratori con le loro rappresentanze sindacali decideranno quali saranno le iniziative da intraprendere; “L’Altra Faenza” pensa che anche la società civile e l'Amministrazione comunale debbano mettere in campo tutte le azioni possibili per respingere la strategia di Cisa Allegion, così da costringerla a discutere un diverso piano industriale che garantisca il mantenimento, nel nostro Paese e a Faenza, di produzioni industriali qualificate e conseguentemente dei livelli occupazionali.

Nell'immediato “L’Altra Faenza” propone che l'Amministrazione comunale dichiari l'indisponibilità a concedere qualsiasi autorizzazione per un utilizzo diverso dei fabbricati di Cisa 1 (in via Oberdan), fino a quando non verrà trovato un accordo soddisfacente con le rappresentanze dei lavoratori.

Questo è possibile, sia utilizzando il nuovo Regolamento Urbanistico Edilizio - che prevede prima la bonifica del sito - sia in base ad una disposizione del precedente Piano Regolatore, voluta proprio per impedire che il trasferimento di aziende comportasse la perdita di posti di lavoro. Questa norma prevede: Nel caso di dismissione o di trasferimento di attività industriali dalle zone edificate ad altre zone vanno convenzionati, tra il Comune e le aziende interessate, con la partecipazione delle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali più rappresentative, gli aspetti relativi al trasferimento dell'attività e/o del personale. Tali convenzioni vanno approvate dal Consiglio Comunale.

Altre iniziative naturalmente possono essere intraprese dalla comunità faentina e dalle Istituzioni. Importante e significativa a questo proposito è la Lettera pastorale del Vescovo Mons. Toso. Per tutto questo “L’Altra Faenza” propone che dopo l'incontro del 22 venga convocata con la necessaria urgenza una seduta del Consiglio comunale aperto, per affrontare pubblicamente la situazione della vertenza Cisa.

L'Altra Faenza

Faenza, 19 settembre 2015

 

 

 

 

 

ALLE BOCCHE DEI CANALI PER IMMAGINARE UN VERO PARCO DEGLI ORTI

Passeggiata letteraria in un ambiente rurale storico, stravolto da un abnorme impianto stradale

Sabato 19 settembre, 30° anniversario della morte di Italo Calvino, Italia Nostra e Legambiente di Faenza propongono una passeggiata letteraria intorno alle Bocche dei CanaliAlcuni volontari hanno allestito uno speciale “percorso di lettura”, tratto dal romanzo Il barone rampante di Italo Calvino.
Sui 90 alberi che circondano l'area sono stati appesi sottili quaderni in cartoncino; contengono i testi che descrivono il paesaggio abitato da Cosimo, il protagonista del libro.
Nel paesaggio delle Bocche dei Canali e dell'intorno geografico, si incontrano alcuni temi del romanzo: alberi e animali, la diversità ambientale, la partecipazione degli abitanti alla difesa dei luoghi, la memoria di un paesaggio vissuto, la perdita della sua identità.

Il luogo si è salvato dal cemento grazie alla decisiva azione del WWF, in collaborazione con Italia Nostra e Legambiente.
Tra 2007 e 2008, si realizzò un'esperienza di educazione alla cittadinanza e di cultura del paesaggio, che riuscì a promuovere dal basso un Parco degli orti e a indurre il Comune, nel 2009, a cambiare l'uso dell'area da residenziale a parco.
Un percorso partecipato che l'attuale Amministrazione Comunale ha completamente ignorato. Ancor più grave è lo stravolgimento che l'ambiente rurale ha subito col recente intervento.
Amministratori e tecnici hanno ignorato totalmente i criteri della Progettazione paesaggistica, la disciplina che in luoghi sensibili come questo prevede il restauro ambientale e soluzioni minimali per la fruizione adatte al contesto.

