di Pasquale Pugliese
Era già successo cento anni fa che nei giorni di Natale si scrivesse una pagina di nonviolenza nella storia di un’umanità attraversata da una guerra devastante, talmente bella da sembrare una fiaba. Allora la notizia fu, per lo più, occultata da chi non contemplava alternative alla guerra: i soldati “nemici” impegnati nella guerra di trincea decisero si concedersi una tregua di Natale, una pace spontanea dal basso – vietata e punita – tra le opposte trincee d’Europa, riconoscendo reciprocamente l’umanità dell’altro. Solo molti giorni dopo alcuni giornali europei ne parlarono timidamente ed ancora oggi bisogna andarsi a cercare questo evento – per i più sconosciuto – nella storiografia specialistica. In questi giorni un nuova pagina di nonviolenza altrettanto importante è stata scritta in Kenia, nel bel mezzo di una guerra che è locale ed internazionale insieme, da un gruppo di musulmani passeggeri di un autobus che trasportava anche un gruppo di cristiani. La notizia è balenata, per un giorno, anche sui giornali italiani. Riprendiamola, prima che se ne perda la memoria, e proviamo a comprenderne la portata.
I fatti, riportati dalla BBC e ripresi da alcune testate giornalistiche internazionali, nella loro essenzialità, sono questi: all’alba del 21 dicembre, un commando di terroristi fondamentalisti – presumibilmente appartenenti al gruppo di al Shabab con base in Somalia – attaccano armi in pugno, facendo due vittime, un autobus pieno di viaggiatori. Il loro obiettivo è uccidere i cristiani di ritorno a casa per Natale. Era già avvenuto lo scorso anno, con una strage di 28 cristiani, ma stavolta le cose vanno diversamente: i terroristi chiedono ai cristiani di scendere e intimano ai musulmani di ripartire. Questi sanno che il destino dei primi è segnato, stavolta si rifiutano di obbedire alla violenza omicida e di distinguersi da quelli. Nessuno riparte, “o tutti liberi” – dicono i musulmani – “o tutti uccisi”. Questo gesto di coraggio disarmato spiazza i terroristi, che se ne vanno. Sono salvi tutti. Il bus può ripartire.
Per leggere l'intero articolo clicca QUI
Siamo alla vigilia di un’altra guerra contro la Libia, “a guida italiana” questa volta.
Sembra ormai assodato che le forze speciali SAS sono già in Libia, per preparare l’arrivo di mille soldati britannici. L’operazione complessiva, capitanata dall’Italia, dovrebbe coinvolgere seimila soldati americani ed europei per bloccare i cinquemila soldati dell’Isis. Il tutto verrà sdoganato come “un’operazione di peacekeeping e umanitaria”. L’Italia, dal canto suo, ha già trasferito a Trapani quattro cacciabombardieri AMX pronti a intervenire. Il nostro paese - così sostiene il governo Renzi - attende però per intervenire l’invito del governo libico di unità nazionale, presieduto da Fayez el Serray. E’ altrettanto chiaro che sia il ministro degli Esteri, Gentiloni, come la ministra della Difesa, Pinotti, premono invece per un rapido intervento.
Sarebbe però ora che il popolo italiano - tramite il Parlamento - si interrogasse, prima di intraprendere un’altra guerra contro la Libia. Infatti,se c’è un popolo che la Libia odia, siamo proprio noi che, durante l’occupazione coloniale, abbiamo impiccato o fucilato centomila libici. A questo dobbiamo aggiungere la guerra del 2011 contro Gheddafi per “esportare la democrazia”, ma in realtà per mettere le mani sull’oro ‘nero’ di quel paese. Come conseguenza, abbiamo creato il disastro, facendo precipitare la Libia in una spaventosa guerra civile, di tutti contro tutti, dove hanno trovato un terreno fertile i nuclei fondamentalisti islamici. Con questo passato, abbiamo, noi italiani, ancora il coraggio di intervenire alla testa di una coalizione militare?
Il New York Times del 26 gennaio scorso afferma che gli USA da parte loro sono pronti ad intervenire. Per cui possiamo ben presto aspettarci una guerra. Questo potrebbe anche spiegare perché in questo periodo gli USA stiano dando all’Italia armi che avevano dato solo all’Inghilterra. L’Italia sta infatti ricevendo dagli USA missili e bombe per armare i droni Predator MQ- 9 Reaper, armi che ci costano centinaia di milioni di dollari. Non dimentichiamo che la base militare di Sigonella (Catania) è oggi la capitale mondiale dei droni usati anche per spiare la Libia. L’Italia non solo riceve armi, ma
Comunicato Stampa
Tanti cattolici sono d’accordo con il ddl Cirinnà. Il Family Day di sabato prossimo è in contraddizione con la Chiesa in uscita di cui parla papa Francesco
Nel documento allegato Noi Siamo Chiesa espone i suoi punti di vista sulle questioni al centro dello scontro che inizia domani al Senato. Nel turbinio mediatico di questi giorni appare, in modo del tutto fuorviante, che tutti i cattolici, dentro o fuori il Parlamento, siano contro, o del tutto o in parte, alla proposta di legge in discussione. Non è così. Anche se ha poca immagine, una vasta area di opinione concorda con essa, particolarmente quella che si ispira, con particolare convinzione, al messaggio e allo spirito del Concilio Vaticano II.