Tutto all'opposto è l'intervento che ha trasformato un luogo della diversità paesaggistica in un generico spazio verde attrezzato, con abnormi pavimentazioni stradali, due piazzali ad uso parcheggio e relativi passi carrai nuovi che interrompono la ciclabile lungo via Firenze.
Dove si arrivava solo a piedi o in bicicletta, adesso si entra con le auto:

uno dei parcheggi è stato costruito spianando un grande orto, ben coltivato da alcuni abitanti;
i bambini vengono portati direttamente in macchina a ridosso di uno spazio gioco;
il tratto continuo della ciclabile di via Firenze, che era sicuro, ha due nuovi incroci con le auto.
Sono errori progettuali che producono effetti diseducativi, in stridente contrasto con la finalità ecologica della nuova pista ciclabile di via Canal Grande.

È stato evitato il cemento, come previsto dal cambio di strategia urbanistica, ma questo non giustifica qualunque intervento e l'indifferenza per un paesaggio storico.

La passeggiata letteraria propone l'esperienza del “guardare insieme a Calvino” e immaginare come avrebbe potuto essere un vero parco degli orti, legato al rapporto tra la città e l'acqua.
Un luogo ricreato con interventi leggeri (anche poco costosi): un semplice sentiero campestre, il recupero di alcuni fossi, il ripristino di un'apertura da cui vedere l'acqua, qualche orto e ovviamente la cura degli alberi.
Così la “Punta degli orti” sarebbe diventata una “palestra” culturale del paesaggio, per far vedere, a chi cammina o pedala, come il Canal Grande e la Canaletta hanno alimentato, dal Medioevo agli anni '80, un sistema di fossi e scoline a gravità che forniva acqua ai campi.
Il restauro paesaggistico avrebbe comunque consentito la fruizione del luogo e di trarre benessere dalla diversità ambientale: come pedalare intorno ad uno spazio rurale autentico o camminare su un semplice sentiero tra i filari di kaki.
Anche i bambini avrebbero tratto stimoli per giocare liberamente in un ambiente agricolo, con effetti educativi ben superiori rispetto all'uso di spazi gioco standardizzati.
Oggi invece il nuovo intervento alle Bocche dei Canali, ha la struttura di uno spazio urbanizzato che disorienta, tanto è invasiva la pavimentazione stradale.

È stata deteriorata l'identità del luogo e al contempo la sua riconoscibilità.
Una prova si è avuta dall'invasione di auto, dello scorso maggio, mai verificatasi prima della nuova sistemazione. L'immagine ben evidente di un luogo strutturato come un'area di servizio ha fatto da richiamo per centinaia di automobilisti.
Elementi incongrui come gli ampi piazzali ad uso parcheggio, i due passi carrai nuovi, le strade interne, hanno alterato l'autenticità dell'ambiente rurale e causato una perdita di riconoscibilità del paesaggio che impedisce di percepire un “parco degli orti”.

La passeggiata letteraria propone un doppio percorso di lettura, tra i quaderni sugli alberi e nel paesaggio; come una piccola caccia al tesoro rivolta a tutti i cittadini dai dieci anni in su.
Leggendo e guardando, si scoprirà cosa è scomparso tra i mini racconti, tratti dal romanzo
di Calvino, e nel paesaggio delle Bocche dei Canali.

Marcella Vitali Presidente Italia Nostra Faenza
Massimo Sangiorgi Presidente Legambiente Circolo Lamone di Faenza

 

 

  1. Le riforme costituzionali ed elettorali: una discussione insensata lunga oltre un ventennio.

Dopo il 1989 in Italia si è avviata all’interno del sistema politico un’accesa discussione sull’esigenza di profonde riforme costituzionali ed elettorali. La discussione è partita dal vertice del potere politico. Una grande riforma della Costituzione italiana è stata richiesta dal Presidente della Repubblica dell’epoca, Francesco Cossiga, il quale avvalendosi dei suoi poteri presidenziali, mandò un formale messaggio alle Camere (ex art. 87, secondo comma della Costituzione) il 26 giugno del 1991, pressando il Parlamento ad attuare una profonda riforma della Costituzione, che avrebbe dovuto portare ad una modificazione della forma di Governo, della forma di Stato, del sistema dell’indipendenza della magistratura. In aggiunta Cossiga chiedeva anche una riforma elettorale per superare il sistema proporzionale a favore di un sistema maggioritario.

In pratica con il suo messaggio il Capo dello Stato dichiarava obsoleto il modello di democrazia costituzionale prefigurato dai Costituenti in quanto frutto di esigenze contingenti collegate ad una situazione internazionale (la guerra fredda) superata dalla Storia. La drammatica spaccatura creata dalla guerra fredda avrebbe indotto i Costituenti ad organizzare un potere “debole” custodito da garanzie “forti”. Osservava Cossiga nel suo messaggio che:

Era naturale che ciò accadesse perché, essendosi delineati, dopo la fine della collaborazione di governo dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, due schieramenti contrapposti, nessuno arrivava a prevedere con certezza quali equilibri si sarebbero costituiti e quali maggioranze avrebbero governato il Paese e più che all'efficienza del sistema si pensava all'adozione di una struttura di equilibri e di mutua garanzia.

In altre parole, tutti immaginarono di poter essere collocati all'opposizione e programmarono perciò un sistema di controlli ad elevatissima sensibilità e grado d'allarme, tale da risultare, per alcuni versi, quasi paralizzante; insomma bisognava controassicurarsi avverso l'ipotesi di un esecutivo forte e stabile, anche a costo di un sistema complessivo debole, ma eminentemente garantista.”

Secondo Cossiga, insomma il disegno di democrazia costituzionale delineato dai padri costituenti non andava bene perché aveva creato un’architettura dei poteri che, attraverso il ruolo centrale del Parlamento e l’autonomia delle istituzioni di garanzia (magistratura e Corte Costituzionale) impediva la nascita di un “potere forte” e di un Governo “stabile” (per legge). Per raggiungere questo risultato occorreva modificare la natura del Parlamento, attraverso una legge elettorale maggioritaria che facesse prevalere la “governabilità” sulla rappresentatività, eliminare il bicameralismo perfetto, mettere le briglie alla magistratura riportando la funzione del Pubblico Ministero nell’alveo dei poteri di maggioranza.

Cossiga delineava anche un metodo per attuare questa “grande riforma”, non avendo alcuno scrupolo a proporre la convocazione di una nuova Assemblea Costituente, atto che avrebbe sancito la delegittimazione totale, se non l’annullamento della Costituzione del 1948.

Del resto nel corso della sua esperienza presidenziale Cossiga si caratterizzò per attacchi corrosivi alla legalità costituzionale, rivendicando il suo ruolo politico nell’organizzazione di una milizia segreta di derivazione atlantica (voluta dagli Stati Uniti) con compiti di contrasto armato ai partiti e ai movimenti di ispirazione comunista e si fece scudo della sua funzione presidenziale per contrastare l’attività di indagine avviata dalla magistratura per fare luce sulle attività illegali di Gladio. Per questo motivo Cossiga è stato definito “il picconatore”.

Risulta chiaro, pertanto, che, fin dall’origine il discorso sulla presunta inadeguatezza della democrazia costituzionale italiana, è nato da un’esigenza interna ai vertici politici, alle classi dirigenti, non certo alla società civile o alle classi popolari. L’esigenza delineata da Cossiga nel suo “profetico” messaggio alle Camere, detta in parole semplici è quella di dare più potere al potere, di ridimensionare il sistema di pesi e contrappesi che fa si che il potere di ogni organo trovi un limite nel potere di altri organi e che l’esercizio di ogni funzione di governo sia vigilata da robuste istituzioni di garanzia, capaci di assicurarne la conformità al diritto e di tutelare i diritti inviolabili dei cittadini. L’aspirazione è sempre stata quella di ricreare nuovamente un governo forte, se non addirittura un uomo forte, capace di realizzare la sua missione di governo, senza essere ostacolato dalle istituzioni rappresentative e da quelle di garanzia.