La normativa sulle coppie di fatto si propone di regolamentare (in ritardo) una realtà sociale ormai presente in tutto il paese e in ogni stato sociale.
Le unioni civili, come regolamentate nella prima parte del ddl, sono differenti dal matrimonio e la step child adoption vuole regolarizzare correttamente, nell’interesse dei minori che vi siano coinvolti, rapporti affettivi consolidati (qualora naturalmente essi siano ben accertati secondo le norme e le prassi della legge sulle adozioni in vigore).
Ci sembra poi che si debba intervenire in seguito, in vari modi con le riforme necessarie, perché il desiderio di maternità e di paternità intercetti il bisogno di tanti minori che nel nostro paese sono abbandonati o trascurati.
La manifestazione di sabato 30 è espressione dell’ala fondamentalista del mondo cattolico, poco preoccupata della laicità delle istituzioni e incapace di capire molti aspetti degli affetti, delle sofferenze e dei bisogni presenti in tante situazioni che, per la loro genuinità ed onestà, devono essere accolte nella società e, a maggior ragione, nella Chiesa.
Roma, 27 gennaio 2016 NOI SIAMO CHIESA
Noi Siamo Chiesa
http://www.noisiamochiesa.org/
Via N.Benino 2 00122 Roma
Via Soperga 36 20127 Milano
Tel. +39-022664753
Il consiglio direttivo della sezione “S. Camprini” di Ravenna dell’Associazione Mazziniana Italiana, riunita in data il 12 gennaio 2016 prende atto del voto espresso dal parlamento in merito alla riforma istituzionale del nostro Paese.
Esprime di conseguenza il proprio netto dissenso ad una riforma che trasforma il Senato della Repubblica in un organo ibrido, non più rappresentativo della nazione e di cui non si capisce bene quale tipo di rappresentanza possa esercitare. Pertanto mentre annuncia che svolgerà campagna atta a favorire un deciso no al referendum costituzionale detto confermativo, voluto dal governo in carica, in contrasto con quanto stabilito dagli articoli 75 e 138 della nostra carta Costituzionale.
Invita le rappresentanze regionali e nazionali dell’A.M.I: a sostenere i Comitati per il No che si stanno costituendo in vista della campagna referendaria.
Angelo Morini
Presidente del consiglio direttivo della sezione “Camprini” di Ravenna
Sulle unioni civili il sen. Collina tira il freno
Notizie di stampa riportano il sen. Collina agli onori della cronaca. Reca la sua firma, infatti, l’emendamento che potrebbe mettere un altro bastone fra le ruote al disegno di legge in discussione al Senato sulle unioni civili.
Il vertice del Pd continua a dirsi certo che la legge passerà, ma gli ostacoli da superare sono ancora molti, vengono anche dall’interno dello stesso Pd e nel conto va messo il possibile ricorso al voto segreto su alcuni articoli.
Siamo fra gli ultimi in materia di diritti civili, il segretario generale del Consiglio d’Europa ha sollecitato l’Italia a non perdere altro tempo, pochi giorni fa le piazze di cento città hanno confermato che il paese reale è più avanti della politica. Il sen. Collina ha chiarito da che parte sta: è fra quelli che continuano a tirare il freno.
L’Altra Faenza
Faenza, 27 gennaio 2016
Vertenza 3C, a pagare sono sempre i lavoratori
I lavoratori della 3C Casalinghi hanno espresso pubblicamente disagio e amarezza per come si sta risolvendo la crisi della loro azienda. Hanno ragione e “L’Altra Faenza” conferma di essere al loro fianco. L’impegno deve continuare perché sia trovata una soluzione idonea per quelli che hanno perso il posto di lavoro.
La vicenda della quale sono involontari protagonisti è purtroppo una delle tante che in questi anni stanno segnando profondamente il nostro territorio. Licenziamenti, delocalizzazioni, cessioni di rami d’azienda e altre misure adottate - per necessità, ma anche in modo strumentale - da tante imprese, hanno avuto invariabilmente l’effetto di colpire le lavoratrici e i lavoratori, la loro condizione, i progetti di vita delle loro famiglie. A questo si aggiunge il dilagare dei voucher, una vera e propria pratica di lavoro nero legalizzato che comporta precarietà, basse retribuzioni e negazione dei diritti più elementari.
Chi continua a parlare di uscita dalla crisi e di un’Italia “locomotiva in Europa”, descrivendo una realtà lontana da quella che tanti vivono sulla loro pelle, venga a spiegarlo ai lavoratori della 3C e alle altre centinaia che a Faenza vivono la stessa drammatica condizione.
Faenza, 14 gennaio 2016
L’Altra Faenza