Lungo i binari posti da Cossiga hanno viaggiato tutti i tentativi di riforma della democrazia costituzionale italiana, praticati nel tempo, con esiti vari, sia attraverso le riforme elettorali, sia attraverso le riforme della Costituzione del 48.

Dare più potere al potere è stato il leitmotiv che ha guidato il ventennio appena trascorso e le riforme che sono state praticate sia in tema di leggi elettorali che di modifiche formali alla Costituzione.

  1. Il presupposto politico della Costituzione italiana: l’antifascismo.

In realtà l’analisi di Cossiga secondo cui l’organizzazione della democrazia costituzionale come prefigurata dai costituenti, sarebbe frutto di una contingenza storica superata è una ricostruzione ideologica che cancella disinvoltamente l’ispirazione di fondo della Costituzione italiana attraverso la quale i Padri costituenti hanno messo a frutto le dure lezioni della Storia: l’antifascismo.

La Costituzione italiana è una costituzione compiutamente antifascista perché per voltare definitivamente pagina rispetto alla triste esperienza del fascismo e della guerra, i costituenti hanno sentito il bisogno di rovesciare completamente le categorie che caratterizzano il fascismo.

Tuttavia, se i principi fondamentali sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati dal fascismo, è l'architettura del sistema che fa la differenza ed impedisce che, ove mai giungano al governo forze politiche caratterizzate da cultura o aspirazioni antidemocratiche (come avviene da molti anni in Italia), queste forze possano realizzare una trasformazione autoritaria delle istituzioni, aggredendo il pluralismo istituzionale (per es. l'indipendenza della magistratura) o il sistema delle autonomie individuali e collettive (libertà di espressione del pensiero, libertà di associazione, diritto di sciopero, etc).

La Costituzione ha insediato la libertà che ci è stata donata dalla Resistenza, rendendo impossibile ogni forma di “dittatura della maggioranza”, attraverso una chiara impostazione antitotalitaria nell’organizzazione dei pubblici poteri.

Proprio per questo da oltre ventennio un vasto arco di forze politiche ha vissuto la Costituzione come un impaccio, come una serie di fastidiosi vincoli, di cui sbarazzarsi per restaurare l'onnipotenza dei decisori politici.

Del resto l'obiettivo di demolire l'ordinamento democratico che la Resistenza ci ha consegnato è stato l'oggetto della grande riforma della II parte della Costituzione approvata dalla maggioranza di centro destra nel 2005 e bocciata senza appello dal popolo italiano con il referendum del 25/26 giugno 20061;

Come tutti noi sappiamo, adesso che Berlusconi è stato sostituito nel governo del Paese dal Capo della forza politica (il PD) che è stata il suo principale competitore sul piano della sfida elettorale, l’attacco ai principi della democrazia costituzionale non solo non si è attenuato ma ha ripreso un nuovo slancio ed operando sui due terreni concorrenti della riforma della Costituzione e della riforma elettorale, si appresta a sferrare un colpo decisivo, forse quello finale, ai meccanismi ed all’impostazione antitotalitaria della democrazia costituzionale italiana, che i padri costituenti avevano istituito per salvaguardare la libertà così faticosamente conquistata nel corso della nostra storia.

  1. La grande riforma allo stato attuale

Le vicende recenti dimostrano che l’attacco alla parte seconda della Costituzione pregiudica anche i principi fondamentali ed i beni pubblici repubblicani contemplati nella parte prima.

Oggi noi stiamo sperimentando che se si restringe la democrazia è più facile restringere i diritti. Ciò dimostra che c’è un nesso strumentale imprescindibile fra la prima parte della Costituzione in cui sono fissati i valori fondamentali ed i diritti sociali, civili e politici dei cittadini e l’ordinamento democratico attraverso il quale tali valori e diritti trovano il loro percorso di attuazione. Sarebbe bene che i sindacati se ne rendessero conto

Oggi noi nel concetto di riforme, intorno al quale si è instaurato un vero e proprio martellamento mediatico, troviamo un paniere nel quale sono mescolate con la controriforma costituzionale, la riforma elettorale (italicum), lo sblocca Italia, il job act’s, la riforma della scuola, la riforma della pubblica amministrazione. Tutte queste riforme vengono rivendicate come un unicum, ed in effetti sono espressione del medesimo progetto politico, che viene venduto all’opinione pubblica come frutto dell’esigenza di “far ripartire l’Italia”.

Tuttavia questa è la forza, ma anche la debolezza del progetto renziano. Le riforme “sostanziali”, colpiscono beni pubblici, come quelli ambientali per i quali c’è una diffusa sensibilità nel popolo italiano, colpiscono diritti di milioni di lavoratori, variamente rappresentati dalle organizzazioni sindacali che ben potrebbero reagire, colpiscono il bene primario della scuola pubblica, provocando l’insorgenza quasi unanime del corpo degli insegnanti, che nell’impiego pubblico è il settore più vasto, infine feriscono profondamente l’organizzazione amministrativa dello Stato, suscitando inevitabili malumori e dissensi.

Il vero problema politico è trovare il filo rosso che lega le riforme “sostanziali” con le riforme dell’ordinamento democratico per organizzare una adeguata risposta politica.

Riusciranno quei sindacati, che a parole contestato il job act’s, a comprendere che per difendere i diritti dei lavoratori è imprescindibile che i lavoratori abbiano voce in capitolo nelle istituzioni rappresentative, attraverso una legge elettorale onesta, che garantisca che in Parlamento siano rappresentate le domande sociali e che sia mantenuta la capacità del Parlamento di interloquire e anche di correggere le politiche impostate dai governi?

Questa consapevolezza forse è più chiara nel movimento degli insegnanti in lotta contro la riforma, con il quale il Coordinamento ha avuto una proficua interlocuzione all’assemblea che si è svolta il 6 settembre a Bologna. Qui, all’esito di un’assemblea con la partecipazione di oltre 350 persone, è stato approvato un documento finale in cui testualmente è scritto:

È stato chiesto ai presenti di pronunciarsi sulla possibilità di iniziare a vagliare tutti insieme un percorso referendario unitario, che tenga dentro non solo un eventuale referendum sulla scuola, ma anche Jobs act, riforme istituzionali e legge elettorali, difesa del territorio. Tale proposta è stata accolta dall’assemblea”.

In più sedi abbiamo discusso degli effetti nefasti del job’s act, delle varie leggi sblocca Italia e della riforma della scuola. Però è passata finora sotto silenzio una riforma, altrettanto devastante quanto la riforma costituzionale e la riforma elettorale: la riforma della pubblica amministrazione, sulla quale sarà necessario avviare una riflessione approfondita in tempi brevi.

In verità quest’estate c’è stata una levata di scudi. E’ stata promossa una petizione (non si uccide così l’art. 9 della Costituzione!) che denunciava che la confluenza delle Soprintendenze nelle Prefetture costituisce “il più grave attacco al sistema della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale mai perpetrato da un Governo della Repubblica italiana. Anzi, l’attacco finale e definitivo”. La petizione ha raggiunto in pochi giorni, oltre 25.000 firme, ma è rimasta del tutto inascoltata, tanto che il Senato il 4 agosto ha licenziato il testo definitivo della riforma Madia senza cambiare neanche una virgola.

Il 10 agosto il quotidiano la Repubblica ha pubblicato un appello al Presidente Mattarella (Presidente, fermi quella legge che fa scempio dei beni culturali) firmato da Salvatore Settis e autorevolissimi costituzionalisti, fra i quali Azzariti, Carlassare, Pace, Zagrebelsky, Maddalena, Neppi Modona. Evidentemente non si erano accorti che il Presidente aveva già promulgato la legge il 7 agosto, con tempismo perfetto.

Il problema è che questa riforma non fa scempio solo dei beni culturali, ma di un valore organizzativo strumentale alla tutela dei valori costituzionali: quello dell’imparzialità della pubblica amministrazione.

La riforma sconvolge l’assetto organizzativo delle funzioni amministrative prevedendo la confluenza nelle Prefetture e la sottoposizione al Prefetto di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato, prevedendo, inoltre, l’istituzione di un ruolo unico dei dirigenti dello Stato, sottoposti alla Presidenza del Consiglio, e privati del requisito della stabilità.

Si tratta di una riforma epocale. Se le riforme costituzionali mirano ad alterare l’esercizio dei poteri costituzionali, concentrandoli nelle mani del decisore politico, la riforma della P.A. esalta ancor più il potere del decisore politico, destrutturando l’autonomia delle funzioni amministrative.

Si tratta di una svolta che neanche sotto il fascismo fu realizzata. Il fascismo esercitò un controllo sui pubblici funzionari, facendo indossare loro la camicia nera, ma fu rispettoso dell’autonomia delle funzioni amministrative e non pretese mai di concentrarle nelle mani del vertice politico. Tant’è vero che il Ministro della giustizia nel 1939 chiamò un antifascista come Piero Calamandrei a scrivere il codice di procedura civile per la sua riconosciuta competenza tecnica. Del resto gli effetti della relativa autonomia delle funzioni amministrative si sono visti subito, se si consideri che l’ordine del giorno Grandi – secondo alcune fonti – fu scritto da Santi Romano, il Presidente del Consiglio di Stato, e il 25 luglio Badoglio formò un governo tecnico, avvalendosi di alti dirigenti dello Stato, in particolare nominando ministro della giustizia il capo dell’ufficio legislativo del Ministero, Gaetano Azzariti, che avviò immediatamente l’opera di defascistizzazione.

Attraverso vari tasselli si sta completando un po’ alla volta un processo di vera e propria sostituzione del modello di democrazia, del modello di Stato e del modello economico sociale delineati nella Costituzione della Repubblica italiana.

Tutte queste riforme sono convergenti verso la creazione di un nuovo quadro istituzionale che si realizza non solo con la figura dell’uomo solo al comando, ma anche con la sterilizzazione, se non l’abiura dei principi e dei valori che la Costituzione a posto a base della vita della Repubblica.

  1. Le incertezze del quadro politico e le nostre iniziative

Dopo 24 anni la profezia nera di Cossiga sta giungendo a maturazione. Ma il quadro non è completo, anzi è profondamente instabile. Tanto che Matteo Renzi, il 18 luglio, dopo il discorso agli stati generali del PD in cui ha annunciato un taglio epocale delle tasse, ha rilanciato il tema del patto con gli italiani, chiedendo spudoratamente il varo delle sue riforme in cambio di un taglio delle tasse per 50 miliardi.

Pur di completare il processo delle riforme, Matteo Renzi, è disposto a comprare il consenso degli italiani, svaligiando l’erario e regalandoci 50 miliardi dei nostri soldi.

Senonchè, dopo la marcia trionfale del job act’s, dell’italicum, della “buona scuola” e della riforma della P.A., il processo delle riforme adesso deve affrontare la cruna dell’ago, costituita dalla scarsa voglia dei senatori di sopprimere sé stessi, approvando la riforma costituzionale.

Sebbene sia l’Italicum la riforma che maggiormente incide sull’equilibrio dei poteri, il progetto ha bisogno di essere completato attraverso l’eliminazione del Senato, come Camera elettiva.

In questi giorni è in corso al Senato un confronto decisivo. Nelle audizioni che si sono svolte quest’estate i costituzionalisti nostri amici, in particolare Besostri e Villone, hanno sostenuto con argomenti inoppugnabili, la tesi dell’emendabilità dell’art. 2, la norma che esclude l’elettività dei senatori. Da notizie di stampa sembra che il Presidente Grasso, accettando la nostra tesi, sia incline ad ammettere gli emendamenti all’art. 2, a cui si oppongono strenuamente gli uomini e le donne agli ordini di Matteo Renzi.

Per questo è estremamente opportuno e tempestivo l’appello che il Coordinamento ha promosso (sbloccare la democrazia per far ripartire l’Italia) che è stato messo on line sulla piattaforma change.org la sera del 3 settembre e reso pubblico dal manifesto il 5 settembre, oltre che pubblicato su siti molto frequentati come articolo21 e Micromega. (attualmente ha raccolto xx adesioni)

E’ necessario promuovere sul territorio, per quanto è possibile, un dissenso diffuso alle linee di fondo che caratterizzano la controriforma del Senato, per avere la possibilità di interloquire con la discussione parlamentare in corso e rafforzare le defezioni e le resistenze.

Va da sé che se la riforma sarà approvata dovremo attrezzarci per contrastarla con il referendum costituzionale.

Del resto il referendum è lo strumento che i costituenti, con la loro saggezza ci hanno consegnato per contrastare gli abusi del legislativo e restituire ai cittadini la capacità di partecipare alla determinazione della politica nazionale.

Se ben utilizzato, il referendum, anzi i referendum, possono scombinare completamente il quadro delle controriforme che i decisori politici hanno delineato e qualche speranza si può apporre anche nell’intervento della Corte costituzionale che, interpellata attraverso i ricorsi che il Coordinamento sta per promuovere potrebbe riconfermare i principi espressi nella sentenza 1/2014, affondando l’italicum prima che produca i suoi nefasti effetti.

Nei mesi appena trascorsi il Coordinamento, contestualmente alla contestazione della legge per via giudiziaria, ha lavorato per impostare i referendum elettorali mettendo a fuoco i possibili quesiti, e per sviluppare una strategia volta creare delle sinergie e saldare la lotta per la democrazia costituzionale a quella per la tutela dei beni costituzionali dell’ambiente, della scuola pubblica, della dignità del lavoro.

Abbiamo espresso questa posizione nel documento finale della nostra riunione del 15 giugno. La strategia espressa e concordata il 15 giugno scontava il limite di una rinuncia; la rinuncia a partire immediatamente con le richieste di referendum perché schiacciati dalla tagliola della scadenza per la raccolta delle firme al 30 settembre, con la conseguente necessità di rinviare tutto al 2016.

Tuttavia c’è chi non si è scoraggiato e ha deciso di lanciare una sfida politica all’inerzia delle grandi organizzazioni. Il neonato movimento “Possibile”, fondato dall’on. Civati, si è dissociato dalla strategia concordata dal Coordinamento ed ha deciso di lanciare una proposta di referendum con 8 quesiti aventi ad oggetto l’Italicum, il job act’s, la riforma della scuola e le leggi antiambiente.

Il CdC ha presentato alla convenzione di possibile il 15 luglio a Firenze un documento che si concludeva osservando che:

pur coscienti dello slittamento temporale che ne deriverebbe, riteniamo prematuro l’immediato deposito di quesiti presso la Corte di Cassazione e l’avvio della raccolta firme, e proponiamo l’apertura di un ampio confronto fra tutti i soggetti disponibili, allo scopo di coinvolgere nella iniziativa il maggior numero dei soggetti sociali disponibili, utilizzare al meglio le diverse competenze e verificare l’impegno organizzativo di ogni soggetto. Il lancio dei referendum costituisce una assunzione di responsabilità che non può essere sottovalutata o condizionata da strategie contingenti.”

Tuttavia “Possibile” nella sua libera autodeterminazione ha deciso proseguire con la sua strategia referendaria e di far partire la raccolta delle firme.

Quest’estate ci sono state delle polemiche per lo “strappo” di “Possibile”.

Queste polemiche non hanno ragione di essere.

Il Coordinamento non è un partito, non ha discipline da invocare né pretese di egemonia su nessuno. La funzione del Coordinamento è quella di coordinare l’attività e le iniziative politiche dei singoli e delle associazioni che vi aderiscono per far si che quest’attività e queste iniziative abbiano maggiore forza e maggiore impatto politico. Insomma l’unione fa la forza. La missione del Coordinamento è quella di lavorare per l’unione al fine di ottenere una maggiore forza, che ci permetta di contrastare con sempre maggiore efficacia questo processo di controriforme in atto.

Quindi dobbiamo continuare il cammino che abbiamo avviato, confrontandoci con le novità che nel frattempo sono emerse.

Una delle novità positive è che la campagna No triv, che molti di noi hanno sostenuto anche con una raccolta di firme, sembra che stia ottenendo il risultato di convincere le Regioni a chiedere il referendum sui quesiti che sono stati demandati a Enzo Di Salvatore. Non c’è dubbio che se le Regioni avviassero il processo di referendum per cancellare le leggi che consentono di trivellare tutte le nostre coste, si aprirebbe un fronte importante di mobilitazione sociale.

Nell’immediato è importante intensificare la pressione sul Senato, moltiplicando la raccolta delle firme sulla nostra petizione ed organizzando, per quanto possibile, iniziative sul territorio.

Va da sé che chiederemo un incontro al Presidente del Senato per consegnargli le firme della petizione, ove si raggiunga un discreto risultato.

Ed è importante che parta la campagna di contestazione giudiziaria dell’Italicum, seguendo le istruzioni che ci darà Besostri. Naturalmente non dovranno essere solo gli avvocati ad agire ma è opportuno che gli esponenti delle associazioni che aderiscono al Coordinamento, agiscano personalmente in giudizio come attori o ricorrenti.

La strategia referendaria deve proseguire e non dobbiamo demordere dall’esigenza di stimolare le organizzazioni sociali a svegliarsi dal loro torpore ed a prendere una posizione attiva. A questo riguardo è importante la posizione che sta assumendo la Fiom, che ha manifestato l’intenzione di promuovere il referendum contro alcuni decreti attuativi del job act’s, anche perché potrebbe avere un effetto trascinante e ben potrebbero le organizzazioni sindacali abbracciare anche la battaglia contro l’Italicum.

Così come può essere particolarmente proficua la collaborazione con il movimento degli insegnanti.

In questo contesto dobbiamo confrontarci con l’iniziativa messa in cantiere da “Possibile”, che ha dimostrato una capacità organizzativa veramente straordinaria per un movimento appena nato. A questo riguardo dobbiamo osservare che qualora la raccolta delle firme andasse a buon fine, comunque ci sarebbe la necessità di promuovere un altro referendum perché i quesiti proposti da “Possibile” non centrano il problema di fondo dell’Italicum, quello del premio di maggioranza e del ballottaggio.

Insomma, molto lavoro ci attende, abbiamo grandi responsabilità, viviamo in un tempo in cui tutte le scelte stanno maturando e noi dobbiamo essere pronti ad agire nel modo più efficace.

Dobbiamo farlo senza scoraggiarci per le difficoltà che ci sono di fronte perché nei momenti in cui la storia arriva ad un bivio, l’iniziativa di una minoranza molto motivata può essere determinante per invertire il corso degli eventi.

 

1. Il Comitato referendario presieduto ed animato dall'ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ottenne una vittoria storica alla consultazione del 25 e 26 giugno 2006, cancellando la controriforma della Costituzione approvata dal Parlamento: i voti contrari all'approvazione della riforma furono 15.791.293 (pari al 61,32% dei votanti), mentre quelli favorevoli furono 9.962.348 (pari al 38,68%).